giovedì 6 agosto 2009

Perché esistono le depressioni?

Questo post è il primo di una serie dedicata al libro "Meltdown" dell'economista Thomas E. Woods. Il libro si propone di spiegare che cosa ha causato la depressione del 2008, e in generale che cosa causa i cicli dell'economia (cioè l'alternanza tra boom e depressioni.). In un capitolo successivo Woods parlerà anche della Grande Depressione degli anni '30. La traduzione è mia.

Capitolo quarto

Siamo abituati al fatto che, nella vita economica, momenti positivi si alternano inevitabilmente a momenti di crisi. Proprio come la luna e la marea si alzano e abbassano ciclicamente all'infinito, così diamo per scontato che l'economia proceda per boom e recessioni. Il prezzo mediano delle case in tutte le città degli Stati Uniti è aumentato del 150% dall'agosto del 1998 fino all'agosto del 2006. Nei due anni successivi i prezzi delle case sono scesi del 23%. Il numero di default e foreclosure dei mutui è cresciuto in maniera astronomica. Il mercato azionario ha seguito un corso simile: quando la borsa di New York ha chiuso il 9 ottobre 2007, l'indice industriale Dow Jones era a 14164.53, la chiusura più alta di tutti tempi. 13 mesi dopo, il 20 novembre 2008, si è chiuso a 7582.29: un calo del 46.7%.

Le crisi sono sempre accompagnate a tragedie personali, e stavolta la tragedia è più visibile del solito: molti fondi pensione sono stati prosciugati; la disoccupazione è aumentata: nel novembre del 2008 la disoccupazione era salita fino al 6.7%. Tra l'altro, se calcoliamo queste cifre nel modo in cui il governo le calcolava negli anni 70 (prima di iniziare a "massaggiare" i dati per renderli più gradevoli), il tasso di disoccupazione a novembre era uno spaventoso 16.7%. Le tragiche ripercussioni di queste crisi sulle vite delle persone vengono sempre usate per giustificare l'intervento dello Stato, vuoi per creare una rete di sicurezza, vuoi per produrre nuove regolamentazioni mirate ad "appiattire" i cicli economici --- cicli che, si sostiene, sono un problema inerente al mercato libero. Ma sono davvero così inevitabili? E' proprio vero che l'economia di mercato è suscettibile di enormi errori imprenditoriali incomprensibili ed improvvisi, oppure questi errori sono causati da qualcosa che si trova al di fuori del mercato? Questa non è una domanda puramente accademica: gli americani che attualmente si trovano in difficoltà mentre [la crisi diminuisce il loro tenore di vita] hanno diritto ad una spiegazione. Mentre i politici e i media discutono il da farsi come se recitassero frasi imparate a memoria, ci promettono di impedire un nuovo collasso come quello che stiamo attraversando adesso. Se vogliono avere una minima speranza di successo, devono comprendere le cause del ciclo economico; che cosa causa queste violente oscillazioni. Se i politici saranno meticolosi ed onesti nel cercare il colpevole, non saranno compiaciuti quando scopriranno che cosa si trova alla fine di questa catena di indizi: non il capitalismo, non l'avidità, non la mancanza di regolamentazione, ma un'istituzione creata dal governo stesso.

Sciami di errori simultanei

Nessuno si sorprende quando un'impresa deve chiudere: le imprese nascono e muoiono continuamente. Gli imprenditori non sono infallibili e, a volte, fanno previsioni sbagliate circa i desideri dei consumatori. Ad esempio, gli imprenditori possono calcolare in modo errato i costi di produzione, o non riuscire a prevedere gli schemi dei gusti dei consumatori, o sottostimare la quantità di risorse necessarie ad adeguarsi alle regolamentazioni imposte dal governo che cambiano di continuo; o fare molti altri tipi di errori. Insomma, il fallimento di un'impresa è l'inevitabile conseguenza della nostra incapacità di conoscere il futuro con certezza. Ma quando una grande quantità di imprese, tutte allo stesso tempo, soffrono perdite ingenti o falliscono, questo è un fenomeno che dovrebbe sorprenderci. Una cosa sono le perdite sofferte da una singola impresa (di nuovo, nessuno sa prevedere il futuro con certezza); ma perché così tanti uomini di affari dovrebbero commettere degli errori tutti nello stesso momento? Dopo tutto, le forze di mercato scartano gradualmente tutti gli imprenditori che non sono bravi ad amministrare il capitale e a prevedere la domanda dei consumatori, punendoli con perdite, e, se la loro inefficienza persiste, buttandoli completamente fuori dagli affari. Quindi perché dovrebbero gli uomini di affari, anche quelli in affari da molto tempo, e che hanno passato il test del mercato anno dopo anno, commettere tutti improvvisamente gli stessi tipi di errori? L'economista britannico Lionel Robbins ha sostenuto che questo sciame di errori richiede una spiegazione: perché i capi di imprese nelle varie industrie che producono beni di produzione dovrebbero fare errori di giudizio allo stesso tempo e nella stessa direzione? Questo schema (apparente prosperità economica seguita da una generale depressione economica) viene chiamato "ciclo economico", o ciclo boom-bust, o ciclo boom-crisi. Ha esso una causa, oppure è una caratteristica inerente dell'economia di mercato, come ha sostenuto Karl Marx? Questa domanda oggi è importante, perché l'amministrazione Obama è entrata al potere dando la colpa del collasso economico alla mancanza di regolamentazione e al mercato stesso, promettendo la consueta soluzione governativa. Per impedire un altro doloroso "scoppio" della bolla economica, dobbiamo sapere che cosa ha prodotto lo scoppio attuale; dobbiamo scoprire che cosa causa il ciclo economico. Possiamo trovare un indizio nel fatto storico che le depressioni hanno effetti particolarmente gravi nelle industrie che producono beni capitali (per esempio materie prime, costruzioni, equipaggiamenti e macchinari, e cose simili) e relativamente meno gravi nei settori che producono beni di consumo diretto (matite, cappelli, cornici). In altre parole, le cose che i consumatori materialmente comprano non soffrono della depressione tanto quanto soffrono le cose prodotte negli stadi più alti della produzione, le cose che sono più lontane dall'essere prodotti finiti, pronti per il consumo. Perché mai dovrebbe essere così?

Come funzionano le cose in un mercato libero

L'economista F.A. Hayek vinse il premio Nobel per l'economia nel 1974 per una teoria del ciclo economico che possiede un enorme potere esplicativo, specialmente in luce della crisi finanziaria del 2008, crisi che così tanti economisti non sono riusciti a spiegare. Il lavoro di Hayek, che si basa su una teoria sviluppata dall'economista Ludwig Von Mises, individua la radice del ciclo boom-depressione nella Banca centrale (nel nostro caso la Federal Reserve, o FED), cioè quella stessa istituzione che si considera il protettore dell'economia e la fonte di sollievo per i cicli economici. Nel capitolo 6 parleremo molto più in dettaglio di che cosa è la Federal Reserve e come funziona. Per adesso è sufficiente dire che la FED, che ha aperto le sue porte nel 1914, dopo l'approvazione del Federal Reserve Act nel 1913, è un organo che ha la facoltà di espandere e contrarre la quantità di moneta nell'economia, e può quindi far aumentare e diminuire i tassi di interesse. Investigare sulla quantità di moneta ha senso quando si cerca la radice di un problema che investe tutta l'economia: dopotutto la moneta è l'unica cosa che è presente in tutti gli angoli del mercato, come ha notato Lionel Robbins nel suo libro del 1934 intitolato "Grande Depressione". Egli chiese: non è probabile che dei disturbi che influenzano molte linee di industrie allo stesso tempo saranno trovati avere cause monetarie? In particolare il "colpevole" risulta essere l'interferenza della Banca centrale con i tassi di interesse. I tassi di interesse sono dei prezzi: i prezzi dei prestiti. Prendere in prestito dei soldi o del capitale è un bene economico, per cui, per prenderli in prestito, si paga un prezzo. Quando metti dei soldi in un conto corrente, oppure compri delle obbligazioni, tu sei colui che presta. Il tasso di interesse che guadagni è il prezzo che ti stanno pagando per i tuoi soldi. Come per tutti i beni, l'offerta di prestiti a volte aumenta o diminuisce; ed anche la domanda di prestiti può aumentare o diminuire. La domanda e l'offerta di prestiti determinano il prezzo di un prestito, cioè il tasso d'interesse. Se le famiglie risparmiano più soldi, o le banche vogliono prestare più soldi, coloro che vogliono prendere soldi in prestito devono pagare di meno; cioè il prezzo da pagare per un prestito diminuisce; cioè i tassi d'interesse scendono. Se invece c'è una corsa per ottenere dei prestiti, o c'è una scarsità di offerta di prestiti, i tassi di interesse salgono. Questo è ciò che avviene nel mercato libero, in cui il prezzo è stabilito dalla legge della domanda e dell'offerta.

Ci sono alcuni effetti di questa dinamica che potrebbero non essere ovvi sulle prime e che contribuiscono ad avere un'economia in buona salute. Cominciamo con il caso in cui la gente risparmia più di prima, in tal modo aumentando l'offerta di soldi prestabili e di capitale prestabile, e quindi diminuendo i tassi di interesse. Dal punto di vista di un'impresa, tassi di interesse più bassi significano che adesso è redditizio iniziare progetti a lungo termine che non sarebbero redditizi con tassi di interesse più alti. Le imprese quindi rispondono ai tassi più bassi cogliendo l'opportunità di avviare progetti a lungo termine, mirati ad aumentare la loro capacità produttiva futura, per esempio espandere strutture esistenti, o costruire nuovi stabilimenti, o acquistare nuovi equipaggiamenti e macchinari. Guardate la cosa anche dal punto di vista del risparmiatore che aumenta i suoi risparmi: il fatto che tu hai aumentato i tuoi risparmi vuol dire che tu hai relativamente diminuito il tuo desiderio di consumare nel presente; questo è un altro incentivo per le imprese ad investire nel futuro, cioè intraprendere progetti di investimento di elevata durata temporale che diano i loro frutti nel futuro, con un occhio alla produzione futura, anziché produrre e vendere cose oggi. D'altra parte, se la gente ha un desiderio forte di consumare adesso, risparmierà di meno, quindi i tassi di interesse saranno più alti, il che renderà meno attraente per le imprese intraprendere progetti a lungo termine; la grande quantità di denaro dei consumatori che è sul tavolo adesso rende conveniente produrre e vendere oggi. Il modo di esprimere questa felice situazione è dire che il tasso di interesse coordina la produzione attraverso il tempo. Assicura che le forze di mercato siano dosate in un mix compatibile: se la gente vuole consumare adesso, le imprese rispondono di conseguenza; se la gente vuole consumare in futuro, le imprese allocano le loro risorse di conseguenza, per soddisfare questo desiderio. Per esempio, le imprese non riserveranno molte risorse alla ricerca e sviluppo, quando i consumatori preferiscono che esistano più beni adesso.

Ma a questo punto entra in scena la Banca centrale (FED). Il tasso di interesse può effettuare questa funzione di coordinamento solo se gli si permette di aumentare e diminuire liberamente, in risposta ai cambiamenti della domanda e dell'offerta. Se la Banca centrale manipola i tassi di interesse, non dovrebbe sorprenderci se osserviamo uno scoordinamento su scala enorme. Come vedremo dopo, la Banca centrale può utilizzare vari strumenti per manipolare i tassi di interesse e farli aumentare o diminuire. Supponiamo che la Banca diminuisca i tassi di interesse. Come abbiamo visto, sul mercato libero i tassi di interesse scendono perché i cittadini stanno risparmiando di più. Ma quando la Banca centrale diminuisce i tassi di interesse in modo artificiale, i tassi non riflettono più il reale stato della domanda dei consumatori e in generale delle condizioni economiche: la gente non ha davvero aumentato i propri risparmi o indicato un desiderio di diminuire il proprio consumo presente. Questi tassi di interesse artificialmente bassi ingannano gli investitori: fanno improvvisamente sembrare redditizi alcuni investimenti che in condizioni normali sarebbero correttamente giudicati non redditizi. Dal punto di vista dell'economia complessiva, vengono prese decisioni di investimento irrazionali; l'attività di investimento è distorta. La politica di "credito facile" della Banca centrale fa credere alle imprese che ora sia un buon momento per investire in progetti a lungo termine. Ma in realtà i cittadini non hanno manifestato alcuna intenzione di voler posporre il loro consumo presente in modo da liberare risorse che le imprese possano impiegare per progetti a lungo termine. Anche nel caso in cui alcune imprese riescano effettivamente a portare a termine il loro progetto nonostante il livello di risparmio dei consumatori relativamente basso, c'è ragione di credere che in futuro, quando le imprese vorranno vendere il prodotto finito e ottenere così i benefici del loro investimento a lungo termine, i consumatori non avranno abbastanza potere d'acquisto per acquistare il prodotto.

Quindi il fatto che la Banca centrale abbassa i tassi di interesse fa sì che vada persa la connessione [tra i desideri dei consumatori e le azioni degli imprenditori]. La coordinazione della produzione attraverso il tempo viene sabotata. In un momento in cui i cittadini non hanno mostrato alcuna diminuzione del desiderio di consumare nel presente, vengono incoraggiati investimenti a lungo termine che daranno i loro frutti solo nel lontano futuro. I consumatori non hanno scelto di risparmiare, rilasciando così risorse utilizzabili negli stadi più alti della produzione. Che cosa significa esattamente dire che "i consumatori non hanno rilasciato risorse utilizzabili negli stadi più alti della produzione"? Pensate ai soldi che guadagnate come al compenso per beni e servizi che voi avete prodotto (o avete contribuito a produrre). Se voi usate oggi una frazione minore di quei soldi per acquistare beni e consumarli, state risparmiando una frazione maggiore di quegli stessi beni; e quindi state aumentando la riserva complessiva di risparmi reali da cui i produttori possono attingere.

Anziché fare ciò (aumentare i risparmi e diminuire i consumi), per effetto della Banca centrale i cittadini fanno l'esatto contrario: il tasso di interesse più basso incoraggia i cittadini a risparmiare di meno, e quindi a consumare di più, in un momento in cui anche gli investitori stanno cercando di attrarre risorse verso di sé, per investirle; l'economia viene quindi "stirata" in due direzioni opposte allo stesso tempo; le risorse vengono allocate in modo errato, incanalate verso linee di produzione che non possono essere sostenute a lungo termine. Infatti, man mano che l'impresa si avvicinerà a completare i suoi progetti, scoprirà che le risorse di cui ha bisogno (come la manodopera, i materiali, i pezzi di ricambio, ecc., chiamate dagli economisti "fattori complementari della produzione") non sono disponibili in quantità sufficiente: la riserva complessiva di risparmi reali dei cittadini si è rivelata più piccola di quanto gli imprenditori avevano previsto, e i fattori complementari della produzione di cui gli imprenditori hanno bisogno risultano essere più scarsi di quanto si aspettavano; quindi il prezzo di questi fattori della produzione (manodopera e altre risorse) sarà più alto di quanto gli imprenditori si aspettassero, e i costi dell'impresa saliranno. Per finanziare questi imprevisti aumenti nei prezzi degli input, le imprese avranno bisogno di ricorrere a prestiti in misura maggiore. Questo aumento nella domanda di prestiti farà aumentare i tassi di interesse. La dura realtà comincia ora a rivelarsi: alcuni di questi progetti non possono essere completati. Semplicemente, nell'economia non esiste ancora abbastanza ricchezza per finanziarli tutti: la ricchezza necessaria non è stata prodotta. Erano stati soltanto i tassi di interesse artificialmente bassi ad ingannare gli investitori facendo loro credere che lo fosse.

In altre parole, l'economia può sostenere solo un certo numero di progetti di investimento allo stesso tempo. Il tasso di interesse è il meccanismo con cui il mercato libero limita il numero di progetti che si riescono ad iniziare; è il meccanismo che impedisce che vengano iniziati più progetti di quanti il pool di risparmi dei cittadini possa sostenere a lungo termine. Quando il tasso di interesse viene abbassato artificialmente, vengono concessi più prestiti, e vengono iniziati più progetti; ma non vengono magicamente create le risorse reali aggiuntive necessarie per completarli tutti.

Inoltre, i progetti che vengono iniziati in questo ambiente compromesso sono diversi da quelli che sarebbero stati iniziati in un mercato libero: Ludwig Von Mises, per descrivere un'economia che è sotto l'influsso di tassi di interesse artificialmente bassi, usa la metafora di un costruttore di case che crede erroneamente di avere più mattoni di quanti ne ha realmente. Costui costruirà una casa le cui dimensioni e proporzioni sono diverse da quelle che avrebbe scelto se avesse conosciuto la vera quantità di mattoni in suo possesso. Egli non sarà in grado di completare questa casa più grande con i mattoni che ha. Prima scopre qual è la vera quantità di mattoni in suo possesso, meglio è, perché in questo caso può ricalibrare i suoi piani di produzione, prima che una parte troppo grande della casa sia stata costruita, e prima che una parte troppo grande del suo lavoro e del suo materiale sia stata dilapidata. Se lo scopre solo verso la fine della produzione, dovrà distruggere quasi tutta la casa, e sia lui che la società nel complesso saranno più poveri a causa del suo spreco di quelle risorse.

A breve termine, il risultato dell'abbassamento dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale è una ricchezza apparente: il boom. In questa fase, il valore delle azioni e degli immobili schizza verso l'alto; si iniziano ovunque nuove costruzioni; le imprese espandono le loro capacità; e i cittadini godono di un alto tenore di vita. Ma si tratta di un'economia drogata, e la realtà inevitabilmente si riafferma: alcuni di questi investimenti risulteranno insostenibili e dovranno essere abbandonati, e le risorse a loro dedicate sono state completamente o parzialmente sprecate.

La fantasia di Keynes: il boom permanente

Abbiamo visto una delle ragioni per cui la Banca Centrale non può semplicemente iniettare più credito nell'economia e fare in modo che lo stato di boom prosegua indefinitamente. Eppure l'economista John Maynard Keynes (che è sospettosamente tornato di moda a Washington nonostante la sua teoria sia crollata all'inizio degli anni settanta in quanto non poteva spiegare l'esistenza contemporanea di inflazione e stagnazione) propose esattamente questo: il rimedio per il boom non è un tasso di interesse più alto, ma un tasso di interesse più basso, perché ciò permette al boom di rimanere. Il rimedio giusto per il ciclo economico non è abolire i boom, tenendoci permanentemente in una quasi-recessione, ma abolire le recessioni, tenendoci permanentemente in un quasi-boom.

Come al solito, Keynes stava inseguendo una fantasia. Più la Banca Centrale produce inflazione [e quindi tiene i tassi di interesse artificialmente bassi], peggiore sarà l'inevitabile crisi. [Il motivo per cui la crisi è inevitabile è che le risorse reali necessarie per completare i progetti non esistono; non sono state prodotte. Stampare nuova moneta, o diminuire ulteriormente i tassi, come prescrive Keynes, non può alterare questo fatto; non può creare nuove risorse reali dal nulla. Quindi la crisi non può essere evitata. Woods passa ora a illustrare i vari modi in cui la crisi prima o poi si manifesta. NdM.] Ogni nuova onda di credito artificiale non fa altro che deformare ulteriormente la struttura della produzione, rendendo l'inevitabile recessione più grave, perché molto più capitale è stato sprecato, e così tante risorse sono state allocate in modo errato. Più si permette al processo di continuare, più l'economia si sposta in una direzione insostenibile, proprio come il costruttore di case nell'esempio di Mises si mette in guai sempre più grossi man mano che lavora alla casa sotto un'impressione errata di quanti mattoni possiede. Avrebbe potuto riuscire a costruire una casa con i mattoni che aveva ma, credendo di averne di più di quanti ne avesse in realtà, comincia a costruire un diverso tipo di casa, una che non ha abbastanza mattoni per completare. Quando diventa chiaro che una così gran parte del boom non è sostenibile a lungo termine, nasce una pressione a liquidare l'investimento errato, cioè terminare il lavoro e svendere l'attrezzatura. Il capitale è salvabile, e viene liberato per altre imprese, dove il suo bisogno è più urgente. Se la Banca Centrale ignorasse questa pressione, e continuasse semplicemente ad inflazionare la quantità di moneta, Mises avverte che corre il rischio di produrre iperinflazione, una inflazione rapidissima che distrugge la moneta stessa. [cosa recentemente verificatasi nello Zimbabwe, NdM.]

L'iperinflazione, o la cessazione da parte della Banca Centrale di una politica di credito facile per paura dell'iperinflazione, non sono gli unici due modi in cui la recessione può iniziare: ce n'è un terzo. I tassi di interesse artificialmente bassi stimolano i venture-capital (investimento a lungo termine) e la produzione di beni di consumo (investimento a breve termine), "stirando" l'economia in due direzioni opposte a spese della parte intermedia: la manutenzione del capitale esistente (investimento a medio termine). Quindi, se il governo cerca di mantenere in piedi il boom iniettando continuamente nuova moneta in circolazione, il capitale logorato e manutenuto in modo insufficiente prima o poi ridurrà la capacità dell'economia di offrire ai consumatori beni di consumo. In altre parole, le forze di mercato prima o poi riallocheranno le risorse, sottraendole ai venture-capital e ai settori di consumo e indirizzandole verso la manutenzione, terminando in tal modo il boom. Per un esempio facile da capire di questo processo, vedere l'articolo di Robert P. Murphy, "l'importanza della teoria del capitale" (in inglese qui).

Scrivendo durante la Grande Depressione, F. A. Hayek criticò aspramente coloro che credevano di poter evitare il disastro mediante l'inflazione della moneta, mantenendo bassi i tassi di interesse indefinitamente: "Anziché lasciare che i malinvestimenti prodotti dal boom negli ultimi 3 anni siano liquidati, è stato fatto tutto il possibile per impedire che un riequilibrio avvenisse; uno di quei trucchi, che è stato tentato ripetutamente senza successo, dai primi ai più recenti stadi della depressione, è la politica di espansione di credito. Combattere la depressione con una espansione forzata di credito significa cercare di curare il male con gli stessi mezzi che lo hanno prodotto: dato che stiamo soffrendo per un dirottamento dei mezzi di produzione, vogliamo dirottarli ulteriormente. Questa pratica può solo condurre a una crisi molto più grave non appena l'espansione di credito terminerà. È probabilmente a questo esperimento, assieme ai tentativi di impedire le liquidazioni una volta che la crisi è arrivata, che dobbiamo l'eccezionale gravità e durata della depressione." La recessione o la depressione è il triste e necessario processo di correzione con cui gli investimenti errati avvenuti nel periodo del boom, dopo essere finalmente rivelatisi per ciò che sono, vengono liquidati, reimpiegati da qualche altra parte nell'economia, dove possono contribuire a produrre qualcosa che i consumatori vogliono davvero. La nostra ricchezza e i beni non vengono più dirottati verso investimenti non sostenibili, con domanda inadeguata e risorse insufficienti. Le imprese falliscono e i progetti di investimento vengono abbandonati. Sebbene questa fase (la recessione o depressione) sia tragica per molte persone, non è in questa fase che il danno è stato fatto: lo scoppio della bolla è il periodo in cui l'economia smaltisce gli investimenti errati e l'allocazione errata del capitale, ristabilisce la struttura della produzione lungo linee sostenibili, e ritorna ad essere in buona salute. Il danno è stato fatto durante la fase del boom, il periodo di falsa prosperità che precede lo scoppio della bolla: è allora che l'abbassamento artificiale dei tassi di interesse causa il dirottamento del capitale e l'avvio di investimenti non sostenibili. È allora che risorse che avrebbero realmente soddisfatto la domanda dei consumatori vengono dirottate verso progetti che hanno senso solo in luce delle condizioni temporanee e artificiali del boom. Per il costruttore di case della nostra favola, il danno non è stato fatto quando ha abbattuto i muri della casa eccessivamente grande che non avrebbe mai potuto completare; il danno è stato fatto quando ha piazzato i mattoni su un'area troppo ampia. A nessuno piace la disoccupazione e il fallimento delle imprese, naturalmente. Ma non sarebbero stati necessari se il boom artificiale non fosse stato stimolato in primo luogo.

Come possiamo vedere ora, la teoria austriaca riesce con successo a rispondere alle due domande originali: lo sciame di errori simultanei avviene perché l'abbassamento artificiale dei tassi di interesse inganna sistematicamente gli investitori, i quali compiono decisioni di investimento come se nell'economia esistessero più risorse risparmiate di quante ne esistono davvero. Dato che queste risorse in realtà non esistono, non tutti i progetti che sono stati iniziati possono essere completati. La crisi è più grave e dolorosa nelle industrie che producono beni di produzione rispetto alle industrie che producono beni di consumo, perché quel settore è il più sensibile ai cambiamenti nei tassi di interesse, e quindi attrae investimenti in misura sproporzionata.

Il consulente di investimenti Peter Schiff traccia un'analogia tra il boom artificiale e un circo che arriva in città per qualche settimana. Quando il circo arriva, i suoi attori e il pubblico frequenteranno i ristoranti locali e le imprese locali. Ora supponete che un ristoratore concluda erroneamente che questo boom nei suoi affari durerà permanentemente. Allora potrebbe rispondere espandendo i propri locali o forse costruendone di nuovi. Ma, appena il circo lascia la città, il nostro imprenditore scopre di aver tragicamente sbagliato i calcoli. Ha senso cercare di salvare questo povero sfortunato mediante l'inflazione? In altre parole, dovrebbe il sistema bancario creare nuova moneta dal nulla, e prestarla a costui, al fine di mantenere redditizia la sua impresa? Creare nuova moneta non crea nuove cose. Prestare a questo imprenditore moneta creata dal nulla gli permette semplicemente di indirizzare verso se stesso una parte maggiore del pool di risorse presenti nell'economia, a spese delle imprese sane, che rispondono davvero ai desideri reali dei consumatori. Renderlo dipendente dal credito facile non fa altro che prolungare l'allocazione errata delle risorse: questo ristorante è un'attività "da bolla", che può esistere solo nelle condizioni fasulle della bolla. Questa impresa deve terminare, così che le risorse che essa teneva impegnate possano essere riallocate verso linee di produzione più sensate.

È importante ricordare un'altra cosa. Tutte le imprese sono influenzate dal boom artificiale; non solo quelle che cominciano nuovi progetti di investimento e che sono nate solo grazie all'esistenza del credito facile. Ad esempio, durante il picco della bolla dot-com nell'anno 2000, la Microsoft, che era stata fondata ben prima del boom, si è trovata di fronte a una scarsità di fattori della produzione, scarsità che viene predetta dalla teoria austriaca. La compagnia ha cominciato a fare fatica a trovare dipendenti e a mantenerli, specialmente a Silicon Valley. Mises osservò che al fine di continuare la produzione, nella scala allargata prodotta dall'espansione di credito, tutti gli imprenditori (sia quelli che hanno espanso la loro attività sia quelli che hanno prodotto solo entro i limiti in cui producevano prima) hanno bisogno di fondi aggiuntivi, perché i costi di produzione salgono.

Notate che il fattore che fa precipitare il ciclo economico non ha niente a che fare con l'economia di mercato di per sé. È la politica del governo di spingere i tassi di interesse sotto il livello a cui il mercato libero li avrebbe stabiliti. La Banca centrale è un'istituzione governativa, creata dalla legislazione dello Stato, il cui personale viene eletto al governo, e che gode del privilegio di un monopolio concesso dal governo. È il caso di ripetere: l'intervento della Banca centrale nell'economia fa nascere il ciclo economico. E la Banca centrale non è un'istituzione che esisterebbe nel mercato libero.

La teoria in sintesi

Ecco un sommario di ciò che la teoria austriaca afferma:

1. i tassi di interesse possono scendere in due modi: a) il pubblico risparmia di più, oppure b) la Banca centrale li abbassa artificialmente.

2. gli imprenditori rispondono ai tassi di interesse più bassi iniziando nuovi progetti. I progetti tendono a essere quelli che sono più sensibili ai tassi d'interesse; in particolare avvengono nei cosiddetti "stadi più alti della produzione": miniere, materie prime, costruzioni, macchinari, eccetera. In altre parole, gli investimenti avvengono nei processi di produzione che sono più lontani dal prodotto finito (il prodotto pronto per essere consumato).

3.A. Se il tasso di interesse è più basso per cause naturali (ad esempio perché la gente risparmia di più) allora il mercato funziona bene: i consumi che la gente ha posposto forniscono le risorse necessarie affinché i nuovi investimenti iniziati dalle imprese possano essere completati.

3.B. Se il tasso d'interesse è più basso per cause artificiali (ad esempio per la manipolazione della Banca centrale) allora questi progetti non possono essere tutti completati: le risorse necessarie per completarli non sono state risparmiate dai cittadini. Gli investitori sono stati fuorviati ed indotti a iniziare linee di produzione che non possono essere sostenute.

4. immaginate un costruttore di case che creda erroneamente di avere il 20% di mattoni in più di quelli che ha realmente: egli costruirà un tipo diverso di casa da quella che costruirebbe se avesse un conteggio accurato della sua quantità di mattoni. (Supponete che non possa comprare più mattoni.) Le dimensioni sarebbero differenti. Lo stile sarebbe differente. E più a lungo egli va avanti senza capire il suo errore, peggiore sarà il momento in cui lo scoprirà. Se scopre l'errore solo alla fine, dovrà distruggere l'intera costruzione, e tutte quelle risorse e quel tempo di lavoro saranno state dilapidate. La società sarà più povera di quella quantità.

5. l'economia è come il costruttore di case: forzare i tassi di interesse ad essere più bassi di quelli che il mercato avrebbe stabilito fa sì che gli attori economici agiscano come se esistessero più risorse di quelle che esistono in realtà. Una porzione di questo nuovo investimento è quindi un malinvestimento: un investimento lungo linee che avrebbero avuto senso se esistessero risorse risparmiate sufficienti per completarle, ma che non hanno senso alla luce delle risorse attualmente disponibili nell'economia.

6. il recente boom immobiliare è un esempio classico di questa teoria in azione. I tassi di interesse artificialmente bassi hanno dirottato enormi quantità di risorse verso la costruzione di case. Adesso sappiamo che ciò non era sostenibile. C'è un limite al numero di case da 900.000 dollari che la gente era in grado di comprare con i pochi risparmi che aveva messo da parte.

7. Prima termina la manipolazione monetaria, prima si riesce a eliminare il malinvestimento, e a redirigere le risorse male allocate verso linee di produzione sostenibili. Più a lungo cerchiamo di mettere delle toppe, peggiore sarà l'inevitabile crisi. Il costruttore di case nel nostro esempio sarebbe stato molto meglio se avesse scoperto prima il suo errore, perché molte meno risorse sarebbero state irrimediabilmente dilapidate. Lo stesso vale per l'economia nel complesso. Più a lungo si aspetta, più male fa.

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Un'obiezione ragionevole alla teoria austriaca è la seguente: perché le imprese non riescono semplicemente ad imparare a distinguere tra tassi di interesse bassi che riflettono un aumento nei risparmi reali della gente e tassi di interesse bassi che riflettono niente più che la manipolazione da parte della Banca centrale? Perché non imparano la teoria austriaca del ciclo economico, ed evitano di espandersi quando la Banca centrale cerca di dare avvio a un boom artificiale? La risposta è che non è così facile. Prima di tutto, persino la maggior parte degli economisti non è al corrente della teoria austriaca del ciclo economico; figuriamoci se questo argomento viene insegnato nei corsi per imprenditori. Anche gli imprenditori che conoscono la teoria austriaca e che sanno con certezza assoluta che la Banca centrale sta mantenendo i tassi di interesse artificialmente bassi potrebbero ancora avere interesse a prendere in prestito quei soldi ed avviare nuovi progetti, sperando che il loro progetto sarà uno dei fortunati e che possano avere successo prima che arrivi lo scoppio. Se invece non fanno niente e restano con le mani in mano, non reagendo ai tassi di interesse bassi, i loro avversari lo faranno di sicuro, e potrebbero riuscire ad ottenere quote di mercato alle loro spese. Qualcuno abboccherà all'amo.

La teoria austriaca non è intesa per spiegare la durata della persistenza della depressione. È una teoria del boom artificiale, che culmina nello scoppio. La durata della recessione è tanto più lunga quanto più il governo impedisce all'economia di riallocare la forza lavoro e il capitale verso schemi di produzione sostenibili. L'interferenza del governo (nella forma di tetti massimi ai prezzi, tetti minimi ai salari, prestiti di emergenza, liquidità aggiuntiva, ulteriore inflazione monetaria, e così via) mirano tutti a diminuire il dolore a breve termine, al prezzo di esacerbare l'agonia a lungo termine. Ogni tentativo di uscire dalla crisi mediante inflazione, iniettando nuova moneta creata dal nulla, e quindi mantenendo i tassi di interesse artificialmente bassi, rende soltanto più doloroso l'inevitabile collasso. Il malinvestimento deve terminare ed essere liquidato, e non incoraggiato e premiato con sussidi, se si vuole che la struttura della produzione ritorni ad essere sostenibile.

Ci saranno sempre coloro che, non comprendendo la situazione, chiederanno iniezioni monetarie sempre più grandi, per cercare di mantenere vivo il boom, ma il loro numero è salito alle stelle a partire dall'autunno del 2008. Roger Nightingale, strategista economico di Pointon York, tutt'altro che solo nel 2008, ha esortato le banche centrali di tutto il mondo ad abbassare i tassi di interesse fino a zero. "Non sto parlando di 50 punti base" ha detto. "Dobbiamo portare i tassi letteralmente a zero. Gli europei devono andare a zero; gli inglesi molto vicino a zero; i giapponesi naturalmente non possono che andare a zero". Ha aggiunto che anche lo zero potrebbe non essere abbastanza. [Recentemente l'economista Mankiw, autore del più venduto testo di economia al mondo, ha auspicato tassi di interesse negativi, NdM.] Il governatore della Banca d'Inghilterra Marvin King ha detto che era pronto a ridurre i tassi a qualunque livello sia necessario, compreso lo zero. (continua)

mercoledì 15 luglio 2009

La parabola dello scambio equo

Un viaggiatore povero e un viaggiatore ricco attraversavano il deserto assieme. A metà tragitto, la borraccia del viaggiatore povero si forò. Il viaggiatore comprese che, senza acqua, non sarebbe sopravvissuto fino alla città. Il ricco aveva acqua in eccesso, quindi il povero gli chiese di dargliene una piccola parte. Il ricco lo fissò a lungo, pensieroso, poi rispose:
"Ti darò acqua sufficiente a sopravvivere. In cambio, voglio che tu firmi un contratto. Nel contratto, dichiari di cedere a me ogni tua proprietà: la tua casa, il tuo denaro, il tuo cammello, e qualunque altra cosa tu possieda. Non solo: dovrai anche cedermi la metà dei tuoi guadagni futuri per i prossimi cinque anni. Allora mi riterrò soddisfatto.".
Il viaggiatore povero, non avendo altra scelta all'infuori della morte, accettò lo scambio e firmò il contratto. Ma, una volta giunto in città, sentendo di essere stato vittima di un'ingiustizia, si recò ad una corte di giustizia nota in tutto il Paese per la sua equità. La reputazione di questa corte era così grande che, se il giudice si fosse pronunciato in favore del povero giudicando nullo il contratto, il ricco avrebbe rinunciato ad impossessarsi degli averi del povero, per non essere considerato un criminale dal resto del Paese e trattato come tale.

Una volta di fronte al giudice, il povero parlo così:
"Non è stato uno scambio equo: quel farabutto ha preteso la mia casa e tutti i miei soldi in cambio di una misera borraccia d'acqua! Inoltre, si è approfittato del mio stato di necessità: mi ha fatto quel prezzo inaudito solo perché sapeva che non avevo altra alternativa che la morte. Sono stato vittima di sfruttamento ed estorsione.

Per questi motivi, chiedo che il contratto sia dichiarato nullo da questa Corte.".

Il giudice rispose: "Emetterò il verdetto soltanto se ti impegni a rispettarlo qualunque esso sia.". Il povero, sicuro di essere dalla parte del giusto, accettò. Il giudice emise quindi il verdetto:

"Il tuo compagno di viaggio ha dato a te una borraccia d'acqua senza la quale saresti morto. Quindi, in ogni senso, egli ti ha salvato la vita.

Ma ha voluto anche ottenere qualcosa per sé. Ed ora tu sostieni che egli ha ottenuto troppo; cioè che lo scambio non è stato equo.

E' vero che ha ottenuto troppo? Esaminiamo ciò che lui ha dato a te e confrontiamolo con ciò che tu hai dato a lui. Cerchiamo di capire se vale di più ciò che lui ha dato a te o ciò che tu hai dato a lui.

Ciò che lui ha dato a te ha fatto per te la differenza tra vivere e morire. D'altra parte, ciò che tu hai dato a lui non ha fatto per lui molta differenza, perché lui era già molto ricco in partenza.

Ciò che lui ha dato a te, per te valeva moltissimo. Ciò che tu hai dato a lui, per lui valeva pochissimo.

Quindi c'è una sproporzione tra il valore che lui ha dato a te e il valore che tu hai dato a lui: lui ha dato a te molto più di quanto tu hai dato a lui. Senza di lui, tu ora saresti morto. Senza di te, per lui non sarebbe cambiato quasi nulla.

Quindi è vero che lo scambio non è stato equo. Ma per il motivo opposto a quello che tu denunci. Il problema è che tu hai dato a lui pochissimo, lui ha dato a te moltissimo. Se c'è uno di voi due che ha "sfruttato" l'altro, quello sei tu.

Per compensare questa sproporzione, e rendere lo scambio più equo, io raddoppio il tuo debito verso di lui: da oggi gli sei debitore della metà di ciò che guadagnerai per 10 anni, anziché per 5 anni.



mercoledì 6 maggio 2009

Quiz: la curiosa donazione

Vediamo chi lo risolve :)

Nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo, molte strade erano costruite da privati e in seguito donate al pubblico. Con la donazione, la strada diveniva proprietà pubblica, su cui chiunque poteva transitare senza pagare pedaggi. Perché i proprietari facevano ciò, dopo aver speso tanto per acquistare le terre e costruirvi la strada?

Suggerimenti: 1. non c'erano incentivi statali o esenzioni fiscali; 2. la cosa sarebbe potuta accadere anche in un paese non monarchico; 3. stiamo parlando di strade vere e proprie, fatte per gli spostamenti della popolazione; non di quelle brevi stradine di raccordo che oggi si usano per connettere la strada principale a qualche edificio commerciale.

Risolto da Giuseppe Regalzi. La soluzione è dopo i puntini.
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I costruttori possedevano terreni adiacenti alla strada, i quali aumentavano di valore (essendo vicini a una strada frequentata).

mercoledì 15 aprile 2009

Quiz: Papa, contraccezione e AIDS

Negli ultimi tempi il Papa è stato fortemente criticato per aver preso posizione contro il preservativo come rimedio contro l'AIDS. I critici hanno sostenuto che, per effetto dei suoi predicamenti, avverrà un aumento della diffusione dell'AIDS.

Sono rimasto sorpreso dall'apprendere che l'argomento di cui sopra (quello dei critici del Papa) è sbagliato. Riuscite a indovinare perché?

La soluzione è dopo i puntini:
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Tratto dal blog di David Friedman:

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Supponete di rendere le auto più sicure obbligando i produttori a dotarle di cinture di sicurezza, piantone sterzo collassabile, e altri cambiamenti che rendono meno probabile che un incidente d'auto uccida gli occupanti dell'auto. La conclusione ovvia, raggiunta da molte persone, è che il numero di morti in autostrada diminuirà.

Sam Peltzman, in un articolo classico, ha fatto notare che non esistono buone ragioni teoriche per aspettarsi che ciò avvenga. Gli incidenti d'auto non sono cose che "accadono e basta"; al contrario, sono il risultato di decisioni prese dai guidatori, come: quanto veloce guidare; quanta attenzione prestare alla guida e quanta alle conversazioni con i passeggeri o all'ascolto della radio; se tornare a casa in macchina o prendere un taxi dopo aver bevuto un po' troppo. Il fatto che le auto sono diventate più sicure riduce il costo di guidare in modo spericolato; minore è la probabilità che l'incidente uccida il guidatore, più i guidatori saranno disposti a guidare in modo spericolato. Quindi rendere le auto più sicure produce sì meno morti per ciascun incidente, ma produce anche più incidenti. Non c'è base teorica per predire se l'effetto netto sarà più o meno morti. Peltzman ha offerto evidenza statistica che, nel caso particolare che lui stava studiando (un insieme di requisiti di sicurezza imposti negli anni '60) i due effetti opposti si cancellavano quasi interamente a vicenda. La mortalità per incidente diminuì, gli incidenti aumentarono, e il tasso di mortalità annuale rimase più o meno lo stesso che ci sarebbe stato senza i cambiamenti legali. [Anzi ci fu un leggero aumento delle morti, NdM.]

Tutto ciò mi è tornato in mente a causa di una recente controversia su una questione diversa ma che usa la stessa logica. Il Papa, non sorprendentemente, ha preso posizione contro la distribuzione di preservativi come sistema per combattere l'epidemia di AIDS in Africa e, non sorprendentemente, è stato criticato per averlo fatto.

Proprio come nel caso della sicurezza delle auto e degli incidenti d'auto, rendere l'atto sessuale più sicuro ha due effetti che vanno in direzione opposta. Diminuisce la probabilità che un singolo atto sessuale produca la trasmissione dell'AIDS. Ma, diminuendo questo rischio, riduce l'incentivo ad evitare interamente il sesso, ad evitare atti sessuali come i rapporti anali che hanno alta probabilità di trasmettere l'AIDS, e ad evitare il sesso con persone che hanno alta probabilità di trasmetterti l'AIDS, come le prostitute. Su basi teoriche non abbiamo modo di sapere se l'effetto netto sarà una quantità maggiore o minore di AIDS.

Su basi empiriche, c'è evidenza che i due effetti si cancellano a vicenda, proprio come nel caso delle automobili. O quantomeno, questa è stata la conclusione, ampiamente citata, di un ricercatore sull'AIDS di Harvard che ha realmente studiato i dati. "Non abbiamo trovato alcuna correlazione significativa tra l'uso del preservativo e una diminuzione dei tassi di infezione da HIV; diminuzione che, dopo 25 anni dall'epidemia, avrebbe dovuto manifestarsi, se davvero l'uso del preservativo stesse funzionando."

Questo mi ricorda un'altra questione ... La chiesa, per ragioni dottrinarie che ignoro, permette la contraccezione con il metodo Ogino-Knaus, ma sostanzialmente condanna tutti i metodi alternativi. I critici di tale politica sostengono spesso la loro critica con immagini di donne povere che generano dieci o dodici figli, con conseguenze terribili su se stesse e, sostengono i critici, sul mondo intero.

L'errore di questa argomentazione è che il problema di sovrappopolazione che si cita è esattamente il problema che viene risolto da forme di contraccezione inaffidabili come la Ogino-Knaus. Se il tuo scopo è avere quattro figli invece di otto, un metodo di contraccezione che fallisce solo occasionalmente servirà bene allo scopo. E' questa presumibilmente la ragione per cui, prima dell'invenzione dei metodi moderni di contraccezione, il tasso di natalità, anziché essere sempre vicino al massimo biologico, era influenzato da fattori come il reddito, che influenzano la desiderabilità di avere figli. [...]

Le forme inaffidabili di contraccezione funzionano abbastanza bene per limitare il tasso di nascite all'interno del matrimonio. D'altra parte, se il tuo scopo è permettere alle donne di avere rapporti sessuali con uomini con cui non sono sposate senza rischi significativi di gravidanza (cioè permettere ciò che è diventato la norma nelle società sviluppate), allora forme di contraccezione più affidabili diventano molto sensate.

Questo mi fa sospettare che nessuna delle due fazioni nella controversia sia stata interamente onesta circa i propri scopi. La Chiesa cattolica difende la sua posizione su base dottrinaria, ma la sua posizione si può interpretare, in modo forse più plausibile, come ingegneria sociale. Limitare la contraccezione a forme inaffidabili (Ogino-Knaus, che la Chiesa approva, e coito interrotto, che la Chiesa non ha modo di impedire) rende il sesso occasionale considerevolmente più rischioso senza imporre grossi oneri al sesso matrimoniale, e quindi rende il primo meno attraente come sostituto del secondo. D'altra parte, i critici della posizione della Chiesa affermano di essere preoccupati della povertà e della sovrappopolazione, ma sostengono l'uso di tecniche di contraccezione che permettono (e probabilmente producono) il moderno stile di vita basato su rapporti sessuali al di fuori di relazioni a lungo termine.

Naturalmente, sul piano dei principi, credo che la contraccezione debba essere legale. Sono agnostico sulla domanda se la contraccezione abbia avuto, al netto, effetti positivi o negativi: riesco a vedere argomenti sensati da entrambi i lati. Ma il mio scopo in questo post non è sostenere una delle due posizioni, ma è solo offrire ragioni di sospettare che nessuna delle due fazioni sia stata interamente onesta circa i propri scopi.

domenica 15 marzo 2009

L'errore nella teoria marxista dello sfruttamento; una teoria dello sfruttamento corretta.


(aggiornato il 3 aprile 2009)

In questo articolo il filosofo Hoppe abbraccia in parte l'apparato analitico del marxismo sostenendo che molte delle tesi centrali del marxismo sono corrette, ma che la teoria dello sfruttamento marxista ha un errore di fondo che compromette la validità dell'intero sistema, portandolo a conclusioni del tutto errate circa le cause di certi fenomeni, e a proporre soluzioni errate. Hoppe corregge l'errore e mostra come una teoria dello sfruttamento corretta fornisca spiegazioni, diagnosi e soluzioni del tutto diverse.

Avvertimento: questo articolo è destinato a cambiare la visione del mondo di chi lo legge. :)

L'articolo costituisce un capitolo del libro "The Economics and Ethics of Private Property", scaricabile in inglese qui. La traduzione è mia. Buona lettura.

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Cosa farò in questo capitolo: per prima cosa presenterò una serie di tesi che costituiscono il cuore della teoria marxista della storia. Affermo che tutte queste tesi sono essenzialmente corrette. Poi mostrerò come, nel marxismo, queste tesi vere vengono derivate da un punto di partenza falso. Infine voglio dimostrare come la teoria austriaca può dare una spiegazione corretta ma categoricamente differente della loro validità.

Inizierò esponendo il nocciolo del sistema di credenze marxista:

1. La storia dell'umanità è una storia di lotte di classe. Per la precisione è una storia di lotte tra una classe relativamente piccola di regnanti e una classe più grande di sfruttati. La principale forma di sfruttamento è economica: la classe regnante espropria una parte dei beni prodotti dagli sfruttati o, come dicono i marxisti, "si appropria del plusvalore sociale e lo usa a scopo di consumo personale".

2. La classe regnante è tenuta assieme dal fatto che i membri hanno un interesse comune a mantenere la propria posizione di sfruttatori e massimizzare la quantità di plusvalore di cui si appropriano con atti di sfruttamento. Questa classe non cede mai volontariamente una parte del potere o del reddito che ha ottenuto mediante sfruttamento. Al contrario, qualunque perdita di potere o reddito deve essere sottratta loro mediante una lotta, il cui esito dipende in ultima analisi da quanto è forte la coscienza di classe degli sfruttati, cioè da fino a che punto essi sono consapevoli di essere sfruttati e da fino a che punto si uniscono consapevolmente ad altri membri della classe per opporsi insieme allo sfruttamento.

3. il governo di classe si manifesta principalmente sotto forma di specifiche disposizioni che riguardano le assegnazioni dei diritti di proprietà o, nella terminologia marxista, sotto forma di specifiche "relazioni di produzione". Per proteggere e conservare queste disposizioni o relazioni di produzione, la classe regnante crea un apparato di coercizione, che si chiama Stato, e ne assume il comando. Lo Stato fa applicare una data struttura di classe e la propaga nel tempo mediante l'amministrazione di un sistema di "giustizia di classe"; lo Stato favorisce inoltre la creazione e il mantenimento di un apparato ideologico finalizzato a dare legittimità all'esistenza della classe regnante.

4. internamente, il processo di concorrenza all'interno della classe regnante genera la tendenza ad aumentare la concentrazione e la centralizzazione del potere. Un sistema di sfruttamento inizialmente multipolare viene gradualmente soppiantato da un sistema oligarchico o monopolistico. Rimane operativo un numero sempre minore di centri di potere, e quelli che restano operativi vengono sempre più integrati in una struttura gerarchica. Esternamente (cioè nei confronti del sistema internazionale) questo processo di centralizzazione condurrà a guerre imperialiste tra i vari stati (sempre più intense quanto più è avanzato il processo di centralizzazione) e all'espansione territoriale del regno sfruttatore in questione.

5. Infine, quando la centralizzazione e l'espansione del regno sfruttatore si avvicina gradualmente al suo limite ultimo di dominazione totale del mondo, il regno della classe regnante diventa sempre più incompatibile con un ulteriore sviluppo e miglioramento delle "forze produttive". La stagnazione economica e le crisi diventano sempre più caratteristiche e creano le "condizioni oggettive" per la nascita di una coscienza di classe rivoluzionaria tra gli sfruttati. Questa è una situazione matura per l'affermazione di una società senza classi, in cui lo Stato "retroceda e svanisca", cioè per la sostituzione del governo di un uomo su un altro uomo con l'amministrazione delle cose e, come risultato, una prosperità economica senza precedenti.

Tutte queste tesi ammettono una giustificazione perfettamente valida, come mostrerò. Sfortunatamente, però, il marxismo, pur abbracciando tutte queste tesi, ha screditato la loro stessa validità pretendendo di derivarle da una teoria dello sfruttamento palesemente assurda.

Che cos'è la teoria marxista dello sfruttamento? Secondo Marx, sistemi sociali pre-capitalisti come la schiavitù e il feudalesimo sono caratterizzati dallo sfruttamento. Su questo non c'è alcuna disputa. Infatti, dopotutto, lo schiavo non è un lavoratore libero, e non si può dire che egli ottenga un guadagno dal fatto di essere schiavo. Al contrario, essendo schiavo, egli subisce una perdita di utilità [un danno] mentre il suo padrone schiavista ottiene un vantaggio sotto forma di incremento di ricchezza. In questo caso l'interesse dello schiavo e quello del suo padrone sono essenzialmente opposti. Lo stesso vale per gli interessi del signore feudale, il quale pretende e riscuote un affitto dal contadino che coltiva una terra, terra che però è di proprietà del contadino stesso, in quanto il contadino aveva effettuato su di essa la "prima messa a frutto" o "homesteading". [Cioè il contadino aveva trovato una terra priva di proprietario e l'aveva trasformata con il suo lavoro, mettendola a frutto. In questo modo egli era divenuto il giusto proprietario di quella terra; quindi il signore feudale non aveva alcun diritto sulla terra in questione, quindi non aveva alcun diritto di pretendere un affitto dal contadino. NdM]. In questo caso il signore feudale ottiene un guadagno alle spese del contadino, il quale ottiene una perdita.

Non è neppure in discussione il fatto che la schiavitù e il feudalesimo abbiano realmente impedito e rallentato lo sviluppo di forze produttive. Né lo schiavo né il servo saranno mai produttivi quanto lo sarebbero in assenza di schiavitù o servitù.

L'idea marxista davvero nuova è che sotto il capitalismo non cambia sostanzialmente nulla dal punto di vista dello sfruttamento. (Cioè non cambia nulla se lo schiavo diventa un lavoratore libero, o se il contadino decide di coltivare una terra di cui qualcun altro è proprietario e di pagare un affitto al proprietario in cambio del permesso di coltivarla). Per avvalorare questa tesi Marx, nel famoso capitolo 24 del primo volume del suo "Il Capitale", intitolato "la cosiddetta accumulazione originale", offre un resoconto storico della nascita del capitalismo in cui afferma che una gran parte, o persino la maggior parte, della proprietà iniziale dei capitalisti è il risultato di saccheggi, espropriazioni e conquiste. Similmente, nel capitolo 25, nella "moderna teoria del colonialismo", viene molto enfatizzato il ruolo dell'uso della forza e della violenza nell'esportare il capitalismo in quello che oggi si chiamerebbe Terzo Mondo. Tutto questo è generalmente corretto, e per questo motivo non può esistere alcun dissenso nel dire che questo tipo di capitalismo è basato sullo sfruttamento. D'altra parte non bisogna farsi sfuggire che qui Marx ha usato un trucco. Mentre porta avanti la sua investigazione storica e suscita l'indignazione del lettore verso le brutalità che sono alla base della formazione di molte fortune dei capitalisti, in realtà Marx sta aggirando l'argomento in questione. Sta distraendo il lettore dal fatto che la sua tesi in realtà è diversa: la sua tesi è che, anche se avessimo un capitalismo per così dire "pulito", cioè un capitalismo in cui l'appropriazione originaria del capitale avvenisse in modo onesto, cioè fosse il risultato soltanto dell' "homesteading" [l'atto di trasformare e mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], del lavoro e del risparmio, anche in questo caso il capitalista che affittasse il lavoro di impiegati pagandoli con questo capitale li starebbe ancora sfruttando. Anzi, Marx considerava la dimostrazione di questa tesi come il suo maggior contributo all'analisi economica.

Qual è dunque la sua dimostrazione della natura sfruttatrice del capitalismo pulito?

Consiste nell'osservare che i prezzi dei fattori della produzione, e in particolare i salari pagati ai lavoratori dal capitalista, sono più bassi dei prezzi del prodotto finale. Ad esempio, il lavoratore viene pagato con un salario che rappresenta beni di consumo che si possono produrre in tre giorni, ma in realtà lavora cinque giorni per avere questo salario e produce una quantità di beni di consumo maggiore di ciò che riceve come compenso. Il capitalista si è quindi impossessato di ciò che l'impiegato ha prodotto in quei due giorni di differenza (che nella terminologia marxista si chiama plusvalore). Quindi, secondo Marx, c'è sfruttamento.

[Nota: quindi per Marx lo sfruttamento è un vero e proprio furto, da parte del capitalista, di un bene che in realtà è di proprietà del lavoratore, in quanto è il lavoratore ad averlo prodotto. Questo significa che Marx ha il senso dei diritti di proprietà: per lui lo sfruttamento è tale in quanto è un furto di proprietà privata. E Marx ha anche il senso di "giusto proprietario": per lui il proprietario legittimo di un bene è colui che lo ha prodotto. Questo sembra identico alla teoria libertaria. NdM].

Dov'è l'errore in questa analisi? La risposta diventa ovvia non appena ci chiediamo perché mai il lavoratore dovrebbe voler acconsentire a un simile accordo! Egli acconsente perché il suo salario rappresenta beni presenti, mentre il suo lavoro rappresenta soltanto beni futuri, e per lui i beni presenti hanno maggior valore dei beni futuri. Dopo tutto, egli potrebbe anche decidere di non vendere il suo lavoro al capitalista e di tenere per sé l'intero valore di ciò che produce. Ma in questo caso dovrebbe attendere più tempo prima di poter avere tra le mani dei beni da consumare [o vendere].

[Nota: Uno dei motivi per cui il lavoratore, in assenza del capitalista, dovrebbe attendere più tempo è che, prima di produrre i beni, dovrebbe costruirsi da solo i macchinari necessari per produrli (cioè il capitale). Questa costruzione richiede anni di studio e lavoro. Quindi le sue prime entrate arriverebbero solo dopo molti anni. Può il lavoratore permettersi di restare senza entrate per molti anni, mentre studia e lavora per costruire le macchine necessarie alla produzione? No. Ma allora, ciò che il capitalista gli offre è davvero qualcosa di valore: gli offre la possibilità di prendere in affitto i suoi macchinari, anziché costruirli da zero; e quindi di aspettare meno tempo prima di avere entrate. La parte che il capitalista trattiene ("plusvalore") non è altro che il compenso per questo servizio fornito. (Più il compenso derivante dal fatto che il capitalista si sobbarca interamente il rischio di non vendere abbastanza da recuperare le spese). Per una spiegazione più dettagliata, vedere i commenti a questo post. NdM.]

Il fatto che il lavoratore sceglie di vendere i suoi servizi dimostra che preferisce una quantità minore di beni di consumo adesso ad una quantità probabilmente maggiore in un momento futuro.

D'altra parte, perché il capitalista desidera fare un accordo con il lavoratore? Perché dovrebbe voler anticipare al lavoratore beni presenti (denaro) in cambio di servizi che daranno i loro frutti soltanto più tardi? Ovviamente, il capitalista non desidererebbe mai pagare, ad esempio, $100 adesso, se dopo un anno dovesse ricevere la stessa quantità. Infatti, in tal caso, perché non tenere semplicemente in cassaforte quei soldi per un anno, ricevendo così il beneficio aggiuntivo di poterli usare in quel periodo? Al contrario, il capitalista deve aspettarsi di ricevere in futuro una cifra maggiore di $100, per decidere di cedere $100 oggi sotto forma di salario al lavoratore. Deve aspettarsi di riuscire ad ottenere un profitto o, più correttamente, un interesse. Infatti, anche il capitalista è soggetto ai vincoli della preferenza temporale, cioè il fatto che un essere umano invariabilmente preferisce ottenere un bene prima piuttosto che poi [a parità di altri fattori]. Se così non fosse, dato che è possibile ottenere una somma più grande in futuro sacrificandone una più piccola nel presente, perché il capitalista non risparmia ancora di più per il futuro di quanto fa adesso? Perché non affitta ancora più lavoratori di quanto fa adesso, se ognuno di loro gli promette un ritorno aggiuntivo sotto forma di interessi? Ancora una volta la risposta dovrebbe essere ovvia: perché il capitalista è anche un consumatore, e non può fare a meno di esserlo. La quantità dei suoi risparmi e investimenti è limitata dalla necessità: anche lui come il lavoratore ha bisogno di una quantità di beni presenti "abbastanza grande da assicurargli la soddisfazione di tutti quei desideri che egli considera più importanti dei vantaggi che gli deriverebbero dall'allungare ancora di più il periodo di produzione". [citazione di Ludwig Von Mises]

Quindi l'errore nella teoria dello sfruttamento marxista è che Marx non comprende il fenomeno della preferenza temporale come categoria universale dell'azione umana. Il fatto che il lavoratore non riceve "l'intero valore" di ciò che produce non ha niente a che fare con lo sfruttamento, ma riflette semplicemente il fatto che è impossibile per un essere umano scambiare un bene futuro con un bene presente se non a un prezzo minore.

A differenza del caso dello schiavo e del padrone, in cui il padrone ottiene un beneficio alle spese dello schiavo, la relazione tra un lavoratore libero e un capitalista è una relazione di beneficio reciproco. Il lavoratore sceglie di entrare nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, preferisce una quantità minore di beni oggi ad una quantità maggiore domani; e il capitalista entra nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, ha un ordine di preferenze opposto, e preferisce una quantità maggiore di beni domani ad una quantità più piccola oggi. I loro interessi non sono antagonistici ma sono in armonia. [E' proprio il fatto che essi desiderano cose diverse a rendere possibile la collaborazione mutuamente benefica, NdM]. Infatti, se il capitalista non si aspettasse un ritorno sotto forma di interesse, il lavoratore starebbe peggio, in quanto dovrebbe attendere più a lungo di quanto non desideri fare [perché dovrebbe prima costruirsi da sé il capitale, NdM]; e, se il lavoratore non preferisse beni presenti rispetto ai beni futuri, il capitalista starebbe peggio, perché dovrebbe ricorrere a metodi di produzione meno efficienti, e dotati di minore estensione temporale, rispetto a quelli che vorrebbe adottare.

Né si può considerare il sistema di salari capitalistico come un impedimento allo sviluppo delle forze di produzione, come sostiene Marx. Se al lavoratore non fosse permesso vendere il proprio lavoro e al capitalista non fosse permesso comprarlo, la produzione non sarebbe maggiore bensì minore, perché dovrebbe avvenire con un capitale complessivo minore [per motivi spiegati più avanti]. Quindi, contrariamente alle affermazioni di Marx, sotto un sistema di produzione socializzato lo sviluppo di forze produttive non raggiungerebbe nuove vette ma sprofonderebbe disastrosamente. [Vediamo ora perché il capitale complessivo sarà minore laddove sia vietato al capitalista comprare lavoro e al lavoratore venderlo:] L'accumulazione di capitale deve necessariamente essere compiuta da qualcuno (da individui precisi in momenti precisi di spazio e di tempo) mediante l'homesteading [=l'atto di mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], la produzione e/o il risparmio. In ciascun caso, colui che effettua tale accumulazione di capitale lo fa perché si aspetta che ciò condurrà ad un aumento di produzione di beni in futuro. Il valore che una persona attribuisce al suo capitale riflette il valore che egli attribuisce a tutti i redditi futuri derivanti dal suo utilizzo, scontato in base al suo tasso di preferenza temporale. Se, come nel caso in cui i fattori di produzione sono di proprietà collettiva, a una persona viene negato il controllo esclusivo sul capitale che ha accumulato, e quindi sul reddito futuro che deriva dal suo utilizzo, ma al contrario viene assegnato un controllo parziale del capitale a persone non-proprietarie, non-produttrici e non-risparmiatrici, il valore per lui del suo reddito atteso si riduce, e quindi si riduce il valore del capitale in questione. [Quindi egli produrrà meno capitale. NdM] Il suo tasso di preferenza temporale si alzerà [cioè desidererà più i beni presenti e meno i beni futuri] ed avverranno meno operazioni di homesteading [vedi sopra] e meno risparmio per il mantenimento di risorse esistenti e per la produzione di nuovo capitale. L'estensione temporale della struttura di produzione si accorcerà e ne risulterà un impoverimento [una diminuzione della produzione].

Se la teoria di Marx dello sfruttamento e le sue idee su come porre fine allo sfruttamento e ottenere una prosperità universale sono false fino al ridicolo, è chiaro che qualunque teoria storica che si faccia derivare da esse deve essere anch'essa falsa. Oppure, se è corretta, deve essere stata derivata in modo errato. [Nota mia: a voler essere pignoli, da ipotesi false si può derivare tanto il vero quanto il falso, in modo egualmente corretto. NdM] Anziché addentrarmi nel lungo compito di illustrare tutti gli errori nell'argomento di Marx, che comincia dalla teoria dello sfruttamento capitalistico e termina con la teoria storica che ho presentato prima, prenderò una scorciatoia: descriverò nel modo più breve possibile una teoria dello sfruttamento corretta, la teoria austriaca Mises-Rothbard; illustrerò come questa teoria renda sensata la teoria storica di classe; ed evidenzierò alcune differenze cruciali tra questa teoria di classe e quella marxista, evidenziando alcune affinità intellettuali tra il marxismo e la teoria austriaca, affinità che nascono dalla loro convinzione condivisa che esista realmente una forma di sfruttamento ed una classe regnante.

Il punto di partenza della teoria austriaca dello sfruttamento è chiaro e semplice, come dovrebbe essere. Abbiamo notato in precedenza che la relazione tra lo schiavo e il padrone, o tra il servo e il signore feudale, era una relazione di sfruttamento. Ma non abbiamo trovato alcuno sfruttamento possibile sotto il capitalismo pulito. Qual è differenza principale tra questi due casi? La risposta è: il riconoscimento o il non riconoscimento del principio di homesteading [il principio secondo cui chi mette a frutto per primo una risorsa naturale ne diventa il legittimo proprietario, NdM]. Il motivo per cui nel feudalesimo il contadino è sfruttato è che egli non ha il controllo esclusivo su una terra su cui ha fatto homesteading [cioè è stato il primo a metterla a frutto, divenendone il legittimo proprietario, NdM]; ed il motivo per cui lo schiavo è sfruttato è che non ha il controllo esclusivo sul proprio corpo, di cui ha fatto homesteading [al momento della nascita, NdM]. Se, al contrario, ognuno possiede il controllo esclusivo sul proprio corpo (cioè è un lavoratore libero) ed agisce nel rispetto del principio dell'homesteading [cioè non compie atti invasivi della proprietà altrui, NdM], allora non può esistere alcuno sfruttamento. Se una persona mette a frutto un bene privo di proprietario (=effettua homesteading) e impiega tale bene per la produzione di beni futuri, è logicamente assurdo affermare che questa persona stia sfruttando qualcuno. Infatti in questo processo niente è stato sottratto ad alcuno, e inoltre sono stati creati dei beni aggiuntivi. E sarebbe ugualmente assurdo affermare che un accordo tra legittimi proprietari di risorse, risparmiatori e produttori, che riguarda i loro beni e servizi ottenuti senza sfruttare nessuno, possa costituire un atto disonesto.

Al contrario, lo sfruttamento ha luogo ogni volta che avviene una deviazione dai principi dell'homesteading. È sfruttamento ogni volta che una persona pretende e riesce ad ottenere un controllo parziale o totale su una risorsa scarsa di cui lui non ha fatto homesteading [cioè non è stato il primo a metterla a frutto], né l'ha risparmiata o prodotta, né l'ha ottenuta mediante un contratto dal precedente proprietario-produttore. Lo sfruttamento è l'espropriazione di coloro che hanno effettuato la prima messa a frutto, prodotto e risparmiato, da parte di individui che sono arrivati dopo, non-produttori, non-risparmiatori, non-stipulatori-di-contratti; lo sfruttamento è l'espropriazione di persone i cui diritti di proprietà sono fondati sul lavoro e sul contratto, effettuata da persone le cui pretese sono campate in aria e che non riconoscono la legittimità del lavoro altrui e dei contratti altrui.

Inutile dirlo, lo sfruttamento così definito è parte integrante della storia umana. Si può acquisire ed aumentare la propria ricchezza in due modi: o mediante l'homesteading, la produzione, il risparmio, la partecipazione a contratti; oppure espropriando gli homesteader [=i legittimi proprietari], produttori, risparmiatori e stipulatori di contratti. Non esistono altri modi. Entrambi i metodi sono naturali per l'umanità. Oltre all'appropriazione legittima, la produzione e il contratto, sono sempre esistite acquisizioni di proprietà non produttive e non contrattuali. E nel corso dello sviluppo economico, proprio come i produttori e gli stipulatori di contratti possono associarsi in compagnie, imprese e corporazioni, anche gli sfruttatori possono unirsi in società di sfruttamento su grande scala, governi e Stati. La classe regnante (che può essere internamente divisa in vari strati) è inizialmente composta dai membri di tale compagnia di sfruttamento. Con una classe regnante saldamente al potere su un dato territorio ed impegnata nell'espropriazione di risorse economiche di una classe di produttori sfruttati, la lotta di classe tra gli sfruttatori e gli sfruttati diventa realmente l'aspetto centrale della storia umana. Quindi la storia, raccontata correttamente, è sostanzialmente la storia delle vittorie e delle sconfitte dei regnanti nel loro tentativo di massimizzare il proprio reddito ottenuto con lo sfruttamento, e dei sudditi nei loro tentativi di resistere e di invertire questa tendenza. È su questa lettura della storia che i marxisti e gli austriaci sono d'accordo, ed è per questo che esiste una notevole affinità intellettuale tra le indagini storiche marxiste e austriache. Entrambe le scuole si oppongono ad una storiografia che riconosce soltanto un'azione o un'interazione che è tutta sullo stesso piano economicamente e moralmente; ed entrambe si oppongono ad una storiografia che, anziché essere neutrale dal punto di vista dei valori, ritiene che i propri giudizi di valore, introdotti arbitrariamente, debbano fornire la linea guida per la propria narrazione storica. Al contrario, la storia deve essere raccontata in termini di libertà e di sfruttamento, di parassitismo e di impoverimento economico, di proprietà privata e della sua distruzione; altrimenti è raccontata in modo falso.

Mentre le imprese private nascono a causa del sostegno volontario della gente e muoiono a causa della sua assenza di sostegno, la classe regnante non entra mai al potere a causa della domanda della popolazione, e non abdica quando la popolazione desidera evidentemente che lo faccia. Né, per quanto sforziamo l'immaginazione, possiamo dire che i legittimi proprietari, produttori, risparmiatori e contraenti abbiano mai domandato volontariamente di essere espropriati. Al contrario è necessario costringerli ad accettare l'espropriazione, e questo dimostra in modo conclusivo che non c'è domanda per la compagnia di sfruttamento. Per far morire un'impresa privata produttiva è sufficiente astenersi dal fare transazioni con essa, cioè effettuare un boicottaggio; ma per la classe regnante questo non è possibile. Infatti, la classe regnante acquisisce il suo reddito mediante transazioni non contrattuali [= scambi forzati sotto minaccia di atti invasivi], quindi non è vulnerabile al boicottaggio. Al contrario, ciò che rende possibile la nascita di una compagnia di sfruttamento, e l'unica cosa che può distruggerla, è un preciso stato dell'opinione pubblica, o, nella terminologia marxista, un preciso stato di coscienza di classe.

Uno sfruttatore crea delle vittime, e una vittima è un potenziale nemico. Se il gruppo degli sfruttatori ha più o meno la stessa dimensione del gruppo degli sfruttati, potrebbe riuscire a mettere a tacere questa resistenza mediante la forza. Ma occorre più della semplice forza affinché un gruppo piccolo possa espandere lo sfruttamento su una popolazione molto più numerosa. Affinché questo possa avvenire, una compagnia di sfruttamento deve anche avere il sostegno del pubblico. Una maggioranza della popolazione deve accettare le azioni di sfruttamento come legittime. Questa accettazione può consistere tanto nell'entusiasmo attivo quanto in una rassegnazione passiva. Ma deve essere accettazione, nel senso che una maggioranza deve avere abbandonato l'idea di resistere attivamente o passivamente a qualunque tentativo di attuare acquisizioni di proprietà non-contrattuali e non-produttive. La coscienza di classe deve essere bassa, vaga e confusa. Solo fino a che dura questo stato di cose, una società di sfruttamento può prosperare anche se non c'è domanda per essa. La classe regnante può essere spodestata solo se gli sfruttati e gli espropriati si rendono conto chiaramente della loro condizione e si uniscono tra loro in un movimento ideologico che dia espressione all'idea di una società senza classi, dove ogni sfruttamento sia abolito. Il potere della classe regnante può crollare solo se una maggioranza del pubblico sfruttato si integra consapevolmente in questo movimento e di comune accordo manifesta indignazione verso ogni acquisizione di proprietà non contrattuale e non produttiva, mostra disprezzo per chiunque prenda parte a tali atti, e deliberatamente non fa nulla per aiutarli ad avere successo (per non parlare di cercare di ostacolarli attivamente).

L'abolizione graduale del regno feudale ed assolutista e la nascita di società sempre più capitaliste nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti, e la conseguente crescita economica senza precedenti ed incremento di popolazione ineguagliato, sono stati il risultato di una maggiore coscienza di classe nella categoria degli sfruttati. Il motivo per cui gli sfruttati sono riusciti in quel periodo ad acquisire una coscienza di classe così forte è che erano ideologicamente tenuti assieme dalla dottrina del liberalismo e dei diritti naturali. La scuola marxista e quella austriaca sono concordi su questo. La scuola marxista non è d'accordo, invece, sulla seguente affermazione: l'inversione di questo processo di liberalizzazione ed il regolare aumento del livello di sfruttamento in queste società, avvenuti a partire dall'ultimo terzo del diciannovesimo secolo e particolarmente accentuato dopo la prima guerra mondiale, sono il risultato di una perdita di coscienza di classe. In realtà, secondo gli austriaci, il marxismo ha gran parte della colpa di ciò, perché ha deviato l'attenzione della popolazione dal modello corretto di sfruttamento (che contrappone la figura dell'homesteader-produttore-risparmiatore-contraente alla figura del nonhomesteader-nonproduttore-nonrisparmiatore-noncontraente) verso il modello fallace che contrappone il lavoratore salariato al capitalista, in tal modo confondendo le idee.

L'ascesa al potere di una classe regnante sopra una classe sfruttata molto più numerosa, mediante ... la manipolazione dell'opinione pubblica ... , trova la sua espressione più elementare a livello istituzionale nella creazione del sistema del diritto pubblico, che venne sovrapposto al diritto privato. La classe regnante si separa e protegge la sua posizione di classe regnante adottando una costituzione che regoli il modo di funzionare della compagnia di sfruttamento. Da una parte, formalizzando le operazioni interne all'apparato, e il modo in cui lo Stato si relaziona alla popolazione sfruttata, una costituzione crea un certo grado di stabilità legale. Più le nozioni di diritto privato, familiari e popolari, vengono incorporate nel diritto pubblico e costituzionale, più ciò condurrà alla creazione di un'opinione pubblica favorevole. D'altra parte, qualunque costituzione di diritto pubblico deve necessariamente formalizzare lo status eccezionale della classe regnante nei confronti del principio dell'homesteading [cioè deve formalizzare il fatto che la classe regnante è l'unica che può compiere atti invasivi della proprietà altrui, onestamente guadagnata]. Formalizza cioè il diritto del rappresentante dello Stato di prender parte ad un'acquisizione di proprietà non-contrattuale e non-produttiva, e formalizza in tal modo la definitiva subordinazione del diritto privato al diritto pubblico.

In questo dualismo tra diritto pubblico e diritto privato, in questo infiltrarsi del diritto pubblico all'interno del diritto privato, nasce la giustizia di classe, cioè una situazione in cui un certo insieme di leggi si applica ai regnanti e un altro insieme di leggi si applica ai sudditi. Il motivo per cui nasce la giustizia di classe non è, come pensano i marxisti, che la legge riconosce i diritti di proprietà privata. Al contrario, la giustizia di classe nasce precisamente ogni volta che esiste una distinzione legale tra una classe di persone, che agisce sotto il diritto pubblico ed è tutelata da esso, e un'altra classe che agisce sotto un qualche diritto privato subordinato. Quindi, più precisamente, è falsa l'affermazione di fondo della teoria marxista dello Stato: il motivo per cui lo Stato è sfruttatore non è che protegge i diritti di proprietà dei capitalisti, ma che esso stesso è esente dal vincolo di dover ottenere la propria proprietà in modo contrattuale e produttivo. [Ricordiamo che lo Stato non ottiene le proprie entrate mediante l'homesteading e lo scambio volontario, come un onesto uomo d'affari, bensì mediante la minaccia di violenza. NdM.]

Nonostante questo fraintendimento di fondo, il marxismo fornisce tuttavia delle osservazioni corrette e importanti circa la logica del comportamento dello Stato, proprio in quanto interpreta correttamente lo stato come un ente sfruttatore (a differenza, ad esempio, della scuola della Scelta Pubblica [fondata dagli economisti Buchanan e Tullock, NdM], che considera lo Stato una compagnia come tutte le altre).

Uno dei meriti del marxismo è che riconosce la funzione strategica delle politiche di redistribuzione operate dallo Stato. Lo Stato, come compagnia sfruttatrice, ha sempre interesse a che la coscienza di classe tra gli sfruttati sia bassa. La redistribuzione della proprietà e del reddito (una politica di tipo divide et impera) è il mezzo con cui lo Stato crea divisioni all'interno del pubblico e distrugge la formazione di una coscienza di classe unificante tra gli sfruttati. Inoltre, lo Stato effettua anche un altro tipo di redistribuzione: la ridistribuzione del potere stesso dello Stato. Attraverso la democratizzazione della costituzione dello Stato, a tutti viene data la possibilità di assumere una posizione di regnante e il diritto di partecipare alla determinazione del personale e delle politiche dello Stato. Questo è un mezzo per ridurre la resistenza del pubblico contro lo sfruttamento.

Un secondo merito del marxismo è che considera correttamente lo Stato come il grande centro di propaganda e mistificazione ideologica: lo sfruttamento e la schiavitù sono in realtà libertà; le tasse sono in realtà contributi volontari [questa affermazione può sembrarvi grottesca ma è contenuta nella costituzione degli Stati Uniti, NdM]; le relazioni non contrattuali sono in realtà "concettualmente" contrattuali; " lo Stato siamo noi"; nessuno regna su nessuno, ma siamo "noi" a governarci da soli; senza lo Stato non esisterebbe né legge né diritto né sicurezza; i poveri morirebbero; ecc. Tutto questo è parte dell'apparato ideologico progettato per dare legittimità ad una base sottostante di sfruttamento economico.

In terzo luogo, i marxisti hanno ragione anche nel notare la stretta associazione tra lo Stato e il mondo degli affari, specialmente l'elite dei banchieri --- anche se la loro spiegazione di questo fenomeno è sbagliata. La ragione di questa collusione non è che l'establishment borghese percepisce e sostiene lo Stato come garante dei diritti di proprietà privata e del contrattualismo. Al contrario, l'establishment percepisce correttamente lo Stato come l'antitesi stessa della proprietà privata, ed è proprio per questo che si interessa ad esso molto da vicino. Più un'impresa ha successo, più corre il rischio di essere sfruttata dal governo; ma aumenta anche il potenziale guadagno che l'impresa può ottenere se riesce ad ottenere la protezione speciale del governo e ad essere esentata dal peso della concorrenza che è propria del capitalismo e della proprietà privata. È questo il motivo per cui l'establishment del mondo degli affari si interessa allo Stato e si infiltra nello Stato. L'elite di regnanti a sua volta è interessata a cooperare da vicino con il mondo delle imprese a causa del suo potere finanziario. In particolare, l'elite dei banchieri attrae particolarmente l'interesse dello Stato poiché lo Stato, come compagnia sfruttatrice, mira ad ottenere il monopolio della contraffazione della moneta.

Lo Stato offre ai banchieri l'opportunità di diventare complici delle sue macchinazioni di contraffazione, e di aggiungere un secondo tipo di contraffazione (la riserva frazionaria) ad una moneta che è già contraffatta in partenza. [Per approfondimenti vedere il libro "Lo Stato Falsario", scaricabile qui e ordinabile qui in italiano. NdM]. In questo modo lo Stato può facilmente raggiungere il suo obiettivo: ottenere un monopolio della produzione del denaro e un sistema di cartelli bancari controllati dalla Banca centrale dello Stato. Attraverso questa connessione diretta con il sistema bancario e, per estensione, con i maggiori clienti delle banche, la classe regnante riesce di fatto a estendersi ben oltre l'apparato dello Stato, fino ai centri nervosi della società civile; ciò non è molto diverso dallo scenario dipinto dai marxisti della cooperazione tra le banche, le elite imprenditoriali e lo Stato.

La concorrenza all'interno della classe regnante e attraverso le diverse classi di regnanti produce una tendenza verso una concentrazione sempre maggiore [tendenza verso il monopolio, NdM]. Il marxismo è corretto anche in questo. Ma, ancora una volta, la sua fallace teoria dello sfruttamento lo porta a fraintendere la causa di questa tendenza. Il marxismo considera questa tendenza all'accentramento come un aspetto intrinseco alla competizione capitalistica. Al contrario, è esattamente fino a che esiste un capitalismo pulito che la concorrenza non è un gioco a somma zero. Colui che si appropria legittimamente di risorse prive di proprietario, che produce, che risparmia e che stringe contratti con altri, non ottiene mai un guadagno alle spese di qualcun altro. Il suo guadagno lascia gli averi altrui completamente intatti o addirittura implica un guadagno reciproco (come nel caso di tutti gli scambi volontari mediante contratto). In questo modo il capitalismo riesce ad aumentare la quantità complessiva di ricchezza. Ma sotto il capitalismo non si può dire che esista alcuna tendenza verso una concentrazione relativa. (Si veda a tale proposito il capitolo 10 di Man, Economy and State di Rothbard, sezione intitolata "il problema di un unico grande cartello"; ed anche "Socialismo" di Mises, capitoli 22-26.) Al contrario, un gioco a somma zero è ciò che caratterizza non solo la relazione tra il regnante e il suddito, ma anche tra regnanti in competizione tra loro. Lo sfruttamento, definito come un'acquisizione di proprietà non contrattuale e non produttiva, è possibile solo fino a che esiste qualcosa di cui appropriarsi. Eppure, se ci fosse competizione libera nel mercato dello sfruttamento, naturalmente non ci sarebbe più nulla da espropriare. Quindi lo sfruttamento richiede un monopolio su un dato territorio e una data popolazione; e la competizione tra gli sfruttatori è per sua stessa natura di tipo eliminativo e deve produrre una tendenza alla concentrazione relativa di compagnie di sfruttamento così come una tendenza verso la centralizzazione all'interno di ciascuna compagnia di sfruttamento. Lo sviluppo degli Stati, anziché delle compagnie capitaliste, fornisce l'illustrazione più evidente di questa tendenza: rispetto ai secoli scorsi, oggi c'è un numero minore di stati, che hanno controllo su territori molto più vasti. E all'interno di ogni apparato statale c'è stata in realtà una tendenza costante verso l'aumento del potere del governo centrale alle spese delle divisioni regionali e locali. Eppure anche al di fuori dell'apparato dello Stato è divenuta evidente una tendenza verso una concentrazione relativa, per la stessa ragione. Il motivo, come ora dovrebbe essere chiaro, non è un tratto inerente al capitalismo, ma è che la classe regnante ha espanso il suo dominio fino al cuore della società civile attraverso la creazione di alleanze tra banche, imprese e Stato, e in particolare ha stabilito un sistema di banche centralizzato. Se avviene una concentrazione e centralizzazione del potere dello Stato, è del tutto naturale che questa sia accompagnata da un processo parallelo di concentrazione relativa e di cartellizzazione del settore bancario e dell'industria. Assieme ad un aumento del potere dello Stato, aumenta il potere dell'establishment bancario e affaristico di eliminare i concorrenti o di renderli pesantemente svantaggiati mediante espropriazioni non contrattuali e non produttive. L'aumento di concentrazione nel mondo degli affari è il prodotto della statalizzazione della vita economica.

Il mezzo primario con cui lo Stato espande il proprio potere ed elimina i suoi rivali nel business dello sfruttamento è costituito dalla guerra e dalla dominazione militare. Le competizioni tra gli Stati implicano una tendenza verso la guerra e l'imperialismo. In quanto compagnie di sfruttamento, gli Stati hanno interessi per loro natura antagonistici. Inoltre, dato che ogni classe regnante è al comando degli strumenti di tassazione ed ha poteri assoluti di contraffazione del denaro, le classi regnanti riescono a far pagare ad altri i costi delle loro guerre. Naturalmente, se io non devo pagare in prima persona per i rischi che corro, ma posso scaricare questi costi sugli altri, costringendo altri a pagare, tenderò ad assumermi più rischi, e ad avere il grilletto più facile di quanto avrei altrimenti. Il marxismo, a differenza di molte delle cosiddette scienze sociali borghesi, è corretto nel suo resoconto dei fatti: esiste realmente una tendenza verso l'imperialismo nella storia; e le principali forze imperialiste sono davvero i paesi capitalisti più avanzati. Eppure la spiegazione marxista per questo fenomeno è ancora una volta errata. Ciò che è per natura aggressivo è lo Stato, in quanto è un'istituzione esente dalle regole capitaliste di acquisizione di proprietà. [Ricordiamo che il capitalismo è un sistema in cui la proprietà si può acquisire solo in due modi: o mediante lo scambio volontario, o mediante la messa a frutto di risorse prive di proprietario (homesteading); non è ammesso alcun atto invasivo della proprietà altrui. NdM]. Ciò è solo apparentemente contraddetto dall'evidenza storica di una stretta correlazione tra capitalismo e imperialismo. Questa correlazione si può spiegare abbastanza facilmente come segue: uno Stato, per poter trionfare in una guerra tra Stati, deve controllare una quantità sufficiente di risorse economiche (rispetto agli altri Stati). A parità di altri fattori, lo Stato con risorse più ampie trionferà. In quanto compagnia di sfruttamento, uno Stato è per natura un ente distruttore di ricchezza e di capitale accumulato. La ricchezza può venire prodotta esclusivamente da una società civile; e più è debole il potere di sfruttamento dello Stato, più ricchezza e capitale vengono accumulati dalla società. Quindi, per quanto ciò possa sembrare paradossale, più uno Stato è internamente debole e liberale, più è sviluppato il suo capitalismo; ma il fatto di avere un'economia capitalista da depredare rende lo Stato più ricco; e uno Stato più ricco può fare più guerre espansionistiche e con maggior successo. È questo il motivo per cui le maggiori potenze imperialiste furono inizialmente gli Stati dell'Europa occidentale, in particolare la Gran Bretagna, e poi nel ventesimo secolo questo ruolo è stato assunto dagli Stati Uniti.

Ed esiste una spiegazione semplice, ed ancora una volta interamente non-marxista, per l'osservazione, fatta sempre dai marxisti, che il mondo bancario e il mondo degli affari sono solitamente i più forti sostenitori del potere militare e dell'espansionismo militaristico. Il motivo non è che l'espansione del mercato capitalista richiede lo sfruttamento, bensì che l'espansione di imprese protette e privilegiate dallo Stato richiede che questa protezione venga estesa anche nei paesi stranieri, e che i concorrenti stranieri siano ostacolati mediante acquisizioni di proprietà non contrattuali e non produttive, proprio come avviene nella concorrenza interna o in misura ancora maggiore. In particolare, l'establishment degli affari e delle banche sostiene l'imperialismo se questo promette allo Stato loro alleato di ottenere una posizione di dominio militare su un altro Stato. Infatti, in tal caso, da una posizione di potere militare, diviene possibile stabilire un sistema che possiamo chiamare "imperialismo monetario". Lo Stato dominante userà la sua superiore forza per applicare una politica di inflazione coordinata internazionalmente. La sua banca centrale stabilirà la rapidità del processo di contraffazione, e ordinerà alle banche centrali dello Stato dominato di usare la moneta dello Stato dominatore come propria riserva e di produrre inflazione su di essa. In questo modo l'establishment bancario e affaristico, essendo tra i primi a ricevere e spendere la moneta contraffatta [quando i prezzi non sono ancora saliti e il potere d'acquisto di quella moneta non è ancora diminuito, NdM], riesce ad effettuare un'espropriazione quasi a costo zero dei proprietari e dei produttori stranieri. Nel territorio dominato viene imposto alla classe sfruttata un doppio strato di sfruttamento: un'elite straniera sfrutta l'elite nazionale, che a sua volta sfrutta la popolazione. Questo causa una prolungata dipendenza economica ed una relativa stagnazione economica rispetto alla nazione dominatrice. È questa situazione -- l'antitesi stessa del capitalismo -- a caratterizzare lo stato degli Stati Uniti e del dollaro, e a produrre l'accusa (corretta) di sfruttamento economico da parte degli Stati Uniti e di imperialismo del dollaro.

Infine, l'aumento di concentrazione e centralizzazione del potere di sfruttamento conduce alla stagnazione economica e quindi causa le condizioni oggettive per il crollo definitivo di tale potere, e per la nascita di una società senza classi capace di produrre prosperità economica senza precedenti.

Contrariamente alle affermazioni marxiste, ciò non è il risultato di alcuna legge storica. Anzi, non esiste alcuna legge storica inesorabile nel senso marxista. Né è il risultato di una tendenza del tasso di profitto a diminuire man mano che aumenta la composizione organica del capitale (cioè man mano che aumenta la proporzione tra capitale costante e capitale variabile) come pensa Marx. Proprio come la teoria marxista che il valore derivi dal lavoro è falsa oltre ogni possibile riparazione, così è falsa la legge che il tasso di profitto tende a diminuire, che si basa sulla prima. La fonte del valore, dell'interesse e del profitto, non è l'atto di lavorare [se io scavo buche per terra e le ricopro, il mio lavoro non ha alcun valore, NdM], ma è l'agire, cioè l'impiegare risorse scarse verso il raggiungimento di obiettivi da parte di agenti che sono soggetti a vincoli di preferenza temporale e di incertezza (conoscenza imperfetta). Quindi non c'è motivo di credere che un cambiamento nella composizione organica del capitale abbia alcuna relazione sistematica con il cambiamento nel tasso di interesse e di profitto.

Al contrario, la probabilità che si verifichi una crisi che stimoli lo sviluppo di una maggiore coscienza di classe (cioè la condizione soggettiva per spodestare la classe regnante) aumenta a causa della dialettica dello sfruttamento (per usare uno dei termini preferiti da Marx) che ho già discusso prima: lo sfruttamento è un atto che distrugge la formazione di ricchezza. Quindi, in una competizione tra compagnie di sfruttamento (Stati), quelle meno sfruttatrici o più liberali tenderanno ad avere un maggior successo rispetto a quelle più sfruttatrici, in quanto avranno il controllo di una quantità maggiore di risorse. Il processo di imperialismo ha inizialmente un effetto relativamente positivo e liberatorio sulle società che entrano sotto il controllo degli imperialisti. Infatti viene esportato un modello sociale relativamente più capitalistico verso società relativamente meno capitalistiche (cioè più basate sullo sfruttamento). Lo sviluppo di forze produttive viene stimolato: l'integrazione economica migliora, la divisione del lavoro aumenta, e viene stabilito un genuino mercato mondiale. In risposta a ciò avviene un'espansione demografica, e ad aumentano moltissimo le aspettative sul futuro economico. Ma poi, quando inizia la fase di sfruttamento, e la concorrenza tra gli Stati si riduce o viene persino eliminata nel processo di espansionismo imperialista, allora scompaiono gradualmente i vincoli esterni che impediscono allo Stato dominante di effettuare espropriazione e sfruttamento interno. Quindi lo sfruttamento interno, la tassazione e le regolamentazioni cominciano ad aumentare, man mano che la classe regnante si avvicina al suo obiettivo finale di dominazione del mondo. Comincia la stagnazione economica e vengono disattese le suddette aspettative ottimistiche. E tutto ciò (alte aspettative e una realtà economica che scende molto al di sotto di queste aspettative) è il classico scenario fertile per la nascita di un potenziale rivoluzionario. Nasce un bisogno disperato di soluzioni ideologiche alle crisi emergenti, assieme ad un riconoscimento più diffuso del fatto che il regno dello Stato, la tassazione e la regolamentazione di Stato, ben lungi dall'offrire una soluzione, costituiscono il problema stesso che deve essere superato. Se, in questa situazione di stagnazione economica, di crisi economiche, e di disillusione ideologica, verrà offerta una soluzione positiva nella forma di una filosofia libertaria sistematica e comprensiva, associata ad una controparte economica, l'economia austriaca; e se questa ideologia verrà propagata da un movimento attivista, allora la prospettiva di accendere il potenziale rivoluzionario diventa promettente. Nasceranno pressioni anti-statiste che produrranno una tendenza irresistibile a smantellare il potere della classe regnante e lo Stato come strumento di sfruttamento utilizzato dalla classe regnante.

Ma, se ciò avverrà, non significherà la socializzazione dei mezzi di produzione, contrariamente a quanto predetto dal modello marxista. Infatti, la proprietà comune non solo è economicamente inefficiente, come è già stato spiegato in capitoli precedenti, ma è anche incompatibile con l'idea che lo Stato possa "farsi da parte e svanire". Infatti, se i mezzi di produzione saranno posseduti dalla collettività, e se assumiamo realisticamente che non tutti saranno d'accordo (come per miracolo) su come questi mezzi di produzione debbano essere usati, allora la proprietà comune dei fattori di produzione sarà esattamente ciò che richiederà l'esistenza continuativa dello Stato, cioè di un'istituzione che impone coercitivamente la volontà di una persona su un'altra persona che non è d'accordo. Al contrario, se mai lo Stato svanirà davvero, e assieme ad esso svanirà lo sfruttamento e nasceranno una libertà e prosperità economica senza precedenti, ciò significherà che sarà nata una società basata sulla pura proprietà privata e regolata da niente altro che il diritto privato.