giovedì 29 novembre 2007

Quiz. Cosa Dio non può vedere e noi sì?

Vi propongo un quiz "teologico" di pensiero laterale.

Un teologo, dopo aver tenuto un lungo corso di lezioni al suo giovane apprendista, era davvero insoddisfatto. Per provare l'ignoranza dell'allievo, gli chiese di fargli una domanda alla quale nemmeno il saggio stesso avrebbe saputo rispondere. Il giovane, tanto astuto quanto desideroso di dimostrare le sue conoscenze teologiche, chiese: "qual è quella cosa che io posso vedere, che tu puoi vedere, ma che Dio non può vedere?". Il maestro rimase senza parole, credendo di essere preso in giro. Sorrise con sufficienza e chiese all'allievo la risposta, per umiliarlo con la sua saggezza. Ma quando l'allievo diede la sua risposta il maestro impallidì e convenne che lo studente aveva ragione e meritava il suo rispetto. Qual era la risposta?

Suggerimento: la risposta funziona con il cristianesimo, ma non solo.


(tratto da "enigmi di pensiero laterale", di Paul Sloane)

Voglio proprio vedere se qualcuno lo risolve. Io non ce l'ho fatta. E' difficile, ma onesto. :)

martedì 27 novembre 2007

Harris: l'ateismo non è una visione del mondo


E' frequente che un ateo venga accusato di "fondamentalismo" o "dogmatismo", specie da persone che chiamano se stesse "liberali". Il "fondamentalismo" sarebbe nel credere che la propria visione del mondo sia l'unica corretta, e il "dogmatismo" sarebbe nel credere che la ragione basata sull'evidenza sia l'unica strada per giungere alla verità.

Traduco a tal proposito parte del dibattito tra Sam Harris e Oliver McTernan. Clicca qui per l'audio del dibattito, in inglese, e qui per un post correlato, sempre di Sam Harris.

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Come prima domanda, McTernan assimila la posizione di Harris a quella dei fondamentalisti religiosi, accusandolo garbatamente di "fondamentalismo laico". Harris risponde:

Questa idea che possa esistere un fondamentalismo laico, o che la ragione possa essere dogmatica... questa è, io credo, una mistificazione, un artificio linguistico, da cui non dobbiamo farci ingannare. Non so dirvi quante volte ho sentito dire che l'ateismo è una fede, o che la scienza è una religione. Questi sono solo stratagemmi furbi per rovesciare la questione contro la persona che sta domandando l'evidenza, le prove, che sta chiedendo buone ragioni per credere una certa cosa.

Voglio farvi notare che questa argomentazione non soddisferebbe nessuno, se l'argomento fosse l'esistenza di zeus, per esempio. Non sei fondamentalista se rifiuti Zeus in modo deciso. Tutto quello che viene detto su Zeus è chiaramente il prodotto dell'immaginazione umana -- e attenzione, ricevo per davvero missive di insulti da persone che credono in Zeus e in Poseidone. [il pubblico ride]

Insomma, con poche eccezioni, tutti noi abbiamo compreso che la metamorfosi di Ovidio, e l'Iliade, non sono veri. Le consideriamo letteratura, e vengono insegnate come letteratura. Nei miei due libri, ma specialmente ne La Fine Della Fede, chiedo al lettore di immaginare quanto sarebbe strano il mondo se la nostra politica pubblica fosse influenzata da persone che pensano che la metamorfosi di Ovidio sia stata dettata dal creatore dell'universo, e che noi, prima di decidere cosa la ricerca medica debba fare, dobbiamo chiederci se è compatibile con qualcosa che è stato scritto da Ovidio. Immaginate di vivere in un mondo in cui la comunità umana si fosse divisa in fazioni separate, basate su interpretazioni rivali dell'iliade e dell'odissea, o dei drammi di Shakespeare. Immaginate che le fazioni abbiano giurato fedeltà morale a certi prodotti di letteratura antichissima, generazione dopo generazione, tracciando uno spartiacque netto tra le comunità umane. Credo che questo sarebbe un mondo così strano che sarebbe davvero impossibile da immaginare, e che non permetteremmo mai che succeda una cosa simile... tranne il fatto che viviamo esattamente in un mondo di questo genere, grazie alla religione, che vede la Bibbia e il Corano esattamente nello stesso modo in cui noialtri vediamo Iliade e Odissea.

A questo punto McTernan obietta:

Sam, quando osservi il mondo oggi noti che ci sono visioni del mondo concorrenti. A volte si sovrappongono, a volte tangenziali. Quando uso la parola "fondamentalismo laico", direi che è simile al fondamentalismo religioso, che dice che c'è una sola visione del mondo, che esclude qualunque possibilità che un'altra visione sia corretta. E quindi temo che, se cominci da qui, non lasci spazio per uno scambio onesto. Perché hai escluso l'integrità intellettuale, spirituale, la credenza, di qualcun altro.

Ribatte Harris:

Ma quella che io sto esponendo non è una visione del mondo. Sto semplicemente esprimendo riluttanza ad accettare che le persone fingano di essere sicure di cose di cui chiaramente non possono essere sicure. Non sto sostenendo una ideologia, un sistema di credenze, che deve essere accettato. Sto dicendo soltanto che dovremmo usare lo stesso criterio che usiamo in tutte le altre aree della nostra vita anche per giudicare la ragionevolezza di affermazioni come quelle su Dio, l'aldilà, e la natura divina di certi libri. Ad esempio, se uno viene qui e dice di essere sicuro che Elvis sia ancora vivo, ed ha un santino di Elvis in camera da letto, ed investe un'enorme quantità di energia nel culto di Elvis, sappiamo tutti che la sua convinzione è fondamentalmente incompatibile con lo stato dell'evidenza. Quindi quella che io sto descrivendo non è una visione del mondo. Dico solo che, se ci sono convinzioni forti ed evidenza debole, qualcosa non va. [il pubblico ride]. Però, se l'argomento si sposta su Dio, dev'essere per forza il dio biblico, o il dio del corano; non può essere il cancello spaziale del paradiso col messia che torna dentro un'astronave.

[...]

Io sono molto interessato alle esperienze spirituali. Se un cristiano entra in una caverna e prega Gesù per 18 ore al giorno, e torna dopo un anno dicendo che la sua mente è stata trasformata, io sono molto interessato a sapere di più di questa trasformazione, e non dubito che queste trasformazioni siano possibili. Anzi saresti sciocco a dubitarne. E' ovvio che accadono. C'è una vera fenomenologia in cui le persone, focalizzando l'attenzione su concetti nuovi, possono trasformare radicalmente la propria esperienza del mondo. Io credo, ad esempio, che uno probabilmente potrebbe diventare molto simile a Gesù, e amare il suo prossimo come se stesso, eccetera. [...] Ma la domanda è: cosa è ragionevole credere sulla base di quell'esperienza? Se io passo un anno nella caverna pensando a Gesù, ed ho persino delle visioni di Gesù, e sento la mia vita trasformata, cosa sarebbe ragionevole concludere da tutto ciò? Anche gli induisti hanno esperienze spirituali in caverne, quando pregano Krishna, e hanno la stessa devozione e trasporto, ed altri fenomeni esoterici entrano nella loro mente. Quindi abbiamo quantomeno dei nuovi dati. Il fatto che anche gli induisti facciano la stessa cosa senza pensare minimamente a Gesù dimostra che la divinità di Gesù e la rivelazione unica della Bibbia non sono la migliore interpretazione dei dati. E' un fatto oggettivo che il sistema nervoso umano (e non sto pretendendo di conoscere la relazione tra coscienza e cervello: chi sa qual è questa relazione)... ma noi, considerati come sistema, non importa come siamo relazionati con l'universo, siamo soggetti ad esperienze di questo genere. Quindi quello che respingo, e credo di poter respingere categoricamente, è l'affermazione che uno qualunque di questi libri sacri meriti l'attenzione che oggi riceve; e l'affermazione che sia legittimo organizzare un'intera tradizione attorno a questi prodotti accidentali dell'età del ferro. [il pubblico ride]

martedì 20 novembre 2007

Quiz. Gli extracomunitari ci stanno "fregando"?

Una donna ucraina si separa dalla famiglia e viene in Italia. Trova lavoro come badante o colf. Divide il suo stipendio, già misero, in due parti: una parte che spende per sé, in Italia, per sopravvivere, ed una parte che spedisce ai suoi parenti, in Ucraina. Poiché la vita in Ucraina costa meno, con quei soldi i suoi parenti potranno comprare più di quanto comprerebbero in Italia. In questo modo, seppur con grandi sacrifici, tutta la famiglia riesce a sopravvivere. Le badanti ucraine, al prezzo di separarsi dai propri cari, riescono a fare prezzi più bassi di quelli che una badante italiana potrebbe mai fare. E lo stesso discorso vale, ad esempio, per un operaio rumeno che lavora in italia.

A un certo punto la badante italiana, o l'operaio italiano, che hanno perso il lavoro, denunciano la "concorrenza sleale"! Lo straniero non ha tolto lavoro soltanto a me, dicono, ma anche a tutti voi, perché sta spendendo all'estero parte dei soldi che guadagna qui. Con i suoi soldi, i suoi parenti comprano il pane in Ucraina anziché in Italia. Compreranno le scarpe in Ucraina anziché in Italia. Pagheranno medici ucraini anziché italiani. Lo straniero non ha tolto lavoro solo a me, ma a tutti.

Non è vero. Spendere all'estero i soldi guadagnati in Italia non diminuisce i posti di lavoro in Italia. Quando la badante ucraina manda soldi all'estero, è come se li spendesse qui. Riuscite a vedere perché? La risposta è nei commenti.

lunedì 19 novembre 2007

Sogno nel cassetto


Ve lo confesso, ho un sogno.

Nel sogno, sono tra i testimoni ad un matrimonio religioso. Il sacerdote mi chiede di di leggere un brano a piacere dalla Bibbia. Io vado sul podio e, con le lacrime agli occhi, leggo questo qui:
Parola del Signore, dal Deuteronomio 13.

"Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio, e il segno e il prodigio annunciato succeda, ed egli ti dica: seguiamo dèi stranieri. ... Quel profeta o quel sognatore dovrà essere messo a morte, perché ha proposto l'apostasia dal Signore, ..., per trascinarti fuori della via per la quale il Signore tuo Dio ti ha ordinato di camminare. Così estirperai il male da te.

Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto o l'amico che è come te stesso, t'istighi in segreto, dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, ...divinità dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani da una estremità all'altra della terra, tu non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa. Anzi devi ucciderlo: la tua mano sia la prima contro di lui per metterlo a morte; poi la mano di tutto il popolo; lapidalo e muoia, perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile.

[..]

Qualora tu senta dire di una delle tue città che il Signore tuo Dio ti dà per abitare che uomini iniqui sono usciti in mezzo a te e hanno sedotto gli abitanti della loro città dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, che voi non avete mai conosciuti, tu farai le indagini, investigherai, interrogherai con cura; se troverai che la cosa è vera, che il fatto sussiste e che un tale abominio è stato realmente commesso in mezzo a te, allora dovrai passare a fil di spada gli abitanti di quella città, la voterai allo sterminio, con quanto contiene, e passerai a fil di spada anche il suo bestiame."

[..]
E poi, con la bava alla bocca e un'evidente erezione, concluderei:
"Fai attenzione a mettere in pratica tutto ciò che ti comando; non vi aggiungerai nulla e nulla ne toglierai.

PAROLA DEL SIGNORE .

venerdì 16 novembre 2007

Fortuna morale

Tratto dal blog di David Friedman.

Due persone sparano con l'intenzione di uccidere qualcuno. La prima ci riesce ed è condannata per omicidio. La seconda sbaglia ed è condannata per tentato omicidio (che è un crimine meno grave). A parte le distinzioni legali, la maggior parte di noi percepiscono il primo individuo come moralmente macchiato dalla sua azione -- una macchia a cui l'altro sfugge per pura fortuna. Perché la differenza? Avere una cattiva mira non è una virtù morale.

Come secondo esempio, considerate due guidatori ubriachi, uno dei quali investe e uccide un bambino, l'altro lo manca di poco. Di nuovo, sia per la legge sia per la morale individuale, il primo è peggiore del secondo. [..] Perché?
Come rispondere?

(Non è un quiz. Non sono sicuro della risposta). Poi Friedman in post successivi ha cercato di rispondere.

martedì 13 novembre 2007

Robinson sull'isola deserta. Meglio il capitalismo o la decisione centrale?

Con l'aiuto degli economisti H. Hazlitt e T. Sowell, cerco di illustrare la vera funzione del sistema dei prezzi e della logica del profitto.

Nell'episodio precedente abbiamo visto che, quando la domanda di un prodotto aumenta, la sua produzione aumenta ma aumenta anche il prezzo. Se lo stato cerca di limitare il prezzo, invece, la produzione crolla.

A questo punto qualcuno potrebbe convincersi che il capitalismo sia fondamentalmente "bacato". Il ragionamento potrebbe essere:
Se limito il prezzo per legge, la produzione non soddisfa la domanda. Se invece non limito il prezzo, la produzione soddisfa la domanda, ma i poveri non potranno permettersi di comprare. In entrambi i casi, ci sarà qualcuno che non potrà avere quel prodotto. Qualcuno che resta a bocca asciutta. Quindi il capitalismo è intrinsecamente incapace di soddisfare appieno i bisogni delle persone.

Quindi serve un nuovo sistema, un sistema in cui la produzione possa aumentare senza far aumentare i prezzi.

Il mondo ha bisogno di più beni, e i produttori, che regolano la produzione in base al profitto, non producono abbastanza da soddisfare le esigenze delle persone. Arrestano la produzione prima. Non sfuttano appieno le potenzialità produttive della moderna tecnologia. Bisogna quindi abbandonare il capitalismo, e scegliere un sistema in cui si produca in base alle necessità reali delle persone.

Questo ragionamento è sbagliato e dimostra l'ignoranza della vera funzione dei prezzi e dei profitti nella società. L'economista Henry Hazlitt usa una brillante metafora:

L'errore centrale deriva dal guardare solo ad una industria, o solo a un certo insieme di industrie, come se ognuna esistesse in isolamento dalle altre. Invece ognuna di esse esiste in relazione alle altre. [..]

Possiamo capire meglio la cosa se comprendiamo il problema di base che le imprese, complessivamente, devono risolvere. Per semplificare il più possibile, consideriamo il problema che Robinson Crusoe si troverà a fronteggiare su un'isola deserta. I suoi desideri sulle prime sembreranno non finire mai. E' zuppo di pioggia; ha i brividi per il freddo; soffre la fame e la sete. Ha bisogno di tutto: acqua da bere, cibo, un tetto sulla testa, protezione dagli animali, un fuoco, un posto morbido per dormire. E' impossibile per lui soddisfare tutti questi bisogni allo stesso tempo; non ne ha il tempo, le energie e le risorse. Deve soddisfare immediatamente i bisogni più pressanti. La cosa più urgente è, diciamo, la sete. Scava una buca nella sabbia per raccogliere l'acqua piovana, o costruisce un rozzo contenitore. Quando si è procurato anche una minima riserva d'acqua, però, deve cominciare a cercare del cibo, prima che possa pensare di migliorarla. Può cercare di pescare; ma per farlo gli servono uncino e bastone, oppure una rete, e deve cominciare a lavorare su queste. Ma tutto ciò che fa rallenta o impedisce di fare qualcos'altro che è solo un po' meno urgente. Ha continuamente davanti a sé il problema delle applicazioni alternative del suo tempo e fatica.

Immaginiamo ora che sull'isola ci sia tutta la famiglia Robinson. Il problema sarà più semplice per loro. Ci sono più bocche da sfamare, ma anche più braccia per lavorare. Possono praticare la divisione del lavoro. Il padre va a caccia; la madre prepara il cibo; i bambini raccolgono legna. Ma anche questa famiglia non si può permettere che un membro faccia sempre la stessa cosa, indipendentemente dall'urgenza relativa tra il bisogno comune che egli soddisfa e i bisogni ancora insoddisfatti. [..] Anche la famiglia ha il problema di scegliere tra applicazioni alternative del lavoro e, se è abbastanza fortunata da ottenere armi, canna da pesca, una barca, un'ascia, una sega e così via, di scegliere tra applicazioni alternative del lavoro e del capitale. Sembrerebbe incredibilmente stupido se colui che si occupa di raccogliere la legna dicesse che si potrebbe raccogliere più legna se suo fratello lo aiutasse tutto il giorno, anziché pescare il pesce che la famiglia mangia a cena. In questo caso è evidente che un'occupazione si può espandere solo alle spese di altre occupazioni.

( E ovviamente il discorso non cambia se le persone sull'isola, anziché cinque, sono cento milioni. )

Insomma, l'errore nel ragionamento consiste nel non capire che la produzione in un settore può aumentare solo alle spese di altri settori. Questo discende immediatamente dal fatto che la quantità di terra, materiale e forza lavoro disponibile sul nostro pianeta è limitata. Quindi, se fai espandere un'industria, necessariamente stai sottraendo risorse a qualche altra industria o settore, che per forza di cose si dovranno ridurre (in termini assoluti o relativi).

Ma chi decide quali settori dovranno ridursi, per aumentare la produzione del prodotto X? Risposta: il sistema dei prezzi e del profitto. Il maggiore prezzo del prodotto X costringe i cittadini ad economizzare in qualche altro settore. Li costringe a diminuire le spese per altre cose. Così facendo, i cittadini stanno automaticamente decidendo quale settore si dovrà ridurre, per fare spazio al nuovo. I cittadini stanno di fatto votando con i loro soldi. Stanno decidendo qual è il rapporto di grandezza più efficiente tra le varie industrie. Stanno decidendo quali beni sono più importanti e necessari di altri.

Quindi la logica del profitto, per cui i produttori aumentano la produzione ma allo stesso tempo aumentano anche i prezzi, ha una funzione sociale: è il meccanismo in cui i cittadini decidono quale produzione si deve ridurre, in cambio dell'aumento della produzione di qualcos'altro.

Non che sia un sistema perfetto: dopo tutto, in questo modo, chi ha meno soldi "vota di meno". Ma qual è l'alternativa?

Storicamente alcuni Stati hanno cercato di sostituirsi al sistema dei prezzi: hanno cercato di far decidere a dei burocrati quali settori devono ridursi, e dove invece vanno destinate più risorse. Cioè, al mercato si è cercato di sostituire la decisione centralizzata, il diktat dall'alto. E il risultato di questi tentativi è stato così tragico, ed ha causato così tanta miseria, che per me è doloroso parlarne. Nell'unione sovietica, mentre molte persone morivano di fame (a causa del crollo della produttività), in molte città c'erano depositi pieni di grano che restavano a marcire. Il motivo è che un burocrate non aveva ancora deciso dove dovessero essere destinati. In India, quando nacquero i telai meccanici, il governo decise di proteggere i posti di lavoro di quelli che lavoravano ai telai manuali, mediante sussidi presi dalle tasse. Questo rese sconveniente introdurre le macchine. Di fatto il governo impedì l'introduzione delle macchine nel paese. In questo modo impedì l'enorme aumento di produzione che le macchine avrebbero portato, mentre il paese si impoveriva sempre di più (lavorando in perdita grazie ai sussidi). Oggi in India si muore di fame esattamente grazie a questo tipo di decisioni. Anche in paesi non interamente socialisti, come gli Stati Uniti, gli insuccessi di questo tipo non si contano. Durante la crisi del gasolio del 1972 e 1972, quando i prezzi del petrolio erano mantenuti artificialmente bassi dal governo, c'erano in tutti gli Stati Uniti lunghissime code di automobili che aspettavano per ore per fare benzina nei distributori; ma la quantità di gasolio negli Stati Uniti era il 95% dell'anno prima, ed in quell'anno non c'era alcuna fila.

A parte gli esempi, la ragione per cui questo non può funzionare ci è illustrata ottimamente da Thomas Sowell: i burocrati che allocano le risorse non possono neppure conoscere le vere necessità relative dei vari settori. Nella russia sovietica, i burocrati di grado alto non conoscevano le necessità reali di una zona, perché i burocrati di grado più basso avevano l'incentivo a dichiarare più necessità del dovuto per la propria zona. I burocrati tendevano regolarmente a chiedere quante più risorse potevano, anziché quelle che erano necessarie, perché questo era nel loro interesse. Continua Sowell:


All'unione sovietica non mancavano le risorse naturali, anzi in questo senso era una delle nazioni più ricche del pianeta. Ciò che le mancava era un sistema che allocasse in modo efficiente risorse scarse. Poiché le imprese sovietiche non avevano le stesse limitazioni di soldi delle imprese capitaliste, acquistavano più macchine di quelle di cui avevano bisogno, macchine "che poi restavano a prendere la polvere nei capannoni o ad arrugginire fuori dalla porta", per usare le parole degli economisti sovietici. In breve, non erano costretti ad economizzare. [...]

Questo spreco di risorse non potrebbe aver luogo in una economia in cui queste risorse devono essere acquistate, e in cui l'impresa può sopravvivere solo mantenendo i costi più bassi delle sue entrate. In questo tipo di sistema capitalista, governato dai prezzi, la quantità di risorse ordinate dalle imprese sarebbe basata sulla stima più accurata possibile di ciò che davvero è necessario, non su quello che i suoi manager riuscivano a far sembrare plausibile ai burocrati loro superiori, i quali non potrebbero mai essere esperti in tutta la vasta gamma di industrie che sorvegliano.

Spero che adesso sia chiaro che un sistema socialista non potrebbe mai fare meglio del sistema dei prezzi, in cui ogni singolo cittadino vota con i propri soldi dove devono andare le risorse. Semplicemente, un burocrate non potrebbe mai avere informazioni tanto accurate. Questo sembra ovvio. Eppure oggi, in Italia e ovunque, moltissime risorse non vengono allocate dal sistema dei prezzi, ma dal governo, mediante il meccanismo della "finanziaria". E chi si lamenta di questo?


Per concludere, non ha senso dire che i produttori sono egoisti perché non producono abbastanza occhiali. E' come dire che Robinson dovrebbe smettere di pescare pesce per raccogliere più legna.

I prezzi massimi fissati per legge producono scarsità

In questo post parlo dei prezzi massimi fissati per legge e comincio un discorso sulla logica del profitto che continuerà nel prossimo post.

Alcune persone credono che limitare per legge il prezzo massimo dei prodotti possa aumentare la qualità della vita dei poveri, perché, con prezzi minori, essi potranno permettersi di acquistare più beni. E' vero questo?

Per rispondere, dobbiamo prima avere chiara una legge fondamentale della produzione: in genere, più produci, maggiore è il costo di produrre ancora di più. Ad esempio, per aumentare la produzione, dovrai farti arrivare materie prime da regioni sempre più lontane o meno accessibili; dovrai assumere personale sempre meno capace, oppure aumentare i salari per sottrarre personale più capace ad altri settori; dovrai acquistare terre sottraendole ad altri settori sempre redditizi; queste terre saranno quindi sempre più costose. E così via.

In altre parole, man mano che aumenti la produzione, i costi aumentano più rapidamente dei guadagni. ( Ad esempio, se produrre 10 chili di prodotto ti costa 5 lire, produrre 20 chili non ti costa 10 lire, ma un po' di più. Diciamo 12 lire. )

( Inoltre il tuo profitto è dato dalla differenza tra le tue entrate e le tue spese. Nell'esempio precedente, se non aumenti la produzione il tuo profitto è 5 lire (cioè 10 lire - 5 lire), mentre se la aumenti il profitto è 8 lire (cioè 20 lire -12 lire). Quindi in questo caso ti conviene aumentare la produzione. )

Visto che i costi aumentano più rapidamente dei guadagni, prima o poi arriverà un momento in cui, aumentando la produzione, il tuo profitto diminuirà anziché aumentare. ( Ad esempio, ti accorgi che produrre 22 chili costa 15 lire. Il profitto è quindi 7 lire (cioè 22 lire -15 lire). Ma allora per te sarebbe stato meglio produrre 20 chili, perché in tal caso avresti guadagnato 8 lire (cioè 20 lire -12 lire). )

A quel punto, smetterai di aumentare la produzione. Sei giunto a uno "stato di equilibrio", ad una "soglia" che non puoi oltrepassare perché il guadagno non giustifica il costo maggiore. Ti rendi conto che, se solo il margine di guadagno fosse maggiore, potresti aumentare la produzione. Ma con il margine di guadagno attuale, non puoi.

Supponiamo ora che, per qualche improvviso mutamento sociale, la domanda per il tuo prodotto aumenti. Le persone hanno bisogno del tuo prodotto più di prima. Te ne accorgi perché le scorte finiscono prima e non riesci a soddisfare tutta la domanda. In questo caso, alzerai i prezzi (cosa che prima non potevi fare, perché avresti venduto meno, e complessivamente avresti avuto un profitto minore). Questo aumento dei prezzi ti darà un margine di guadagno maggiore di prima. Il prodotto ora rende più di prima. Ma questo vuol dire che la "soglia" di cui sopra si è spostata in avanti. Cioè, visto che ora ogni pezzo venduto rende di più, e i costi di produzione sono invariati, ora conviene fare ciò che prima non conveniva: ora puoi permetterti di pagare quelle cose (terra, materie prime, personale) che prima non potevi. Tutto grazie al prezzo più alto.

Quindi aumenterai la produzione. A un certo punto, a forza di aumentare, tornerai di nuovo a uno stato di equilibrio, in cui un aumento ulteriore di produzione farebbe peggiorare il profitto. Siamo in un nuovo stato di equilibrio, ma stavolta la produzione è aumentata. La soglia si è spostata.

Ricapitoliamo. C'è stata una catena di cause: aumenta la domanda da parte dei consumatori -> puoi aumentare il prezzo del prodotto -> hai maggiore margine di guadagno -> puoi acquistare le nuove risorse -> puoi aumentare la produzione.

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Supponiamo ora che lo Stato interferisca con questo meccanismo, fissando per legge un prezzo massimo al prodotto. Il risultato sarebbe lo stesso? Naturalmente no. La catena in alto si interromperebbe al primo passo. Infatti il produttore, accortosi della maggiore domanda, non potrebbe alzare il prezzo, perché la legge glielo vieta. Quindi non avrebbe il maggiore margine, e quindi non potrebbe acquistare il necessario per aumentare la produzione. La produzione non aumenterebbe, e la domanda resterebbe per sempre insoddisfatta.

Supponiamo che questo si verifichi. Lo Stato fissa il prezzo massimo e la domanda dei cittadini resta insoddisfatta. A questo punto nasce tra le persone un risentimento verso l'egoismo dei produttori. Perché i capitalisti non hanno prodotto abbastanza per soddisfare tutti?

D'altra parte dovrebbe essere ovvio che non sono stati i produttori a causare la scarsità: è stato lo Stato, impedendo ai prezzi di crescere. Il prezzo maggiore era proprio ciò che avrebbe permesso alla produzione di aumentare e soddisfare la domanda. Impedendo al prezzo di crescere, lo Stato ha di fatto causato la scarsità.

E la scarsità aumenta anche in un altro senso: essendo i prezzi più bassi, coloro che desiderano di meno il prodotto non hanno incentivo ad economizzare, e quindi ne resta ancora meno per chi ne ha maggior bisogno.

Insomma, con un vincolo artificiale sui prezzi, lo Stato ha ottenuto l'opposto di ciò che voleva ottenere. Voleva permettere ai poveri di comprare di più, ed ha ottenuto che nel paese c'è di meno da comprare per tutti, perché la produzione è crollata.

Storicamente, il fenomeno è molto documentato. I prezzi massimi sui costi degli affitti hanno privato molte persone di un tetto. Questo è avvenuto negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, in Svezia ed in Australia. Addirittura, in molti casi la produzione non riusciva a soddisfare la domanda nonostante nuove case venissero continuamente costruite dallo Stato. Il motivo è che i prezzi bassi non incentivavano le persone a economizzare sullo spazio occupato. Vedi ad es. Thomas Sowell, "basic economics", ed Henry Hazlitt, "Economics in One Lesson". Anche in altri settori, come l'agricoltura, la scarsità prodotta dai limiti ai prezzi è ben documentata. Negli Stati Uniti, limitare i prezzi dei prodotti agricoli ha reso la produzione così sconveniente che gli agricoltori tendevano a produrre solo il necessario per se stessi, senza preoccuparsi di vendere al pubblico. Questo ha provocato gravissime scarsità di cibo nella popolazione, peggiorando il problema iniziale. Vedi anche su questo Sowell.

(continua)

venerdì 9 novembre 2007

L'esperimento del cervello diviso. Siamo davvero noi a decidere?


Vorrei cominciare una serie dedicata ai misteri della mente raccontandovi un esperimento che ha dell'incredibile.

E' comune che persone con gravi crisi epilettiche si sottopongano a un intervento che consiste nel dividere il cervello in due, in verticale, separando completamente il lobo destro da quello sinistro. Questo rende le crisi epilettiche meno gravi. Dopo questo intervento, le due metà del cervello non comunicano più in nessun modo. Sono a tutti gli effetti due cervelli separati. I due cervelli riescono ancora a pensare ed agire in modo autonomo, seppure con dei limiti che vedremo.

Prima di proseguire devo dare alcune nozioni di base. Nel nostro corpo, l'occhio sinistro è collegato solo con l'emisfero destro del cervello, e l'occhio destro è collegato solo con l'emisfero sinistro. Quindi, una volta che il cervello è stato diviso in due, l'emisfero destro non ha alcun modo di sapere cosa l'occhio destro ha visto. Analogamente, l'emisfero sinistro non ha modo di sapere cosa l'occhio sinistro ha visto.

Per le braccia e le gambe c'è la stessa situazione. L'emisfero destro è connesso solo al braccio sinistro e alla gamba sinistra. L'emisfero sinistro è connesso solo al braccio destro e alla gamba destra. Quindi, dopo la lobotomia, l'emisfero destro non può controllare i movimenti del braccio destro, e l'emisfero sinistro non può controllare i movimenti del braccio sinistro.

Per le orecchie, idem. L'emisfero destro non sa quello che l'orecchio destro ha udito, e viceversa.

La bocca invece è sotto il controllo totale dell'emisfero sinistro. Il destro quindi non può parlare. (Però può comunicare a gesti, con il braccio che può controllare.)

Insomma, una volta che il cervello è stato diviso in due, il paziente ha a tutti gli effetti due cervelli, ognuno dei quali ha un occhio per vedere, un orecchio per ascoltare, e una mano per comunicare per iscritto. Solo il sinistro può parlare, ma il destro può comunicare scrivendo o indicando.

C'è anche una piccola complicazione. Tipicamente il lobo destro non è capace di comprendere il linguaggio. Quindi non è in grado di comprendere i suoni che entrano dall'orecchio sinistro, o di leggere la scrittura che legge con l'occhio sinistro. Quindi in genere non è davvero possibile comunicare con l'emisfero destro. Ma a volte, molto raramente, il destro conserva la capacità di comprendere il linguaggio. In questo caso abbiamo a tutti gli effetti due cervelli, ognuno dei quali può indipendentemente ascoltare, pensare e rispondere. A questo punto non è più il caso di parlare di un paziente. E' più corretto dire che ci sono due persone nello stesso cranio. Fine del preambolo.

E' importante capire una cosa. Quando chiacchieri (a voce) con un paziente col cervello diviso, con chi stai davvero parlando? Stai parlando con l'emisfero sinistro. Cioè, in un certo senso stai parlando con entrambi: anche l'emisfero destro ti ha ascoltato e compreso. Ma la risposta che è uscita dalla bocca è stata decisa dall'emisfero sinistro. In teoria l'emisfero destro potrebbe pensarla in modo del tutto diverso, ma tu non lo sapresti!

A questo punto, uno scienziato pensò di chiedere al paziente (cioè all'emisfero sinistro) le ragioni di un'azione che era stata decisa dall'altro emisfero. Il risultato è sorprendente.

Descriviamo meglio l'esperimento. All'emisfero destro e sinistro furono mostrati due disegni differenti. L'emisfero destro vide un paesaggio montano innevato, con una capanna coperta di neve e un pupazzo di neve. L'emisfero sinistro vide una zampa di gallina. Nessuno vedeva la carta dell'altro. (Vedi figura in alto)

Poi a entrambi gli emisferi fu chiesto di scegliere, tra 4 carte, quella più attinente a ciò che avevano visto. L'emisfero sinistro aveva visto la zampa di gallina, per cui (con la mano che poteva controllare) indicò una gallina. L'emisfero destro aveva visto la neve, per cui (con la mano che poteva controllare) indicò una pala per spalare la neve. Fin qui tutto normale, più o meno.

Poi fu chiesto al paziente perché avesse scelto la pala con la mano sinistra. Il paziente (cioè l'emisfero sinistro) rispose:

"La pala serve per pulire il pollaio."

che è una risposta sorprendente, se ci pensate. La cosa più ovvia sarebbe stata rispondere "non so perché ho scelto la pala. Come potrei saperlo? E' stato quell'altro a scegliere.". Invece il paziente (cioè l'emisfero sinistro) aveva inventato una giustificazione. Non solo: egli era sinceramente convinto di essere stato lui a scegliere la pala. Mentre era stato "l'altro".

Questi esperimenti furono ripetuti più e più volte, in pazienti diversi e in forme diverse. Il risultato non cambiò. Una volta, all'emisfero destro fu chiesto per iscritto, all'insaputa del sinistro, di ridere. L'emisfero destro rise. Poi fu chiesto al paziente perché avesse riso. Il paziente (cioè l'emisfero sinistro) rispose "perché voi dottori siete proprio dei tipi divertenti". Un'altra volta fu chiesto all'emisfero destro, all'insaputa del sinistro, di fare il gesto di grattarsi. L'emisfero destro eseguì l'ordine, col braccio che poteva controllare. Poi fu chiesto al paziente perché si fosse grattato. La risposta del paziente (emisfero sinistro) fu "perché avevo prurito".

Insomma, ogni volta i pazienti (cioè gli emisferi sinistri dei pazienti) inventavano giustificazioni per decisioni che non potevano aver preso, poiché erano state prese dall'emisfero destro. Il paziente (l'emisfero sinistro) era sinceramente convinto di essere stato lui a prendere la decisione. Ma non era stato lui. Era stato "l'altro".

Cosa ci dice tutto questo sul libero arbitrio?


PS: Per chi fosse interessato all'argomento, consiglio due libri: "la mente inventata" (the mind's past) di Michael Gazzaniga, e "the user illusion" di Tor Noerretranders. Oltre, ovviamente, all'irrinunciabile "Come funziona la mente" di Steven Pinker.

Basta parlare di laicità

Da un po' di tempo divento idrofobo quando sento un politico usare la parola "laicità". Laicità è una parola che non dovrebbe neppure esistere.

"Laicità dello Stato" significa "separazione tra leggi dello Stato e credenze religiose". Uno stato "laico" è uno stato le cui leggi non sono fondate su credenze religiose. Ma cosa sono le credenze religiose? Sono semplicemente credenze prive di evidenza che riguardano un essere soprannaturale. E perché mai dovremmo distinguerle da altre credenze prive di evidenza? Perché distinguere le credenze religiose prive di evidenza dalle credenze, ad esempio, economiche prive di evidenza? O da quelle negli oroscopi?

Ciò che conta non è se una credenza è religiosa o meno, ma se è supportata da evidenza. Ed in che misura è supportata da evidenza. Cioè, che grado di probabilità ha di essere vera. Quando dici che Gesù è resuscitato dalla morte, sei dogmatico tanto quanto chi dice che una guerra può aiutare l'economia di un Paese. Perché le due affermazioni prive di evidenza dovrebbero contare in modo diverso per lo Stato?

Quindi perché usare la parola "laicità"? Basta la parola "evidenza". Basta dire che le leggi dello Stato non possono essere fondate su proposizioni non supportate da buona evidenza. Basta dire che lo Stato è razionale, se volete. Che è contro la follia.

Se invece usi la parola laicità, vuol dire che stai discriminando tra alcune credenze prive di evidenza ed altre credenze ugualmente prive di evidenza. Perché dovresti farlo?

( Si potrebbe rispondere che la distinzione è giustificata dal fatto che le credenze religiose non sono supportate da alcuna evidenza, cioè sono "dogma puro", mentre le altre credenze sono sempre supportate da un minimo di evidenza. Ma non è vero. Anche le credenze religiose sono fondate su un minimo di evidenza. Per esempio, alcuni credenti percepiscono le sacre scritture come evidenza. Quindi il punto non è che nella religione non c'è evidenza: è che l'evidenza è cattiva. Quindi non è vero che c'è un gap intrinseco ed incolmabile tra le credenze religiose e le altre. Non sono intrinsecamente diverse dalle altre. Per usare le parole di Richard Dawkins, "le credenze religiose sono vere e proprie ipotesi scientifiche. Esse possono essere vere o false, come tutte le altre. E come tutte le altre sono soggette al metodo scientifico di indagine". Ad esempio, le seguenti sono tutte ipotesi scientifiche: "Cristo è nato da una vergine" ; "Cristo è risorto dalla morte" ; "Maometto ha incontrato l'angelo gabriele in una caverna"; "Esiste una vita dopo la morte" ; "Gli uomini sono stati progettati da una mente intelligente". Sono tutte ipotesi scientifiche. I metodi che useremmo per validare o confutare queste affermazioni sono i metodi della scienza. Anzi, la scienza ha già dato risposta negativa a due delle domande di cui sopra: non esiste una coscienza dopo la morte, e non esiste un essere intelligente che ha progettato gli esseri viventi. )

Magari qualcuno troverà un buon motivo per continuare a usarla, ma resta il fatto che la parola "laicità" è fuorviante e causa divisioni tra le persone. Divisioni che potrebbero essere evitate.

E' fuorviante perché distoglie l'attenzione dalla questione importante (cioè se la credenza è supportata da evidenza o meno) e concentra l'attenzione su quella meno importante (cioè se la credenza è religiosa o meno). A tutt'oggi molti hanno difficoltà a capire la differenza tra credenze scientifiche e religiose. Pensano che le credenze siano tutte sullo stesso piano, perché "tanto non puoi dimostrare che siano false". Non capiscono che la differenza è che quelle scientifiche si fondano su evidenza, quelle religiose no, o addirittura sono contrarie all'evidenza. E quindi le due credenze hanno un diverso grado di probabilità di essere vere. Smettere di parlare di laicità e cominciare a parlare di evidenza aiuterebbe molto.

E' causa di divisioni perché, se tu parli di laicità, crei automaticamente una contrapposizione tra laici e non laici, contrapposizione che non creeresti se parlassi semplicemente di ragione ed evidenza, perché quasi nessuno ritiene di essere nemico della ragione e dell'evidenza.

Ed è inutile perché, ripeto, basta dire "evidenza".

mercoledì 7 novembre 2007

Legge sul salario minimo. Una legge razzista che aumenta le disuguaglianze

Molte persone credono che lo Stato possa migliorare le condizioni dei lavoratori promulgando leggi contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei datori di lavoro. Ad esempio, la legge sul salario minimo. E' vero questo?

Chiediamoci che cosa succede quando viene introdotta una legge sul salario minimo. Supponiamo di alzare per legge il salario di un gruppo di lavoratori che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Ad esempio, supponiamo di alzare per legge il salario di chi lavora nell'industria delle scarpe.

La prima conseguenza è che costoro se la passeranno meglio. Ma, allo stesso tempo, le scarpe diventeranno più costose da produrre. I prezzi delle scarpe saliranno. I cittadini che vanno al negozio di scarpe si accorgeranno che le scarpe costano di più. Ora ci sono due possibilità: (1) i cittadini cominciano a comprare meno scarpe; (2) i cittadini continuano a comprare la stessa quantità di scarpe. Esaminiamo i casi separatamente.

  1. I cittadini comprano meno scarpe. Allora i posti di lavoro nell'industria delle scarpe diminuiranno. Alcuni operai saranno licenziati. Prima questi lavoratori avevano uno stipendio, per quanto basso. Ora non hanno nulla.

  2. I cittadini continuano a comprare la stessa quantità di scarpe. Nessun lavoratore nell'industria di scarpe perde il lavoro. Ma ai cittadini resteranno in tasca meno soldi di prima. Visto che spendono di più per le scarpe, dovranno necessariamente diminuire le loro spese in qualche altro settore. Quindi andranno distrutti posti di lavoro in altri settori. Ad esempio, se gli italiani prima spendevano per le scarpe complessivamente 15 miliardi l'anno, ora ne spenderanno 20. Questo significa che gli italiani avranno 5 miliardi l'anno in meno da spendere per altre cose. 5 miliardi che prima spendevano in altri settori, dando lavoro a qualcun altro (sarti, vetrai, idraulici, avvocati, ferrovieri, imbianchini...). Questo "qualcun altro" adesso perderà il lavoro.

In entrambi i casi, tutto quello che lo Stato ha ottenuto è di aumentare la disoccupazione. Ha favorito alcuni lavoratori alle spese di altri. Non ha migliorato le condizioni dei lavoratori in generale. Prima lavoravano più persone, sebbene con salari bassi. Ora i salari sono più alti, ma lavorano meno persone. Prima la ricchezza era distribuita meglio, ora è più concentrata. La disuguaglianza nel Paese è aumentata.

Osserviamo un pattern che si ripete. Ogni volta che lo Stato dice di fare l'interesse generale, finisce regolarmente per promuovere soltanto interessi particolari.

Ma, col senno di poi, che altro potevamo aspettarci da un vincolo artificiale sui salari, che non aumenta in nessun modo la produttività del paese? Come vedremo in post successivi, le condizioni delle persone comuni possono migliorare solo se aumenta la produttività del Paese. Se invece non aumenti la produttività, è un gioco a "somma zero". Se dai a qualcuno, togli necessariamente a qualcun altro.

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E' memorabile il modo in cui Milton Friedman descrive la legge sul salario minimo:

Il vero significato della legge sul salario minimo è questo. Lo Stato sta dicendo al datore di lavoro: "Datore di lavoro, se le capacità di questa persona per te valgono meno di 5 dollari a settimana, non puoi dargli lavoro.

Nessuna legge è razzista contro i neri quanto quella sul salario minimo.
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Nel ragionamento di cui sopra, ho fatto delle assunzioni a scopo di semplificazione. Per esempio, ho assunto che l'industria di scarpe, dovendo pagare di più i dipendenti, alzerà i prezzi. Ma a volte alzare i prezzi può non essere un'opzione, per via della concorrenza con l'estero. La cosa più probabile è quindi che l'industria chiuda, non potendo reggere la concorrenza. Ancora una volta, il risultato sarà il licenziamento in blocco dei suoi dipendenti.

Qualcuno a questo punto potrebbe rispondere: "Tanto meglio. Se davvero quell'industria riusciva a sopravvivere solo pagando stipendi da fame, è meglio che chiuda.". Ma chi risponde così dimentica una cosa. Per usare le parole di Henry Hazlitt:

Per quanto quei salari fossero da fame, erano la migliore alternativa disponibile per i lavoratori in quell'industria: altrimenti quei lavoratori sarebbero andati altrove. Se l'industria X è costretta a chiudere a causa di una legge sul salario minimo, i lavoratori saranno costretti a rivolgersi ad alternative che prima avevano giudicato meno attraenti. E produrranno in questi settori un aumento della concorrenza, che farà abbassare ulteriormente i salari rispetto a prima.

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Uno potrebbe pensare di risolvere il problema sussidiando quell'industria. Dopotutto, se l'industria riceve sussidi dallo Stato, non sarà costretta ad alzare i prezzi, e a licenziare. Questo è vero, ma anche in questo caso si produce disoccupazione da qualche altra parte. Infatti, come abbiamo già visto, i sussidi vanno pagati con le tasse. Ai cittadini resteranno quindi meno soldi in tasca. Quindi spenderanno meno da qualche altra parte. E quindi andranno distrutti posti di lavoro in altri settori. Anche in questo caso, il risultato è la disoccupazione. Lo stesso vale per i dazi, come abbiamo visto.