venerdì 22 febbraio 2008

Come l'intelligenza nasce dalla stupidità

Questo articolo divulgativo introduce quella che è secondo me una delle più grandi conquiste del pensiero umano. Fornisce inoltre un esempio in cui la scienza risolve problemi filosofici su cui la "ragione pura" fallisce.

Cos'è l'intelligenza? Da dove nasce? Molti filosofi del passato, come Cartesio, Locke, Leibniz, fallirono nel rispondere alla domanda perché non riuscivano a immaginare come l'intelligenza potesse nascere dall'interazione tra le parti di una macchina, le quali, prese singolarmente, non sono intelligenti. Essi postularono quindi che l'intelligenza sia insita nella sostanza che compone il cervello umano; cioè che l'intelligenza sia una proprietà fisica della materia. Questa è però una non-spiegazione sul piano logico (come fa quella sostanza magica a produrre intelligenza?), ed ha implicazioni incompatibili con l'evidenza scientifica (ad es. implica che un singolo neurone sia intelligente, mentre è noto che il neurone non capisce alcunché).

Il pensiero filosofico si è quindi arenato per secoli, fino a che il progresso scientifico, e in particolare la nascita dei computer, hanno finalmente demistificato l'intelligenza, rivelando che essa nasce dall'interazione di automi non intelligenti. Un filosofo che ha il merito di aver chiarito la cosa (già nota ai pionieri dell'informatica) è Daniel Dennett. Dennett risolve l'apparente paradosso notando che una macchina intelligente si può scomporre in automi (o moduli) sempre meno intelligenti, e così via ripetutamente, fino ad arrivare ad automi così stupidi da poter essere letteralmente sostituiti con una macchina. Nel caso del cervello umano, questi automi stupidi sono i neuroni. Nel caso del computer, sono le CPU o i transistor. Ma il materiale di cui è fatto l'automa non ha nulla di speciale: l'intelligenza non risiede nella sostanza (carbonio o silicio) di cui è fatta la macchina, ma nell'interazione tra le sue parti. Risiede nel modo in cui le parti si scambiano informazione. "Una mente", come disse qualcuno, "potrebbe essere fatta di formaggio svizzero".

Tutto ciò è compatibile con la nostra conoscenza dell'evoluzione, la quale ha costruito il nostro cervello e la nostra mente. L'architettura del nostro cervello (distribuita, parallela e ad alta ridondanza) rivela che esso non è stato progettato a tavolino da un creatore intelligente, ma è nato mediante un processo evolutivo di aggiunta incrementale e graduale di piccoli elementi. Ma l'evoluzione, per sua stessa natura, non può far altro che combinare a caso piccoli automi "stupidi" (i neuroni), e poi selezionare i cervelli risultanti in base al loro funzionamento. E' così che funziona l'evoluzione. E' chiaro che, se la mente non potesse nascere gradualmente con questo processo, avremmo un problema. Invece, ora i pezzi del puzzle cadono al loro posto: l'evoluzione assembla i cervelli in modo incrementale, combinando automi stupidi; la macchina risultante diviene sempre più intelligente, fino a saper effettuare ragionamenti e risolvere problemi complessi come quelli che risolviamo quotidianamente. Ma l'intelligenza non risiede nei singoli automi, bensì nel modo in cui essi sono disposti (connessi), che è dato dalla selezione naturale. La selezione naturale è il programmatore del nostro cervello. In tutto questo scenario, il materiale di cui è fatto il cervello non ha importanza. Il neurone è solo un accidente storico: l'evoluzione, per costruire la mente, ha usato materiale cellulare semplicemente perché quello era il materiale già disponibile, che era stato prodotto per altri motivi. Ma non sembra esserci motivo per cui una mente debba essere realizzata con materiale biologico. L'intelligenza e la vita sembrano del tutto separabili e non hanno a che fare l'una con l'altra.

Ma mi sto dilungando troppo e sto anticipando troppe cose. La parola a Steven Pinker ("Come funziona la mente").

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La spiegazione tradizionale dell'intelligenza vede il corpo umano pervaso da un'entità immateriale, l'anima, concepita in genere come una sorta di spettro o spirito. Ma va incontro a un problema insormontabile: com'è che il fantasma interagisce con la solida materia? Com'è che un etereo nulla reagisce a lampi di luce, urti, colpi di clacson e fa muovere braccia e gambe? Un altro problema è la schiacciante evidenza che la mente è l'attività del cervello. La presunta anima immateriale, come oggi sappiamo, può essere tagliata a metà con un coltello, alterata da sostanze chimiche, avviata o fermata per via elettrica e spenta per sempre da un colpo violento o da mancanza di ossigeno. Al microscopio il cervello mostra una complessità di struttura chimica che lascia a bocca aperta, e che corrisponde perfettamente alla ricchezza della mente.

Un'altra spiegazione è che la mente viene da una qualche straordinaria forma di materia. Pinocchio prende vita da un magico pezzo di legno trovato da Geppetto, un pezzo di legno capace di parlare, ridere e muoversi. Purtroppo, una meraviglia del genere nessuno l'ha mai scoperta. A prima vista si potrebbe pensare che la sostanza meravigliosa sia il tessuto cerebrale. Darwin scrive che il cervello «secerne» la mente, e recentemente il filosofo John Searle ha sostenuto che le proprietà fisico-chimiche del tessuto cerebrale producono in qualche modo la mente, così come il tessuto mammario produce latte e il tessuto vegetale zucchero. Ma non dimentichiamo che gli stessi tipi di membrane, pori e sostanze chimiche si trovano nel tessuto cerebrale di tutto il regno animale, per non parlare dei tumori cerebrali e delle colture sotto vetro. Questi grumi di tessuto neurale hanno tutti le stesse proprietà fisico-chimiche, ma non tutti giungono all'intelligenza umana. Certo, qualcosa del tessuto del cervello umano è necessario alla nostra intelligenza, ma le proprietà fisiche non bastano, come le proprietà fisiche dei mattoni non bastano a spiegare l'architettura e quelle delle particelle di ossido la musica. Cruciale è qualcosa nella strutturazione del tessuto neurale.

L'intelligenza è stata spesso attribuita a qualche sorta di flusso di energia o di campo di forza. Globi, vapori luminosi, aure, vibrazioni, campi magnetici e linee di forza hanno un posto di primo piano nello spiritismo, nella pseudoscienza e nel kitsch fantascientifico. La psicologia della Gestalt ha cercato di spiegare le illusioni visive in termini di campi di forza elettromagnetici sulla superficie del cervello, ma questi campi non sono mai stati trovati. A volte la superficie del cervello è stata descritta come un medium in continua vibrazione che supporta ologrammi o altri tipi di interferenze di onde, ma anche quest'idea non ha avuto buon esito. Il modello idraulico, con la pressione psichica che aumenta, esplode o si scarica lungo canali alternativi, è al centro della teoria freudiana e di decine di metafore d'uso quotidiano: la rabbia trabocca, la si scarica o la si soffoca, sotto pressione si esplode, i nervi saltano, i sentimenti li si sfoga. Ma nemmeno le emozioni più intense corrispondono letteralmente a un accumulo e a una scarica di energia (in senso fisico) da qualche parte del cervello. Nel capitolo VI cercherò di persuadervi che il cervello non opera tramite pressioni interne, ma le produce apposta in una tattica negoziale, come un terrorista con l'esplosivo legato alla cintura.

Un problema di tutte queste idee è che, se anche scoprissimo una qualche gelatina, o vortice, o vibrazione, o globo che parla e combina pasticci come il pezzo di legno di Geppetto, o che, più in generale, prende decisioni basate su regole razionali e persegue obiettivi al di là di ostacoli, ci troveremmo ancora di fronte al mistero di come compie simili imprese. [E saremmo ancora costretti a spiegarlo in termini di interazione tra le sue parti, NdM.]

No, l'intelligenza non viene da uno speciale tipo di spirito, o di materia, o di energia, ma da un articolo diverso: l'informazione. L'informazione è una correlazione fra due cose che nasce da un processo regolare (e non per puro caso). Noi diciamo che gli anelli di un tronco danno informazioni sull'età dell'albero perché il loro numero è correlato con quest'età (più l'albero è vecchio, più anelli ha), e tale correlazione non è una coincidenza, ma frutto del modo in cui l'albero cresce. Quello di correlazione è un concetto logico e matematico; a definire una correlazione non è la sostanza di cui sono fatte le entità correlate.

L'informazione in sé non ha niente di speciale; se ne trova ovunque ci siano cause che portano a effetti. Speciale è l'elaborazione dell'informazione. Possiamo guardare a un pezzo di materia che porta informazione su una qualche situazione come a un simbolo; esso può «stare per» quella situazione. Ma, in quanto pezzo di materia, può fare anche altre cose, cose fisiche, tutte quelle che quel tipo di materia in quel tipo di situazione può fare secondo le leggi della fisiica e della chimica. Gli anelli danno informazioni sull'età dell' albero, ma non cessano per questo di riflettere la luce e assorbire materie coloranti. Le orme danno informazioni sui movimenti degli animali, ma risucchiano anche l'acqua e creano mulinelli nel vento.

Ecco, qui c'è un'idea. Supponiamo di fabbricare una macchina con parti sensibili alle proprietà fisiche di qualche simbolo. Una leva o una cellula fotoelettrica o una trappola o un magnete viene messo in funzione dal pigmento assorbito dall'anello di un albero, o dall'acqua risucchiata da un'orma, o dalla luce riflessa da un segno fatto con il gesso, o dalla carica magnetica di un pezzettino di ossido. E supponiamo che la macchina, a quel punto, faccia succedere qualcosa in qualche altro pezzo di materia. Imprime nuovi segni su un pezzo di legno, modella tracce nel fango, carica qualche altra particella di ossido. Finora non è accaduto nulla di speciale; non ho descritto altro che una catena di eventi fisici prodotti da uno stupido marchingegno.

Lo speciale viene ora: immaginiamo di cercare di interpretare il pezzo di materia modificato usando lo schema secondo il quale quello originale portava informazione. Contiamo, per esempio, i nuovi anelli nel legno e interpretiamoli come l'età di un dato albero in un dato momento, anche se non sono stati prodotti dalla crescita di un albero. E ammettiamo che la macchina sia stata accuratamente progettata affinché l'interpretazione dei suoi nuovi segni abbia un senso, affinché cioè essi diano informazioni su qualcosa nel mondo.

Immaginiamo per esempio una macchina che passa allo scanner gli anelli di un pezzo di tronco, imprime un segno su una tavola vicina per ognuno di essi, passa a un pezzo di tronco più piccolo proveniente da un albero tagliato nello stesso momento, ne passa allo scanner gli anelli, e cancella un segno sulla tavola per ognuno di essi. A contare i segni sulla tavola abbiamo l'età del primo albero nel momento in cui è stato piantato il secondo. La nostra macchina sarebbe una sorta di macchina razionale, che da premesse vere giunge a conclusioni vere, non grazie a qualche speciale tipo di materia o di energia, o perché qualche sua parte sia in sé intelligente o razionale. Non ci troviamo di fronte ad altro che a una catena ingegnosamente prodotta di normali eventi fisici, il cui primo anello è una configurazione di materia che porta informazione. La nostra macchina razionale deve la sua razionalità a due proprietà indissolubilmente fuse nell'entità che chiamiamo simbolo: un simbolo fornisce informazione e allo stesso tempo fa accadere cose (gli anelli da un lato sono in correlazione con l'età dell'albero e dall'altro possono assorbire il raggio di luce di uno scanner). Quando le cose che vengono fatte accadere forniscono a loro volta informazione, chiamiamo l'intero sistema un elaboratore di informazioni, o computer.

Tutto questo progetto potrebbe apparire una speranza irrealizzabile. Che garanzia c'è che qualunque ammasso di cose possa essere configurato in modo tale da cadere, o oscillare, o brillare nella maniera giusta affinché, quando ne interpretiamo gli effetti, l'interpretazione abbia senso? (Più precisamente, affinché abbia senso rispetto a qualche legge o rapporto preesistente che giudichiamo degno d'interesse; a qualunque ammasso di cose si può dare, a posteriori, un'interpretazione artificiosa.) Come possiamo confidare che una macchina traccerà segni effettivamente corrispondenti a qualche situazione del mondo dotata di significato, come l'età di un albero al momento in cui ne è stato piantato un altro, o l'età media dei rampolli dell'albero, o qualunque altra, invece che segni privi di significato, che non corrispondono a niente? [La risposta, per quanto riguarda i nostri cervelli, è che i cervelli i cui simboli non corrispondono a niente tendono ad essere scartati dalla selezione naturale. Per quanto riguarda i computer programmati dall'uomo, la garanzia risiede nella bravura del programmatore. NdM. ]

La garanzia sta nell'opera del matematico Alan Turing, ...

[Salto a malincuore molte pagine. Veniamo a un punto importante.]

...


Poi sono venuti i computer: mucchi di metallo senza nessuna fata, senza magia, del tutto esorcizzati, che è impossibile spiegare facendo a meno del repertorio dei termini mentalistici tabù. «Perché il mio computer non stampa?» «Perché il programma non sa che hai sostituito la tua stampante ad aghi con una laser. Continua a pensare di stare parlando con quella ad aghi, e tenta di stampare il documento chiedendole di riconoscere il suo messaggio. Ma il messaggio la stampante non lo capisce; e lo ignora, perché si aspetta che l'input inizi con "%!". Il programma si rifiuta di cedere il controllo mentre sonda la stampante, quindi devi attirare l'attenzione del monitor affinché possa strapparglielo. Una volta che il programma avrà imparato che stampante gli è connessa, potranno comunicare.» Più il sistema è complesso e più chi lo usa è esperto, più la loro conversazione tecnica assomiglia alla trama di una telenovela.

Gli psicologi behavioristi obietterebbero che si tratta semplicemente di un uso a dir poco libero del linguaggio. Le macchine, in realtà, non capiscono né tentano niente, e quei due parlano senza far caso a quello che dicono, rischiando così di incappare in gravi errori concettuali. Che cosa c'è che non va, in questo discorso? I filosofi accusano gli scienziati del computer di pensare in modo confuso? Ma, in materia di precisione e completezza, un computer è quanto di più implacabilmente esigente, formalistico, pedante, caparbio vi sia nell'universo. A giudicare da quell'accusa, verrebbe da pensare che siano i confusi informatici a chiamare un filosofo quando il loro computer va in tilt, e non viceversa. Una spiegazione migliore è che la computazione ha finalmente demistificato i termini mentalistici. Le credenze e le convinzioni sono iscrizioni in memoria, i desideri sono iscrizioni negli obiettivi, il pensiero è computazione, le percezioni sono iscrizioni prodotte da sensori, tentare è eseguire operazioni messe in moto da un obiettivo.

(Ma, state per obiettarmi, noi esseri umani sentiamo qualcosa quando abbiamo una convinzione, o un desiderio, o una percezione, mentre una mera iscrizione non ha il potere di creare sensazioni del genere. Giusto. Cerchiamo però di tener distinto il problema di spiegare l'intelligenza da quello di spiegare le sensazioni consce. Per ora cerco di spiegare l'intelligenza, alla coscienza ci arriveremo dopo, in questo stesso capitolo.)

La teoria computazionale della mente riabilita inoltre una volta per sempre il famigerato omuncolo. Un'obiezione classica all'idea che i pensieri siano rappresentazioni interne (obiezione diffusa fra gli scienziati che cercano di dimostrare quanto sono realistici) è che una rappresentazione richiederebbe un omino nella testa che la guardasse, e l'omino richiederebbe un omino ancora più piccolo che guardasse le rappresentazioni dentro di lui, e così via, all'infinito. Ma ancora una volta siamo di fronte alla scenetta del teorico che insiste con l'ingegnere elettrico che, se l'ingegnere ha ragione, nel suo impianto devono esserci sciami di folletti. Parlare di omuncoli è indispensabile in informatica. Le strutture di dati vengono continuamente lette, interpretate, esaminate, riconosciute, rivedute, e i sottoprogrammi che lo fanno sono impudicamente chiamati «agenti», «demoni», «supervisori», «monitor», «interpreti» e «esecutivi». Perché tutto questo parlare di omuncoli non porta a una regressione all'infinito? La risposta è che una rappresentazione interna non è una fotografia completa del mondo, e l'omuncolo che «la guarda» non è una copia in miniatura dell'intero sistema, che ne richiede l'intera intelligenza. Questo sì, non spiegherebbe niente. Una rappresentazione è piuttosto una serie di simboli corrispondenti ad aspetti del mondo, e a ogni omuncolo è richiesto soltanto di reagire in pochi modi circoscritti ad alcuni dei simboli, impresa ben più semplice di quella che compie il sistema nel suo insieme. L'intelligenza del sistema emerge dalle attività dei non tanto intelligenti demoni meccanici dentro di esso. Il punto, messo per la prima volta in chiaro da Jerry Fodor nel 1968, è stato succintamente espresso da Daniel Dennett:
Gli "homunculi" sono una non-spiegazione solo se possiedono per intero i talenti che sono chiamati a spiegare ... Ma se si riesce a fare in modo che una squadra o un comitato di homunculi relativamente ignoranti, limitati, ciechi, produca il comportamento intelligente dell'intero sistema, si è fatto un progresso. Ad esempio, un "grafo di flusso" viene usato comunemente per rappresentare la suddivisione del lavoro di un comitato di homunculi (investigatori, bibliotecari, ragionieri, dirigenti); ogni blocco indica un homunculus assegnando una funzione, senza dire come debba essere realizzata (si dice soltanto: colloca qui un ometto che esegua questo compito). Se poi diamo un'occhiata più attenta ai singoli blocchi, vediamo che la funzione di ognuno viene realizzata suddividendola, tramite un altro grafo di flusso, tra altri homunculi ancora più piccoli, ancora più stupidi. Alla fine, seguitando a inserire blocchi nei blocchi, raggiungeremo homunculi così stupidi (non dovranno far altro che rispondere sì o no, se interrogati) da poter essere, come si usa dire, «sostituiti da una macchina». Dallo schema si eliminano gli homunculi raffinati organizzando eserciti di tali idioti che fanno il lavoro.


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[Ripensiamo ora alla frase "Diecimila scimmie, messe insieme, non riusciranno mai a scrivere un dramma di Shakespeare". Chi metterebbe mai in discussione questa ovvietà? Poi arriva la scienza, e rivela che il cervello di Shakespeare è una squadra di "scimmie" -- miliardi di scimmie, ben organizzate. Riflettiamo su quanto sia vano usare il ragionamento non guidato dall'evidenza, e sperare che le conclusioni così ottenute siano vere. NdM]
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