venerdì 23 maggio 2008

Nucleare sì o no?

A quanto pare avremo il nucleare. Ecco i primi pensieri che mi passano per la testa.

Una centrale nucleare ha benefici (energia meno cara) e costi (rischi di fughe radioattive, inquinamento da scorie...). Come decidere se i benefici valgono i costi?

1.

Supponiamo che un imprenditore privato costruisca una centrale nucleare. Se l'imprenditore è razionale, egli costruirà la centrale solo se "ne vale la pena", cioè se il beneficio che egli si aspetta per sé (il profitto) è maggiore del costo che egli si aspetta per sé. Le parole "per sé" sono particolarmente importanti. Non possiamo assumere che l'imprenditore sia altruista: egli si preoccuperà solo dei costi e dei benefici per sé, non dei costi (e dei rischi) per il resto della popolazione.

Supponiamo ora che in quel Paese i diritti di proprietà siano applicati rigorosamente, cioè che il proprietario della centrale sappia che sarà responsabile per qualunque danno eventualmente causato alla persona e alla proprietà altrui. Cioè, ogni danno fatto agli altri si riflette su di lui in egual misura; qualunque sofferenza che lui infligga agli altri viene inflitta su di lui. In questo caso il costo per lui diventa uguale al costo per il paese. Quindi la condizione precedente si può riscrivere così:

L'imprenditore costruirà la centrale solo se il suo profitto atteso è maggiore del costo atteso per il paese.

Concentriamoci ora sul profitto atteso: che cosa rappresenta? Ricordiamo che i cittadini comprano volontariamente l'energia da lui. Questo significa che per i cittadini quell'energia valeva i soldi spesi. Cioè, il beneficio che ne hanno tratto è maggiore del prezzo che hanno pagato. Ma quest'ultimo (il prezzo pagato) è uguale all'introito dell'imprenditore. Ne segue che il beneficio per il paese è maggiore degli introiti per l'imprenditore. Ciò significa che, in un mercato libero e volontario, il tuo profitto è una misura del beneficio che dai agli altri. Se un imprenditore ha un grande profitto, vuol dire che ha dato alla società un beneficio molto grande; che ha reso felici molte persone. Se ha un basso profitto, vuol dire che ha reso felici poche persone. Se ha una perdita, vuol dire che per la gente il servizio che egli fornisce non vale ciò che costa.

Riassumendo: in un mercato libero il profitto dell'imprenditore coincide col beneficio che dà al paese. Quindi la condizione precedente si può riscrivere così:

L'imprenditore costruirà la centrale solo se il beneficio atteso per il Paese è maggiore del costo atteso per il Paese.

In questo caso, dov'è il problema?

Riassumiamo il tutto dicendo che un mercato libero, fondato sul rispetto della proprietà privata, fornisce un meccanismo di "contrappesi e bilanciamenti" che fanno sì che una cosa venga prodotta solo se vale ciò che costa, cioè se il "beneficio sociale" è maggiore del "costo sociale" (compresi i rischi di catastrofi, i danni dell'inquinamento, ecc). Intuitivamente, se una cosa ha un grande beneficio potenziale e un rischio molto piccolo, noi vogliamo che sia costruita. Se invece il rischio supera il beneficio, non vogliamo che sia costruita. Il mercato privato garantisce automaticamente ciò. Chiediamoci ora se per la proprietà pubblica vale lo stesso discorso.

2.

Supponiamo che la centrale sia stata costruita non da un privato, che rischia in prima persona il proprio capitale e risponde in prima persona dei danni, bensì dal governo coi soldi dei contribuenti. Nascono due domande interessanti.

Prima domanda: chi risponde di eventuali danni? Se c'è una fuga radioattiva, Berlusconi dovrà rifondere i danni? Verrà forse messo ai lavori forzati per il resto della sua vita per risarcire le vittime non consenzienti? Verrà forse torturato per infliggere su di lui le stesse sofferenze che ha inflitto agli altri? O comunque, se non Berlusconi, ci sarà qualcuno che risponderà dei danni in prima persona? Se nessuno risponde dei danni, perché dovremmo credere che questi danni (probabilistici) siano minori dei benefici? Perché dovremmo credere che la costruzione della centrale sia davvero un "bene per il Paese"? Ricordiamo che per costruire una centrale non è sufficiente che ci siano dei benefici. Bisogna che i benefici siano maggiori dei costi (probabilistici).

Seconda domanda: se un imprenditore privato rischia i propri soldi per costruire una centrale, è perché ha stimato che le spese saranno recuperate in seguito, con le vendite dell'energia. Cioè, ha stimato che gli italiani hanno un gran bisogno di questa centrale; un bisogno così grande che pagheranno volontariamente abbastanza da compensare i costi di costruzione della centrale, più i costi dei dipendenti. Cioè ha stimato che per il paese la centrale vale ciò che costa. Se invece nessuno si è accollato il rischio di non recuperare il costo di costruzione, perché dovremmo credere che la centrale valga effettivamente ciò che costa? Che garanzia abbiamo che questa non sia solo una trovata propagandistica del governo?

Al politico che dice che "gli italiani hanno un gran bisogno di questa centrale" si potrebbe rispondere così:

Quando dici che "gli italiani ne hanno bisogno" stai affermando che i consumatori comprerebbero volontariamente abbastanza energia da compensare i costi di costruzione della centrale e i costi operativi. Ma, se ne sei così sicuro, allora perché non costruisci tu la centrale, coi tuoi soldi? Se non hai i soldi, fatti fare un prestito. Se l'investimento è così sicuro come dici, non dovresti avere problemi a raccogliere i fondi. La gente farà a gara per investire nell'impresa.

Le azioni pesano di più delle parole. Perché dovrei fidarmi delle stime di qualcuno fino a che costui non si assume il rischio che siano sbagliate?

domenica 4 maggio 2008

La macchina della vita e della morte

In genere mi tengo accuratamente lontano dalle discussioni filosofiche, :) ma mi sono imbattuto in un esperimento mentale, di paternità dell'economista Walter Block (correzione: è Robert Nozick), che sembra falsificare alcune convinzioni comuni sulla pena di morte.

Supponiamo che esista una macchina in grado di trasferire la vita da una persona all'altra. Cioè in grado di resuscitare un morto uccidendo un vivo. Chiamiamola "macchina succhia-vita".

Supponiamo anche di sapere, oltre ogni ragionevole dubbio, che Tizio ha ucciso Caio.

Domanda: sarebbe legittimo, in questo caso, utilizzare la macchina succhia-vita su Tizio, uccidendolo e restituendo la vita a Caio?

Mi sembra davvero difficile rispondere di no.

Per usare le parole di Block: non è forse vero che Tizio ha "rubato la vita" a Caio, e che quindi è "debitore di una vita"? Non sarebbe quindi giusto e doveroso che egli "restituisca" a Caio la vita sottratta?

Ho idea che tutti, o quasi tutti, sarebbero d'accordo su ciò. Se questa macchina esistesse.

Quindi, se questa macchina esistesse, la pena di morte (al fine di restituzione) sarebbe perfettamente giustificata. Non avrebbe nulla di mostruoso.

Ora, naturalmente, questa macchina non esiste. (E, data la conoscenza scientifica attuale, non sembra che potrà mai esistere: la vita non è una sostanza trasferibile. Non è una specie di "gelatina" o una sostanza speciale. Al contrario, la vita risiede nel modo in cui la materia è organizzata. Una macchina è "viva" se la sua struttura interna soddisfa certe proprietà. Un corpo "morto" è un corpo che ha smesso di funzionare in un certo modo.).

Ma il fatto che la "macchina succhia-vita" non esiste non sembra importante: se ci fossero ragioni davvero valide, di principio, contro la pena di morte, queste ragioni non dovrebbero dipendere dall'esistenza o meno di questa macchina. Cioè da quello che, in un certo senso, è un accidente storico. Voglio dire: o la pena di morte è moralmente giustificabile, o non lo è. Lo stato della tecnologia attuale non dovrebbe fare alcuna differenza.

In questa luce esaminiamo tre argomenti comuni:

1. la pena di morte non è lecita perché non puoi essere mai sicuro al 100% che Tizio abbia ucciso Caio;

2. la pena di morte non è lecita perché la vita non è un bene alienabile;

3. la pena di morte non è lecita perché la pena deve avere scopo di riabilitazione.

Mi pare chiaro che, se quella macchina esistesse, queste obiezioni non sarebbero valide, anzi susciterebbero ilarità.

Cosa implica tutto ciò? Implica forse che la pena di morte è giustificata nel mondo attuale (dove la macchina non esiste)? Non mi pare. Ma implica che le obiezioni comuni alla pena di morte sono sbagliate. Gli oppositori della pena di morte sostengono che ci sono ragioni di principio per cui la pena di morte è intrinsecamente inammissibile, mentre Block ha fatto vedere che esiste un caso in cui loro stessi sarebbero a favore della pena di morte.

(Nota. Esiste almeno un altro argomento contro l'inalienabilità della vita: l'argomento del diritto all'autodifesa. La maggior parte delle persone sostiene che è lecito uccidere per difendere se stessi o qualcun altro da una aggressione che minaccia apertamente la vita. Ad esempio, se io vengo aggredito da qualcuno con un coltello o una pistola, il che minaccia la mia stessa vita, allora per difendermi posso anche ucciderlo. Ma questo argomento riguarda, appunto, solo i casi di difesa. Invece l'esperimento di Block sembra fornire uno scenario in cui uccidere è legittimo ma non per difesa: semplicemente per ripristinare la giustizia.)

A chi fosse interessato alla questione consiglio questo articolo di Stephan Kinsella, giurista e filosofo della scuola "libertaria". E anche questo, più esteso. Io non li ho ancora letti.
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Aggiornamento. Mi è venuta in mente un'obiezione all'esperimento di Block. Il nostro senso di giustizia si è evoluto, per selezione naturale, in un ambiente in cui quella macchina non esisteva. Se la macchina fosse esistita, noi oggi avremmo un senso di giustizia completamente diverso: l'omicidio non ci sembrerebbe molto più grave di un normale furto. Quindi non sembra avere molto senso immaginare un mondo in cui la macchina esiste, e tutto il resto è uguale ad ora. Se la macchina esistesse, il resto non potrebbe essere com'è ora.

Ricapitolando: Walter Block sembra aver dimostrato che gli oppositori della pena di morte hanno torto. Infatti ha fornito una situazione in cui loro stessi diventerebbero sostenitori della pena di morte. La logica è: "Se tu stesso sosterresti la pena di morte in questo caso particolare, allora i tuoi argomenti, che si oppongono alla pena di morte in generale, non possono essere corretti." Però l'esperimento mentale di Block non sembra essere valido, perché non soddisfa la condizione "ceteribus paribus". Cioè, se quella macchina esistesse, non possiamo supporre che le altre cose resterebbero uguali. In particolare, non possiamo supporre che il nostro senso di giustizia resterebbe uguale (essendo esso stesso un prodotto dell'evoluzione in un ambiente in cui la macchina esiste).