domenica 30 dicembre 2007

I controlli di qualità obbligatori servono a qualcosa?

Gli standard di qualità o sicurezza imposti dal governo hanno motivo di esistere? Ad esempio, ha senso fissare controlli obbligatori di qualità o igiene sul cibo, per tutelare il consumatore? Ha senso fissare standard minimi di sicurezza sul posto di lavoro, per tutelare il lavoratore? In questo post discuterò gli effetti di questi ed altri standard obbligatori.

1. Standard di qualità sulle case. Supponiamo che il governo obblighi i locatori (cioè i padroni di casa) a rispettare nei propri appartamenti alcuni requisiti minimi di qualità; ad esempio a dotare l'appartamento di acqua calda, o di riscaldamento, o a metterci almeno un bagno. Domanda: Ha senso questa legge? Ha una qualche utilità per qualcuno?

I proprietari delle case che non hanno l'acqua calda sono costretti ad installarla. Questo farà salire i costi degli affitti di, diciamo, € 10 al mese. L'inquilino (colui che paga l'affitto) avrà un servizio di acqua calda che prima non aveva, ma, a fronte di ciò, pagherà un affitto maggiore di € 10 al mese. Adesso chiediamoci: quanto valeva effettivamente per l'inquilino avere l'acqua calda in casa? Evidentemente sono possibili solo due casi: A) l'acqua calda valeva per l'inquilino più di € 10 al mese; B) l'acqua calda valeva per lui meno di € 10 al mese. Esaminiamo entrambi i casi. A) Se per l'inquilino l'acqua calda valeva più di € 10 al mese, sarebbe stato già il proprietario ad installarla. (Il proprietario avrebbe ragionato così: "se tizio è disposto a pagare più di 10 per una cosa che a me costa 10 installare, perché non dovrei installarla? Mi conviene farlo." ). Quindi l'acqua calda sarebbe stata installata comunque, essendo ciò nell'interesse di entrambi, proprietario ed inquilino. Ma allora a che cosa serve la legge? B) Se invece l'acqua calda valeva per l'inquilino meno di € 10 al mese, significa che l'inquilino è stato costretto dallo Stato ad acquistare un servizio che non voleva a quel prezzo. C'erano per lui modi migliori di spendere quei soldi.

Come nota David Friedman ne "l'ordine del diritto":

Nel caso in cui quelle caratteristiche assicurassero un beneficio per [l'inquilino] maggiore dell'esborso economico che il proprietario dell'immobile deve sostenere per fornirle, sarebbero già i proprietari ed includerle nel contratto di locazione -- e quindi a richiederne il pagamento. Nel caso invece esse costino al proprietario più di quanto valgano per l'inquilino,il fatto di imporle [per legge] e di determinare l'inevitabile aumento dei canoni di locazione finisce probabilmente per porre sia il proprietario che l'inquilino in condizioni economiche peggiori. In particolare si può prevedere che risulteranno pregiudicate le condizioni degli inquilini meno abbienti, quelli più inclini a sovrastimare, rispetto al loro costo reale, le caratteristiche aggiuntive. Un osservatore cinico potrebbe concludere che l'effettiva funzione dell'atteggiamento giurisprudenziale esaminato [...] sia quella di espellere i cittadini poveri dal territorio.

2. Standard di sicurezza imposti dalla legge. Supponiamo che lo stato obblighi i costruttori di automobili a mettere, ad esempio, cinture di sicurezza in ogni auto. Questo farà salire il costo dell'automobile per il consumatore, diciamo di € 10. Ma se per il consumatore la cintura di sicurezza valeva più di € 10, sarebbe stato già il produttore ad includerla. ("Se fornire questo accessorio mi costa 10 e la gente vuole pagarepiù di 10 per averlo, perché non metterlo?") Se invece la cintura valeva per il consumatore meno di € 10, il consumatore è stato costretto dallo Stato a comperare a 10 € qualcosa che non voleva, a quel prezzo. Ancora una volta, la legge nel caso migliore è inutile, nel caso peggiore danneggia il consumatore.

(Se non trovate realistico che una cintura di sicurezza possa valere per un consumatore meno di € 10, considerate questo. Una cintura di sicurezza ha dei benefici ma ha anche dei costi. Il beneficio è dato da un piccolo incremento nella probabilità di sopravvivere ad un incidente; il costo è dato dalla scomodità di indossare la cintura. Se per un dato cittadino la maggiore comodità vale di più dell'incremento di probabilità di sopravvivere, egli non indosserà affatto la cintura, quindi la cintura varrà per costui zero, che è meno di € 10.)


3. Controlli di qualità sui cibi. Supponiamo che lo stato obblighi i produttori di latte a superare per legge dei controlli di qualità o di igiene, "per tutelare la salute del consumatore". Questo farà aumentare il costo del latte, diciamo, di due euro al litro. Ma se per il consumatore il controllo di qualità valeva più di due euro, sarebbe stato già nell'interesse del produttore effettuarlo (o accordarsi con qualche agenzia di certificazione per sottoporre il proprio latte al suo controllo). Quindi il controllo sarebbe stato fatto comunque, in quanto è una transazione che conviene a entrambe le parti. Ma allora a che serve la legge? Se invece il consumatore non riteneva che il controllo di qualità valesse quei due euro in più, allora il consumatore è stato costretto dallo Stato a comprare un controllo che non voleva, a quel prezzo. (Può darsi che il consumatore preferisse risparmiare quei 200 l'anno e spenderli per cose che per lui hanno maggior valore, come, diciamo, una visita medica in più. )

Un altro modo di vedere la questione è questo: i controlli di qualità sono essi stessi dei "beni economici", cioè cose per cui le persone sono disposte a spendere dei soldi. Se alcune persone sono disposte a spendere qualcosa in più per avere un controllo, significa che c'è un mercato per quel controllo. Ma, se c'è un mercato, nascerà un'agenzia di certificazione privata che farà qual controllo --- come avviene del resto oggi per i prodotti biologici. Se invece i cittadini non sono disposti a spendere abbastanza, allora per definizione il controllo non ha un valore sufficiente da giustificare la sua esistenza: ci sono cose più importanti da fare con quei soldi.

4. Sicurezza sul posto di lavoro. Supponiamo che lo stato obblighi i datori di lavoro a prendere precauzioni per ridurre la probabilità di incidenti mortali sul posto di lavoro (ad esempio, a costruire uscite di sicurezza in una miniera, o a fornire un elmetto protettivo a tutti i dipendenti). Queste precauzioni avranno, naturalmente, un costo. Per rifarsi del costo maggiore, il datore di lavoro diminuirà i salari oppure aumenterà i prezzi dei prodotti. Supponiamo per prima cosa che diminuisca i salari. In questo caso, i dipendenti saranno più tutelati, ma avranno un salario minore, diciamo di € 10 al mese. Ma se per i dipendenti la misura di sicurezza valeva più di 10 euro al mese, sarebbe stato già il datore di lavoro ad introdurla. ("Se i dipendenti vogliono pagare più di 10 ciò che a me costa 10, perché non fornirglielo?"). Ma allora a che serve la legge? Se invece per i dipendenti l'incremento di probabilità di sopravvivere valeva meno di 10 euro, allora lo Stato ha costretto i dipendenti a pagare dei controlli che per loro non valevano la diminuzione di stipendio.

Se invece il datore di lavoro, anziché diminuire i salari, compensa il costo dei controlli aumentando i prezzi dei prodotti, che succede? Il risultato in questo caso è che i lavoratori sono più tutelati, ma l'occupazione diminuisce. Infatti, in questo caso il costo della misura di sicurezza viene scaricato sui consumatori. I consumatori, dovendo pagare di più quel prodotto, ne compreranno meno, oppure compreranno meno di qualche altro prodotto. In ogni caso, la produzione di qualche prodotto dovrà diminuire. Qualche settore dovrà per forza ridursi. Quindi avverranno dei licenziamenti. Il risultato è che lavoreranno complessivamente meno persone di prima, ma quelli che saranno riusciti a mantenere il loro lavoro saranno più tutelati di prima. E' difficile dire che la società ne abbia tratto un guadagno netto. Vedere qui per maggiori dettagli.

Riassumendo, se lo Stato impone al datore di lavoro delle misure di sicurezza, i costi di queste misure verranno scaricati sui dipendenti, o sotto forma di minore salario, o sotto forma di maggiore probabilità di essere licenziati. Sarebbe stato meglio far scegliere agli interessati se il beneficio valeva il costo.

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Per concludere il post, mi sembra difficile trovare casi in cui gli standard di qualità o sicurezza imposti dal governo abbiano senso. Forse si può sostenere l'efficacia degli standard di igiene obbligatori nel caso di possibili danni a terzi? O forse dovrei considerare, nell'ultimo caso, il problema dei "beni pubblici"?

venerdì 28 dicembre 2007

Dawkins: "quale Dio sei?"


E se un giorno moriste e vi accorgeste che, dopo tutto, Dio esiste?

Questa prospettiva ha portato alcuni, come Pascal, a concludere che conviene credere in Dio piuttosto che non credere. Infatti, se Dio non esiste, poco male: credendo non hai perso niente rispetto al non credente. Se invece Dio esiste, hai soltanto da guadagnare: il non credente brucerà all'inferno mentre tu hai qualche probabilità di non bruciare. Quindi, economicamente parlando, credere in Dio sarebbe la cosa giusta da fare.

L'argomento di Pascal, naturalmente, è sbagliato per molti motivi. Prima di tutto, l'argomento assume che si possa credere qualcosa a comando, semplicemente perché conviene. Secondo, l'argomento assume che Dio apprezzi chi crede in lui. Perché mai Dio dovrebbe dar valore all'atto di credere in lui, piuttosto che, diciamo, all'atto di fare 100 flessioni al giorno su un braccio solo? Con la logica di Pascal, potremmo anche dire che conviene fare 100 flessioni al giorno perché, se Dio non esiste, non hai perso niente, ma se Dio esiste (e gli piacciono i pettorali tonici) hai soltanto da guadagnare.

Terzo, Pascal assume che credere in Dio non abbia conseguenze negative sul mondo (non è così, vedi qui). Quarto, assume che il Dio "giusto" in cui credere sia quello cristiano. Cioè, assume che le uniche due alternative siano "Non esiste alcun dio" ed "Esiste il dio cristiano". E perché non Allah, o il Dio-Lucertola samoano?

Supponiamo che Dio esista. Salite al cielo e vi trovate davanti a Dio, che vi fissa, con le braccia incrociate e lo sguardo torvo, e una vena gonfia sulla fronte. Che cosa fate? Che cosa dite? La domanda è stata posta a Richard Dawkins, che ha risposto così:
Prima di tutto gli chiederei: quale Dio sei? Sei Zeus, Thor, Apollo, Baal?

E subito dopo gli chiederei perché abbia nascosto la sua presenza in un modo così meticoloso. Hai deliberatamente deciso di far sembrare che tu non esistessi?

E la terza cosa che chiederei sarebbe ogni sorta di domande sulla scienza. Perché se esistesse un Dio, egli avrebbe molte risposte affascinanti a queste domande affascinanti e misteriose, e tutto il tempo per rispondere.

giovedì 20 dicembre 2007

Coscienza e cervello

Molte persone hanno una visione della mente ingenua, secondo cui la coscienza non ha niente a che fare con la computazione effettuata dal cervello. In questo post vorrei presentarvi un po' di evidenza che non è così -- cioè evidenza che il particolare scambio di informazione tra i neuroni del nostro cervello determina le nostre sensazioni ed esperienze soggettive. Prova ad alterare la computazione che avviene nel cervello e, come risultato, alteri le sensazioni soggettive -- le percezioni, lo stato di coscienza.

Dal libro "Come funziona la mente" di Steven Pinker:
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Progettare un robot è un po' come prendere coscienza. Noi tendiamo a passar sopra con noncuranza alla nostra vita mentale. Apriamo gli occhi, e ci si presentano circostanze familiari; comandiamo alle nostre membra di muoversi, e oggetti e corpi prendono ciascuno il suo posto; ci svegliamo da un sogno, e torniamo in un mondo di confortante prevedibilità; Cupido tende l'arco, e la sua freccia scocca. Ma pensiamo al lavoro necessario perché un pezzo di materia compia tali improbabili imprese, e inizieremo a vedere attraverso il velo dell'illusione. Vista, azione, senso comune, violenza, moralità, amore non sono accidenti, né ingredienti indissolubili di un'essenza intelligente, né qualcosa di inevitabile nell'elaborazione di informazioni. Ognuno di essi è un tour de force, l'esito di una progettazione mirata d'alto livello. [Il progettista, come vedremo, è la selezione naturale, NdM]. Dietro i pannelli della coscienza deve celarsi un macchinario straordinariamente complesso: analizzatori ottici, sistemi di guida del movimento, simulazioni del mondo, database su persone e cose, programmatori di obiettivi, risolutori di conflitti e molti altri. Ogni spiegazione di come funziona la mente che faccia speranzose allusioni a qualche singola forza sovrana o a qualche elisir tipo «cultura», «apprendimento» o «auto-organizzazione», inizia a suonare vacua, non all'altezza delle domande dell'impietoso universo in cui ci aggiriamo con tanto successo.

La sfida rappresentata dal robot fa intravedere una mente dotata di una strumentazione originale; ma questa può sempre sembrare un'argomentazione da tavolino. Troviamo davvero segni di tale complessità quando volgiamo lo sguardo direttamente ai meccanismi mentali e alle loro istruzioni di montaggio? Io credo di sì, e quello che vediamo apre la mente non meno della sfida robot.

Quando le aree visive del cervello sono danneggiate, per esempio, il mondo visivo non si limita a risultare annebbiato o pieno di buchi. Vengono rimossi alcuni aspetti particolari dell'esperienza visiva, mentre altri rimangono intatti. Alcuni pazienti vedono un mondo completo, ma recepiscono solo una metà di esso.Mangiano dal lato destro del piatto, si radono solo la guancia destra, e disegnano orologi con dodici numeri schiacciati nella metà destra. Altri pazienti perdono la sensazione del colore, ma non vedono il mondo come un film «d'autore», in bianco e nero. Le superfici appaiono loro sporche, color topo, e così appetito e libido vengono meno. Altri ancora possono vedere gli oggetti cambiare posizione, ma non riescono a vederli muoversi, sindrome che, secondo un filosofo che cercò una volta di convincermi, era dal punto di vista logico impossibile! Il tè versato da una teiera non sgorga, sembra una stalattite; e la tazza non si riempie gradualmente di tè, ma è vuota e poi, di colpo, piena.

Altri pazienti non riconoscono gli oggetti che vedono: il loro mondo è come una grafia che non sanno decifrare. Eseguono un disegno fedele di un uccello, ma vi vedono un ceppo d'albero. Un accendino, finché non è acceso, è un mistero. Quando si mettono a ripulire il giardino dalle erbacce, strappano le rose. Alcuni pazienti riconoscono gli oggetti inanimati, ma non i volti. Deducono razionalmente che il volto allo specchio dev'essere il loro, ma non lo riconoscono visceralmente [cioè il volto non sembra loro minimamente familiare, NdM]. Scambiano John F. Kennedy per Martin Luther King e, se vanno a qualche festa, chiedono alla moglie di mettersi un nastro fra i capelli perché possano riconoscerla quando è ora di andar via. Ancora più strano è il paziente che riconosce i volti, ma non le persone: nella propria moglie vede un impostore molto molto convincente.

Tali sindromi sono causate da un danno, in genere un ictus, a una o più delle trenta aree cerebrali che compongono il sistema visivo dei primati. Alcune aree sono specializzate in colore e forma, altre nella localizzazione di un oggetto, altre nel suo riconoscimento, altre ancora nel suo modo di muoversi. Per costruire un robot vedente, non basta dargli il mirino a occhio di pesce dei film, e non sorprende che nemmeno gli esseri umani siano stati costruiti così. Quando guardiamo il mondo, non ci accorgiamo dei tanti strati dell'apparato sottesi alla nostra unificata esperienza visiva, finché un disturbo neurologico non ce li anatomizza.

Un'ulteriore apertura del nostro orizzonte ci viene offerta dalle sorprendenti somiglianze fra gemelli monozigotici, che condividono le ricette genetiche con le quali si costruisce la mente [hanno lo stesso DNA, NdM]. Questa nei due individui è straordinariamente simile, e non solo rispetto a grossolani metri di misura come il quoziente d'intelligenza e a tratti della personalità quali nevroticità e introversione: è simile per forme di talento tipo ortografia o matematica, per opinioni su questioni come l'apartheid, la pena di morte o le madri che lavorano, per scelte di carriera, per hobby, vizi, inclinazioni religiose, gusti riguardo all' alltro sesso. I gemelli monozigotici sono ben più simili fra loro dei gemelli dizigotici, che condividono solo metà delle loro ricette genetiche, e il particolare che colpisce di più è che sono quasi altrettanto simili quando vengono allevati separatamente e quando vengono allevati insieme. Gemelli monozigotici separati alla nascita condividono tratti come l'entrare in acqua all'indietro e solo fino alle ginocchia, il non andare a votare perché non si sentono abbastanza informati, il contare in modo ossessivo tutto ciò che hanno sotto gli occhi, il diventare capitani del corpo pompieri volontari, o il lasciare in giro per la casa messaggi d'amore indirizzati alla moglie.

Scoperte del genere vengono ritenute singolari, addirittura incredibili. Gettano il dubbio sull'«io» autonomo che tutti noi sentiamo accompagnare dall'alto il nostro corpo e compiere scelte mentre procediamo lungo la vita, influenzato soltanto dal nostro passato e dalle circostanze presenti. Certo la mente, alla nascita, non possiede anncora un equipaggiamento così minuzioso da predestinarci a far scorrere l'acqua nel water prima e dopo averlo usato o a starnutire per scherzo in ascensori affollati, per citare altri due tratti comuni a gemelli monozigotici cresciuti separatamente. Ma in apparenza è così. Gli effetti di vasta portata dei geni sono stati documentati da una quantità di studi, e compaiono in qualunque modo li si testi: comparando gemelli cresciuti lontani l'uno dall'altro e cresciuti insieme, gemelli monozigotici e dizigotici, figli adottivi e biologici. E, a dispetto di quanto pretendono certi critici, non si tratta di coincidenze, frodi o sottili somiglianze fra i contesti familiari (per esempio, agenzie preposte alle adozioni che affidano due fratelli monozigotici a due coppie che li incoraggino a entrare nell'oceano camminando all'indietro). I dati, naturalmente, sono suscettibili di cattive interpretazioni di vario genere, come immaginare che esista un gene preposto a lasciare messaggi d'amore in giro per la casa o concludere che le persone non siano toccate dalle loro esperienze. Inoltre, poiché questa ricerca può misurare soltanto i modi in cui la gente differisce, dice poco sull'organizzazione della mente che tutte le persone normali hanno in comune. Ma tali scoperte, mostrando in quanti modi la mente può variare nella struttura innata, ci aprono gli occhi su quanta struttura deve avere.

sabato 15 dicembre 2007

I quattro moschettieri


Cosa c'è di meglio che svegliarsi un sabato mattina e trovare, seduti a un tavolo sorseggiando cocktail, Richard Dawkins, Sam Harris, Daniel Dennett e Christopher Hitchens che discutono di religione? Il video, in inglese, è qui.

Ed ora mi verso anch'io un bicchiere di whisky, anche se sono le 9.35 di mattina, e mi metto ad ascoltare.

lunedì 10 dicembre 2007

Privatizzare l'aria

Continuo il post precedente. Parla David Friedman, "the machinery of freedom", traduzione mia.

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Cosa c'è che non va nell'analogia col campo di battaglia? Prima di tutto, il mercato non alloca tutte le sue risorse al cliente che ha più soldi. Se io spendo 10 dollari in gadget e tu ne spendi 20, il risultato non è che tu prendi tutto, ma che tu ne prendi due terzi e io un terzo. Inoltre, in generale, la quantità di un dato prodotto che un cliente riceve non è sottratta dalla quantità disponibile ad un altro --- il guadagno di qualcuno non è necessariamente la perdita di qualcun altro. Quando io ero l'unico acquirente di gadget, venivano prodotti gadget per un valore totale di 10 dollari (diciamo 8 gadget a 1.25 dollari a pezzo). Quando poi tu compari sulla scena, con 20 dollari in tasca, il primo effetto è di far salire il prezzo dei gadget; questo induce il produttore di gadget a produrne di più, e presto ce n'è abbastanza perché io possa avere i miei 8 gadget, e tu i tuoi sedici. Questo è meno vero per le onde dell'aria, che sono, in un certo senso, una risorsa fissa e limitata, come la terra. Ma, proprio come per la terra, un prezzo più alto in effetti aumenta la fornitura, perché fa usare alle persone la stessa quantità di terra più intensamente. Nel caso delle frequenze, se il prezzo di una banda di frequenza è alto, diventa conveniente adottare apparecchiature migliori, per far entrare più stazioni in una data gamma di frequenze; coordinare stazioni radio in aree diverse in modo più accurato in modo da minimizzare le aree di interferenza [fringe]; usare parti dello spettro precedentemente inutilizzate (la televisione UHF, ad esempio); e sostituire alcune stazioni che trasmettono in broadcast con televisioni o radio via cavo.

Un altro errore nel considerare il mercato come qualcosa in cui "il ricco prende tutto" è la confusione tra quanti soldi una persona possiede e quanto egli è disposto a spendere. Se un milionario vuole pagare solo 10.000$ dollari per un'automobile, ottiene esattamente la stessa quantità di automobile che ottengo io quando sono disposto a pagare la stessa quantità; il fatto che lui abbia un milione di dollari in banca non abbassa il prezzo o migliora la qualità dell'automobile. Il principio si applica anche alla radio. Il milionario Howard Hughes avrebbe potuto spendere un miliardo di dollari per comprare le frequenze radio, ma non lo avrebbe fatto a meno che ciò non gli avesse portato abbastanza guadagni da giustificare l'investimento. Dopo tutto, c'erano per lui molti modi molto più economici di intrattenere se stesso.

Cosa implica tutto ciò per il destino delle frequenze come proprietà privata? Primo, la natura proporzionale della "vittoria" di mercato renderebbe virtualmente impossibile per qualunque uomo ricco, o gruppo di ricchi, comprare l'intero spettro delle frequenze ed usarlo per qualche sinistro scopo propagandistico [politico]. Se provassero a farlo, starebbero competendo in un'asta contro avversari che vogliono comprare frequenze per scopi commerciali, cioè per mandare in onda ciò che gli ascoltatori vogliono e così fare soldi (non importa se direttamente, come nella pay-tv, o indirettamente, con la pubblicità). L'incasso derivato dalla pubblicità sui media radiotelevisivi ammonta a circa 4 miliardi di dollari l'anno. Gli uomini d'affari, che offrono soldi per acquistare bande di frequenza per avere una parte di quei guadagni, sarebbero sicuramente disposti, se necessario, a pagare in blocco molti miliardi di dollari. Supponete che la banda radio abbia spazio per un centinaio di stazioni (l'attuale banda FM ha spazio per almeno 50, e la banda AM ha spazio per molte di più). Affinché la nostra ipotetica gang di miliardari machiavellici assuma il controllo di tutte e cento le stazioni, dovrebbe pagare cento volte di più dei suoi avversari. Questo significherebbe un trilione di dollari, cioè circa mille volte la ricchezza totale degli individui più ricchi del paese. Supponete, invece, che la gang riesca a raccogliere circa 10 miliardi (cioè la ricchezza totale dei dieci o venti individui più ricchi del paese) cioè la stessa quantità di soldi che sono disposti a pagare coloro che vogliono le stazioni per scopi commerciali. Ognuno dei due gruppi ottiene quindi 50 frequenze. Gli uomini d'affari trasmettono ciò che i clienti vogliono ascoltare, e si prendono tutti i clienti; mentre i miliardari ipotetici trasmettono la propaganda politica che vogliono far ascoltare ai clienti, e nessuno li ascolta, e una decina o ventina dei più ricchi uomini d'America dichiarano fallimento.

Sembra chiaro che le frequenze sarebbero acquistate per scopi commerciali da uomini d'affari che vogliono trasmettere ciò che i clienti vogliono ascoltare, così da fare più soldi possibile. Proprio come il genere di persone che possiedono oggi le stazioni. Ma, se ci sono 9 stazioni che si dividono il 90% degli ascoltatori, una decima stazione potrebbe far meglio mandando in onda qualcosa di completamente diverso, e quindi accaparrandosi tutto il restante 10% degli ascoltatori, anziché trasmettere la stessa roba ed ottenere un decimo dello share della maggioranza. Con cento stazioni, la centounesima potrebbe far soldi con un pubblico dell'uno per cento. Quindi nascerebbero stazioni specializzate, che soddisfano gusti speciali. Ce ne sono oggi. Ma queste stazioni non sarebbero più vincolate al potere di veto che è oggi esercitato dalla maggioranza tramite l'organismo politico della FCC. Se tu ti sentissi offeso da una cosa che senti dire nella stazione posseduta dal "Berkeley Barb", potresti fare solo una cosa: cambiare canale.

I media offrono un esempio formidabile della differenza degli effetti della proprietà pubblica e privata, ma questo esempio mostra solo parte degli svantaggi della proprietà pubblica. Perché il "pubblico" non solo ha il potere di impedire agli individui di fare ciò che vogliono con la propria vita, ma ha anche l'incentivo ad esercitare quel potere. Se la proprietà è pubblica, io, usando una parte di questa proprietà, sto riducendo la quantità disponibile per te. Se tu non approvi ciò che io ne faccio, allora, dal tuo punto di vista, io sto sprecando risorse di valore che sono necessarie per altri scopi più importanti -- quelli che tu approvi. In un regime di proprietà privata, invece, ciò che io spreco appartiene a me. Tu potresti, in astratto, disapprovare il mio uso cattivo della proprietà, ma non hai incentivo a cercare di fermarmi: anche se io non "sprecassi" la mia proprietà, tu non ci metteresti mai le mani sopra; sarebbe soltanto usata per altri miei scopi.

Questo si applica non solo allo spreco di risorse già prodotte, ma allo spreco della mia proprietà di maggior valore, cioè il mio tempo ed energia. In una società basata sulla proprietà privata, se io lavoro duramente, l'effetto principale è che io sono più ricco. Se scelgo di lavorare solo dieci ora a settimana e di vivere con pochi soldi, sono io a pagarne il prezzo. Sotto un regime di proprietà pubblica, io, rifiutandomi di produrre il massimo che posso, diminuisco la ricchezza totale della società. Un altro membro della società potrebbe sostenere, a ragione, che la mia pigrizia boicotta gli obiettivi della società, e che sto sottraendo il cibo ai bambini affamati.

Considerate gli "hippie" [che sono contrari alla proprietà privata, NdM]. Le nostre istituizioni di proprietà privata aiutano loro tanto quanto tutti gli altri. Le magliette e i calumet di cui essi fanno uso vengono prodotte; le copie di "Ruba questo libro" vengono stampate, tutto sul mercato aperto. Le droghe di cui fanno uso vengono fornite dal mercato nero. Nessun capitalista sostiene che essere altruisti e improduttivi è una cosa cattiva e quindi non bisognerebbe investire capitale per produrre queste cose per gli hippie; oppure, se qualcuno lo sostiene, qualcun altro investe il capitale e si prende il profitto.

E' lo Stato, invece, che è loro nemico: la polizia arresta i "vagabondi"; le scuole pubbliche insistono che si taglino i capelli; il governo inizia un programma massiccio per impedire l'importazione e la vendita di droghe. Come la censura radiotelevisiva, questo è in parte l'imposizione della morale della maggioranza sulla minoranza. Ma una parte della loro persecuzione arriva dal comprendere che le persone che scelgono di essere povere contribuiscono meno agli obiettivi comuni. Gli hippie non pagano molte tasse. Di tanto in tanto questo viene detto esplicitamente: la tossicodipendenza è male perché il tossicodipendente non sopporta "la sua parte del carico". Se tutti diventassimo tossicodipendenti, la società collasserebbe. Chi pagherà le tasse allora? Chi combatterà i nemici stranieri?

Questo argomento diventa più importante in uno stato socialista, come Cuba, dove una frazione molto più grande dell'economia è basata sulla proprietà pubblica. Lì, a quanto risulta, gli equivalenti locali degli hippie sono stati radunati e mandati ai lavori forzati, per fare la loro giusta parte nella rivoluzione.

George Bernard Shaw, un socialista insolitamente lucido, ha espresso bene la questione ne "La guida della donna intelligente al socialismo e al capitalismo".

Ma Willie Il Nato Stanco potrà dire che odia il lavoro, ed è dispostissimo ad avere di meno, ed essere povero e sporco e ad indossare stracci o persino a stare nudo, pur di lavorare meno. Ma ciò, come abbiamo visto, non può essere permesso: la povertà volontaria è socialmente tanto inaccattabile quanto la povertà involontaria: le nazioni dignitose devono insistere che i loro cittadini conducano vite dignitose, facciano la loro parte del lavoro della nazione, e prendano l'intera quota dei guadagni... La povertà e l'irresponsabilità sociale saranno lussi vietati.

Il servizio sociale obbligatorio è una cosa così inconfutabilmente giusta che il primo dovere di un governo è far sì che tutti lavorino abbastanza in modo da guadagnarsi da vivere e da far avanzare qualcosa per il Paese e il miglioramento del mondo [dai capitolo 23 e 73].

Considerate, come esempio ulteriore, il movimento di "ritorno alla terra", rappresentato dalla rivista "Notizie di Madre Terra". Ideologicamente, esso è ostile alla società del consumismo, che considera sprecona e innaturale. Eppure le istituzioni di proprietà privata assistono quel movimento tanto quanto chiunque altro. Le "Notizie di Madre Terra" e il "Catalogo della Terra Intera" vengono stampati su carta acquistata sul mercato privato e venduti in librerie private, accanto ad altri libri e riviste che insegnano a fare soldi con gli investimenti o a vivere spendendo 100.000 dollari l'anno.

Dedicato a Luttazzi

Il programma di Luttazzi su La7, Decameron, è stato chiuso per aver offeso un potente, nonostante molte persone fossero interessate a ciò che Luttazzi aveva da dire. In altre parole, nonostante ci fosse un mercato per le idee di Luttazzi.

Domanda: perché su internet, e sulla carta stampata, si può dire qualunque cosa, e si può offendere chi si vuole, ma in televisione, pubblica o privata, questo non si può fare? Sentiamo cosa ne pensa il fisico ed economista David Friedman.

Quando si è sotto un'istituzione di proprietà pubblica, l'utilizzo delle cose è controllato dalle istituzioni politiche, e quella proprietà è usata per gli scopi delle istituzioni politiche. Poiché la funzione della politica è ridurre la diversità degli scopi degli individui per trasformarla in un insieme di "obiettivi comuni" (gli scopi delle maggioranze, del dittatore, del partito al potere, o di qualunque persona o gruppo che abbia il controllo effettivo delle istituzioni politiche), la proprietà pubblica impone all'individuo quegli "obiettivi comuni". In altre parole, non chiedetevi come potete raggiungere ciò che ritenete buono, ma come potete raggiungere ciò che il governo vi dice che è buono.

Consideriamo un caso particolare in cui è facile confrontare gli effetti della proprietà pubblica e privata. I mezzi di comunicazione stampati (quotidiani, riviste ecc.) sono prodotti interamente con proprietà privata. Compra carta e inchiostro, affitta delle rotative di stampa, e sei pronto a partire. Oppure compra una stampante Xerox. Puoi stampare tutto quello che vuoi senza chiedere il permesso ad alcun governo. A patto, ovviamente, che tu non abbia bisogno del servizio postale pubblico per recapitare ciò che stampi: il governo può usare, ed ha a volte usato, il suo controllo sul servizio postale come strumento di censura.

La faccenda è diversa per quanto riguarda i media che trasmettono in broadcast (radio e televisione). Le frequenze radio sono state proclamate proprietà pubblica. Radio e stazioni televisive possono operare solo se ricevono il permesso di usare quella proprietà dalla Commissione per le Comunicazioni Federali (FCC). Se la FCC decide che la stazione non opera "nell'interesse pubblico", ha il diritto legale di ritirare la licenza dell'emittente, o di rifiutarsi di rinnovarla. Le licenze di trasmissione valgono un sacco di soldi; la fortuna personale di Lyndon Johnson fu costruita su un impero delle trasmissioni il cui punto di forza era l'amicizia speciale tra la FCC e il leader di maggioranza al Senato.

I mezzi di comunicazione stampati richiedono solo la proprietà privata, mentre i mezzi di trasmissione in broadcast usano la proprietà pubblica. Qual è il risultato?

I media stampati sono profondamente variegati, diversificati. Qualunque punto di vista, non importa se politico, religioso o estetico, ha la sua piccola rivista o giornalino. Molte di queste pubblicazioni sono incredibilmente volgari ed offensive verso i punti di vista e la sensibilità della maggior parte degli americani. Per esempio, "Il realista", una rivista umoristica oscena, una volta ha stampato una vignetta intitolata "Una nazione unita sotto Dio", che mostrava Dio mentre sodomizzava lo Zio Sam. Il "Berkeley Barb" è un quotidiano con le pubblicità più pornografiche del mondo; e la pubblicazione "Black Panther" in una foto ha sovrapposto la testa di un maiale al cadavere assassinato di Robert Kennedy.

I media radiotelevisivi, invece, non possono permettersi di offendere. Chiunque possieda una licenza di Stato, del valore di molti milioni di dollari, deve stare molto attento. Nessuna stazione televisiva negli Stati Uniti trasmetterebbe le vignette di un'edizione a caso del "Realist". Nessuna radio leggerebbe la sezione pornografica del "barb". Come potresti persuadere l'onorata commissione dell'FCC che ciò sia nell'interesse pubblico? Dopo tutto la FCC, nel 1931, rifiutò di rinnovare la licenza del proprietario di un'emittente con queste motivazioni: "Trasmissioni volgari, se non del tutto indecenti. Sicuramente non divertenti. Questo non è intrattenimento."; "Sebbene noi non possiamo operare una censura, è nostro dovere vigilare affinché le licenze televisive non diventino semplici strumenti personali [do not afford mere personal organs], ed affinché venga mantenuto uno standard di raffinatezza adatto ai nostri giorni e alle moderne generazioni."

Il "Barb" non ha bisogno di essere nell'interesse pubblico: non appartiene al pubblico; la radio e la televisione sì. Il Barb deve interessare solo i suoi lettori.

La rivista "National Review", di William Buckley, stampa circa 100.000 copie. Viene acquistata da un americano su duemila. Se gli altri 1999 potenziali lettori pensano che sia razzista, fascista, papista, peggio per loro: viene pubblicata lo stesso.

La FCC ha recentemente deliberato che non si possono trasmettere canzoni che sembrano sostenere l'uso di droga. Questa è forse una violazione della libertà di parola? Certo che no. Puoi dire tutto ciò che vuoi, ma non sulle frequenze pubbliche.

Quando dico che non è una violazione della libertà di parola, sono del tutto serio. Non è possibile far usare a tutti le onde radio per lo scopo che preferiscono; semplicemente non ci sono abbastanza frequenze nell'etere. Se il governo possiede le frequenze, le deve per forza razionare; deve decidere cosa deve andare in onda e cosa no.

Lo stesso vale per carta e inchiostro. La parola può forse essere libera, ma la parola stampata non lo è: richiede l'uso di risorse scarse. Non c'è modo di far sì che chiunque pensi di avere qualcosa da scrivere possa farlo leggere a tutti i cittadini. Gli alberi terminerebbero prima di avere carta sufficiente per stampare cento milioni di copie del manifesto personale di ciascuno; il nostro tempo terminerebbe prima che potessimo leggere tutta la spazzatura prodotta in questo modo.

Ciononostante, noi abbiamo libertà di stampa. Le cose non si stampano gratis, ma si stampano se c'è qualcuno disposto a sostenere il costo. Se lo scrittore stesso è disposto a pagare, stampa i volantini e li distribuisce all'angolo della strada. Più spesso, è il lettore che paga, abbonandosi a una rivista o comprando un libro.

Sotto un regime di proprietà pubblica, i valori del pubblico, considerato come un tutto unico, vengono imposti sugli individui che richiedono l'uso di quella proprietà per ottenere i propri obiettivi. Sotto un regime di proprietà privata, ogni individuo può perseguire i propri obiettivi, a patto che se ne sobbarchi i costi. I media radiotelevisivi sono appiattiti; quelli stampati sono diversificati.

Si può risolvere il problema? Sì, in un modo molto semplice. Basta trasformare le onde d'aria in proprietà privata. Che il governo metta all'asta il diritto di trasmettere a una certa frequenza, e questo per ciascuna frequenza, finché tutta la banda di frequenze è posseduta da privati. Questo significherebbe forse che i ricchi controllano le onde d'aria? Non più di quanto la proprietà privata delle rotative significhi che si stampano solo giornali per ricchi. Il mercato non è un campo di battaglia, dove la persona che ha più soldi vince la battaglia e si prende tutta la torta; se così fosse, Detroit spenderebbe tutte le sue risorse per progettare Cadillac d'oro per miliardari.

(il discorso continua nel prossimo post)

Il brano è tratto dal libro di David Friedman "L'ingranaggio della libertà", capitolo 1.

sabato 8 dicembre 2007

C'è differenza morale tra azione ed omissione?

Vi presento un estratto del libro "Menti morali: le origini naturali del bene e del male", di Marc Hauser. Disponibile ad esempio su ibs.it. Il libro mette insieme filosofia, antropologia, evoluzione, scienze cognitive e neuroscienze, per indagare sulla natura dell'etica. Consiglio questa lettura a tutti i sostenitori del "diritto naturale".

Abbiamo già parlato di questo libro: Richard Dawkins gli ha dedicato una intera sezione del libro "L'illusione di Dio", sezione da me tradotta e leggibile qui.


La parola a Marc Hauser. Siamo nel prologo del libro.

___


Il nucleo di questo libro è un ripensamento radicale delle nostre idee sulla morale, basato sull'analogia con il linguaggio e supportato da una vera e propria esplosione di prove scientifiche recenti. I nostri istinti morali sono immuni ai comandamenti espliciti trasmessi dalle religioni e dalle autorità. A volte le nostre intuizioni morali convergono con quelle dettate dalla cultura, a volte ne divergono. Il tentativo di comprendere i nostri istinti morali ha una lunga storia.

[...]

Per mostrare i processi interni dei nostri istinti morali, consideriamo un esempio. Uno zio avido può guadagnare una somma considerevole se il suo giovane nipote muore. In una versione della storia, lo zio si dirige verso il bagno con l'intenzione di annegare il nipote nella vasca, e lo fa. In una seconda versione, lo zio si dirige verso il bagno con l'intenzione di annegare il nipote, ma lo trova che galleggia a faccia in giù nell'acqua: sta già annegando. Lo zio chiude la porta e lascia che il nipote anneghi. Entrambe le versioni della storia hanno lo stesso triste finale: il nipote muore. Lo zio è mosso dalla stessa intenzione, ma nella prima versione la attua direttamente, nella seconda no. Vi riterreste soddisfatti se una giuria dichiarasse lo zio colpevole nella prima storia, ma non nella seconda? In qualche modo questo giudizio suona falso, contrario alle nostre intuizioni morali. Lo zio sembra ugualmente responsabile per le sue azioni e per le sue omissioni, e per le loro conseguenze negative. Se questa intuizione vale per lo zio, perché non deve valere per qualsiasi conflitto morale che implichi una distinzione tra un'azione con conseguenze negative e un'omissione con le stesse connseguenze negative?

Consideriamo l'eutanasia e l'indirizzo politico dell'American Medical Association (Ama):

L'interruzione intenzionale della vita di un essere umano a opera di un altro essere umano --- eutanasia attiva --- è contraria a quello che la professsione medica rappresenta, ed è contraria ai principi dell'American Medical Association. La cessazione dell'utilizzo di mezzi straordinari per prolungare la vita corporea quando vi è una prova irrefutabile che la morte biologica è imminente, è una decisione che spetta al paziente e/o ai suoi parenti più·prossimi.

In pratica, è proibito per un medico mettere fine alla vita di un paziente, ma gli è permesso far cessare il supporto esterno alla vita. Le azioni vengono trattate in un modo, le omissioni in un altro. Questa distinzione chiaramente argomentata, sostenuta dalla maggior parte degli stati che adottano principi analoghi, concorda con le nostre intuizioni morali? Per quanto riguarda la mia intuizione, la risposta è «no».

Questi due casi portano alla luce tre questioni: le politiche giuridiche spesso ignorano o mettono in ombra distinzioni psicologiche essenziali, come le nostre difficoltà intrinseche a trattare le azioni in un modo e le omissioni in un altro; quando le distinzioni vengono chiarite, spesso confliggono con le nostre intuizioni morali; quando le linee di condotta ufficiali e le intuizioni entrano in conflitto, le linee di condotta incontrano difficoltà. Uno dei segreti meglio custoditi dalla comunità medica è il fatto che l'eutanasia attiva negli Stati Uniti e in Europa è cresciuta forrtemente negli ultimi dieci anni, anche se i principi ufficialmente adottati non sono cambiati. I dottori seguono le loro intuizioni contro le linee guida e il rischio di essere accusati di negligenza professionale.

giovedì 6 dicembre 2007

Sam Harris contro il relativismo


Traduco il recente discorso di Sam Harris in occasione dell'evento "Beyond Belief 2007" (un meeting di scienziati per discutere di religione). Clicca qui per l'audiovideo in inglese dell'ultima giornata.


Alcuni degli argomenti toccati da Harris sono: perché scienza e religione sono in conflitto; perché è sbagliato dire che la scienza non ha nulla da dire sulla morale; perché è sbagliato dire che la religione ha qualcosa da dire sulla morale; perché il relativismo non è l'unica alternativa alla legge di Dio; perché chi sostiene che la religione è necessaria e durerà per sempre potrebbe avere torto.

La parola a Sam Harris.


Dov'è il conflitto tra religione e scienza?

[...]

La scienza chiaramente non implica che ci si debba identificare come atei. Ma la scienza implica che si dovrebbe essere scettici di fronte ad affermazioni su miracoli non supportate da evidenza. E sull'origine divina di certi libri. L'ateismo, ad un'analisi profonda, si riduce a questo. Ateismo è il non essere convinto dalle affermazioni di altre persone sui miracoli; ed è la convinzione che anche loro non dovrebbero essere convinte.

C'è un conflitto tra credenze giustificate e non giustificate? E' proprio qui che è evidente che tra religione e scienza c'è un gioco a somma zero. Infatti, sia la religione sia la scienza sono modi di maturare credenze. Sono sistemi di credenze e di giustificazione di credenze (o mancanza di giustificazione). E sfortunatamente sono sistemi che richiedono standard di evidenza molto diversi, e livelli di auto-critica molto diversi. Quindi ogni confronto tra religione e scienza è destinato a mettere in luce un conflitto.

Un altro motivo per cui un conflitto tra scienza e religione è inevitabile è che non è possibile districare le affermazioni di verità religiose da quelle scientifiche. Ad esempio, la credenza che Gesù è nato da una vergine è una delle dottrine chiave del cristianesimo, ma è anche un'affermazione di biologia. La credenza che egli ritornerà volando sulla terra a un certo punto, per giudicare il mondo, implica una quantità di affermazioni sulla storia, sulla sopravvivenza umana alla morte, e sulla meccanica del volo umano senza l'aiuto della tecnologia. C'è necessariamente conflitto tra scienza e religione in questi casi.

Persone come Deirdre McCloskey hanno sostenuto che la critica atea alla religione si concentra sempre sulle versioni della fede più ingenue, marginali e letterali, e che è disponibile una fede molto più sofisticata che non è toccata da queste critiche. Questo non è vero. La critica si applica esattamente allo stesso modo a un credente sofisticato come Francis Collins. Anzi, di più. Perché lui dovrebbe saperla più lunga. Dovrebbe sapere che, se una cascata ghiacciata può testimoniare la divinità di Gesù, allora ogni cosa può testimoniare ogni cosa.

Ora, qualunque sia l'argomento in discussione, fatto sta che ci sono buone ragioni per credere una cosa, e cattive ragioni. E il problema è che la religione ha trasformato il ragionamento cattivo in una forma d'arte. E se c'è qualcosa che vale la pena di discutere nell'esperienza di un Budda o un Gesù (ed io credo di sì; credo sia possibile avere un'esperienza rara e meravigliosa e capace di trasformarti, e possiamo chiamare tutto questo spiritualità o misticismo), ciò dovrebbe essere suscettibile di indagine razionale. E possiamo sottoporre i mistici e i contemplativi ad [indagini scientifiche con] standard superiori di rigore e di coerenza logica. Eppure c'è un mito che dice che questo non è possibile.

Sam Harris contro il relativismo

Molti credenti, come sapete, si sono rifugiati nella formulazione di Stephen J. Gould secondo cui scienza e religione sono "magisteri non sovrapposti". Cioè l'idea che scienza e religione non possono essere in conflitto perché rappresentano diversi domini di conoscere. Bene, vediamo come funziona quest'idea. La scienza rappresenta la migliore autorità sul funzionamento dell'universo fisico, e la religione rappresenta la migliore autorità su... su che cosa? Forse sull'universo "nonfisico"? Probabilmente no. Forse sul significato, sui valori, sull'etica, sulla vita retta? Ed abbiamo qui un altro mito: l'idea che la razionalità scientifica non abbia nessuna prescrizione da fare sulla moralità e la felicità umana, sul benessere degli uomini. Ci raccontano che la scienza ci aiuta a dire a cosa diamo valore, ma non può dirci a che cosa dovremmo dare valore. Molti di noi credono che possiamo scannerizzare il cervello di una persona mentre costui effettua dei giudizi morali, [e possiamo dire quali giudizi morali sta facendo], ma non saremo mai nella posizione di dire che giudizi avrebbe dovuto fare. Cioè quali giudizi sono eticamente normativi. Ebbene, questo è un mito, ed abbiamo esportato questa mitologia nel mondo. E adesso la maggior parte della gente crede che l'unica alternativa alla legge di Dio sia il relativismo morale. E come risultato la maggior parte della gente, persino degli scienziati e dei laici, ha ceduto il monopolio delle discussioni sui valori e sulla moralità ai teologi e ai difensori della religione, più o meno senza fiatare. E questo è ciò che ha mantenuto la religione in una condizione così forte, anche se la sua autorevolezza è svanita in ogni altra questione significativa. Ebbene, sono convinto che questo sia stato un enorme errore, sia intellettualmente, sia politicamente, sia moralmente, e persino spiritualmente. Una volta che comprenderemo la felicità umana, una volta che comprenderemo che la moralità è inseparabile dalla felicità di esseri senzienti come noi, allora vedremo che essa sarà suscettibile di discussione empirica e razionale. Voglio dire: esistono dei fatti oggettivi da conoscere sulle cause della felicità umana? Certamente devono esistere. Non è troppo presto per dire che l'amore è in genere migliore dell'odio, e che la compassione è in genere migliore della crudeltà [come fondamento di una società]. Potrebbe passare molto tempo prima che comprendiamo del tutto la base del più profondo benessere psicologico, in termini di geni, di strutture sociali, di sistemi economici, eccetera, ma non è troppo presto per dire che una cosa come il delitto d'onore non può certo giocare un ruolo di primo piano. Notate che questo ci rende realisti morali, realisti "funzionali". E non è necessario che esista una risposta strettamente corretta per ogni domanda morale, affinché noi possiamo essere realisti morali. Voglio dire, la differenza tra giusto e sbagliato può davvero essere come la differenza tra il cibo e il veleno. Non esiste un solo cibo giusto. Non esiste il cibo migliore di tutti. Ma questo non elimina ogni distinzione tra il cibo e il non-cibo. E' del tutto possibile che, alla fine della discussione, tra 10.000 anni, avremo una "banda" del moralmente appropriato [...]

Ora molti scienziati, e molti di voi in questa stanza, diranno che la scienza non ha ancora molto da dire sul come massimizzare nel modo migliore la felicità umana. Ed è vero. Ma quale competenza speciale ha un rabbino, o un imam, o un prete, sull'argomento? Che competenza speciale ha un esperto religioso per dire se la ricerca sulle cellule staminali embrionali è morale, o se impedire una guerra è morale, o quale pianificazione familiare è morale? Credo che la risposta sia "nessuna competenza". La verità è che comprendere la tradizione delle Scritture non è più rilevante per le domande etiche di quanto lo sia in una domanda di astronomia. I vari rappresentanti delle comunità religiose possono dirci cosa le loro congregazioni credono su una larga varietà di argomenti (e credono quasi invariabilmente con cattiva evidenza); possono dirci cosa i loro libri sacri dicono che noi dovremmo credere, per sfuggire ai fuochi dell'inferno; ma ciò che non possono fare meglio di un panettiere o un macellaio o un fabbro è dire perché queste ingiunzioni siano etiche. E' etico uccidere una persona perché ha cambiato religione? Io scommetterei la vita che la risposta a questa domanda è "no". Cioè, scommetterei la vita che uccidere le persone per apostasia è una cattiva strategia per massimizzare il benessere umano. Ma, se consideriamo i musulmani inglesi da 16 a 24 anni, si dà il caso che il 36% di essi non sia d'accordo con me. Pensano che le persone debbano essere uccise per aver lasciato la loro fede. E questi sono musulmani inglesi. E si dà il caso che ci siano solide basi teologiche per pensarla come loro. Il Corano non dice esplicitamente che gli apostati devono essere uccisi, ma l'Hadith lo fa. La letteratura sacra degli Hadith lo dice ripetutamente. E' etica questa regola? E' compatibile con una società civile? L'atto di decidere affidandosi a un'autorità superiore, che ha portato fino a noi questa barbarie generazione per generazione, è forse lontanamente compatibile con la scienza?

Ora, cosa possiamo dire su questo come scienziati? E' forse troppo presto per dire che uccidere persone per aver cambiato religione è sbagliato? E' forse troppo presto per dire che è una pessima strategia per massimizzare la felicità umana? Io credo di no. Dire questo significa ammettere che alcuni sistemi di credenze sono peggiori di altri, con qualunque criterio li giudichiamo. Alcune visioni del mondo sono pessime, e non è antiscientifico dire questo. Anzi, è antiscientifico non dirlo. [...]


La peculiarità della religione

Il problema della religione è che è l'unica modalità di pensiero che rende le persone incapaci di avere una vera conversazione. Perché è l'unica modalità di pensiero che dà un valore positivo al non essere disposti a considerare nuova evidenza e nuove argomentazioni. E questa chiusura è chiamata eufemisticamente "fede", e viene generalmente considerata non criticabile, anche da scienziati atei che non la condividono.

Sulla libertà religiosa

Voglio essere chiaro: non sto sostenendo nuove leggi. Non sto dicendo che dovremmo violare la libertà religiosa delle persone. Sto sostenendo di adottare nuove regole di conversazione. Non c'è nessuna legge contro il credere che Elvis Presley è ancora vivo. Ma allora come abbiamo potuto evitare che questa credenza invadesse i nostri dipartimenti scientifici? Il principio che ci ha protetti è in effetti molto semplice. Chiunque dica seriamente che Elvis sia ancora vivo, ad esempio in una conferenza, o in un colloquio di lavoro, paga immediatamente un prezzo in termini di risate. C'è un meccanismo sociale per cui coloro che sostengono di essere certi di cose di cui chiaramente non possono essere certi non riescono a raggiungere i loro obiettivi nella vita. (Tranne quando queste certezze riguardano la religione.) A queste persone non si chiede di amministrare le nostre corporazioni più grandi. Non vengono invitate alle conferenze. I loro biglietti da visita vengono gettati con discrezione nell'immondizia. Notate che non dobbiamo approvare alcuna legge contro le cattive idee, perché questo meccanismo funzioni in modo affidabile. Dobbiamo solo essere liberi di criticare le cattive idee. E siamo in effetti liberi di farlo, solo che non ci stiamo avvalendo di questa libertà per quanto riguarda la religione. E perché? Perché siamo stati intimiditi e silenziati. Abbiamo imparato ad essere terrorizzati dall'irrazionalità e suscettibilità dei nostri vicini. Abbiamo imparato ad avere paura della loro sofferenza --- che è una cosa ben diversa dal sentire compassione per loro. Abbiamo imparato a temere che l'unico rimedio per la loro sofferenza sia la falsa consolazione di idee false. [Ricordate che in questo contesto "falso" significa "non c'è ragione di pensare che sia vero", NdM].

I paternalisti potrebbero sbagliarsi

Ho ricevuto decine di migliaia di email che dicono che i nostri vicini religiosi hanno anche loro dei dubbi. E non sono per niente contenti dalla sensazione di avere torto, della sensazione di stare ingannando se stessi. Non sono per nulla contenti del fatto che le loro credenze non trovino riscontro nella realtà. [Però hanno bisogno della religione.] E questo modo di pensare mi sembra profondamente condiscendente, paternalistico, e di brevi vedute. E' il discorso dell'accademico laico che dice "noi non abbiamo bisogno della religione, ma tutti gli altri sì. E sarà così per sempre.". Questo viene detto spesso, ed è stato detto anche in questo incontro. E ci viene continuamente ricordato che ogni cultura ha avuto la sua religione; che ogni cultura che conosciamo si è organizzata intorno a superstizione religiosa e a certezze infondate. E quindi, secondo queste persone, è ingenuo pensare che ci libereremo mai di questo fenomeno. Ebbene, la stessa cosa si sarebbe potuta dire della stregoneria. Ogni cultura ha creduto nelle streghe, ha temuto le streghe, ha punito le streghe, o si è affidata ai consigli delle streghe. Quindi è semplicemente folle pensare ci libereremo mai della stregoneria. Dobbiamo invece imparare a convivere con le streghe e gli stregoni. Dobbiamo accondiscendere con le loro certezze sul malocchio nei discorsi pubblici. Immaginate quanto fatuo, quanto imbarazzante e pericoloso sarebbe stato incamminarsi per questa strada, nei confronti della stregoneria. Ma ci siamo incamminati davvero per questa strada, nei confronti della religione. Grazie mille.

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Finito il discorso, cominciano le domande degli altri scienziati presenti. Salto un paio di domande che chiedono chiarimenti su cosa davvero Harris intende per felicità, se può dimostrare che la felicità è bene, eccetera.

Una domanda chiede:

Mr Harris, Lei ha sostenuto che dovremmo evitare la parola ateismo perché è fuorviante e dannosa. Forse, nello stesso modo, dovremmo evitare anche la parola religione? Lei stesso salta spesso tra vari significati del termine, il che produce spesso delle ambiguità. Allora perché non diciamo che il problema sono le credenze false, e non la religione di per sé? Potrebbe eliminare un po' della tensione.


Risposta di Harris:

Il problema non sono solo le credenze false. Il problema è il dogma. E' il non avere un meccanismo per giudicare la verità o falsità delle tue credenze, e il non avere l'inclinazione a farlo. In altre parole, il problema è la morale della storia del dubbio di Tommaso. E' l'idea che sia in qualche modo nobile avere forti convinzioni senza avere forte evidenza, o contro l'evidenza. Il problema è il mantenere ostinatamente credenze false nonostante l'evidenza contraria, in modo arrogante e untuoso. E si dà il caso che la religione sia l'unico gioco linguistico in cui questo comportamento viene praticato senza conseguenze. Ed è protetto dall'interno dal dogmatismo religioso, cioè dal non essere disposti a parlare in modo razionale delle proprie credenze. Ed è protetto anche dall'esterno, da chi non è religioso ma esita a criticare la religione perché è religione.

Il termine religione è in effetti fuorviante anche per un altro motivo: perché lo usiamo per denotare una classe di preoccupazioni umane, proprio come la parola sport. Voglio dire, alcuni sport sono pericolosi e altri no. La thai-boxe e il bowling sono entrambi sport. In uno può morire qualcuno, e nell'altro non devi neppure essere in forma per giocare. Allora cos'hanno in comune, oltre al respirare? Non lo so. [..] Ma il motivo per cui bisogna usare la parola religione è che la religione gode di una protezione maggiore di ogni altra forma di pensiero. Ad esempio, guardate la differenza tra cosa accade a James Watson [uno degli scopritori del DNA, NdM] quando parla senza buona evidenza della razza, e quello che NON succede a Francis Collins quando scrive una giustificazione del cristianesimo evangelico che è difficile definire sana di mente. Ha ricevuto buone recensioni in Nature. Due volte. Il suo pensiero è in realtà più offensivo, per me come persona razionale, di quello di Watson. E non sto difendendo Watson. Ma almeno Watson aveva un punto di contatto con la teoria evoluzionistica. E potrebbe essere accusato, e sarà probabilmente accusato, solo di essere anti-etico perché ha un interesse personale in quei dati, o perché ha deformato i dati. Invece Collins ha effettuato un ripudio totale degli stardard scientifici. Ma poiché è stato un ripudio religioso, egli è stato glorificato, in Nature e altrove. Vi invito a leggere le recensioni e a leggere il suo libro.

La domanda successiva chiede ad Harris qual è la prossima mossa da fare, visto che la ragione "non sta funzionando". Harris risponde:
Neppure io sono ottimista, ma che scelta abbiamo? L'unica scelta è tra la conversazione e la violenza. Se qualcuno conosce una terza alternativa, è pregato di mostrarla. Secondo me non possiamo fare altro che continuare a diffondere queste idee nelle nostre conversazioni. Ed il problema del dogmatismo è proprio che è qualcosa che blocca la conversazione. L'unica cosa che garantisce che una conversazione sia davvero aperta a diversi esiti è la volontà di rivedere le proprie convinzioni di fronte a nuova evidenza. Ed è solo nella religione che lo spirito opposto viene celebrato. Celebrato anche da laici che non condividono quelle credenze, ma che credono che tutti debbano indulgere per tirare avanti. [..] Un'altra cosa che possiamo fare è fare rumore, e finanziare il dissenso. Ad esempio, il dissenso nel mondo musulmano. Questo è un progetto discretamente promettente. [Harris si impegna attivamente per proteggere Ayaan Hirsi Ali. Vedi qui e qui. NdM]


Nella penultima domanda, che tralascio, Harris polemizza con Scott Atran e lo sfida ad un dibattito pubblico sull'Islam. :)

Consiglio a tutti il discorso di Dennett, nella prima giornata, che tradurrò appena posso.

giovedì 29 novembre 2007

Quiz. Cosa Dio non può vedere e noi sì?

Vi propongo un quiz "teologico" di pensiero laterale.

Un teologo, dopo aver tenuto un lungo corso di lezioni al suo giovane apprendista, era davvero insoddisfatto. Per provare l'ignoranza dell'allievo, gli chiese di fargli una domanda alla quale nemmeno il saggio stesso avrebbe saputo rispondere. Il giovane, tanto astuto quanto desideroso di dimostrare le sue conoscenze teologiche, chiese: "qual è quella cosa che io posso vedere, che tu puoi vedere, ma che Dio non può vedere?". Il maestro rimase senza parole, credendo di essere preso in giro. Sorrise con sufficienza e chiese all'allievo la risposta, per umiliarlo con la sua saggezza. Ma quando l'allievo diede la sua risposta il maestro impallidì e convenne che lo studente aveva ragione e meritava il suo rispetto. Qual era la risposta?

Suggerimento: la risposta funziona con il cristianesimo, ma non solo.


(tratto da "enigmi di pensiero laterale", di Paul Sloane)

Voglio proprio vedere se qualcuno lo risolve. Io non ce l'ho fatta. E' difficile, ma onesto. :)

martedì 27 novembre 2007

Harris: l'ateismo non è una visione del mondo


E' frequente che un ateo venga accusato di "fondamentalismo" o "dogmatismo", specie da persone che chiamano se stesse "liberali". Il "fondamentalismo" sarebbe nel credere che la propria visione del mondo sia l'unica corretta, e il "dogmatismo" sarebbe nel credere che la ragione basata sull'evidenza sia l'unica strada per giungere alla verità.

Traduco a tal proposito parte del dibattito tra Sam Harris e Oliver McTernan. Clicca qui per l'audio del dibattito, in inglese, e qui per un post correlato, sempre di Sam Harris.

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Come prima domanda, McTernan assimila la posizione di Harris a quella dei fondamentalisti religiosi, accusandolo garbatamente di "fondamentalismo laico". Harris risponde:

Questa idea che possa esistere un fondamentalismo laico, o che la ragione possa essere dogmatica... questa è, io credo, una mistificazione, un artificio linguistico, da cui non dobbiamo farci ingannare. Non so dirvi quante volte ho sentito dire che l'ateismo è una fede, o che la scienza è una religione. Questi sono solo stratagemmi furbi per rovesciare la questione contro la persona che sta domandando l'evidenza, le prove, che sta chiedendo buone ragioni per credere una certa cosa.

Voglio farvi notare che questa argomentazione non soddisferebbe nessuno, se l'argomento fosse l'esistenza di zeus, per esempio. Non sei fondamentalista se rifiuti Zeus in modo deciso. Tutto quello che viene detto su Zeus è chiaramente il prodotto dell'immaginazione umana -- e attenzione, ricevo per davvero missive di insulti da persone che credono in Zeus e in Poseidone. [il pubblico ride]

Insomma, con poche eccezioni, tutti noi abbiamo compreso che la metamorfosi di Ovidio, e l'Iliade, non sono veri. Le consideriamo letteratura, e vengono insegnate come letteratura. Nei miei due libri, ma specialmente ne La Fine Della Fede, chiedo al lettore di immaginare quanto sarebbe strano il mondo se la nostra politica pubblica fosse influenzata da persone che pensano che la metamorfosi di Ovidio sia stata dettata dal creatore dell'universo, e che noi, prima di decidere cosa la ricerca medica debba fare, dobbiamo chiederci se è compatibile con qualcosa che è stato scritto da Ovidio. Immaginate di vivere in un mondo in cui la comunità umana si fosse divisa in fazioni separate, basate su interpretazioni rivali dell'iliade e dell'odissea, o dei drammi di Shakespeare. Immaginate che le fazioni abbiano giurato fedeltà morale a certi prodotti di letteratura antichissima, generazione dopo generazione, tracciando uno spartiacque netto tra le comunità umane. Credo che questo sarebbe un mondo così strano che sarebbe davvero impossibile da immaginare, e che non permetteremmo mai che succeda una cosa simile... tranne il fatto che viviamo esattamente in un mondo di questo genere, grazie alla religione, che vede la Bibbia e il Corano esattamente nello stesso modo in cui noialtri vediamo Iliade e Odissea.

A questo punto McTernan obietta:

Sam, quando osservi il mondo oggi noti che ci sono visioni del mondo concorrenti. A volte si sovrappongono, a volte tangenziali. Quando uso la parola "fondamentalismo laico", direi che è simile al fondamentalismo religioso, che dice che c'è una sola visione del mondo, che esclude qualunque possibilità che un'altra visione sia corretta. E quindi temo che, se cominci da qui, non lasci spazio per uno scambio onesto. Perché hai escluso l'integrità intellettuale, spirituale, la credenza, di qualcun altro.

Ribatte Harris:

Ma quella che io sto esponendo non è una visione del mondo. Sto semplicemente esprimendo riluttanza ad accettare che le persone fingano di essere sicure di cose di cui chiaramente non possono essere sicure. Non sto sostenendo una ideologia, un sistema di credenze, che deve essere accettato. Sto dicendo soltanto che dovremmo usare lo stesso criterio che usiamo in tutte le altre aree della nostra vita anche per giudicare la ragionevolezza di affermazioni come quelle su Dio, l'aldilà, e la natura divina di certi libri. Ad esempio, se uno viene qui e dice di essere sicuro che Elvis sia ancora vivo, ed ha un santino di Elvis in camera da letto, ed investe un'enorme quantità di energia nel culto di Elvis, sappiamo tutti che la sua convinzione è fondamentalmente incompatibile con lo stato dell'evidenza. Quindi quella che io sto descrivendo non è una visione del mondo. Dico solo che, se ci sono convinzioni forti ed evidenza debole, qualcosa non va. [il pubblico ride]. Però, se l'argomento si sposta su Dio, dev'essere per forza il dio biblico, o il dio del corano; non può essere il cancello spaziale del paradiso col messia che torna dentro un'astronave.

[...]

Io sono molto interessato alle esperienze spirituali. Se un cristiano entra in una caverna e prega Gesù per 18 ore al giorno, e torna dopo un anno dicendo che la sua mente è stata trasformata, io sono molto interessato a sapere di più di questa trasformazione, e non dubito che queste trasformazioni siano possibili. Anzi saresti sciocco a dubitarne. E' ovvio che accadono. C'è una vera fenomenologia in cui le persone, focalizzando l'attenzione su concetti nuovi, possono trasformare radicalmente la propria esperienza del mondo. Io credo, ad esempio, che uno probabilmente potrebbe diventare molto simile a Gesù, e amare il suo prossimo come se stesso, eccetera. [...] Ma la domanda è: cosa è ragionevole credere sulla base di quell'esperienza? Se io passo un anno nella caverna pensando a Gesù, ed ho persino delle visioni di Gesù, e sento la mia vita trasformata, cosa sarebbe ragionevole concludere da tutto ciò? Anche gli induisti hanno esperienze spirituali in caverne, quando pregano Krishna, e hanno la stessa devozione e trasporto, ed altri fenomeni esoterici entrano nella loro mente. Quindi abbiamo quantomeno dei nuovi dati. Il fatto che anche gli induisti facciano la stessa cosa senza pensare minimamente a Gesù dimostra che la divinità di Gesù e la rivelazione unica della Bibbia non sono la migliore interpretazione dei dati. E' un fatto oggettivo che il sistema nervoso umano (e non sto pretendendo di conoscere la relazione tra coscienza e cervello: chi sa qual è questa relazione)... ma noi, considerati come sistema, non importa come siamo relazionati con l'universo, siamo soggetti ad esperienze di questo genere. Quindi quello che respingo, e credo di poter respingere categoricamente, è l'affermazione che uno qualunque di questi libri sacri meriti l'attenzione che oggi riceve; e l'affermazione che sia legittimo organizzare un'intera tradizione attorno a questi prodotti accidentali dell'età del ferro. [il pubblico ride]

martedì 20 novembre 2007

Quiz. Gli extracomunitari ci stanno "fregando"?

Una donna ucraina si separa dalla famiglia e viene in Italia. Trova lavoro come badante o colf. Divide il suo stipendio, già misero, in due parti: una parte che spende per sé, in Italia, per sopravvivere, ed una parte che spedisce ai suoi parenti, in Ucraina. Poiché la vita in Ucraina costa meno, con quei soldi i suoi parenti potranno comprare più di quanto comprerebbero in Italia. In questo modo, seppur con grandi sacrifici, tutta la famiglia riesce a sopravvivere. Le badanti ucraine, al prezzo di separarsi dai propri cari, riescono a fare prezzi più bassi di quelli che una badante italiana potrebbe mai fare. E lo stesso discorso vale, ad esempio, per un operaio rumeno che lavora in italia.

A un certo punto la badante italiana, o l'operaio italiano, che hanno perso il lavoro, denunciano la "concorrenza sleale"! Lo straniero non ha tolto lavoro soltanto a me, dicono, ma anche a tutti voi, perché sta spendendo all'estero parte dei soldi che guadagna qui. Con i suoi soldi, i suoi parenti comprano il pane in Ucraina anziché in Italia. Compreranno le scarpe in Ucraina anziché in Italia. Pagheranno medici ucraini anziché italiani. Lo straniero non ha tolto lavoro solo a me, ma a tutti.

Non è vero. Spendere all'estero i soldi guadagnati in Italia non diminuisce i posti di lavoro in Italia. Quando la badante ucraina manda soldi all'estero, è come se li spendesse qui. Riuscite a vedere perché? La risposta è nei commenti.

lunedì 19 novembre 2007

Sogno nel cassetto


Ve lo confesso, ho un sogno.

Nel sogno, sono tra i testimoni ad un matrimonio religioso. Il sacerdote mi chiede di di leggere un brano a piacere dalla Bibbia. Io vado sul podio e, con le lacrime agli occhi, leggo questo qui:
Parola del Signore, dal Deuteronomio 13.

"Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio, e il segno e il prodigio annunciato succeda, ed egli ti dica: seguiamo dèi stranieri. ... Quel profeta o quel sognatore dovrà essere messo a morte, perché ha proposto l'apostasia dal Signore, ..., per trascinarti fuori della via per la quale il Signore tuo Dio ti ha ordinato di camminare. Così estirperai il male da te.

Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto o l'amico che è come te stesso, t'istighi in segreto, dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, ...divinità dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani da una estremità all'altra della terra, tu non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa. Anzi devi ucciderlo: la tua mano sia la prima contro di lui per metterlo a morte; poi la mano di tutto il popolo; lapidalo e muoia, perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile.

[..]

Qualora tu senta dire di una delle tue città che il Signore tuo Dio ti dà per abitare che uomini iniqui sono usciti in mezzo a te e hanno sedotto gli abitanti della loro città dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, che voi non avete mai conosciuti, tu farai le indagini, investigherai, interrogherai con cura; se troverai che la cosa è vera, che il fatto sussiste e che un tale abominio è stato realmente commesso in mezzo a te, allora dovrai passare a fil di spada gli abitanti di quella città, la voterai allo sterminio, con quanto contiene, e passerai a fil di spada anche il suo bestiame."

[..]
E poi, con la bava alla bocca e un'evidente erezione, concluderei:
"Fai attenzione a mettere in pratica tutto ciò che ti comando; non vi aggiungerai nulla e nulla ne toglierai.

PAROLA DEL SIGNORE .

venerdì 16 novembre 2007

Fortuna morale

Tratto dal blog di David Friedman.

Due persone sparano con l'intenzione di uccidere qualcuno. La prima ci riesce ed è condannata per omicidio. La seconda sbaglia ed è condannata per tentato omicidio (che è un crimine meno grave). A parte le distinzioni legali, la maggior parte di noi percepiscono il primo individuo come moralmente macchiato dalla sua azione -- una macchia a cui l'altro sfugge per pura fortuna. Perché la differenza? Avere una cattiva mira non è una virtù morale.

Come secondo esempio, considerate due guidatori ubriachi, uno dei quali investe e uccide un bambino, l'altro lo manca di poco. Di nuovo, sia per la legge sia per la morale individuale, il primo è peggiore del secondo. [..] Perché?
Come rispondere?

(Non è un quiz. Non sono sicuro della risposta). Poi Friedman in post successivi ha cercato di rispondere.

martedì 13 novembre 2007

Robinson sull'isola deserta. Meglio il capitalismo o la decisione centrale?

Con l'aiuto degli economisti H. Hazlitt e T. Sowell, cerco di illustrare la vera funzione del sistema dei prezzi e della logica del profitto.

Nell'episodio precedente abbiamo visto che, quando la domanda di un prodotto aumenta, la sua produzione aumenta ma aumenta anche il prezzo. Se lo stato cerca di limitare il prezzo, invece, la produzione crolla.

A questo punto qualcuno potrebbe convincersi che il capitalismo sia fondamentalmente "bacato". Il ragionamento potrebbe essere:
Se limito il prezzo per legge, la produzione non soddisfa la domanda. Se invece non limito il prezzo, la produzione soddisfa la domanda, ma i poveri non potranno permettersi di comprare. In entrambi i casi, ci sarà qualcuno che non potrà avere quel prodotto. Qualcuno che resta a bocca asciutta. Quindi il capitalismo è intrinsecamente incapace di soddisfare appieno i bisogni delle persone.

Quindi serve un nuovo sistema, un sistema in cui la produzione possa aumentare senza far aumentare i prezzi.

Il mondo ha bisogno di più beni, e i produttori, che regolano la produzione in base al profitto, non producono abbastanza da soddisfare le esigenze delle persone. Arrestano la produzione prima. Non sfuttano appieno le potenzialità produttive della moderna tecnologia. Bisogna quindi abbandonare il capitalismo, e scegliere un sistema in cui si produca in base alle necessità reali delle persone.

Questo ragionamento è sbagliato e dimostra l'ignoranza della vera funzione dei prezzi e dei profitti nella società. L'economista Henry Hazlitt usa una brillante metafora:

L'errore centrale deriva dal guardare solo ad una industria, o solo a un certo insieme di industrie, come se ognuna esistesse in isolamento dalle altre. Invece ognuna di esse esiste in relazione alle altre. [..]

Possiamo capire meglio la cosa se comprendiamo il problema di base che le imprese, complessivamente, devono risolvere. Per semplificare il più possibile, consideriamo il problema che Robinson Crusoe si troverà a fronteggiare su un'isola deserta. I suoi desideri sulle prime sembreranno non finire mai. E' zuppo di pioggia; ha i brividi per il freddo; soffre la fame e la sete. Ha bisogno di tutto: acqua da bere, cibo, un tetto sulla testa, protezione dagli animali, un fuoco, un posto morbido per dormire. E' impossibile per lui soddisfare tutti questi bisogni allo stesso tempo; non ne ha il tempo, le energie e le risorse. Deve soddisfare immediatamente i bisogni più pressanti. La cosa più urgente è, diciamo, la sete. Scava una buca nella sabbia per raccogliere l'acqua piovana, o costruisce un rozzo contenitore. Quando si è procurato anche una minima riserva d'acqua, però, deve cominciare a cercare del cibo, prima che possa pensare di migliorarla. Può cercare di pescare; ma per farlo gli servono uncino e bastone, oppure una rete, e deve cominciare a lavorare su queste. Ma tutto ciò che fa rallenta o impedisce di fare qualcos'altro che è solo un po' meno urgente. Ha continuamente davanti a sé il problema delle applicazioni alternative del suo tempo e fatica.

Immaginiamo ora che sull'isola ci sia tutta la famiglia Robinson. Il problema sarà più semplice per loro. Ci sono più bocche da sfamare, ma anche più braccia per lavorare. Possono praticare la divisione del lavoro. Il padre va a caccia; la madre prepara il cibo; i bambini raccolgono legna. Ma anche questa famiglia non si può permettere che un membro faccia sempre la stessa cosa, indipendentemente dall'urgenza relativa tra il bisogno comune che egli soddisfa e i bisogni ancora insoddisfatti. [..] Anche la famiglia ha il problema di scegliere tra applicazioni alternative del lavoro e, se è abbastanza fortunata da ottenere armi, canna da pesca, una barca, un'ascia, una sega e così via, di scegliere tra applicazioni alternative del lavoro e del capitale. Sembrerebbe incredibilmente stupido se colui che si occupa di raccogliere la legna dicesse che si potrebbe raccogliere più legna se suo fratello lo aiutasse tutto il giorno, anziché pescare il pesce che la famiglia mangia a cena. In questo caso è evidente che un'occupazione si può espandere solo alle spese di altre occupazioni.

( E ovviamente il discorso non cambia se le persone sull'isola, anziché cinque, sono cento milioni. )

Insomma, l'errore nel ragionamento consiste nel non capire che la produzione in un settore può aumentare solo alle spese di altri settori. Questo discende immediatamente dal fatto che la quantità di terra, materiale e forza lavoro disponibile sul nostro pianeta è limitata. Quindi, se fai espandere un'industria, necessariamente stai sottraendo risorse a qualche altra industria o settore, che per forza di cose si dovranno ridurre (in termini assoluti o relativi).

Ma chi decide quali settori dovranno ridursi, per aumentare la produzione del prodotto X? Risposta: il sistema dei prezzi e del profitto. Il maggiore prezzo del prodotto X costringe i cittadini ad economizzare in qualche altro settore. Li costringe a diminuire le spese per altre cose. Così facendo, i cittadini stanno automaticamente decidendo quale settore si dovrà ridurre, per fare spazio al nuovo. I cittadini stanno di fatto votando con i loro soldi. Stanno decidendo qual è il rapporto di grandezza più efficiente tra le varie industrie. Stanno decidendo quali beni sono più importanti e necessari di altri.

Quindi la logica del profitto, per cui i produttori aumentano la produzione ma allo stesso tempo aumentano anche i prezzi, ha una funzione sociale: è il meccanismo in cui i cittadini decidono quale produzione si deve ridurre, in cambio dell'aumento della produzione di qualcos'altro.

Non che sia un sistema perfetto: dopo tutto, in questo modo, chi ha meno soldi "vota di meno". Ma qual è l'alternativa?

Storicamente alcuni Stati hanno cercato di sostituirsi al sistema dei prezzi: hanno cercato di far decidere a dei burocrati quali settori devono ridursi, e dove invece vanno destinate più risorse. Cioè, al mercato si è cercato di sostituire la decisione centralizzata, il diktat dall'alto. E il risultato di questi tentativi è stato così tragico, ed ha causato così tanta miseria, che per me è doloroso parlarne. Nell'unione sovietica, mentre molte persone morivano di fame (a causa del crollo della produttività), in molte città c'erano depositi pieni di grano che restavano a marcire. Il motivo è che un burocrate non aveva ancora deciso dove dovessero essere destinati. In India, quando nacquero i telai meccanici, il governo decise di proteggere i posti di lavoro di quelli che lavoravano ai telai manuali, mediante sussidi presi dalle tasse. Questo rese sconveniente introdurre le macchine. Di fatto il governo impedì l'introduzione delle macchine nel paese. In questo modo impedì l'enorme aumento di produzione che le macchine avrebbero portato, mentre il paese si impoveriva sempre di più (lavorando in perdita grazie ai sussidi). Oggi in India si muore di fame esattamente grazie a questo tipo di decisioni. Anche in paesi non interamente socialisti, come gli Stati Uniti, gli insuccessi di questo tipo non si contano. Durante la crisi del gasolio del 1972 e 1972, quando i prezzi del petrolio erano mantenuti artificialmente bassi dal governo, c'erano in tutti gli Stati Uniti lunghissime code di automobili che aspettavano per ore per fare benzina nei distributori; ma la quantità di gasolio negli Stati Uniti era il 95% dell'anno prima, ed in quell'anno non c'era alcuna fila.

A parte gli esempi, la ragione per cui questo non può funzionare ci è illustrata ottimamente da Thomas Sowell: i burocrati che allocano le risorse non possono neppure conoscere le vere necessità relative dei vari settori. Nella russia sovietica, i burocrati di grado alto non conoscevano le necessità reali di una zona, perché i burocrati di grado più basso avevano l'incentivo a dichiarare più necessità del dovuto per la propria zona. I burocrati tendevano regolarmente a chiedere quante più risorse potevano, anziché quelle che erano necessarie, perché questo era nel loro interesse. Continua Sowell:


All'unione sovietica non mancavano le risorse naturali, anzi in questo senso era una delle nazioni più ricche del pianeta. Ciò che le mancava era un sistema che allocasse in modo efficiente risorse scarse. Poiché le imprese sovietiche non avevano le stesse limitazioni di soldi delle imprese capitaliste, acquistavano più macchine di quelle di cui avevano bisogno, macchine "che poi restavano a prendere la polvere nei capannoni o ad arrugginire fuori dalla porta", per usare le parole degli economisti sovietici. In breve, non erano costretti ad economizzare. [...]

Questo spreco di risorse non potrebbe aver luogo in una economia in cui queste risorse devono essere acquistate, e in cui l'impresa può sopravvivere solo mantenendo i costi più bassi delle sue entrate. In questo tipo di sistema capitalista, governato dai prezzi, la quantità di risorse ordinate dalle imprese sarebbe basata sulla stima più accurata possibile di ciò che davvero è necessario, non su quello che i suoi manager riuscivano a far sembrare plausibile ai burocrati loro superiori, i quali non potrebbero mai essere esperti in tutta la vasta gamma di industrie che sorvegliano.

Spero che adesso sia chiaro che un sistema socialista non potrebbe mai fare meglio del sistema dei prezzi, in cui ogni singolo cittadino vota con i propri soldi dove devono andare le risorse. Semplicemente, un burocrate non potrebbe mai avere informazioni tanto accurate. Questo sembra ovvio. Eppure oggi, in Italia e ovunque, moltissime risorse non vengono allocate dal sistema dei prezzi, ma dal governo, mediante il meccanismo della "finanziaria". E chi si lamenta di questo?


Per concludere, non ha senso dire che i produttori sono egoisti perché non producono abbastanza occhiali. E' come dire che Robinson dovrebbe smettere di pescare pesce per raccogliere più legna.

I prezzi massimi fissati per legge producono scarsità

In questo post parlo dei prezzi massimi fissati per legge e comincio un discorso sulla logica del profitto che continuerà nel prossimo post.

Alcune persone credono che limitare per legge il prezzo massimo dei prodotti possa aumentare la qualità della vita dei poveri, perché, con prezzi minori, essi potranno permettersi di acquistare più beni. E' vero questo?

Per rispondere, dobbiamo prima avere chiara una legge fondamentale della produzione: in genere, più produci, maggiore è il costo di produrre ancora di più. Ad esempio, per aumentare la produzione, dovrai farti arrivare materie prime da regioni sempre più lontane o meno accessibili; dovrai assumere personale sempre meno capace, oppure aumentare i salari per sottrarre personale più capace ad altri settori; dovrai acquistare terre sottraendole ad altri settori sempre redditizi; queste terre saranno quindi sempre più costose. E così via.

In altre parole, man mano che aumenti la produzione, i costi aumentano più rapidamente dei guadagni. ( Ad esempio, se produrre 10 chili di prodotto ti costa 5 lire, produrre 20 chili non ti costa 10 lire, ma un po' di più. Diciamo 12 lire. )

( Inoltre il tuo profitto è dato dalla differenza tra le tue entrate e le tue spese. Nell'esempio precedente, se non aumenti la produzione il tuo profitto è 5 lire (cioè 10 lire - 5 lire), mentre se la aumenti il profitto è 8 lire (cioè 20 lire -12 lire). Quindi in questo caso ti conviene aumentare la produzione. )

Visto che i costi aumentano più rapidamente dei guadagni, prima o poi arriverà un momento in cui, aumentando la produzione, il tuo profitto diminuirà anziché aumentare. ( Ad esempio, ti accorgi che produrre 22 chili costa 15 lire. Il profitto è quindi 7 lire (cioè 22 lire -15 lire). Ma allora per te sarebbe stato meglio produrre 20 chili, perché in tal caso avresti guadagnato 8 lire (cioè 20 lire -12 lire). )

A quel punto, smetterai di aumentare la produzione. Sei giunto a uno "stato di equilibrio", ad una "soglia" che non puoi oltrepassare perché il guadagno non giustifica il costo maggiore. Ti rendi conto che, se solo il margine di guadagno fosse maggiore, potresti aumentare la produzione. Ma con il margine di guadagno attuale, non puoi.

Supponiamo ora che, per qualche improvviso mutamento sociale, la domanda per il tuo prodotto aumenti. Le persone hanno bisogno del tuo prodotto più di prima. Te ne accorgi perché le scorte finiscono prima e non riesci a soddisfare tutta la domanda. In questo caso, alzerai i prezzi (cosa che prima non potevi fare, perché avresti venduto meno, e complessivamente avresti avuto un profitto minore). Questo aumento dei prezzi ti darà un margine di guadagno maggiore di prima. Il prodotto ora rende più di prima. Ma questo vuol dire che la "soglia" di cui sopra si è spostata in avanti. Cioè, visto che ora ogni pezzo venduto rende di più, e i costi di produzione sono invariati, ora conviene fare ciò che prima non conveniva: ora puoi permetterti di pagare quelle cose (terra, materie prime, personale) che prima non potevi. Tutto grazie al prezzo più alto.

Quindi aumenterai la produzione. A un certo punto, a forza di aumentare, tornerai di nuovo a uno stato di equilibrio, in cui un aumento ulteriore di produzione farebbe peggiorare il profitto. Siamo in un nuovo stato di equilibrio, ma stavolta la produzione è aumentata. La soglia si è spostata.

Ricapitoliamo. C'è stata una catena di cause: aumenta la domanda da parte dei consumatori -> puoi aumentare il prezzo del prodotto -> hai maggiore margine di guadagno -> puoi acquistare le nuove risorse -> puoi aumentare la produzione.

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Supponiamo ora che lo Stato interferisca con questo meccanismo, fissando per legge un prezzo massimo al prodotto. Il risultato sarebbe lo stesso? Naturalmente no. La catena in alto si interromperebbe al primo passo. Infatti il produttore, accortosi della maggiore domanda, non potrebbe alzare il prezzo, perché la legge glielo vieta. Quindi non avrebbe il maggiore margine, e quindi non potrebbe acquistare il necessario per aumentare la produzione. La produzione non aumenterebbe, e la domanda resterebbe per sempre insoddisfatta.

Supponiamo che questo si verifichi. Lo Stato fissa il prezzo massimo e la domanda dei cittadini resta insoddisfatta. A questo punto nasce tra le persone un risentimento verso l'egoismo dei produttori. Perché i capitalisti non hanno prodotto abbastanza per soddisfare tutti?

D'altra parte dovrebbe essere ovvio che non sono stati i produttori a causare la scarsità: è stato lo Stato, impedendo ai prezzi di crescere. Il prezzo maggiore era proprio ciò che avrebbe permesso alla produzione di aumentare e soddisfare la domanda. Impedendo al prezzo di crescere, lo Stato ha di fatto causato la scarsità.

E la scarsità aumenta anche in un altro senso: essendo i prezzi più bassi, coloro che desiderano di meno il prodotto non hanno incentivo ad economizzare, e quindi ne resta ancora meno per chi ne ha maggior bisogno.

Insomma, con un vincolo artificiale sui prezzi, lo Stato ha ottenuto l'opposto di ciò che voleva ottenere. Voleva permettere ai poveri di comprare di più, ed ha ottenuto che nel paese c'è di meno da comprare per tutti, perché la produzione è crollata.

Storicamente, il fenomeno è molto documentato. I prezzi massimi sui costi degli affitti hanno privato molte persone di un tetto. Questo è avvenuto negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, in Svezia ed in Australia. Addirittura, in molti casi la produzione non riusciva a soddisfare la domanda nonostante nuove case venissero continuamente costruite dallo Stato. Il motivo è che i prezzi bassi non incentivavano le persone a economizzare sullo spazio occupato. Vedi ad es. Thomas Sowell, "basic economics", ed Henry Hazlitt, "Economics in One Lesson". Anche in altri settori, come l'agricoltura, la scarsità prodotta dai limiti ai prezzi è ben documentata. Negli Stati Uniti, limitare i prezzi dei prodotti agricoli ha reso la produzione così sconveniente che gli agricoltori tendevano a produrre solo il necessario per se stessi, senza preoccuparsi di vendere al pubblico. Questo ha provocato gravissime scarsità di cibo nella popolazione, peggiorando il problema iniziale. Vedi anche su questo Sowell.

(continua)