mercoledì 3 aprile 2013

Perché Bitcoin può diventare moneta (e soddisfa il teorema di regressione di Mises)

(Questo post presuppone che sappiate cos'è Bitcoin.)

Leggo spesso che Bitcoin viola il teorema di regressione di Mises (vedi oltre), e quindi non potrebbe mai diventare moneta1. Questo, a mio avviso, è falso, ed in questo post cercherò di mostrare il perché.


Cosa afferma il teorema di Mises


Il teorema di Mises si può enunciare brevemente così:

1) prendiamo un bene B che abbia valore di scambio2. Allora, deve necessariamente essere esistito un tempo in cui B non aveva valore di scambio ma solo valore di uso diretto3
(Cosa significa? Facciamo un esempio rapido. Consideriamo l'oro. L'oro oggi per noi ha valore principalmente di scambio. Cioè, ha valore principalmente in quanto sappiamo che gli altri lo accetteranno in cambio di euro. E l'oro ha anche un valore di uso diretto (ad esempio, serve a fare denti d'oro; o ornamenti, o circuiti di precisione). Ebbene, il teorema di Mises afferma che è sicuramente esistito un tempo in cui l'oro aveva soltanto un valore di uso diretto, e non un valore di scambio.)

2) Consideriamo ora un bene B che sia anche moneta1. Essendo moneta, B ha certamente valore di scambio. Allora, per quanto detto sopra, deve essere esistito un tempo in cui B aveva soltanto valore di uso diretto.

La dimostrazione del teorema di Mises non rientra negli scopi di questo post; prendiamolo per buono. :)


Ora, ecco cosa sostengono molti oppositori di Bitcoin:

Cosa dicono gli oppositori di Bitcoin

3) una bitcoin non ha alcun valore di uso diretto;

4) quindi, per il teorema di Mises, è impossibile che bitcoin in futuro acquisisca valore di scambio;

5) quindi è impossibile che bitcoin diventi moneta1.



Questo ragionamento è sbagliato in quanto è falsa la premessa (3).


Dimostriamo quindi che la (3) è falsa. Facciamo cioè vedere che deve essere esistito qualcuno per cui bitcoin aveva un valore di uso diretto.



Dimostrazione.


Prendiamo la prima persona che ha accettato bitcoin in pagamento per i suoi beni o servizi. Questa persona è esistita sicuramente.

Il fatto che costui ha accettato bitcoin in cambio dei suoi servizi equivale a dire che quelle bitcoin avevano valore per lui. (Questo è vero per definizione di "valore".)

Ora chiediamoci: per costui, quelle bitcoin avevano valore di scambio o valore di uso diretto? Potevano mai avere per lui valore di scambio? Cioè, è possibile che costui abbia accettato quei bitcoin in quanto sapeva di poterli scambiare di nuovo in futuro con beni e servizi a un dato prezzo?

Risposta: no, perché non c'era un mercato per i bitcoin in quel momento.  (in quanto, per ipotesi, lui è stato il primo ad accettare bitcoin in pagamento). Senza un mercato, non era definito un valore di mercato del bitcoin in termini di altri beni. E quindi non era possibile per lui scambiare quei bitcoin con altri beni a prezzi noti. Il che equivale a dire che quei bitcoin non avevano per lui un valore di scambio.

Ne segue che quei bitcoin avevano per lui valore di uso diretto. Cioè, il loro possesso soddisfaceva direttamente qualche suo obiettivo (diverso dal poterli scambiare di nuovo).


Quindi la (3) è falsa. E' esistito qualcuno per cui quei bitcoin avevano valore di uso diretto. Fine della dimostrazione.

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In conclusione, bitcoin non viola i prerequisiti del teorema di Mises.

Il che non vuole dire che Bitcoin diventerà sicuramente un moneta. Ma, se non lo diventerà, non sarà per via del teorema di Mises.

Note


1Si dice "moneta" un bene B tale che gli altri beni e servizi sono generalmente prezzati in termini di B.

2"Un bene B ha valore di scambio per X" significa che "esiste un mercato per scambiare B con altri beni, a prezzi determinati e noti; e che B ha valore per X in quanto X sa di poter scambiare B con altri beni a quel prezzo".

3"Un bene B ha valore di uso diretto per X" significa che "B ha valore per X in quanto B soddisfa direttamente qualche obiettivo di X (diverso dall'usare B per scambiarlo in un dato mercato a un prezzo noto)".

sabato 23 febbraio 2013

Non esistono il "voto utile" e il "voto sprecato"

In occasione delle elezioni vorrei fare una rapida riflessione: 

Un voto in più o in meno non cambierà mai il risultato. E' una semplice questione di probabilità. Vota così tanta gente che il tuo voto non farà mai la differenza. Chi vi dice il contrario è un imbroglione o un ignorante.

(Io personalmente rientravo tra gli ignoranti, prima che gli economisti Gordon Tullock e David Friedman mi facessero notare questo elementare fatto probabilistico: il tuo voto è utile solo se, senza di te, i voti sono esattamente pari, e quindi il tuo voto fa da "ago della bilancia". Ma la probabilità che ciò accada è tanto piccola da essere insignificante. Nella vita di tutti i giorni trattiamo normalmente probabilità così piccole come zero --- altrimenti non dovremmo uscire di casa per paura di essere investiti da un'auto).  

Quali sono le conseguenze di tutto questo? 

  1. Non ha senso parlare di "voto utile" e "voto sprecato": ogni voto è sprecato.
  2. Non ha senso dire "non disperdere il voto". Dato che il tuo voto non farà comunque la differenza, tanto vale votare per quello che ti piace di più, anche se non ha speranze di vincere.
  3. L'unico motivo per votare è se ti piace votare; cioè se ti dà soddisfazione; se ti rispecchi così tanto nel programma di qualcuno che votarlo ti fa sentire bene.


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Obiezione classica: "ma se tutti facessero questo ragionamento, nessuno voterebbe, e la democrazia collasserebbe".  Ci sono almeno quattro risposte rapide a questa obiezione:

1) (Risposta di Michael Huemer) Io ho deciso di diventare filosofo. Ora, è certamente vero che, se tutti decidessero di diventare filosofi, sarebbe il collasso per la società. Ma da questo non segue certo che io, decidendo di diventare filosofo, abbia fatto qualcosa di immorale.

2) E' impossibile che tutti facciano il ragionamento di cui sopra, decidendo di non votare. Vediamo perché. Chiediamoci: perché è assurdo ipotizzare che tutti diventino filosofi? Risposta: perché c'è il meccanismo dei prezzi. Cioè: man mano che tanta gente sceglie la professione di filosofo, diventa così attraente per gli altri fare qualche altra professione (perché il compenso delle altre professioni sale) che è impensabile che tutti decidano di diventare filosofi. Quindi è assurdo pensare che la società possa collassare per questo motivo. Ora, la stessa cosa vale per la democrazia: man mano che la gente decide di non votare, votare diventa sempre più vantaggioso, perché la probabilità di influenzare il risultato diventa sempre più alta. Quindi è impensabile che nessuno voti. Quindi la democrazia non può collassare per questo motivo. Come dice Gordon Tullock: "se nessuno votasse, voterei io." 

3) (Risposta di David Friedman) "E' vero. Ebbene? Non tutte le cose vere hanno conseguenze desiderabili." Insomma, anche ammettendo (per venire incontro all'interlocutore) che la democrazia sia una cosa buona, l'argomento non senso. Sembra partire dal  presupposto che, se una cosa ha conseguenze negative, debba essere per forza falsa. Ma questo non è vero. Esistono certamente cose vere che hanno conseguenze negative.

4) La probabilità che il mio voto faccia la differenza per la sopravvivenza della democrazia è praticamente zero. Quindi vale lo stesso ragionamento di prima. Il punto è: io non ho controllo su cosa fanno gli altri. Io ho controllo solo su quello che faccio io. E il mio voto conta solo per UNO. E un voto in più o in meno non può fare la differenza per determinare chi vince, per determinare la sopravvivenza della democrazia.

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Vediamo un'altra obiezione classica: "tante persone sono morte per darti il diritto di voto". Risposta: se è per questo, sono morte tante persone anche nel tentativo di salvare Hitler. Da questo segue forse che dobbiamo essere nazisti? Insomma, l'argomento è evidentemente privo di senso.

In altre parole: nell'obiezione di cui sopra, l'interlocutore sta dando per scontato che il voto sia una cosa buona. Infatti, come abbiamo visto, se il voto non fosse una cosa buona, il suo argomento non avrebbe alcun senso (perché il fatto che qualcuno è morto sarebbe irrilevante). Ma allora, egli sta presupponendo la sua tesi. (Cioè che il voto fosse una cosa buona.) Quindi il suo ragionamento è circolare, e quindi errato.


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Per chiudere, consiglio a tutti il libro "The problem of political authority" di Micheal Huemer. Forse è perfino migliore de "l'ingranaggio della libertà" e "Per una nuova libertà". Sicuramente è più completo. Spero di avere tempo di tradurre dei pezzi e commentarli.

mercoledì 4 luglio 2012

L’effetto economico delle misure anti-evasione. Le tasse alterano il comportamento di chi ha un ampio margine di profitto?

Molte persone auspicano controlli fiscali più severi che costringano gli evasori fiscali ad emettere sempre lo scontrino o la fattura. Non credo si rendano conto che, se quelle misure fossero attuate, i consumatori stessi ne farebbero le spese, in quanto i prezzi di quei beni e servizi aumenterebbero. Vediamo perché è così.

Mettiamoci nei panni di un evasore che da oggi si vede costretto a emettere lo scontrino o la fattura. Ad esempio, un idraulico, o un pizzaiolo. Dal suo punto di vista, che cosa è cambiato? Dal suo punto di vista, è aumentato il costo di produrre una pizza. E tutto il resto non è cambiato: non c’è alcun nuovo beneficio che compensi questo maggiore costo. Quindi, produrre ciascuna pizza è diventato per lui meno attraente di prima. Ora, c’è una legge fondamentale dell’azione umana (che più avanti dimostreremo) che dice che, quando un’attività diventa meno attraente, tu la farai di meno. Questo significa che il pizzaiolo produrrà meno pizze. D’altra parte, la domanda di pizze resta invariata (perché mangiare una pizza non è certo meno attraente di prima). Ma questo implica che il prezzo delle pizze salirà necessariamente (dato che la stessa quantità di moneta viene offerta per comprare una quantità di pizze che è diminuita).

Vediamo ora un’obiezione istruttiva che mi è stata mossa a questo ragionamento. L’obiezione è questa:

Questo aumento dei prezzi ci può essere solo se la tassazione va a colpire attività concorrenziali, come gli idraulici o le pizzerie; ma non se va a colpire attività con un enorme margine di profitto, magari monopolistiche, o quasi monopolistiche, o cartelli.

Questa obiezione mi è sembrata subito insensata: dopo tutto, nel mio ragionamento non c’è alcun passaggio che cessa di essere valido in presenza di un grande margine di profitto. (Che il tuo margine sia grande o piccolo, che tu sia monopolista o meno, in ogni caso una tassa sulle vendite rende la produzione per te meno attraente, quindi produrrai di meno.) Ma allora, quale ragionamento può aver fatto l’autore del commento per arrivare a una conclusione simile? Credo che abbia ragionato così:

Prendiamo un monopolista con un enorme margine di profitto. Se gli aumenti le tasse, l'unica conseguenza sarà di diminuire il suo margine di profitto; ma lui continuerà a fare la stessa attività di prima, perché quella attività è ancora la sua migliore alternativa. L’attività ha un margine ancora molto alto, e non c’è alcuna altra attività che gli renderebbe anche lontanamente così tanto. 
Oltre a continuare la stessa attività, egli la farà con la stessa intensità di prima, cioè non diminuirà la produzione. Continuerà a lavorare 7 giorni su 7. Infatti, lui vuole in ogni caso guadagnare il più possibile. Anche se ora, a causa della tassa, guadagna di meno, in ogni caso resta il fatto che più produce e più guadagna; quindi non avrebbe senso per lui produrre di meno, perché guadagnerebbe ancora meno. Sarebbe come un secondo danno che si aggiunge al primo. L’unica cosa che può fare, quindi, è produrre più che può, come faceva prima, anche se così facendo guadagna meno di prima. Questa è ancora la sua migliore alternativa. 


Leggendo quanto sopra, si vede che l’interlocutore non riesce a immaginare perché quell’imprenditore dovrebbe voler diminuire la produzione a causa di un aumento delle tasse, finché il suo margine di profitto resta molto grande. Evidentemente la mia risposta (“produrrà di meno perché produrre diventa meno attraente”) gli sembra insensata: è vero che la produzione è meno attraente, ma non è forse ancora la sua migliore alternativa, dato che vuole guadagnare "il più possibile"?

Non è così. Ciò che sfugge all’interlocutore è questo: l’imprenditore deve necessariamente diminuire la produzione perché, a causa della nuova tassa, alcune unità prodotte vengono a costargli più di quel che rendono. E quindi gli causano una perdita, non un profitto.

In altre parole: per un produttore, le unità prodotte non hanno tutte lo stesso costo di produzione, e non producono tutte lo stesso beneficio. Alcune unità hanno un beneficio che compensa a malapena il costo di produzione. Ed un aumento delle tasse, facendo aumentare il costo di produrre ciascuna unità, fa sì che queste unità “marginali” gli procurino improvvisamente più costi che benefici. Quindi non vengono più prodotte.


E' importante notare che questo è vero indipendentemente dal fatto se sei un monopolista o meno, o se il tuo margine di profitto è grande o piccolo. Anche per il monopolista, alcune unità prodotte hanno un beneficio che compensa a malapena il costo. Una tassa le fa diventare improvvisamente non redditizie.

Quindi, dov'è esattamente l'errore nel ragionamento dell'interlocutore? L'errore è che è falsa l'affermazione "più produce, più guadagna". Quello che interessa a un produttore non è massimizzare le entrate, ma massimizzare il profitto, cioè la differenza tra benefici e costi. Produrrà quindi la quantità di prodotto che massimizza questa differenza. Se i costi di produzione sono saliti, la quantità che massimizza questa differenza diminuisce (perché, come detto, alcune unità prodotte iniziano ad avere più costi che benefici).

Nel prossimo post vedremo la dimostrazione di tutto questo. Cioè, dimostreremo la seguente legge fondamentale dell’azione umana:

Se produrre X diventa per te meno attraente di prima, e tutto il resto non cambia, tu produrrai meno X di prima, perché alcune unità di X inizieranno ad avere per te più costi che benefici. 

Cosa interessante, questa è una legge logica, non una legge empirica, quindi si può addirittura dimostrare vera.

sabato 12 novembre 2011

Come puoi dire che il povero è libero?

Un'opinione diffusa nella stragrande maggioranza delle persone è seguente:

Come si può parlare di "libera accettazione" di un salario da parte di un lavoratore che, come spesso avviene nel Terzo Mondo (ma non solo nel Terzo Mondo), ha come unica alternativa a quella "libera accettazione" la morte per fame?

In altre parole, secondo la maggior parte della gente, chi accetta delle condizioni avendo come unica alternativa la morte per fame (come ad esempio il lavoratore dello sweatshop) non è "libero".

Ci sono vari modi di ridurre all'assurdo questa posizione, ma oggi voglio concentrarmi su uno in particolare. La reductio ad absurdum consiste nel notare che in passato (diciamo 2000 anni fa) erano tutti poveri (o quasi tutti); e quasi tutti avevano come unica alternativa al lavoro la morte per fame. Secondo la logica dell'interlocutore, ne segue che in passato nessuno era libero. Ma questo è falso. Infatti, anche quel tempo, c'erano i liberi e c'erano gli schiavi. (Affermazione accettata dall'interlocutore stesso.) Quindi non è vero che nessuno era libero. E quindi è falsa la tesi originale, cioè che il non avere altra alternativa che la morte per fame implichi il non essere liberi.

Questo conclude la reductio ad absurdum. Ma ora riflettiamo sulle implicazioni di tutto ciò. Chiediamoci: se tutti morivano di fame, che cosa rendeva alcune persone libere ed altre schiave? Risposta: l'assenza o la presenza di una minaccia di atti invasivi. In particolare:

1) I liberi erano tali anche se dovevano lavorare per non morire di fame. (E' ovvio che se non lavori muori di fame, ma questo non ti rende meno libero.)

2) E gli schiavi erano tali non perché erano poveri, e non perché sarebbero morti di fame se non avessero lavorato; al contrario, erano schiavi perché il padrone li costringeva a lavorare per lui. Cioè erano sotto minaccia di atti invasivi.

Questo è uno dei tanti modi di mostrare che l'unica definizione rilevante di "libertà" è "assenza di atti invasivi". Altrimenti si giunge a paradossi come questo (ed altri che non sono l'oggetto di questo post .)

lunedì 19 settembre 2011

"La schiavitù è libertà"

Assisto allibito alla nuova pubblicità del governo, secondo cui l'evasore fiscale sarebbe un parassita, perché "vive alle spese degli altri"... anziché qualcuno che cerca di difendersi da coloro che vogliono vivere alle sue spese. Complimenti allo Stato per questo capovolgimento della ragione. A quando gli slogan "la schiavitù è libertà", "la guerra è pace"? Nel frattempo vendiamo tutto e prepariamoci alla fuga.

giovedì 7 aprile 2011

Quiz - il politico e l'economista

Aggiornamento più sotto.

Il blog Quiz & rompicapo , che vi consiglio, mi ha chiesto un nuovo quiz logico da pubblicare. Eccolo qua:

Un politico ed un economista si trovano ad una cena VIP. Nella conversazione serale, il politico suscita l'approvazione degli ospiti sostenendo che è necessario imporre un dazio alle merci provenienti dalla Cina, perché la Cina ci sta "togliendo posti di lavoro". I cinesi, argomenta il politico, lavorano 12 ore al giorno; inoltre hanno una moneta svalutata artificialmente che fa sì che i loro prodotti per noi costino pochissimo, una volta convertito il loro prezzo da yuan ad euro. Per tutti questi motivi, il politico conclude che "non possiamo competere con loro: riescono a produrre tutto a costo minore". A questo punto, l'economista interviene e risponde: "Mi scusi, ma quello che ha appena detto è impossibile". L'economista ha ragione. La domanda è: perché è impossibile?


Suggerimento: si tratta di una impossibilità logica, non di un'affermazione empirica che abbia senso cercare di falsificare sperimentalmente.


Secondo suggerimento (dopo i puntini):
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la traccia della soluzione è questa: supponiamo che esista qualcosa che i cinesi riescono a produrre a costo minore di noi; bisogna far vedere che esiste necessariamente qualcos'altro che noi riusciamo a produrre a costo minore di loro. (E quindi è impossibile che la Cina ci "tolga il lavoro".)



Terzo suggerimento:
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bisogna avere chiaro il concetto di "costo". Il "costo" per te di avere qualcosa è ciò a cui tu rinunci per avere quella cosa. Ad esempio, se il giornale costa 6 euro, il "costo" per me di quel giornale è 6 euro, perché per averlo devo rinunciare a 6 euro. Inoltre, se con quei 6 euro avrei comprato una pizza, possiamo dire che il costo per me di quel giornale è una pizza.


Aggiornamento (aggiunto il 5 maggio 2011)

Quarto suggerimento:
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Supponiamo che tu sappia produrre patate e carote. Se produci patate, rinunci a produrre carote. Quindi, il costo per te di produrre patate sono le carote che non produci.





Quinto suggerimento:
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Supponiamo per semplicità che esistano solo due beni (patate e birra). E supponiamo che tu sia più bravo di me in tutto. Cioè, in un ora tu sai produrre più patate di me, e sai anche produrre più birra di me. Dobbiamo far vedere che, se tu produci patate a costo minore di me, allora necessariamente io produco birra a costo minore di te. Questa è la traccia della dimostrazione.

La soluzione è nei commenti. Inoltre penso che farò un post a parte per un'analisi della soluzione e delle sue implicazioni sociali.

mercoledì 9 febbraio 2011

"Vai a zappare, altrimenti ti sparo" (La sanità pubblica)

"Come potete credere che la tassazione sia intrinsecamente immorale? E' forse immorale che lo Stato costringa un ricco a pagare qualche euro per sfamare un bambino che sta morendo di fame, o per curare un malato che non ha i soldi per le cure e altrimenti morirebbe?"
--Mario Rossi, cittadino tipico


Questa frase riflette il pensiero della stragrande maggioranza delle persone in tutto il mondo, e probabilmente è la ragione per cui esiste il cosiddetto Stato Sociale.

E come si potrebbe pensare di dissentire? Chi potrebbe essere così spietato o così egoista da esprimere un'opinione contraria?

Eppure, basta rendere esplicito quello che Mario Rossi sta dicendo, e immediatamente la sua posizione assume un aspetto diverso.

Prima di tutto notiamo che, se Mario Rossi, invece di parlare, desse da mangiare all'affamato, non ci sarebbe bisogno di tassare qualcun altro per farlo. Quindi, la posizione di Mario Rossi si può riscrivere così: "Io non voglio sfamare il bambino che muore di fame, ma qualcun altro deve essere costretto con la forza a farlo".

Adesso la posizione di Mario Rossi non sembra più così evidentemente giusta, ma inizia ad apparire  quantomeno discutibile.

Ma continuiamo ad esplicitare quello che Mario Rossi sta dicendo: concentriamoci adesso sulla frase "qualcuno deve essere costretto con la forza a sfamarlo". Costringere qualcuno a sfamare il bambino significa: prendere una pistola; puntarla alla testa di un estraneo; e dirgli: "Adesso prendi questa pala e vai nei campi a coltivare la terra, altrimenti ti sparo".

Come vedete, una volta che si esprime la frase di Mario Rossi in forma più esplicita, diventano evidenti l'immoralità e l'orrore contenuti in essa.

Mario Rossi sta sostenendo l'aggressione di un innocente. Ma non solo: sta sostenendo la schiavitù. Infatti, ciò che Mario Rossi fa (prendere la pistola e costringere un estraneo a coltivare la terra sotto minaccia di morte) è la forma più pura di schiavitù. E' schiavitù in senso letterale, non per modo di dire. (Tra l'altro, dato che Mario Rossi nega di sostenere la schiavitù, è ridotto in contraddizione.)

Ma forse, se l'estraneo è ricco, cambia qualcosa? Non si vede perché: costringere qualcuno a coltivare la terra sotto minaccia di violenza non diviene lecito se costui è ricco; i ricchi non hanno meno diritti degli altri.

Notate che non sto facendo ricorso a trucchi retorici per mettere in cattiva luce la posizione di Mario Rossi: sto solo esplicitando ciò che Mario Rossi intende dire, quando dice che "qualcuno deve essere costretto a sfamare gli affamati". Al contrario, era Mario Rossi che, mediante artifici retorici come l'uso del passivo e dell'impersonale, riusciva a nascondere la natura invasiva e violenta delle sue idee. Solo una volta che qualcuno ha esplicitato il vero significato delle sue parole, questa natura è venuta alla luce.

Questa è una tecnica che bisogna padroneggiare, se si vuole combattere il male. Potremmo chiamarla la "tecnica dell'altrimenti-ti-sparo" oppure la "tecnica dell'esplicitazione del non detto", o ancora la "tecnica della riduzione alla schiavitù". La la tecnica consiste (ironicamente) semplicemente nel rendere esplicito quello che l'interlocutore sta davvero dicendo.
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Chiariamo un possibile fraintendimento: qui nessuno sta affermando che il bambino affamato debba morire. Nessuno ti impedisce di sfamare l'affamato. Tutti sono liberi di farlo. E dato che la maggior parte della gente ha a cuore l'affamato, è statisticamente certo che qualcuno gli darà da mangiare, quindi la coercizione non è necessaria. E se non hai la capacità economica per raggiungere l'affamato che vuoi sfamare (ad esempio perché costui si trova all'altro capo del mondo), anche in questo caso nessuno ti impedisce di finanziare un'associazione caritatevole finalizzata a sfamare gli affamati. E se questo ancora non ti basta, nessuno ti impedisce di entrare liberamente in una comunità in cui tu sei costretto a sfamare gli affamati, e anche tutti gli altri sono costretti a farlo. (In altre parole, nessuno ti impedisce di entrare in una comunità dove tutti sono schiavi di tutti gli altri. Basta che tu non pretenda di costringere un non consenziente ad entrarci.) L'unica cosa che non hai il diritto di fare è costringere un estraneo a fare ciò che tu non vuoi o non sai fare. Questo sarebbe schiavitù.

La sanità pubblica

Facciamo un altro esempio ed applichiamo la tecnica ad un argomento che si verifica ancora più di frequente: la sanità pubblica. I socialisti (di destra e di sinistra) dicono spesso cose come "non deve mai succedere che qualcuno muoia perché non ha i soldi per le cure o perché non ha l'assicurazione". Questo sembra la cosa più ragionevole del mondo; chi sarebbe così spietato ed egoista da pensarla diversamente?

Ma applichiamo la "tecnica dell'esplicitazione del non detto" a questa affermazione. Quello che il socialista sta dicendo è equivalente a dire che, se Tizio non ha i soldi per pagarsi le cure, e nessuno lo vuole curare gratis, allora qualcuno deve essere costretto con la forza a curarlo. Ma che significa esattamente questo? "Costringere qualcuno a curare Tizio" significa: prendere la pistola; puntarla alla testa di un medico; e dirgli "Adesso tu curerai Tizio, altrimenti ti sparo".

Questo è come dire che i medici devono essere schiavizzati.

Ovviamente non è così semplice: il socialista, quando gli fai notare questo, risponderà che c'è stato un malinteso: "Io non sostengo niente del genere; non voglio certo schiavizzare nessuno, per carità. I medici devono curare i malati solo se lo vogliono, o perché sono generosi o perché attratti dal denaro che viene offerto loro in cambio. Soltanto, dico che, se uno non ha i soldi per pagare il medico, deve essere lo Stato a farlo."

Ma, così facendo, il socialista non ha eliminato la schiavitù: ha solo trasferito la schiavitù dal medico a qualcun altro. Infatti, lo Stato ottiene le proprie entrate con la forza, non con lo scambio volontario. Quindi, se non è il medico ad essere schiavizzato, ci deve essere necessariamente qualcun altro a cui è stata puntata la pistola alla tempia, ed a cui è stato detto: "Adesso tu prendi questa pala, vai nei campi, zappa la terra, pianta i semi, innaffia, mieti, e continua a far questo fino a che non avrai cibo sufficiente a convincere qualche medico a scambiare i suoi servizi con questo cibo. Se non lo fai, ti sparo in testa."

Questo è quello che il socialista sta proponendo. Letteralmente. E questo, ovviamente, è moralmente equivalente a costringere il medico a curare il malato. Soltanto, il meccanismo di sfruttamento è più indiretto: invece che costringere direttamente il medico a fare qualcosa, costringi X a produrre Y e a scambiarlo con il servizio del medico. Ma l'immoralità non è diminuita: prima la vittima di tutto questo era il medico, adesso è un altro lavoratore. La vittima è stata resa meno evidente, perché lo sfruttamento è più indiretto e meno visibile; ma una vittima c'è sempre.

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P.S.: nei commenti rispondo ad alcune obiezioni comuni.