5. Il ricco diventa più ricco e il povero diventa più ricco
... di pari passo con l'incremento della meccanizzazione e la divisione del lavoro, cresce il peso della fatica dovuto al prolungarsi delle ore lavorative, all'aumento del lavoro richiesto, al più veloce funzionamento delle macchine, etc .
... Gli strati inferiori della borghesia .,. sprofonderanno poco a poco nel proletariato ... poiché la meccanizzazione ... riduce quasi ovunque i salari allo stesso basso livello .
... Il lavoratore moderno, paradossalmente, invece di veder migliorata la propria condizione con il progresso apportato dall'industrializzazione, sprofonda sempre più al di sotto delle condizioni di vita della sua stessa classe.Marx-Engels, Il Manifesto Comunista
L'opposizione alle istituzioni della proprietà privata deriva in buona parte dalla credenza popolare circa gli effetti prodotti in passato. Tuttavia, la maggior parte di queste convinzioni non trova riscontro nelle risultanze storiche. Marx era abbastanza scientifico da fare previsioni per il futuro che si sarebbero potute avverare o meno. Purtroppo, i marxisti continuano a credere nelle sue teorie, anche se esse si sono rivelate sbagliate.
Una delle predizioni di Marx era che i ricchi avrebbero accumulato ricchezze sempre maggiori e i poveri si sarebbero sempre più impoveriti, mentre la borghesia sarebbe stata gradualmente eliminata e il ceto dei lavoratori sarebbe caduto in miseria. Nelle società capitaliste, gli eventi verificatisi sono quasi esattamente l'opposto. I poveri si sono arricchiti. La borghesia si è considerevolmente estesa, e ora ne fanno parte diverse professioni che nel passato venivano classificate come appartenenti alla classe operaia. In termini assoluti, anche i capitalisti hanno visto aumentare il proprio benessere, ma sembra che il divario fra i ricchi e i poveri, stando alle imperfette statistiche in nostro possesso, vada lentamente restringendosi.
Molte persone di sinistra dei nostri giorni sostengono che le previsioni di Marx erano abbastanza precise per un capitalismo lassez-faire [non regolamentato, NdM], ma che grazie all'introduzione di politiche riformiste (ad esempio la creazione di forti sindacati, l'emanazione di leggi che hanno fissato uno stipendio minimo e una tassazione del reddito progressiva) si è riusciti a impedire il verificarsi di dette previsioni.
È difficile confutare un'affermazione che riguarda qualcosa che si sarebbe potuta verificare, ma non si è verificata. Comunque, si può notare che sia l'aumento generale del livello di vita, sia la diminuzione delle diseguaglianze sembrano esssersi verificati attraverso un lento e regolare processo, svoltosi durante un lungo arco temporale, in differenti società più o meno capitaliste. La tassazione progressiva del reddito produce entrate molto basse e non provoca quasi nessun effetto sull'accumulazione di ricchezza per mezzo dell'incremento di capitale. Il risultato principale della legislazione sullo stipendio minimo sembra essere che i lavoratori non specializzati, che spesso per il datore di lavoro non valgono una tale retribuzione, vengono privati della possibilità di lavorare. (Questo effetto è verificabile nel drammatico aumento del tasso di disoccupazione giovanile di colore, che segue sempre l'aumento degli stipendi minimi.) Nel capitolo precedente ho sostenuto che la legislazione "di sinistra" tende a colpire i ceti meno abbienti, invece di arrecar loro beneficio, e ad aumentare, anziché ridurre, la diseguaglianza. Se questa è sempre esistita, allora la sua riduzione, di cui siamo stati testimoni negli ultimi tempi, si è verificata non grazie, ma nonostante le misure progressiste.
Un'altra versione della stessa idea marxista è che la Grande depressione sia stata l'ineluttabile esito del capitalismo laissez-faire, dal quale ci siamo salvati grazie alle politiche keynesiane. Questo punto controverso ha dato vita a un'abbondante letteratura, e per alcuni decenni è stato argomento centrale di dibattito fra gli economisti. Chi desidera leggere opinioni "anti-keynesiane" ne può trovare una versione in The Great Contraction di M. Friedman e A. J. Schwartz. Gli autori sostengono che la Grande depressione sia stata causata non dal liberismo ma dall'intervento del governo nell'attività bancaria e che senza tale intervento non si sarebbe verificata.
Oggi sono in pochi a credere che il capitalismo conduca inesorabilmente all'impoverimento delle masse; esistono prove troppo evidenti che le cose non stanno così. Ma la diseguaglianza è una questione molto più ardua da giudicare, e molti temono che il capitalismo, abbandonato a se stesso, possa produrre una crescente disparità di redditi. Perché? Un'opinione del genere si basa, essenzialmente, sul fatto che il ricco capitalista investe i suoi capitali per incrementarli sempre più. I suoi figli ereditano la fortuna e il processo continua; di conseguenza i capitalisti diventano sempre più ricchi. Essi devono in qualche modo attingere il loro alto reddito dai lavoratori che "veramente producono" i beni consumati dai ricchi, e che pertanto si impoveriscono sempre più. Questa idea sembra implicare che i lavoratori diventino più poveri in senso assoluto, ma chi la sostiene crede, di solito, che il progresso economico, in generale, renda tutti più ricchi, e che perciò l'impoverimento sia solo relativo.
Affermare che il capitalista accresce il suo reddito a spese dei lavoratori vuol dire ignorare il fatto che il capitale è in sé un qualcosa di produttivo (vedi Capitolo 8). L'incremento di produttività risultante dall'accumulo di capitale è una delle ragioni del generale progresso economico.
Anche se il capitalista dovesse investire tutto il reddito proveniente dal suo capitale senza consumarne nulla, la sua riccchezza crescerebbe solo al tasso di rendita del capitale -- ovvero al tasso di interesse generato. Se quest'ultimo fosse minore del tasso d'aumento degli stipendi dei lavoratori, la ricchezza relativa dei capitalisti si ridurrebbe. Nel corso degli anni gli stipendi sono aumentati dal 5 al 10 per cento annuo, il che è approssimativamente comparabile al tasso di interesse generato dal capitale degli imprenditori. Inoltre, i capitalisti consumano parte del loro reddito; se non fosse così, non avrebbe senso essere capitalisti. Negli USA, l'ammontare globale del reddito nazionale che viene trasformato in capitale va progressivamente diminuendo.
Naturalmente, un capitalista di successo guadagna molto di più del normale tasso di interesse generato dal capitale --- è questo il modo in cui accumula la sua fortuna. Inoltre, se proviene da una famiglia con un reddito molto più basso, potrebbe essere incapace di consumare una porzione significativa del suo guadagno. Ma i suoi figli sono una cosa ben diversa; non hanno nessun particolare talento nell'accumulare ricchezza, ma sanno molto bene come spenderla. Lo stesso vale per i figli dei loro figli. I Rockefeller rappresentano un interessante esempio di declino di una grande dinastia. Il suo fondatore, John D. Rockefeller, era un uomo d'affari estremamente abile. I suoi figli erano filantropi. I suoi nipoti sono dei politici. [...]
Marx aveva non solo previsto la crescente rovina delle classi lavoratrici, ma aveva anche sostenuto che quella rovina si stava già verificando. Come molti suoi contemporanei, era convinto che il diffondersi delle istituzioni capitaliste e dei metodi di produzione industriale avrebbe causato, all'inizio del diciannovesimo secolo, una miseria diffusa. Questa opinione, ancora comune, è basata su una discutibile interpretazione storica e su una logica ancora più dubbia.
Per molti è sufficiente aver conosciuto, tramite la lettura, i lunghi orari di lavoro e i bassi salari dell'Inghilterra e dell'America dell'Ottocento, per pensare di avere già prove suffficienti contro il capitalismo e l'industrializzazione. Costoro dimenticano che queste condizioni ci appaiono intollerabili solo perché viviamo in una società enormemente più ricca, e che la nostra società è diventata così produttiva grazie al progresso economico dell'Ottocento, verificatosi in un capitalismo laissez-faire relativamente libero da controlli.
Stanti le condizioni economiche del diciannovesimo secolo, nessuna istituzione, socialista, capitalista o anarco-capitalista, avrebbe potuto produrre rapidamente quello che possiamo considerare un livello di benessere decente. La ricchezza, semplicemente, non c'era. Se un socialista avesse confiscato il reddito di tutti i miliardari capitalisti, per darlo ai lavoratori, questi ultimi non avrebbero visto migliorare di molto la propria condizione. I miliardari guadagnavano molto più dei lavoratori, ma questi ultimi erano in numero di gran lunga superiore.
È stato necessario un lungo periodo di progresso per veder realizzata una società abbastanza ricca da considerare miserrime le condizioni di vita nell'Ottocento.
Persone con vedute un po' più ampie pensano che il modo in cui viveva la gente durante la Rivoluzione industriale, soprattutto in Inghilterra, sia da condannare, non in relazione al nostro attuale benessere, ma se comparato al modo di vivere precedente l'industrializzazione stessa. Questa era la convinzione di tanti scrittori di quel periodo. Purtroppo, pochi di loro conoscevano abbastanza approfonditamente la vita dell'Inghilterra del secolo precedente; il loro atteggiamento può essere esemplificato dall'idilliaca descrizione fatta da Engels della classe lavoratrice inglese del Settecento:
Non avevano bisogno di lavorare troppo; facevano non più di ciò che volevano fare, e tuttavia guadagnavano quello di cui avevano bisogno. Avevano tempo libero per lavori sani nel giardino o nel campo, che di per sé erano una distensione ... Erano persone "perbene'; bravi mariti e padri, conducevano vite oneste perché non c'era la tentazione di comportarsi in modo disonesto, non c'era nessuna taverna o bordello nelle loro vicinanze, e il proprietario dell'osteria, dove soddisfacevano la loro sete, era anche lui un uomo perbene, di solito un fittavolo locale, orgoglioso del buon ordine, della buona birra, e di andare a dormire presto. I loro bambini stavano a casa tutto il giorno, ed erano allevati nelll'ubbidienza e nel timor di Dio. I giovani crescevano in semplicità e familiarità idilliache con i propri compagni di gioco, fino al momento di sposarsi.
L'evidenza storica che a noi risulta, benché imperfetta, sembra indicare che durante il diciannovesimo secolo la condizione dei lavoratori sia migliorata rispetto al diciottesimo: è caduto il tasso di mortalità; è aumentato il risparmio; è aumentato il consumo, da parte dei lavoratori, di prodotti di "lusso" tipo tè e zucchero; sono diminuite le ore di lavoro. Chi è interessato a un approfondimento di questa realtà storica può leggere The Industrial Revolution di T. S. Ashton, o Capitalism and the Historians curato da F. A. Hayek.
Durante la Rivoluzione industriale, buona parte dell'opposizione proveniva dai conservatori --- proprietari terrieri e piccola nobiltà --- che si opponevano al progresso. Essi protestavano perché il lusso e l'indipendenza corrompevano le classi lavoratrici. È una curiosa ironia che col passar del tempo questi gentlemen siano diventati gli alleati intellettuali (spesso direttamente citati come autorità in materia) della sinistra moderna e dei socialisti, che attaccano il capitalismo del diciannovesimo secolo per ragioni molto diverse. La moderna persona di sinistra sostiene che è grazie alla legislazione introdotta dallo Stato se si è ridotto il numero delle ore lavorative, si è proibito il lavoro minorile, si è imposto un regolamento sulla sicurezza, e che è grazie alla violazione dei principi del liberismo che si è raggiunto il progresso. Ma l'evidenza dei fatti indica che la legislazione ha costantemente seguìto il progresso, non lo ha preceduto. Solo quando la maggior parte dei lavoratori già lavorava un massimo di dieci ore al giorno è diventato politicamente possibile pensare a una legislazione che imponesse un tale traguardo.