martedì 29 aprile 2008

Scimmia pesca con l'ausilio di una lancia


Ho tradotto su Progetto Galileo un articolo su un orango che è stato fotografato a pescare con una lancia.

Faccio qui un commento che non mi permetterei di fare su Progetto Galileo. Spero che questo piccolo tassello contribuisca a dissipare una volta per tutte il dogma dello specismo (teoria secondo cui i diritti di un individuo derivano non dal suo livello di intelligenza e coscienza, e dal suo comportamento pacifico o meno, bensì dalla specie di appartenenza). Spero che un giorno lo sfruttamento degli animali, almeno quelli "superiori", sia considerato per ciò che è: aggressione verso esseri senzienti, intelligenti, non-aggressori.

giovedì 17 aprile 2008

La fallacia dell'altruismo

Terzo episodio della serie dedicata al socialismo (Episodi precedenti: primo, secondo).

In questo articolo David Friedman discute l'idea socialista di instaurare un sistema che enfatizzi la generosità e l'altruismo al posto dell'egoismo e della logica del profitto. Secondo Friedman questo argomento è fallace poiché, in un sistema capitalista, l'amore e l'altruismo sono già impiegati dove possibile. Quindi la proposta socialista si riduce a sostituire la cooperazione volontaria con la coercizione. Ed agire sotto coercizione mi priva della possibilità stessa di essere altruista o generoso.

3. L'amore non basta


Un'abituale critica mossa alla proprietà privata è che essa sia un sistema immorale, perché basato sull'egoismo. Il che è sbagliato. Comunemente viene definito egoismo un atteggiamento in base al quale una persona pensa solo a se stessa e non si cura del benessere degli altri. L'essere a favore della proprietà privata non significa sostenere tale atteggiamento; significa solamente essere coscienti del fatto che individui differenti hanno fini differenti e li perseguono. Ogni persona è egoista solamente perché accetta e segue la propria percezione della realtà, la propria visione di ciò che è bene.

Un'obiezione simile è sbagliata anche perché pone false alternative. Sotto qualsiasi istituzione, ci sono essenzialmente solo tre metodi per convincere qualcuno ad aiutare gli altri a realizzare i propri obiettivi: l'amore, lo scambio volontario e la forza.

L'amore trasforma il mio obiettivo nel tuo. Chi mi ama vuole che io ottenga ciò che desidero (a meno che non pensi che io non sia in grado di capire ciò che è giusto per me). Quindi mi aiuta volontariamente, disinteressatamente. Ma la parola "amore" è un termine troppo limitato. Tu potresti anche condividere il mio scopo, non tanto perché è il mio scopo, ma perché in un certo senso tu e io abbiamo la stessa percezione di ciò che è bene. Potresti offrirti di lavorare per la mia campagna politica, non per amore, ma perché convinto che la mia elezione possa essere un bene. Naturalmente, potremmo condividere uguali interessi per ragioni totalmente diverse. Io potrei pensare di essere proprio quello di cui il paese ha bisogno, e tu che io sia proprio quello che la nazione "merita".

Il secondo metodo di collaborazione è il commercio. Io acconsento ad aiutare te a realizzare il tuo scopo se tu mi aiuti a realizzare il mio.

Il terzo metodo è la forza. Tu fai ciò che voglio, o ti sparo.

L'amore (o più in generale il condividere uno scopo comune) funziona bene, ma solo per una gamma limitata di problemi. È difficile conoscere tanta gente così bene da amarla. L'amore può essere fonte di cooperazione per questioni complesse fra piccoli gruppi, come la famiglia. Esso funziona anche tra gruppi numerosi, per obiettivi assai semplici --- tanto semplici che individui diversi possono trovarsi completamente d'accordo. Ma per un fine complesso che coinvolge un gran numero di persone -- la produzione di questo libro, ad esempio -- l'amore non potrà funzionare. Non posso pretendere che tutti coloro la cui collaborazione mi è necessaria (compositori, editori, librai, taglialegna, proprietari di cartiere, e mille altri ancora) mi conoscano e mi amino tanto da voler pubblicare questo libro per il mio bene. Tantomeno posso pretendere che tutti siano d'accordo con le mie convinzioni, così da vedere la pubblicazione del libro come un obiettivo in sé. Non posso neanche aspettarmi che siano desiderosi di leggere il libro e, di conseguenza, disposti ad aiutarmi a produrlo. Dovrò servirmi del commercio.

Io spendo tempo ed energia per produrre il manoscritto. Ottengo, in cambio, l'opportunità di diffondere la mia opinione, un po' di soddisfazione per il mio ego, e un po' di soldi. Chi vuole leggere il libro lo compra. In cambio, sborsa denaro. La casa editrice e i suoi dipendenti forniscono tempo, energia e talento necessari per coordinare il tutto; ottengono in cambio denaro e reputazione. I taglialegna, i tipografi e tutti gli altri apportano le loro energie e il proprio talento e in cambio guadagnano soldi. Migliaia di persone, forse milioni, cooperano a un unico scopo, e allo stesso tempo ognuno persegue il proprio obiettivo.

Dunque, in regime di proprietà privata, il primo metodo, l'amore, viene usato laddove è possibile. Altrimenti ci si serve del commercio.

L'accusa alla proprietà privata di essere egoista oppone il secondo metodo al primo. Implica che l'unica alternativa al commercio "egoista" sia l'amore "altruista". Ma, in un regime di proprietà privata, l'amore è già usato dove possibile. A nessuno viene impedito di operare gratuitamente, se lo desidera. Molte persone (genitori che aiutano i propri figli, volontari in ospedale, capi scout) fanno proprio questo. Per ciò che la gente non è disposta a fare gratuitamente, se non è permesso ricorrere al secondo metodo, il commercio, necessariamente si dovrà usare il terzo: la forza. Invece di avere "egoisti" che svolgono un'attività perché lo desiderano, avremo "generosi" che si daranno da fare sotto la minaccia della pistola.

Non è ingiusta questa accusa? L'unica alternativa offerta da coloro che deplorano il commercio come egoista è sempre lo Stato [che è inerentemente coercitivo, NdM]. In altre parole, per costoro è egoista fare qualcosa per soldi, quindi i ghetti dovrebbero essere ripuliti da "giovani delinquenti" reclutati attraverso un "servizio di riabilitazione". Il che, in altre parole, significa che il lavoro dovrebbe essere svolto da individui la cui alternativa è la galera.

Una seconda obiezione spesso sollevata contro un sistema di proprietà privata è che le risorse possono essere mal distribuite. Un uomo può morire di fame mentre un altro ha più cibo del necessario. Questo è vero, ma si verifica in qualsiasi sistema di distribuzione delle risorse. Chiunque prenda una decisione potrebbe stabilire una cosa che io ritengo sbagliata. Ma certo, si potrebbe istituire un apposito ministero e affidargli il compito di nutrire chi è affamato e vestire chi è nudo: ciò non significa che tutti i bisognosi saranno vestiti e nutriti. A un certo punto qualcuno dovrà decidere a chi andrà o non andrà l'aiuto. L'ingranaggio politico, ministeri e burocrazia, seguono i propri obiettivi, tanto quanto gli uomini d'affari seguono il proprio.

Se la grande maggioranza è d'accordo nel nutrire gli affamati, per l'uomo politico potrebbe essere conveniente perseguire tale obiettivo. Tuttavia, in una circostanza del genere, la politica non è necessaria: un'anima buona darà comunque da mangiare a chi è affamato. Se la grande maggioranza è contraria a nutrire l'affamato, l'anima caritatevole fra la minoranza continuerà a dargli da mangiare --- il politico non lo farà.

Non c'è modo di dare a un uomo politico un potere da usare esclusivamente per fare del bene. Se decide di dar da mangiare a qualcuno, deve negarlo a qualcun altro: il cibo non nasce dal nulla. Si può citare soltanto un'occasione, nel corso della storia moderna in tempo di pace, in cui molte persone sono morte di fame nonostante l'abbondanza di cibo. È successo in un sistema economico nel quale la decisione riguardante chi avesse bisogno di aiuti era in mano al governo. A Stalin spettava decidere quanto cibo fosse necessario agli abitanti dell'Ucraina. Ciò che "eccedeva" veniva requisito dal governo sovietico ed esportato. Nel corso degli anni 1932 e 1933 alcuni milioni di Ucraini sono morti di fame. Durante quei due anni, secondo dati sovietici, l'URSS ha esportato circa un milione e ottocentomila tonnellate di grano. Se supponiamo un numero elevato di affamati --- diciamo 8 milioni --- quel grano avrebbe fornito circa 2000 calorie al giorno a ciascuno di essi.

Tuttavia, c'è qualcosa nell' obiezione socialista alla "non corretta distribuzione delle risorse" capitalista, con cui posso simpatizzare sul piano estetico, ma non in termini economici.

La maggior parte di noi in fondo al cuore è convinta che esista un unico modo di intendere il bene che, idealmente, tutti dovremmo perseguire. In uno Stato socialista ideale, centralmente pianificato, tutti fanno parte di una gerarchia che persegue lo stesso obiettivo. Se tale obiettivo consistesse nel perseguire la "giustizia ideale", quella società sarebbe molto più perfetta di quanto potrebbe mai esserlo una società capitalista, dove ciascuno ha una propria differente ed imperfetta concezione di ciò che è giusto. Dal momento che la maggior parte dei socialisti pensa che un governo socialista sarà gestito da persone molto simili a loro, essi credono che quel governo perseguirà il vero bene --- quello che loro riescono a percepire soltanto in maniera imperfetta. Una soluzione del genere sarebbe sicuramente migliore di un sistema caotico in cui una varietà di persone diverse dai socialisti percepisce una varietà di altre forme di bene, e spreca risorse preziose per perseguirle. Chi sogna una società socialista raramente prende in considerazione la possibilità che altri, con fini diversi da quelli dei socialisti, possano riuscire a imporre le proprie idee, ma piuttosto il contrario. George Orwell è l'unica eccezione che mi viene in mente.

Una terza obiezione sollevata alla proprietà privata è che gli uomini non sono veramente liberi se hanno bisogno di usare la proprietà altrui, ad esempio per stampare le loro opinioni o persino per mangiare e bere. Se per non morire di fame devo fare quello che mi dici tu, una tale concezione dellla libertà potrebbe essere utile per un filosofo della politica, ma non è molto utile per me.

Questa osservazione è abbastanza giusta, ma è ugualmente vera, e molto più rilevante, per qualunque sistema dove vige la proprietà pubblica. È estremamente più probabile che ci sarà un solo proprietario di cibo se lo Stato detiene tutta la proprietà, piuttosto che se la stessa è in mano di una molteplicità di individui: ci sono senz'altro meno governi. Quando è diviso, il potere diminuisce. Se una persona possiede tutto ciò che serve per il mio nutrimento, essa può costringermi a fare qualsiasi cosa. Se il potere viene diviso fra cento uomini, nessuno può costringermi a lavorare troppo per mangiare; se qualcuno ci prova, posso trovare altrove ciò che voglio.

mercoledì 16 aprile 2008

Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri

Secondo episodio della serie dedicata a Marx e al socialismo. In questo episodio David D. Friedman analizza l'idea marxista che il capitalismo produca una sempre maggiore diseguaglianza (ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri).

5. Il ricco diventa più ricco e il povero diventa più ricco

... di pari passo con l'incremento della meccanizzazione e la divisione del lavoro, cresce il peso della fatica dovuto al prolungarsi delle ore lavorative, all'aumento del lavoro richiesto, al più veloce funzionamento delle macchine, etc .

... Gli strati inferiori della borghesia .,. sprofonderanno poco a poco nel proletariato ... poiché la meccanizzazione ... riduce quasi ovunque i salari allo stesso basso livello .

... Il lavoratore moderno, paradossalmente, invece di veder migliorata la propria condizione con il progresso apportato dall'industrializzazione, sprofonda sempre più al di sotto delle condizioni di vita della sua stessa classe.

Marx-Engels, Il Manifesto Comunista

L'opposizione alle istituzioni della proprietà privata deriva in buona parte dalla credenza popolare circa gli effetti prodotti in passato. Tuttavia, la maggior parte di queste convinzioni non trova riscontro nelle risultanze storiche. Marx era abbastanza scientifico da fare previsioni per il futuro che si sarebbero potute avverare o meno. Purtroppo, i marxisti continuano a credere nelle sue teorie, anche se esse si sono rivelate sbagliate.

Una delle predizioni di Marx era che i ricchi avrebbero accumulato ricchezze sempre maggiori e i poveri si sarebbero sempre più impoveriti, mentre la borghesia sarebbe stata gradualmente eliminata e il ceto dei lavoratori sarebbe caduto in miseria. Nelle società capitaliste, gli eventi verificatisi sono quasi esattamente l'opposto. I poveri si sono arricchiti. La borghesia si è considerevolmente estesa, e ora ne fanno parte diverse professioni che nel passato venivano classificate come appartenenti alla classe operaia. In termini assoluti, anche i capitalisti hanno visto aumentare il proprio benessere, ma sembra che il divario fra i ricchi e i poveri, stando alle imperfette statistiche in nostro possesso, vada lentamente restringendosi.

Molte persone di sinistra dei nostri giorni sostengono che le previsioni di Marx erano abbastanza precise per un capitalismo lassez-faire [non regolamentato, NdM], ma che grazie all'introduzione di politiche riformiste (ad esempio la creazione di forti sindacati, l'emanazione di leggi che hanno fissato uno stipendio minimo e una tassazione del reddito progressiva) si è riusciti a impedire il verificarsi di dette previsioni.

È difficile confutare un'affermazione che riguarda qualcosa che si sarebbe potuta verificare, ma non si è verificata. Comunque, si può notare che sia l'aumento generale del livello di vita, sia la diminuzione delle diseguaglianze sembrano esssersi verificati attraverso un lento e regolare processo, svoltosi durante un lungo arco temporale, in differenti società più o meno capitaliste. La tassazione progressiva del reddito produce entrate molto basse e non provoca quasi nessun effetto sull'accumulazione di ricchezza per mezzo dell'incremento di capitale. Il risultato principale della legislazione sullo stipendio minimo sembra essere che i lavoratori non specializzati, che spesso per il datore di lavoro non valgono una tale retribuzione, vengono privati della possibilità di lavorare. (Questo effetto è verificabile nel drammatico aumento del tasso di disoccupazione giovanile di colore, che segue sempre l'aumento degli stipendi minimi.) Nel capitolo precedente ho sostenuto che la legislazione "di sinistra" tende a colpire i ceti meno abbienti, invece di arrecar loro beneficio, e ad aumentare, anziché ridurre, la diseguaglianza. Se questa è sempre esistita, allora la sua riduzione, di cui siamo stati testimoni negli ultimi tempi, si è verificata non grazie, ma nonostante le misure progressiste.

Un'altra versione della stessa idea marxista è che la Grande depressione sia stata l'ineluttabile esito del capitalismo laissez-faire, dal quale ci siamo salvati grazie alle politiche keynesiane. Questo punto controverso ha dato vita a un'abbondante letteratura, e per alcuni decenni è stato argomento centrale di dibattito fra gli economisti. Chi desidera leggere opinioni "anti-keynesiane" ne può trovare una versione in The Great Contraction di M. Friedman e A. J. Schwartz. Gli autori sostengono che la Grande depressione sia stata causata non dal liberismo ma dall'intervento del governo nell'attività bancaria e che senza tale intervento non si sarebbe verificata.

Oggi sono in pochi a credere che il capitalismo conduca inesorabilmente all'impoverimento delle masse; esistono prove troppo evidenti che le cose non stanno così. Ma la diseguaglianza è una questione molto più ardua da giudicare, e molti temono che il capitalismo, abbandonato a se stesso, possa produrre una crescente disparità di redditi. Perché? Un'opinione del genere si basa, essenzialmente, sul fatto che il ricco capitalista investe i suoi capitali per incrementarli sempre più. I suoi figli ereditano la fortuna e il processo continua; di conseguenza i capitalisti diventano sempre più ricchi. Essi devono in qualche modo attingere il loro alto reddito dai lavoratori che "veramente producono" i beni consumati dai ricchi, e che pertanto si impoveriscono sempre più. Questa idea sembra implicare che i lavoratori diventino più poveri in senso assoluto, ma chi la sostiene crede, di solito, che il progresso economico, in generale, renda tutti più ricchi, e che perciò l'impoverimento sia solo relativo.

Affermare che il capitalista accresce il suo reddito a spese dei lavoratori vuol dire ignorare il fatto che il capitale è in sé un qualcosa di produttivo (vedi Capitolo 8). L'incremento di produttività risultante dall'accumulo di capitale è una delle ragioni del generale progresso economico.

Anche se il capitalista dovesse investire tutto il reddito proveniente dal suo capitale senza consumarne nulla, la sua riccchezza crescerebbe solo al tasso di rendita del capitale -- ovvero al tasso di interesse generato. Se quest'ultimo fosse minore del tasso d'aumento degli stipendi dei lavoratori, la ricchezza relativa dei capitalisti si ridurrebbe. Nel corso degli anni gli stipendi sono aumentati dal 5 al 10 per cento annuo, il che è approssimativamente comparabile al tasso di interesse generato dal capitale degli imprenditori. Inoltre, i capitalisti consumano parte del loro reddito; se non fosse così, non avrebbe senso essere capitalisti. Negli USA, l'ammontare globale del reddito nazionale che viene trasformato in capitale va progressivamente diminuendo.

Naturalmente, un capitalista di successo guadagna molto di più del normale tasso di interesse generato dal capitale --- è questo il modo in cui accumula la sua fortuna. Inoltre, se proviene da una famiglia con un reddito molto più basso, potrebbe essere incapace di consumare una porzione significativa del suo guadagno. Ma i suoi figli sono una cosa ben diversa; non hanno nessun particolare talento nell'accumulare ricchezza, ma sanno molto bene come spenderla. Lo stesso vale per i figli dei loro figli. I Rockefeller rappresentano un interessante esempio di declino di una grande dinastia. Il suo fondatore, John D. Rockefeller, era un uomo d'affari estremamente abile. I suoi figli erano filantropi. I suoi nipoti sono dei politici. [...]

Marx aveva non solo previsto la crescente rovina delle classi lavoratrici, ma aveva anche sostenuto che quella rovina si stava già verificando. Come molti suoi contemporanei, era convinto che il diffondersi delle istituzioni capitaliste e dei metodi di produzione industriale avrebbe causato, all'inizio del diciannovesimo secolo, una miseria diffusa. Questa opinione, ancora comune, è basata su una discutibile interpretazione storica e su una logica ancora più dubbia.

Per molti è sufficiente aver conosciuto, tramite la lettura, i lunghi orari di lavoro e i bassi salari dell'Inghilterra e dell'America dell'Ottocento, per pensare di avere già prove suffficienti contro il capitalismo e l'industrializzazione. Costoro dimenticano che queste condizioni ci appaiono intollerabili solo perché viviamo in una società enormemente più ricca, e che la nostra società è diventata così produttiva grazie al progresso economico dell'Ottocento, verificatosi in un capitalismo laissez-faire relativamente libero da controlli.

Stanti le condizioni economiche del diciannovesimo secolo, nessuna istituzione, socialista, capitalista o anarco-capitalista, avrebbe potuto produrre rapidamente quello che possiamo considerare un livello di benessere decente. La ricchezza, semplicemente, non c'era. Se un socialista avesse confiscato il reddito di tutti i miliardari capitalisti, per darlo ai lavoratori, questi ultimi non avrebbero visto migliorare di molto la propria condizione. I miliardari guadagnavano molto più dei lavoratori, ma questi ultimi erano in numero di gran lunga superiore.

È stato necessario un lungo periodo di progresso per veder realizzata una società abbastanza ricca da considerare miserrime le condizioni di vita nell'Ottocento.

Persone con vedute un po' più ampie pensano che il modo in cui viveva la gente durante la Rivoluzione industriale, soprattutto in Inghilterra, sia da condannare, non in relazione al nostro attuale benessere, ma se comparato al modo di vivere precedente l'industrializzazione stessa. Questa era la convinzione di tanti scrittori di quel periodo. Purtroppo, pochi di loro conoscevano abbastanza approfonditamente la vita dell'Inghilterra del secolo precedente; il loro atteggiamento può essere esemplificato dall'idilliaca descrizione fatta da Engels della classe lavoratrice inglese del Settecento:
Non avevano bisogno di lavorare troppo; facevano non più di ciò che volevano fare, e tuttavia guadagnavano quello di cui avevano bisogno. Avevano tempo libero per lavori sani nel giardino o nel campo, che di per sé erano una distensione ... Erano persone "perbene'; bravi mariti e padri, conducevano vite oneste perché non c'era la tentazione di comportarsi in modo disonesto, non c'era nessuna taverna o bordello nelle loro vicinanze, e il proprietario dell'osteria, dove soddisfacevano la loro sete, era anche lui un uomo perbene, di solito un fittavolo locale, orgoglioso del buon ordine, della buona birra, e di andare a dormire presto. I loro bambini stavano a casa tutto il giorno, ed erano allevati nelll'ubbidienza e nel timor di Dio. I giovani crescevano in semplicità e familiarità idilliache con i propri compagni di gioco, fino al momento di sposarsi.

L'evidenza storica che a noi risulta, benché imperfetta, sembra indicare che durante il diciannovesimo secolo la condizione dei lavoratori sia migliorata rispetto al diciottesimo: è caduto il tasso di mortalità; è aumentato il risparmio; è aumentato il consumo, da parte dei lavoratori, di prodotti di "lusso" tipo tè e zucchero; sono diminuite le ore di lavoro. Chi è interessato a un approfondimento di questa realtà storica può leggere The Industrial Revolution di T. S. Ashton, o Capitalism and the Historians curato da F. A. Hayek.

Durante la Rivoluzione industriale, buona parte dell'opposizione proveniva dai conservatori --- proprietari terrieri e piccola nobiltà --- che si opponevano al progresso. Essi protestavano perché il lusso e l'indipendenza corrompevano le classi lavoratrici. È una curiosa ironia che col passar del tempo questi gentlemen siano diventati gli alleati intellettuali (spesso direttamente citati come autorità in materia) della sinistra moderna e dei socialisti, che attaccano il capitalismo del diciannovesimo secolo per ragioni molto diverse. La moderna persona di sinistra sostiene che è grazie alla legislazione introdotta dallo Stato se si è ridotto il numero delle ore lavorative, si è proibito il lavoro minorile, si è imposto un regolamento sulla sicurezza, e che è grazie alla violazione dei principi del liberismo che si è raggiunto il progresso. Ma l'evidenza dei fatti indica che la legislazione ha costantemente seguìto il progresso, non lo ha preceduto. Solo quando la maggior parte dei lavoratori già lavorava un massimo di dieci ore al giorno è diventato politicamente possibile pensare a una legislazione che imponesse un tale traguardo.

martedì 15 aprile 2008

Marx e lo sfruttamento del lavoratore

La teoria di Marx era giusta o sbagliata? Se si sbagliò, dov'è esattamente l'errore?

In occasione della scomparsa dei comunisti dal Parlamento, inauguro una piccola serie sulla teoria di Marx. In questo episodio ci occupiamo della teoria dello sfruttamento del lavoratore.

Tratto dal libro "L'ingranaggio della libertà" di David D. Friedman (economista della scuola di Chicago).

8. Sfruttamento e interesse

La parola "sfruttamento" viene usata molto spesso, ma di rado si prova a darne una definizione. Nel senso letterale della parola, io "sfrutto" te se in qualche modo traggo vantaggio dalla tua esistenza --- e questa è la ragione per cui si è venuta a creare la società umana. Ciascuno di noi beneficia dell'altro e tutti ci sfruttiamo a vicenda, ed è per questo che viviamo in società. Ma il significato generalmente attribuito al termine racchiude in sé l'implicazione che una persona tragga vantaggio da un'altra danneggiandola, o agendo a sue spese. L'attribuire questo significato alla parola deriva forse dalla teoria marxista sullo sfruttamento della forza-lavoro. Qualunque sia l'origine esatta, io sono in grado, confutando la teoria di Marx, di ribattere a una delle più frequenti accuse di "sfruttamento" fatte al capitalismo e ai capitalisti.

Marx sosteneva che i beni vengono prodotti dai lavoratori che usano i mezzi di produzione (macchinari, fabbriche, etc.) che sono stati costruiti, a loro volta, da altri lavoratori. Tutta la produzione viene effettuata dai lavoratori, sia da quelli di oggi che da quelli di ieri. Ma il capitalista pretende un guadagno dalla produzione. La sua giustificazione è di aver fornito i mezzi di produzione; il che è sbagliato, visto che gli stessi in realtà sono stati prodotti da precedenti lavoratori. Il capitalista che si appropria di una parte del profitto, pur non avendo contribuito affatto alla produzione, sta ovviamente derubando --- sfruttando --- i veri produttori, ossia i lavoratori.

Il problema di una simile argomentazione è il non tener conto che pagare oggi per i mezzi di produzione e aspettare anni per recuperare il denaro investito è in sé una attività produttiva, e che l'interesse guadagnato sul capitale rappresenta la relativa ricompensa.

Esaminiamo una specifica situazione. Un'impresa, costruita nel 1849, produce dal 1850 al 1900. A fronte di un costo di 1 milione di dollari per realizzarla, essa genera un'entrata per il proprietario di 100.000 dollari l'anno. Il che rappresenta, secondo Marx, la ricchezza prodotta dai lavoratori che hanno costruito la fabbrica, ai quali in effetti spetterebbe, ovvero la ricchezza sottratta agli operai che lavorano nell'azienda, che vengono retribuiti meno di quanto in realtà producono.

Supponiamo che i lavoratori che hanno costruito l'impianto siano stati pagati 1 milione di dollari, costo totale della struttura. (Per semplicità ignorerò le altre spese di costruzione. Secondo Marx, questi costi possono essere fatti risalire al sacrificio lavorativo di precedente forza-lavoro). L'investimento effettuato dal capitalista verrà completamente recuperato durante i primi dieci anni. Dopo di che il guadagno diviene, secondo il punto di vista marxista, puro sfruttamento.

Questa affermazione deriva dal considerare il milione di dollari investito nel 1849, quando fu iniziato il lavoro, come "equivalente" al milione di dollari ricevuto nel decennio successivo. Ma gli stessi lavoratori non sarebbero d'accordo con un'affermazione del genere. Non avrebbero certamente svolto il lavoro, se avessero dovuto aspettare dieci anni per essere pagati. Se avessero voluto, o avessero avuto la possibilità di lavorare in questi termini, il capitalista sarebbe effettivamente risultato superfluo: i lavoratori avrebbero potuto costruire la fabbrica da soli, lavorando gratis, ricevendo il loro stipendio durante i dieci anni successivi, e continuando a riceverlo per altri quarant'anni. La funzione del capitalista è quella di pagare gli stipendi in anticipo. Se non avesse questa possibilità, la fabbrica non verrebbe costruita e la merce non sarebbe prodotta. Il capitalista sostiene un costo, poiché anche lui preferirebbe spendere i soldi a suo piacimento nel 1850, invece di averli vincolati e vederseli restituiti lentamente nel corso di un determinato periodo. È perfettamente ragionevole che egli riceva qualcosa in cambio del suo contributo.

Un altro modo di affrontare la questione è dire che il denaro fornisce diverse alternative. Se io in questo momento ho 10 dollari, li posso spendere in molti modi, ad esempio per portare al ristorante la mia fidanzata, o per comprare un biglietto dell'autobus, e così via. Avere molte possibilità è sempre una cosa desiderabile, poiché si può scegliere l'alternativa più appetibile. Il denaro può ben essere messo da parte, pertanto non sono obbligato a spenderlo nel momento in cui lo ricevo; posso risparmiare i 10 dollari di oggi fino a domani, oppure potrei spenderli oggi se vedo un'alternativa che ritengo più attraente di qualsiasi altra che potrei desiderare un altro giorno. Quindi 10 dollari oggi valgono più di 10 dollari domani. Questa è la ragione che giustifica l'esistenza dei tassi di interesse, e il perché, se ti chiedo in prestito 10 dollari oggi, domani ti devo ridare un po' più di 10 dollari.

Il vantaggio di possedere 10 dollari oggi anziché domani non è molto grande, come non è molto l'interesse accumulato da 10 dollari in un giorno. Quando però il tempo interessato è una porzione consistente della vita di un individuo, anche la differenza nel valore è considerevole. Per me non è la stessa cosa il fatto di poter comprare una casa per la mia famiglia oggi oppure fra dieci anni. I dieci anni non sono insignificanti neanche per colui che mi presta il denaro adesso e si aspetta di ricevere qualcosa in cambio. La teoria marxista sbaglia quando considera l'interesse ricevuto dal capitalista, o quello pagato da un debitore a un creditore, come denaro rubato. Questo, in realtà, è il corrispettivo per un servizio ricevuto.

Lo stesso errore viene compiuto da chi considera le eredità un'ingiustizia. Costui crede che, se il padre guadagna del denaro e lo lascia al figlio, che vive dell'interesse prodotto, questi stia vivendo a spese della società. Ma il mercato finanziario --- le azioni, i titoli, i conti correnti, e così via --- non è altro che simboli o aspetti esteriori. Si deve guardare oltre l'apparenza per capire che cosa stia succedenndo agli oggetti reali. La realtà è che qualcuno non produce, e tuttavia consuma, e che quindi ci deve essere chi sta pagando per questo.

È il padre che paga per lui. Se il figlio vivesse letteralmente del cibo prodotto e conservato da suo padre, ciò sarebbe ovvio e pochi potrebbero obiettare. Ma la situazione è in realtà la stessa quando il padre sceglie di investire ricchezza invece di consumarla o di trasformarla in magazzini pieni di cibo. Comprando un'azienda invece di uno yacht, egli sta aumentando la produttività della società. I lavoratori, usando quell'azienda, sono in grado di produrre più di quanto riuscirebbeero a fare senza di essa. Ed è proprio la produzione aggiuntiva a nutrire suo figlio.

Per un vero egualitario, che considera l'eguaglianza di per sé come il sommo fine, questa non è una valida difesa. L'eredità costituisce ineguaglianza, ed è quindi ingiusta. Non ho simpatia per questo punto di vista. Non vedo altra ragione che l'avidità per pretendere di "meritare" parte della ricchezza di qualcun altro al momento della sua morte, ricchezza che non ho contribuito a produrre. Non vedo ragione, oltre l'invidia, per condannare la buona sorte di qualcuno che riceve in eredità una fortuna "non guadagnata".

domenica 13 aprile 2008

Avrei venduto il mio voto al migliore offerente...

Avrei venduto il mio voto a colui che, entro le 9 di lunedì 14 aprile 2008, avesse versato più soldi sul mio conto Paypal... ma mi dicono che è un reato.

Quindi, posso votare Tizio perché credo che migliorerà la mia condizione, ma non posso votare Tizio perché ha già migliorato la mia condizione? Posso votare Tizio perché ha promesso che mi farà avere soldi altrui, ma non posso votare Tizio perché mi ha già dato soldi altrui?

Da un altro punto di vista: verrò derubato, legalmente ed illegittimamente, per il resto della legislatura, e non posso nemmeno cercare di recuperare una parte del maltolto esercitando quello che secondo molti è un mio diritto?

A proposito, ecco la mia posizione politica secondo questo eminente (?) questionario.