giovedì 26 luglio 2007

Il calcolo delle probabilità in soccorso della ragione


Questo è il terzo episodio di una serie dedicata alla superstizione e al libro di Richard Dawkins "Unweaving the Rainbow: a Darwinian View of Life" (L'arcobaleno della vita). Episodi precedenti: primo, secondo.


Capitolo 7. Scomporre l'arcano


... se nessuna mia ampiezza di ragione impone agli oscuri misteri dell'animo chiari concetti...


JOHN KEATS, Sonno e poesia, 1917



L'autorevole ginecologo Robert Winston, esperto nei problemi della fertilità, ha immaginato che un medico privo di scrupoli potrebbe pubblicare su un quotidiano la seguente inserzione, rivolta ai coniu­gi desiderosi di avere un figlio maschio (il sessismo non è una mia invenzione, ma una netta caratteristica di tutto il mondo antico e an­che di molti paesi odierni): «Dietro invio di cinquecento sterline, ri­ceverete da me la ricetta infallibile per avere un maschio. Soddisfatti o rimborsati». Il rimborso è inteso naturalmente a garantire l'affida­bilità del metodo. Poiché il 50 per cento dei neonati sono in ogni caso maschi, la truffa permetterebbe al filibustiere di guadagnare pa­recchio. Anzi, per ogni femmina nata egli potrebbe tranquillamente aggiungere altre 250 sterline alle 500 rimborsate e guadagnare co­munque nel lungo periodo un sacco di quattrini.

Ricorsi a un esempio analogo nel 1991, durante una delle mie conferenze natalizie per la Royal Institution. Poiché, dissi, avevo motivo di credere che tra il pubblico vi fosse una persona sensitiva e chiaroveggente in grado di influenzare gli eventi con la sola forza del pensiero, avrei cercato di individuarla. «Prima di tutto vediamo se il sensitivo si trova nella metà destra o nella metà sinistra della sa­la» esordii. Quindi invitai la gente ad alzarsi e pregai il mio assisten­te di lanciare una moneta. A tutte le persone sul lato sinistro della sa­la fu chiesto di «volere» che venisse fuori testa, a tutte quelle sul lato destro di «volere» che venisse fuori croce. Ovviamente uno dei due schieramenti perse, e venne invitato a sedersi. Quelli che erano ri­masti in piedi furono divisi in due: metà che «volevano» che uscisse testa e metà che «volevano» che uscisse croce. Ancora una volta i perdenti furono fatti sedere e ancora una volta si procedette a divi­dere i vincenti, finché, dopo sette o otto lanci di monetina, com'era inevitabile rimase in piedi una sola persona. «Un grande applauso per il nostro sensitivo!» esclamai. Non era forse un sensitivo uno che era riuscito a «influenzare» la moneta otto volte di seguito?

Se la televisione avesse trasmesso le conferenze in diretta, anziché registrarle e mandarle in onda in seguito, la dimostrazione sarebbe stata assai più efficace. Avrei chiesto a tutti i telespettatori il cui cognome cominciava con una lettera compresa tra la A e la I di «vole­re» testa, e a quelli il cui cognome cominciava con una lettera com­presa tra J e Z di «volere» croce; la metà comprendente il «sensitivo» sarebbe poi stata divisa di nuovo in due, e così via. Avrei inoltre chiesto a tutti di scrivere in ordine cronologico tutti gli esiti che ave­vano «voluto». Con due milioni di telespettatori, sarebbero occorsi circa ventun passaggi perché rimanesse una persona sola. Per stare dalla parte sicura mi sarei fermato poco prima del ventunesimo pas­saggio e, diciamo, al diciottesimo avrei invitato chiunque fosse stato ancora in gara a telefonare in studio. In quella fase i partecipanti sa­rebbero stati ancora parecchi e credo che qualcuno avrebbe chiama­to. Al telespettatore che avesse telefonato avrei quindi domandato di leggere gli appunti sugli esiti (testa o croce) da lui «voluti» e que­sti appunti, TCCCTTCTTTTCCCTTCC, sarebbero stati ovviamente corrispondenti alla successione di esiti registratisi in studio. In altre parole, sarebbe parso che il «sensitivo» all'altro capo del filo avesse «influenzato» diciotto lanci di monetina, e il pubblico se ne sarebbe uscito in esclamazioni di meraviglia. Ma meraviglia per che? Per la mera fortuna: nient'altro. Non so se un simile esperimento sia stato fatto, ma è un trucco così ovvio che probabilmente non ingannereb­be molta gente. Che dire però del seguente?

Poniamo che, durante un pranzo con un produttore, un agente pubblicitario procuri a un noto «sensitivo» una ben pagata parteci­pazione a un programma televisivo. Guardando dieci milioni di telespettatori con occhi magnetici (resi tali dalle arti sopraffine del Trucco e dell'Illuminazione), il nostro immaginario veggente affer­ma di sentire con certi telespettatori una strana intesa spirituale, un curioso, vibrante scambio di energia cosmica. Queste persone capi­ranno di essere in comunicazione con lui, dice, perché, proprio men­tre lo sentiranno pronunciare certe formule mistiche, il loro orologio si fermerà. Dopo una breve pausa, un telefono sul tavolo dello stu­dio squilla e, con voce amplificata dai microfoni, una donna annun­cia sgomenta che il suo orologio si è fermato pochi secondi dopo le parole del veggente. Essa aggiunge di aver avuto una sorta di pre­monizione, perché già prima di guardare l'orologio le è parso di co­gliere negli occhi magnetici del sensitivo qualcosa che parlava diret­tamente alla sua anima; ha sentito, insomma, le «vibrazioni» di «energia». Intanto squilla un secondo telefono: anche un altro orolo­gio si è fermato.

Un terzo telespettatore chiama per dire che gli si è fermata la pen­dola, il che è davvero rimarchevole: dopotutto, la piccola molla del bilanciere di un orologio da polso è senza dubbio più sensibile alle forze psichiche di una massiccia pendola a colonna ... L'orologio di un altro telespettatore si è fermato addirittura prima che il grande occultista pronunciasse le sue formule, sicché viene da pensare che i suoi poteri psichici siano ancora più impressionanti del previsto ... E un quinto orologio ha subito l'influenza occulta con anticipo ancora maggiore: si è fermato un intero giorno prima, nel momento in cui la sua proprietaria stava guardando sul giornale la foto del famoso veggente. Il pubblico in studio prorompe in esclamazioni di stupore. Non sfidano forse qualsiasi scetticismo dei poteri che entrano in azione un intero giorno prima? «Vi sono molte più cose in cielo e ter­ra, Orazio ... »

In realtà, dovremmo esclamare meno e pensare di più. Nel pre­sente capitolo mi propongo di calcolare serenamente con quanta probabilità dette coincidenze si sarebbero verificate comunque. Sco­priremo via via che liberare le coincidenze dal peso dell'arcano è as­sai più interessante che gridare al miracolo.

A volte il calcolo è facile. In un mio precedente saggio rivelai la combinazione del lucchetto della mia bicicletta. Ritenevo di non correre rischi, perché ero convinto che i miei libri non fossero letti dal tipo di persona che ruba biciclette, ma qualcuno me la rubò dav­vero, e ora ho una nuova catena che ha per combinazione del luc­chetto un altro numero, 4167. È una cifra facile da ricordare per me: 41 era il numero che contrassegnava i miei abiti e le mie scarpe quando stavo in collegio, e 67 è l'età alla quale dovrò andare in pen­sione. E chiaro che qui non vi sono coincidenze interessanti: se aves­si scelto un'altra combinazione, avrei comunque cercato due numeri che mi avessero ricordato qualcosa di significativo. Ma vediamo un po' il seguito. Il giorno in cui scrissi la pagina di libro appena ripor­tata, ricevetti dal mio college di Oxford una lettera che diceva:

A ciascuna persona autorizzata a usare le fotocopiatrici è stato assegnato un codice d'accesso. Il suo nuovo numero di codice è 4167.

Lì per lì pensai che avrei sicuramente perso quel foglietto (come avevo smarrito il precedente, l'anno prima) e che dovevo trovare subito il modo di memorizzare il codice. Potevo ricorrere allo stesso tipo di trucco di cui mi ero servito per ricordare la combinazione del lucchetto della bici, mi dissi. Così tornai a guardare il numero stampato sulla lettera dell'università; e, per usare una bella frase di Fred Hoyle nel romanzo fantascientifico La nuvola nera, i numeri sul pezzo di car­ta parvero espandersi fino ad assumere proporzioni gigantesche.

4167

Non avevo bisogno di una nuova associazione mentale per ricor­dare il numero del codice d'accesso: era lo stesso del lucchetto della bici. Corsi a raccontare a mia moglie di questa incredibile coinciden­za, ma se avessi riflettuto meglio avrei capito che non c'era da meravigliarsi tanto. Le probabilità che un evento del genere si verifichi si possono calcolare facilmente. La prima cifra sarebbe potuta essere qualsiasi nu­mero compreso tra O e 9. In altre parole, vi era una probabilità su 10 che il primo numero del codice d'accesso alle fotocopiatrici fosse uguale a quello del lucchetto. Anche la seconda cifra sarebbe potuta essere una qualsiasi di quelle comprese tra O e 9, sicché ancora una volta avrei avuto una probabilità su dieci di trovare lo stesso nume­ro del lucchetto. Le probabilità che entrambe le prime cifre fossero uguali alle prime due del lucchetto erano una su 100 e le probabilità che fossero uguali tutte e quattro le cifre erano una su 10.000. Sono proprio simili scarse probabilità a rappresentare una difesa contro il furto.

La coincidenza colpisce molto, ma che cosa dovremmo concludere, che la provvidenza aveva un suo disegno misterioso, che dietro le quinte agivano gli angeli custodi o che stelle benigne erano in congiunzione con Urano? No. Non c'è motivo di sospettare nulla di più del semplice caso. Le persone al mondo sono in numero talmente superiore a 10.000 che in questo stesso momento qualcuno si starà senza dubbio imbattendo in una coincidenza altrettanto strana della mia. Quel giorno è toccato a me. Guarda caso, l'episodio mi è capita to mentre scrivevo il sesto capitolo, ma è una coincidenza minore perché in realtà avevo terminato la prima stesura già da alcune settimane. Tornai su «Scomporre l'arcano» per inserire l'aneddoto. Nei mesi successivi avrei riguardato più volte quelle pagine per limarle, ma non ho cambiato nulla di questo brano perché il dato era esatto e perché i particolari suggestivi abbelliscono una storia.

Possiamo eseguire un calcolo analogo nel caso del «telesensitivo» che con la forza del pensiero pareva fermare gli orologi della gente, ma dovremo ricorrere a stime anziché a cifre esatte. Vi sono determinate probabilità (piuttosto basse) che un orologio si fermi in un momento dato. Non so quali siano, ma possiamo valutarlo. Poiché la batteria si esaurisce in genere nel giro di un anno, gli orologi digitali smettono di funzionare circa una volta all'anno. È facile che quelli a molla si fermino più spesso perché la gente si dimentica di caricarli, e che quelli digitali si fermino meno spesso perché diverse persone si ricordano di cambiare la batteria prima che si scarichi del tutto; ma entrambi possono smettere di andare a causa di un guasto. Cal­coliamo dunque che un orologio, qualunque sia, si fermi circa una volta all'anno. Non ha molta importanza che la stima sia accurata: l'importante è il principio.

Se l'orologio di una data persona si fermasse tre settimane dopo la «magia» del telesensitivo, anche i più creduli imputerebbero il fe­nomeno al caso. Dobbiamo decidere quale intervallo, tra il momento in cui il veggente pronuncia la formula magica e quello in cui l'oro­logio si ferma, il pubblico giudicherebbe così limitato da risultare impressionante. Cinque minuti rientrano sicuramente nell'idea di «simultaneità» della gente, specie considerato che il sensitivo parla con i telespettatori che telefonano e passa quindi qualche tempo pri­ma che, all'ennesima telefonata, si smetta di avvertire l'idea della contemporaneità. In un anno ci sono circa 100.000 periodi di cinque minuti: le probabilità che un qualsiasi orologio, per esempio il mio, si fermi in uno di questi periodi sono dunque di una su 100.000. So­no probabilità scarse, ma se i telespettatori intenti a guardare il pro­gramma fossero dieci milioni e almeno la metà di loro portasse l'orologio, circa 25 di quegli orologi potrebbero fermarsi in qualsiasi momento. Se anche solo un quarto di tali persone telefonasse in stu­dio, avremmo sei telefonate, più che sufficienti a stupire un pubblico ingenuo; inoltre a queste si potrebbero aggiungere le chiamate di co­loro a cui l'orologio si fosse fermato il giorno prima o a cui si fosse fermata la pendola. Altri telespettatori, poi, potrebbero chiamare per dire che l'orologio di un loro familiare appena morto d'infarto ha smesso di ticchettare. Sono le coincidenze che vengono celebrate in una vecchia canzoncina deliziosamente patetica, L'orologio a pendolo:

Novant'anni senza posa tic tac, tic tac, tic tac

ha scandito la sua vita, tic tac, tic tac, tic tac,

per sempre si è fermato

quando il nonno è spirato.

In una conferenza del 1963 il cui testo fu pubblicato postumo nel 1998, Richard Feynman raccontò che la sua prima moglie era morta alle 9 e 22 della sera e che in seguito si era scoperto che la sveglia della sua stanza si era fermata alle 9 e 22 esatte. Alcuni griderebbero subito all'arcano davanti a una simile coincidenza e rimarrebbero delusi dalla spiegazione semplice e razionale dello scienziato. La sveglia era vecchia e funzionava in maniera irregolare: si fermava se veniva inclinata e non stava più in piano, tanto che Feynman stesso l'aveva sovente riparata. Quando la signora Feynman morì, l'infer­miera dovette registrare l'ora esatta della morte e si avvicinò alla sveglia, ma poiché questa era al buio, per vedere le ore la prese in mano e la inclinò verso la luce, facendola fermare. È vero, come sicu­ramente sarebbe pronto a sostenere qualcuno, che Feynman rovina la solennità poetica di un momento tragico dando una spiegazione molto semplice e molto attendibile dell'accaduto? Assolutamente no, secondo me. Egli ci dice una cosa verissima: che il nostro è un universo bello, elegante e ordinato, nel quale gli orologi si fermano per un motivo, e non per accendere la fantasia e incoraggiare il sen­timentalismo degli esseri umani.

Vorrei a questo punto coniare un termine tecnico, e spero mi perdo­nerete se sarà un acronimo. PCAA sta per «Popolazione delle Coinci­denze Apparentemente Arcane». «Popolazione» potrà suonare stra­no, ma è il giusto termine statistico (non continuerò però a usare il maiuscolo, perché non fa un bell'effetto sulla pagina stampata). L'oro­logio da polso che si ferma dieci secondi dopo che il sensitivo ha pronunciato le sue parole «magiche» appartiene alla categoria delle pcaa. A rigor di termini, la pendola non dovrebbe rientrare nella categoria, perché il telesensitivo non aveva parlato di pendole; tuttavia c'è il tele­spettatore che, quando la sua si ferma, si affretta a telefonare perché si stupisce ancora di più di quanto si sarebbe stupito se gli si fosse ferma­ to l'orologio da polso. Viene così incoraggiata un'ipotesi tanto bizzar­ra quanto errata, ossia che il mago sia ancora più potente del previsto, in quanto non aveva contemplato gli orologi a pendolo. Non aveva parlato neanche di orologi da polso che si fermavano il giorno prima o nel momento in cui il nonno che li portava moriva d'infarto.

La gente ritiene che questi fenomeni imprevisti appartengano alla popolazione degli eventi arcani, determinati da forze occulte, che solo in apparenza «sembrerebbero» coincidenze. Se però si allarga così il campo, la pcaa diventa immensa, e qui sta la trappola. Se il no­stro orologio da polso si fermasse esattamente ventiquattr'ore prima che il telesensitivo parlasse, non dovremmo essere così creduloni da far rientrare l'avvenimento nella categoria arcana. Se l'orologio di qualcuno si fermasse sette minuti prima dell'incantesimo, certe per­sone potrebbero rimanerne impressionate, perché sette è un numero ritenuto da sempre magico (e lo stesso probabilmente varrebbe per sette ore, sette giorni ecc.). Più grande fosse la pcaa, meno dovrem­mo essere colpiti dalla coincidenza quando questa si verificasse. Uno dei trucchi dei truffatori abili è di indurre la gente a credere esattamente l'opposto.

Ma c'è un trucco ancora più facile a proposito di orologi: quello di farli ripartire. Il «veggente» invita i telespettatori ad alzarsi, tirar fuori da cassetti o solai orologi da polso rotti, e tenerli in mano men­tre lui, fissando con sguardo ipnotico la telecamera, pronuncia paro­ le magiche. Che cosa succede in realtà? Il calore della mano scioglie l'olio che si era coagulato e questo rimette in moto l'ingranaggio, sia pure per poco. Benché i meccanismi riprendano a funzionare solo in una piccola percentuale di casi, tale percentuale, moltiplicata per un folto pubblico, induce parecchie persone a telefonare stupefatte. Di fatto, come si legge in Soul Searching (1995), il saggio in cui Nicholas Humphrey denuncia con efficacia l'imbroglio del paranormale e del soprannaturale, è stato dimostrato che oltre il 50 per cento degli oro­logi rotti hanno una breve ripresa quando vengono tenuti in mano.

Ora proporrò un altro esempio di coincidenza nel quale è facile il calcolo delle probabilità e lo userò per dimostrare come tale calcolo spogli di ogni stranezza casi apparentemente stranissimi. Parecchio tempo fa ebbi una ragazza che era nata lo stesso giorno (anche se non lo stesso anno) della mia precedente fidanzata. Lei raccontò la coincidenza a una sua amica che credeva nell'astrologia e l'amica, tutta esaltata, mi chiese come mai fossi ancora scettico davanti a una prova così lampante: era evidente che ero stato involontariamente attratto da quelle due donne a causa delle loro «stella»! Procediamo anche in questo caso a un'analisi razionale e serena. E' facile calcola­re le probabilità che due persone scelte a caso siano nate lo stesso giorno: i giorni in un anno sono 365. In qualunque giorno sia nato il primo soggetto, il secondo ha una probabilità su 365 (lasciando stare gli anni bisestili) di essere suo «gemello». Proviamo dunque ad accoppiare due donne scegliendo, come nel nostro caso, due fidanzate successive dello stesso uomo: le probabilità che siano nate lo stesso giorno sono una su 365. Se prendiamo dieci milioni di uomini (meno della popolazione di Tokyo o di Città del Messico), tale arcana coin­cidenza sarà capitata a oltre 27.000 di loro!

Tornando alla pcaa, constatiamo che più i numeri sono grandi, più gli «eventi arcani che solo in apparenza sembrerebbero coincidenze» risultano in realtà dovuti al mero caso. Anche accoppiando persone con criteri diversi dal giorno di nascita finiremmo sempre per notare una coincidenza apparente: per esempio due fidanzate successive dello stesso uomo non imparentate, ma con lo stesso cognome. Due soci d'affari che fossero nati lo stesso giorno o due persone che se­ dessero fianco a fianco su un aeroplano e scoprissero di essere nate lo stesso giorno verrebbero assegnati da molti alla pcaa, ma su un Boeing 747 al completo vi sono in realtà oltre 50 probabilità su cento che almeno un paio di vicini di posto siano «gemelli». Di solito non ce ne accorgiamo perché non stiamo a sbirciare che cosa scrivono gli altri quando dobbiamo riempire i noiosi moduli dell'Ufficio immi­grazione; ma se sbirciassimo e scoprissimo le coincidenze, qualcuno sulla maggior parte dei voli comincerebbe a parlare di forze occulte.

La coincidenza dei compleanni è stata illustrata in maniera assai suggestiva. Prendiamo una stanza in cui siano presenti solo 23 indi­vidui: i matematici possono dimostrare che vi sono più di 50 proba­bilità su cento che almeno due di essi siano nati lo stesso giorno. Due persone che avevano letto la bozza di questo libro mi hanno chiesto di spiegare meglio tale affermazione incredibile. È più facile calcolare le probabilità che non vi siano compleanni condivisi (e sot­trarre il risultato all'unità). Lasciamo perdere gli anni bisestili, che complicano inutilmente le cose, e supponiamo che scommetta con voi che delle 23 persone presenti, come minimo due siano nate lo stesso giorno. Voi, tanto per stare al gioco, scommettete che non ci siano compleanni comuni. Faremo il calcolo arrivando ai 23 indivi­dui gradualmente: cominceremo da uno solo e aggiungeremo gli al­tri uno alla volta. Se a un certo punto troveremo un «gemello», io avrò vinto la scommessa, smetteremo di giocare e non staremo a cu­rarci dei rimanenti individui. Se invece arriveremo al ventitreesimo senza avere trovato il «gemello», a vincere sarete stati voi.

Quando nella stanza c'è solo il primo soggetto, che chiameremo A, le probabilità che non vi sia alcun «gemello» sono, banalmente, pari a 1 (365 probabilità su 365). Aggiungiamo adesso il soggetto B: le probabIlità diventano una su 365, quindi le probabilità che non vi siano «gemelli» sono 364/365. Facciamo entrare ora una terza persona, C: vi sono una probabilità su 365 che C sia nato lo stesso giorno di A e una su 365 che sia nato lo stesso giorno di B, sicché le probabilità che non sia «gemello» né di A né di B sono 363/365, (non può essere «ge­mello» di entrambi, perché sappiamo già che A e B non sono nati lo stesso giorno). Per sapere quali siano complessivamente le probabi­lità che non si verifichi un «gemellaggio», dobbiamo prendere 363/365 e moltiplicarlo per le probabilità che non si verificasse un ge­mellaggio nel caso (o nei casi) precedenti, ovvero, nell'esempio speci­fico, moltiplicarlo per 364/365. Lo stesso ragionamento vale quando aggiungiamo la quarta persona, D. Le probabilità totali che non vi siano «gemelli» diventano 364/365 x 363/365 x 362/365. E così via, finché nella stanza non abbiamo 23 persone. Ogni nuova persona ci porta un nuovo termine da aggiungere alle moltiplicazioni da fare per calcolare le probabilità che il «gemello» non si presenti.

Se si procede con tali moltiplicazioni fino ad avere 23 termini (l'ultimo dei quali sarà 343/365), l'esito sarà 0,49: ed è questa la probabilità che non vi siano nella stanza individui nati lo stesso giorno. Vi sono quindi probabilità lievemente superiori al 50 per cento che almeno due persone in una compagnia di 23 siano «gemelle». Ba­sandosi sull'intuizione, la maggior parte della gente scommettereb­be contro il «gemellaggio», ma sbaglierebbe. È proprio questo il tipo di errore intuitivo che ci induce a considerare arcane coincidenze che sono normalissime.

Parlerò adesso di una coincidenza capitata nella vita reale e, an­che se in questo caso è leggermente più difficile, cercheremo di valu­tare in maniera approssimativa quali siano le probabilità che si veri­fichi. Un giorno mia moglie comprò per sua madre un oggetto antico, un bell'orologio da polso con il quadrante rosa. Quando tornò a casa e tolse l'etichetta del prezzo, si stupì di vedere, incise sul retro, le iniziali M.A.B., le stesse di sua madre. Un fatto strano, arcano, da brivido lungo la schiena? Il celebre romanziere Arthur Koestler sarebbe ricorso a chissà quale complessa chiave di lettura e altrettanto avrebbe fatto Carl Gustav Jung, l'ammiratissimo psicana­lista che, oltre ad avere ideato il concetto di «inconscio collettivo», credeva che le forze psichiche potessero per esempio produrre un rumoroso schianto in una libreria. Mia moglie, dotata di maggior buonsenso, si limitò a pensare che la storia delle iniziali identiche le tornasse molto comoda e fosse abbastanza curiosa da poter essermi raccontata; ed ecco che io mi sono premurato di raccontarla a un pubblico più vasto.

Quali sono dunque le probabilità che si verifichi una coincidenza così apparentemente incredibile? Possiamo cominciare a calcolarle in maniera molto semplice. Nell'alfabeto inglese ci sono ventisei lettere. Se nostra madre ha un nome di tre iniziali e troviamo un orolo­gio su cui sono incise tre lettere a caso, le probabilità che le tre cop­pie di lettere coincidano sono 1/26 x 1/26 x 1/26, ovvero una su 17.576. La Gran Bretagna ha circa 55 milioni di abitanti: se tutti aves­sero comprato un orologio antico con delle iniziali incise sul retro, più di 3000 persone si sbalordirebbero tornando a casa e vedendo sotto l'etichetta del prezzo le stesse iniziali della loro mamma.

Ma le probabilità sono in realtà più alte di così. Il nostro calcolo elementare parte dal presupposto errato che ciascuna lettera abbia una probabilità su 26 di essere l'iniziale di qualcuno, e in effetti que­sta è la probabilità media per l'alfabeto inglese; ma alcune lettere, come X e Z, hanno probabilità inferiori di essere iniziali di nomi e cognomi, mentre M, A e B sono più comuni: pensate a quanta più impressione ci avrebbe fatto la coincidenza se le due coppie di tre iniziali uguali fossero state X.Q.Z. Possiamo rendere più accurata la nostra stima effettuando un campionamento con l'elenco telefonico. Il campionamento è un buon sistema per valutare qualcosa che non possiamo contare direttamente, e l'elenco telefonico di Londra è adatto all'operazione, perché contiene molti nomi, perché mia mo­glie aveva comprato l'orologio a Londra e perché a Londra viveva sua madre. L'elenco telefonico di Londra comprende circa 85.060 pollici colonna (2160 metri), o circa 1,34 miglia colonna (2,160 chilo­ metri) di nomi di cittadini. Di questi, circa 8110 pollici colonna (206 metri) sono dedicati alle B. Ciò significa che ha il cognome iniziante per B il 9,5 per cento dei londinesi, una percentuale parecchio supe­riore al 3,8 per cento (1/26) della popolazione che ha un cognome iniziante per una lettera media.

Dunque le probabilità che un londinese qualunque abbia un co­gnome iniziante per B sono circa 0,095 (cioè il 9,5 per cento). E le probabilità che il nome proprio inizi per M o A? Ci vorrebbe troppo tempo per contare le iniziali dei nomi nell'elenco telefonico e non avrebbe nemmeno senso farlo, visto che tale elenco rappresenta sol­tanto un campione. Conviene piuttosto prendere un sottocampione nel quale le iniziali dei nomi propri siano comodamente elencate in ordine alfabetico, e questo sottocampione lo troveremo naturalmen­te all'interno di ciascun cognome. Proviamo a scegliere Smith, il co­gnome più comune d'Inghilterra, e a guardare quale percentuale di M. Smith e A. Smith vi sia (è lecito sperare che il campione rappresenti in maniera approssimativa i nomi propri dei londinesi nel loro complesso). Troveremo oltre 20 iarde colonna (118 metri) di Smith. Di questi Smith, lo 0,073, cioè 53,6 pollici colonna (186 cm), sono M. Smith. Gli A Smith occupano 75,4 pollici colonna (191 cm) e rappre­sentano quindi lo 0,102 di tutti gli Smith.

Se dunque siamo londinesi e abbiamo tre iniziali, le probabilità che esse siano M.AB. in questo esatto ordine sono 0,102 x 0,073 x 0,095, ovvero 0,0007. Poiché la Gran Bretagna ha 55 milioni di abitanti, 38.000 di essi avrebbero quindi le iniziali M.AB., ma solo nel caso che tutti i cittadini britannici avessero tre iniziali. Così non è; però, guar­dando ancora una volta l'elenco telefonico, sembra di constatare che almeno la maggioranza le abbia. Se anche partissimo dall'ipotesi molto cauta che solo metà britannici avessero tre iniziali, vi sarebbero ugualmente più di 19.000 persone con iniziali identiche a quelle della madre di mia moglie. Tra queste 19.000, chiunque avesse comprato l'orologio si sarebbe sbalordito per la coincidenza; ma i nostri calcoli hanno dimostrato che non c'è motivo di sbalordirsi.

In realtà, riflettendo meglio sulla Pcaa, ci rendiamo conto che i motivi di meraviglia sono ancora meno di quanto supponessimo. M.AB. erano le iniziali di mia suocera da ragazza. Da sposata aveva le iniziali M.AW., che ci avrebbero stupito nello stesso modo se fos­sero state trovate incise sull'orologio. Nell'elenco telefonico, i cogno­mi inizianti per W sono quasi altrettanto comuni di quelli inizianti per B, e tale considerazione raddoppia le possibilità di coincidenza, perché raddoppia il numero di britannici che un «cacciatore di arca­ni» avrebbero potuto trovare in possesso delle stesse iniziali di mia suocera. Inoltre, se una donna comprasse un orologio e vi trovasse incise non già le iniziali di sua madre bensì le proprie, forse lo consi­dererebbe un caso ancor più strano e ancor più degno di essere inse­rito nella categoria (sempre più vasta) delle Pcaa.

Come ho già detto, il defunto Arthur Koestler era un grande cul­tore delle coincidenze. Tra le storie da lui raccontate in Le radici del caso (1972), ve ne sono parecchie che in origine erano state raccolte dal biologo austriaco Paul Kammerer, persona che Koestler ammira­va molto (e che è passato alla storia per aver truccato un esperimen­to con cui avrebbe voluto dimostrare l'ereditarietà dei caratteri ac­quisiti nel rospo ostetrico). Ecco un tipico aneddoto narrato da Kammerer e citato da Koestler:

Il 18 settembre 1916, mia moglie, mentre aspettava il suo turno nella sala d'aspetto del professor T.V.H., sfogliava la rivista "Die Kunst"; fu colpita da alcune riproduzioni dei quadri di un pittore che si chiamava Schwalbach e cercò di fissarsi nella mente il nome perché le sarebbe piaciuto vedere gli originali. In quel momento si aprì la porta e l'infermiera chiese ad alta voce: «C'è la signora Schwalbach? È desiderata al telefono».

Forse non vale la pena cercare di valutare le probabilità che si ve­rifichi una coincidenza del genere, ma possiamo almeno chiarire di quali informazioni avremmo innanzitutto bisogno. «In quel momen­to si aprì la porta» è un modo di esprimersi piuttosto vago. La porta si aprì un secondo o venti minuti dopo che la signora Kammerer si era ripromessa di vedere gli originali di Schwalbach? Poteva essere rimasta per ben venti minuti così colpita dalle riproduzioni da av­vertire poi come simultanea la domanda fatta dall'infermiera? La frequenza del cognome Schwalbach è naturalmente rilevante: ci avrebbero impressionato meno uno Schmidt o uno Strauss, e di più un Twistleton-Wykeham-Fiennes o un Knatchbull-Huguesson. La biblioteca del mio luogo di residenza non ha l'elenco telefonico di Vienna, ma dando un'occhiata al grosso elenco di un'altra città di lingua tedesca, Berlino, ho trovato cinque o sei Schwalbach; il nome quindi non è particolarmente comune ed è comprensibile che la si­gnora sia rimasta colpita. Ma dobbiamo valutare meglio le dimensioni della Pcaa. Coincidenze analoghe sarebbero potute capitare a persone che si trovavano in altre sale d'aspetto di medici o di denti­sti, nonché in uffici statali e altri luoghi del genere; e non solo a Vien­na, ma in tante altre città. Bisogna tenere presente il numero delle possibilità di coincidenza che, se si fossero tradotte in realtà, sareb­bero state ritenute altrettanto rimarchevoli di quella che di fatto si verificò.

Ora prendiamo un altro tipo di coincidenza di cui è ancora più difficile calcolare le probabilità. Consideriamo un'esperienza denun­ziata da molti: sognare dopo tanti anni un vecchio conoscente e poi, il giorno dopo, ricevere all'improvviso sue notizie. Potremmo trova­re una sua lettera nella posta oppure apprendere che è morto pro­prio quella notte, o ancora che quella notte non è morto lui, ma suo padre, o che suo padre non è morto ma ha vinto al totocalcio. Vedete come la Pcaa esce dal controllo quando allentiamo la vigilanza?

Spesso queste storie provengono da un campo molto vasto. Le ru­briche delle lettere nei quotidiani popolari contengono missive che i lettori non avrebbero scritto se non avessero ritenuto sorprendente la coincidenza loro capitata. Per capire se è il caso di stupirsi davvero oppure no, bisogna conoscere la diffusione del quotidiano. Se vende quattro milioni di copie, sarebbe sorprendente che non leg­gessimo ogni giorno qualche incredibile aneddoto, perché basterebbe che un «evento arcano» accadesse a uno dei quattro milioni di let­tori perché avessimo buone probabilità di sentirne parlare sul gior­nale. E' difficile calcolare la probabilità che a una certa persona capiti una coincidenza come sognare un vecchio amico dimenticato da tempo e venire a sapere il giorno dopo che l'amico è morto proprio quella notte; ma qualunque sia, è certo molto più di una su quattro milioni.

Di fatto, dunque, non abbiamo motivo di stupirci quando leggia­mo sul giornale di un caso strano accaduto a un lettore o a qualcun altro in qualche parte del mondo. Un ragionamento in base al quale abbiamo concluso che non ha senso stupirsi è validissimo, eppure in tutta questa faccenda c'è ancora qualcosa che continua a turbarci. Possiamo essere pronti ad ammettere che, come lettori di un quoti­diano ad alta diffusione, non abbiamo diritto di meravigliarci di una coincidenza capitata a uno dei milioni di altri lettori, il quale si è disturbato a scrivere al quotidiano; ma facciamo molta più fatica a mantenerci freddi e razionali quando la coincidenza capita a noi personalmente. Non si tratta di una reazione circoscritta ad alcuni soggetti particolarmente impressionabili: no, l'argomento è indubbiamente serio. Quasi tutte le persone che conosco hanno provato un brivido d'inquietudine in circostanze del genere; se si interroga qualcuno a caso, ci sono buone probabilità che abbia da raccontare almeno un episodio riguardante una coincidenza arcana. All'appa­renza, quindi, questo fenomeno sembrerebbe inficiare le conclusioni cui eravamo arrivati, ossia che non ci si deve stupire degli strani casi di cui si legge sui giornali, perché sono normalissimi in rapporto al grosso bacino di opportunità rappresentato da molti milioni di letto­ri. Invece le nostre conclusioni restano validissime, e per i seguenti motivi.

Ognuno di noi, pur essendo una persona singola, rappresenta un'enorme popolazione di occasioni di coincidenza. Ogni comune giorno che voi e io viviamo costituisce un'ininterrotta sequenza di eventi, o episodi, che contengono ciascuno le potenzialità di una coincidenza. In questo momento sto guardando su una parete della stanza la foto di un pesce di profondità dal curioso muso «alieno». In questo stesso momento il telefono potrebbe squillare e qualcuno all'altro capo del filo potrebbe presentarsi come il signor Pesci. Sono in attesa ...

Il telefono non ha squillato. In poche parole, voglio dire che, qua­lunque cosa stiamo facendo in un momento dato, c'è probabilmente qualche altro evento (come una telefonata) che, una volta verificatosi, potremmo con il senno di poi considerare una strana coinciden­za. Vi sono così tanti minuti nella nostra vita, che sarebbe davvero sorprendente trovare un individuo cui non fosse mai capitato un ca­so singolare. Nell'ultimo minuto ho pensato per esempio a Havi­land, un compagno di scuola (non ricordo né il nome di battesimo né l'aspetto) che non vedo e a cui non penso da quarantacinque an­ni. Se in questo stesso attimo un aereo dell'industria Haviland sfrec­ciasse davanti alla mia finestra, avrei sottomano una coincidenza. Bene, devo riconoscere che nessun Haviland è apparso nel pezzo di cielo che si vede dalla mia finestra, ma nel frattempo ho cominciato a pensare il qualcos'altro, il che mi offre altre occasioni di coinciden­za. Insomma, le potenzialità di coincidenza si presentano tutti i gior­ni per tutto il giorno; ma dei non eventi, delle mancate coincidenze, non si tiene nota né si parla.

La tendenza a vedere significato e scopo nella coincidenza, sia questa dotata o priva di significato reale, rientra nella tendenza più generale a cercare un disegno nelle cose.

(continua)

Decomporre l'arcobaleno


Questo è il secondo episodio di una serie dedicata alla superstizione e al libro di Richard Dawkins "Unweaving the Rainbow: a Darwinian View of Life" (L'arcobaleno della vita). Clicca qui per il primo episodio.


Capitolo 6 (seguito)


Proviamo a pensare a una serie di storie che gli altri potrebbero raccontarci e riflettiamo sulla cautela con cui dovremmo o non dovremmo accoglierle. A un livello più quotidiano si trovano quelle che potrebbero essere vere o false, ma delle quali non abbiamo particolare motivo di dubitare. In Uomini alle armi (1952), di Evelyn Waugh, il personaggio comico di Apthorpe nomina più di una volta al narratore, Guy Crouchback, le sue due zie, residenti una a Peterborough e l'altra a Tunbridge Wells. Sul letto di morte, Apthorpe alla fine confessa di avere in realtà solo una zia. «Quale delle due avete inventato?» gli chiede Crouchback. «Quella di Peterborough, naturalmente» risponde Apthorpe. «lo vi avevo creduto in pieno» ammette Guy. «Sì, era un bello scherzo, vero?» dice l'altro.

Ma la fandonia di Apthorpe non è solo un bello scherzo; è un vero e proprio tiro mancino che Evelyn Waugh gioca a Crouchback. Certo ci sono molte signore anziane che risiedono a Peterborough, e se un tale ci dicesse di avere una zia che vive là non avremmo motivi particolari per non credergli; ma se il fatto avesse implicazioni importanti sarebbe ovviamente opportuno controllare se è vero. Supponiamo invece adesso che quel tale dichiari che, attraverso la meditazione e la forza di volontà, sua zia è in grado di levitare: siede a gambe incrociate, pensa a cose belle e intonando un mantra si solleva fin quasi al soffitto. Perché questa storia sarebbe più incredibile se, in entrambi i casi, chi racconta si dichiara testimone oculare?

La risposta è ovvia: non si può spiegare in termini scientifici la levitazione per forza di volontà. Non si può spiegare, s'intende, in base alle nozioni della scienza contemporanea. Torniamo così alla terza legge di Clarke e a un concetto importante: la scienza di qualsivoglia epoca non possiede tutte le risposte e viene superata dalla scienza dell'epoca successiva. Forse, in futuro, i fisici comprenderanno più a fondo la gravità e costruiranno macchine antigravitazionali, e forse per i nostri discendenti le zie volanti diventeranno pane quotidiano come lo sono oggi gli aerei a reazione per noi. Dobbiamo dunque dedurre che la terza legge di Clarke ci autorizza a credere a tutte le storie di apparenti miracoli di cui si racconta in giro? Se qualcuno affermasse d'aver visto sua zia levitare in posizione yoga o un turco sfrecciare sui minareti a cavallo di un tappeto volante, dovremmo credergli perché i nostri antenati che dubitarono del futuro della radio risultarono in errore? No, è evidente che non vi sono motivi sufficienti per credere alla levitazione o ai tappeti volanti. Come mai?

La terza legge di Clarke non è reversibile. Mentre è vero che «qualsiasi tecnica abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia», non è vero che «qualsiasi magia vista o sognata è indistinguibile da un progresso scientifico futuro». Sì, alcuni autorevoli scienziati proclamarono l'impossibilità di certi fenomeni e furono sconfessati; ma ben più numerose sono state le persone che hanno dichiarato d'aver visto inauditi prodigi mai confermati da prove. Certe cose che oggi ci sembrano impossibili si avvereranno in futuro, ma molte più cose che ci sembrano impossibili non si avvereranno mai. Il diffficile è scegliere le poche profezie azzeccate in mezzo alla paccottiglia, alle affermazioni che resteranno sempre nel regno della magia e dell'immaginazione.

Quando sentiamo raccontare una storia incredibile che sa di miracolo, converrà anzitutto domandarsi se l'interlocutore non abbia motivo di mentire. Ma possiamo valutare le sue credenziali anche in altri modi. Ricordo una piacevole cena nel corso della quale un commensale, un filosofo, raccontò di avere visto un giorno, in chiesa, un prete che si era sollevato di una ventina di centimetri da terra. Come se non bastasse, proseguì narrando altri due episodi a cui, a suo dire, aveva assistito. Spiegò di avere fatto molti mestieri, tra cui il direttore di riformatorio, e di avere scoperto che tutti i giovani delinquenti ospitati all'epoca nell'istituto si erano fatti tatuare sul pene la frase «Mamma, ti voglio bene». Di per sé la storia era improbabile, ma non impossibile e, diversamente da quella del prete che levitava, non sfidava in alcun modo le leggi della fisica; tuttavia confermava la mia prima impressione sulla credibilità del mio commensale. Un'altra volta il nostro filosofo, uomo a quanto pare assai vissuto, aveva visto una cornacchia accendere un fiammifero e alzare un'ala per impedire al vento di spegnere la fiamma. Non ricordo se l'uccello avesse tirato una boccata di sigaretta, ma certo le tre storie, prese insieme, lasciavano pensare che il mio compagno di tavolo fosse un tipo spassoso, ma inattendibile. L'ipotesi che fosse un bugiardo (o un pazzo o un allucinato o semplicemente un buontempone che voleva sondare la credulità dei professori di Oxford) era assai più probabile dell'ipotesi che tutti e tre gli improbabili aneddoti fossero veri.

In quanto filosofo, doveva conoscere il criterio logico ideato da David Hume. Come scrisse il grande filosofo scozzese in maniera a mio avviso inoppugnabile:

Nessuna testimonianza basta per stabilire un miracolo, a meno che la testimonianza non sia di tal fatta che la sua falsità risulterebbe più miracolosa dell'avvenimento che essa si sforza di stabilire.

I miracoli, 1748

Seguirò il principio di Hume nella mia analisi di un miracolo che passa per quello più «convalidato» di tutti i tempi, visto che, a quanto si racconta, vi assistettero settantamila persone, per giunta in un'epoca relativamente recente: l'apparizione della Madonna di Fatima. Cito dalla documentazione che ho trovato in un sito web cattolico, dove si specifica che, essendo stata ufficialmente riconosciuta dal Vaticano, quella di Fatima è la più accreditata delle molte presunte apparizioni mariane.

Il 13 ottobre 1917, più di settantamila persone si raccolsero nella Cova de Iria, presso Fatima, un villaggio del Portogallo. Si trovavano lì per assistere al miracolo preannunciato dalla Santa Vergine ai tre pastorelli che avevano avuto le visioni mistiche: Lucia dos Santos e i suoi due cugini, Jacinta e Francisco Marto ... Poco dopo mezzogiorno la Madonna apparve ai tre fanciulli e, subito prima di dileguarsi, indicò il sole. Turbata, Lucia ripeté il gesto e tutti guardarono in su ... Allora un grido di terrore si levò dalla folla, perché il sole sembrò staccarsi dal cielo per precipitare sugli astanti. Proprio quando sembrava che la palla di fuoco stesse per abbattersi sulla gente, polverizzandola, il miracolo cessò e il sole tornò a splendere più placido che mai in cielo.

Se il sole roteante fosse stato visto solo da Lucia, la bambina che diede inizio al culto di Fatima, pochi avrebbero creduto al miracolo, perché si sarebbe potuto facilmente supporre che la pastorella fosse stata vittima di un'allucinazione o avesse raccontato una bugia. Sono i settantamila testimoni a colpirci. Potevano, settantamila persone, avere simultaneamente la stessa allucinazione o dire concordemente la stessa bugia? O, se non vi furono mai settantamila spettatori, poteva chi descrisse l'avvenimento inventarsi l'esistenza di così tanti testimoni senza essere sbugiardato?

Proviamo ad applicare il criterio di Hume. Da un lato c'è l'ipotesi che vi sia stata un'allucinazione collettiva, un gioco di luce che tutti hanno creduto di vedere o una bugia collettiva raccontata da settantamila persone. Bisogna ammettere che è un'ipotesi improbabile; ma è meno improbabile di quella alternativa, ossia che il sole si sia mosso davvero. Dopotutto, il sole che splendeva su Fatima non era un sole privato: era lo stesso che scaldava gli altri milioni di persone dell'emisfero illuminato del pianeta. Se la nostra stella si fosse realmente mossa, ma fosse stata vista muoversi solo dalla popolazione di Fatima, si sarebbe dovuto compiere un miracolo ancor più grande: milioni e milioni di testimoni che non si trovavano a Fatima avrebbero dovuto avere l'illusione di non vederla muoversi. Ma, soprattutto, credere al disco roteante di Fatima significa ignorare che, se il sole si fosse realmente lanciato verso la terra alla velocità denunciata dai testimoni, il sistema solare si sarebbe disintegrato. Non possiamo che attenerci al criterio di Hume, ovvero scegliere la meno miracolistica delle alternative disponibili e concludere che, contrariamente a quanto afferma ufficialmente il Vaticano, il miracolo di Fatima non si verificò affatto. Inoltre, tocca davvero a noi spiegare in che modo quelle settantamila persone siano state indotte a vedere ciò che non c'era?

Se ci spostiamo verso il limite estremo dell'improbabilità e dei presunti miracoli, troviamo speculazioni o asserzioni che possiamo con assoluta sicurezza definire impossibili? I fisici convengono che se un inventore chiedesse di brevettare la macchina del moto perpetuo, gli si potrebbe rispondere di no senza nemmeno guardare il progetto. La macchina del moto perpetuo, infatti, violerebbe le leggi della termodinamica. Come scrisse Sir Arthur Eddington:

Se qualcuno vi fa notare che la vostra teoria preferita dell'universo non va d'accordo con le equazioni di Maxwell, tanto peggio per le equazioni di Maxwell! Se la si trova contraddetta dall'osservazione ... ebbene, qualche volta gli sperimentatori fanno certe confusioni! Ma se si scopre che la vostra teoria è contraria al secondo principio della termodinamica, non posso darvi speranza alcuna: alla vostra teoria non resta altro che sprofondare nella massima umiliazione!

La natura del mondo fisico, 1928

Con abilità narrativa, Eddington all'inizio fa notevoli concessioni perché in seguito risalti maggiormente. l'enormità di un'eventuale violazione della seconda legge della termodinamica. Ma se siete convinti che il celebre scienziato sopravvalutasse tale legge fisica e che in futuro una tecnologia avveniristica oggi inimmaginabile potrebbe ignorarla, siete liberi di pensarla come vi pare. Non insisterò sul concetto: mi limiterò a dire che preferisco essere prudente e, con Hume, basare i miei argomenti sulle probabilità relative. Frodi, illusioni, imbrogli, allucinazioni, abbagli o bugie spudorate rappresentano un'alternativa così probabile, che dubiterò sempre delle dichiarazioni di chi afferma d'aver visto o di aver sentito parlare di clamorose violazioni delle leggi ritenute inviolabili dalla scienza attuale. Se la scienza attuale cambierà, come farà di certo, non cambierà atttraverso gli aneddoti occasionali o le esibizioni televisive, ma attraverso la ricerca rigorosa basata sull'accurata verifica delle ipotesi.

Tornando alla nostra gamma di improbabilità, le fate dovrebbero trovarsi tra la zia di Apthorpe e la macchina del moto perpetuo. Se domani si scoprissero creaturine umane alate come farfalle e vestite con minuscoli abiti alla moda, i principi fondamentali della fisica non sarebbero violati: l'evento non apparirebbe rivoluzionario come la macchina del moto perpetuo. Tuttavia i biologi non saprebbero come inquadrare le fate nei loro schemi di classificazione. Che origine avrebbero sotto il profilo evolutivo? Né i reperti fossili né la zoologia contemporanea ci parlano di primati con le ali e sarebbe davvero strano e singolare che tali esseri fossero divenuti all'improvviso così simili a noi da scegliere abiti identici ai nostri (come avevano fatto, negli anni Venti, le fate à la mode che apparvero nei famosi falsi fotografici da cui rimase assai colpito il notoriamente credulo Sir Arthur Conan Doyle).

Esseri leggendari come il mostro di Loch Ness, lo yeti (alias abominevole uomo delle nevi dell'Himalaia) e il dinosauro del Congo sono, nella nostra scala, un poco più probabili delle fate di Conan Doyle. Potrebbe benissimo essere sopravvissuta una popolazione di plesiosauri nel Loch Ness. Non so dirvi quanto io e, con me, tutti gli zoologi saremmo contenti se così fosse, o se venisse trovato nel Conngo un vero dinosauro. Una simile scoperta non violerebbe nessuna legge biologica e meno che mai le leggi fisiche. L'unico motivo per cui l'ipotesi sembra improbabile è che l'ultimo dinosauro conosciuto visse 65 milioni di anni fa, e 65 milioni di anni sono molti, troppi perché una popolazione che si riproduce resti nascosta senza lasciare tracce fossili. Quanto allo yeti, se solo potessi credere che fosse sopravvissuta una popolazione di Homo erectus, o Gigantopithecus, ne sarei felicissimo. Vorrei tanto poter ritenere quest'ipotesi più probabile di alternative humiane come le allucinazioni, la fantasia di occasionali viaggiatori o la «lettura» errata (ancorché in buonafede) di impronte d'animale sulla neve rese più grandi dal sole.

Il 30 agosto 1938, quando Orson Welles lesse alla radio un brano della Guerra dei mondi di H.G. Wells, gli ascoltatori furono, com'è noto, presi dal panico (pare addirittura che qualcuno si sia suicidato); la scena iniziale, narrata in forma di notiziario, fu infatti scambiata per un radiogiornale vero che annunciava un'invasione marziana. Si suole spesso citare l'episodio per illustrare l'estrema ingenuità del popolo americano, ma ho sempre pensato che fosse piuttosto ingiusto additare la reazione del pubblico degli Stati Uniti a esempio di credulità, in quanto un'invasione dallo spazio non è impossibile e, se si verificasse, forse ci verrebbe annunciata proprio da un notiziario lampo alla radio.

Le vicende di dischi volanti piacciono sempre molto alla gente, ma in genere sono disdegnate dalla comunità scientifica. Come mai? Non perché una visita da altri mondi sia impossibile o anche solo fortemente improbabile, ma perché, per l'ennesima volta, sono più probabili spiegazioni alternative, come una frode o un'illusione otti­ca. Di fatto, équipe di dilettanti scrupolosi e di scienziati seri hanno analizzato con estrema cura e minuzia molte storie di Ufo, e ogni volta, immancabilmente, hanno scoperto che di extraterrestre non c'era proprio niente. Spesso si tratta di vere e proprie truffe (compli­ci alcuni editori che pagano profumatamente queste storie e non chiedono documentazione, contando sull'indotto di T-shirt e gadget vari). Altre volte i «dischi» si rivelano aerei, dirigibili o mongolfiere visti, o illuminati, da una particolare angolazione. Altre ancora sono miraggi o illusioni ottiche. Infine, in certi casi si tratta di avvista­menti di apparecchi militari segreti.

Un giorno, forse, saremo visitati da astronavi extraterrestri. Ma le probabilità che uno specifico rapporto sui dischi volanti sia autenti­co sono basse in confronto alle probabilità di un'alternativa humia­na consistente in frodi o illusioni ottiche. Tuttavia il particolare che più di ogni altro toglie credibilità alla maggior parte delle storie di Ufo è la somiglianza quasi comica dei presunti alieni con gli esseri, umani o con gli extraterrestri inventati dalla nostra fantasia al cine­ma e alla televisione. E c'è un particolare ancora più grottesco: molti alieni appaiono abbastanza affini ai maschi umani da voler copulare con le femmine terrestri per produrre prole fertile. Come hanno os­servato Cari Sagan e altri, gli umanoidi ansiosi di rapire donne sem­brano l'equivalente moderno dei diavoli e delle streghe del Seicento.

Forti del prestigio mediatico offerto dalla televisione e dalla stam­pa, l'astrologia, la parapsicologia e l'ufologia hanno il vantaggio di rivolgersi in maniera diretta alla coscienza popolare. Se, come pen­so, l'interesse che la gente prova per questi argomenti nasce dalla naturale e lodevole sete di meraviglia della nostra specie, benché il discorso possa apparire paradossale dirò che abbiamo motivo di sentirci incoraggiati. Sì, perché, se è vero che la sete di meraviglia può essere placata molto più dalla scienza che dalla magia, combat­tere la superstizione favorendo e incrementando l'istruzione do­vrebbe portare ai risultati sperati. Ma ho idea che vi sia in gioco un altro fattore a complicare le cose, una forza psicologica potente che analizzerò nelle prossime pagine, perché comprenderla ci aiuterà forse a limitarne i danni. Mi riferisco, in sostanza, alla normale e, sotto molti profili, auspicabile credulità infantile, la quale, se non si è vigili, può estendersi all'età adulta e sortire effetti spiacevoli. Par­tirò, nella disamina, da un aneddoto personale.

Il primo aprile di un certo anno, quando mia sorella e io eravamo bambini, i nostri genitori e i nostri zii ci fecero uno scherzo molto di­vertente: annunciarono che avevano ritrovato in soffitta l'aeroplanino di quando erano piccoli e che ci avrebbero preso a bordo per farci fare un giro. All'epoca volare non era pratica comune come oggi, e noi fummo contentissimi. L'unica condizione impostaci era che ci lasciassimo bendare. Gli adulti dunque ci condussero per mano nel prato e noi, ridendo e inciampando, a un certo punto ci facemmo le­gare ai sedili. Sentimmo il rumore del motore che si avviava, poi un sobbalzo; quindi salimmo su su in aria, fluttuando, ondeggiando, oscillando in una vertiginosa ascensione. Ogni tanto evidentemente sfioravamo le alte cime degli alberi, perché i rami ci toccavano il viso e un piacevole vento ci alitava in faccia. Alla fine «atterrammo»: l'e­mozionante volo terminò sul prato, la benda ci fu tolta e, tra le risa­te, papà e mamma ci rivelarono la verità. Non c'era nessun aeroplano. Non ci eravamo spostati dal punto di partenza. Eravamo rimasti seduti su una sedia del giardino che il babbo e lo zio avevano sollevato, ruotato, trasportato in giro per simulare il movimento dell'ae­reo. Il «motore» era un aspirapolvere acceso e il vento era prodotto da un ventaglio, oggetti che, assieme ai rami d'albero da noi «sfiora­ti», erano stati maneggiati dalla mamma e dalla zia, che si trovavano in piedi accanto alla sedia. Ma, finché era durata, l'avventura era stata piacevole.

Eravamo bambini creduli e fiduciosi e avevamo sognato il volo promesso per giorni, prima che si realizzasse davvero. Neanche per un istante ci era venuto in mente di chiederci perché dovessimo essere bendati. Non sarebbe stato naturale domandarsi che senso avesse fare una gita di piacere senza guardarsi intorno? Ma i nostri genitori ci avevano detto, senza specificarne il motivo, che dovevano bendar­ci e noi avevamo accettato il diktat senza fiatare. Forse ricorsero alla vecchia scusa che così non si correva il rischio di «rovinare la sorpresa»; in ogni caso, non ci chiedemmo neppure perché non ci avessero mai rivelato che erano provetti piloti o che lo era almeno uno dei due, e credo che non abbiamo nemmeno domandato chi pilotasse l'aereo. Insomma non avevamo un animo scettico; né temevamo di precipita­re, tant'era la fiducia che avevamo nei nostri genitori. E quando ci fu tolta la benda dagli occhi e venimmo a sapere che era stato uno scher­zo, non per questo smettemmo di credere a Babbo Natale, alla fatina dei denti, al paradiso degli animali e alle altre storie raccontateci dai nostri stessi genitori. A proposito, mia madre non ricorda affatto l'e­pisodio, ma si ricorda di quando suo padre fece a lei e alla sua sorelli­na lo stesso identico scherzo, in uno scenario ancora più improbabile: l'aereo aveva «decollato» dentro casa e perciò le due bambine aveva­no dovuto chinare la testa «quando erano volate fuori della finestra». Anche loro, manco a dirsi, avevano abboccato.

I bambini sono creduli per natura. Come potrebbero non esserlo? Vengono al mondo ignari di tutto, circondati da adulti che, in con­ fronto a loro, sono pozzi di scienza. Ed è sicuramente vero quel che dicono i grandi: i serpenti mordono, il fuoco brucia, se ci si espone senza crema al sole di mezzogiorno ci si scotta, si diventa rossi e, co­me sappiamo adesso, si rischia di ammalarsi di melanoma. Un mo­do più scientifico di apprendere nozioni utili -- procedere per tentati­vi e errori -- spesso non è l'ideale, perché gli sbagli si pagano troppo cari. Se nostra madre ci dice di non remare mai sul lago perché ci so­no i coccodrilli, non è il caso di fare gli scettici, gli scientifici e gli «adulti» replicando: «Grazie, mamma, ma preferisco verificare spe­rimentalmente se ci sono davvero». La verifica potrebbe essere l'ulti­ma. È facile capire perché la selezione naturale, ossia la sopravvi­venza del più adatto, penalizzi l'impostazione sperimentale e scettica nei bambini e favorisca invece la credulità e l'ingenuità.

Tutto ciò ha però un inevitabile quanto spiacevole effetto collate­rale. Se i genitori ci danno una falsa informazione, dobbiamo crede­re anche a quella: non possiamo fame a meno. I bambini non hanno gli strumenti per distinguere fra l'avvertimento che li protegge da pericoli autentici e la minaccia di falsi pericoli quali cecità o inferno annunciati come conseguenza del «peccato». Se sapessero discerne­re, non avrebbero bisogno di alcun monito. Come mezzo di soprav­vivenza, la credulità arriva «impacchettata» con gli svantaggi: cre­diamo a tutto, vero o falso. I genitori e in generale gli adulti sono tali pozzi di scienza: è naturale avere fiducia in loro. Perciò, quando ci dicono che Babbo Natale viene giù dal camino e che la fede «muove le montagne», abbocchiamo.

I bambini devono credere per potere svolgere il loro ruolo di «bruchi» nella vita. Le farfalle hanno ali perché volando individua­no i membri del sesso opposto e diffondono la prole ampliando la gamma dei fiori cui attingere nutrimento. Hanno un modesto appe­tito che soddisfano succhiando ogni tanto il nettare e hanno bisogno di poche proteine in confronto ai bruchi che sono nello stadio della crescita. In tutte le specie gli animali giovani si preparano a diventa re adulti di successo, cioè in grado di riprodursi. I bruchi devono nutrirsi il più in fretta possibile per poter diventare crisalidi e quindi insetti adulti capaci di volare, accoppiarsi e propagarsi: per questo non hanno ali, ma potenti e avide mascelle.

I bambini umani devono essere creduli per motivi analoghi: sono infatti «bruchi del sapere», e hanno il compito di diventare adulti e riprodursi in una sofisticata società basata sull'informazione. La fonte in assoluto maggiore di cibo informativo sono gli adulti, in particolar modo i genitori. Come i bruchi hanno un potente appara­to boccale con cui succhiano la polpa del cavolo cappuccio, così i bambini hanno occhi, orecchi e cervelli aperti, fiduciosi e protesi verso l'assorbimento del linguaggio e di ogni conoscenza. Essi suc­chiano il sapere adulto. I portali del cranio infantile vengono invasi da valanghe di dati, gigabyte di sapienza provenienti perlopiù dalla cultura accumulata dai genitori e da generazioni di antenati. Ma la similitudine finisce qui: i bambini si trasformano in adulti molto gradualmente, mentre le larve dei lepidotteri subiscono una meta­morfosi improvvisa.

Ricordo che una volta, per Natale, cercai amabilmente di divertire una bambina di sei anni calcolando con lei quanto tempo avrebbe im­piegato Babbo Natale a scendere da tutti i camini del mondo. Ponia­mo che il camino medio sia lungo sei metri e che ci siano cento milio­ni di case abitate da bambini, dissi: quanto in fretta sarebbe dovuto scendere da ogni camino Babbo Natale per finire di deporre i regali entro l'alba del 25 dicembre? Conclusi che il buon vecchio non sareb­be potuto entrare in punta di piedi, silenziosamente, nella camera da letto di ciascun bambino, perché avrebbe dovuto superare la barriera del suono. La bambina capì il concetto e si rese conto dell'inghippo, ma non se ne preoccupò minimamente: lasciò cadere l'argomento senza cercare di risolvere il problema. L'eventualità - molto concreta - che i suoi genitori le avessero detto cose false non la sfiorò neppure. Benché nella sua testa non usasse ovviamente questi termini; pensa­va chiaramente che, se rendevano impossibile l'impresa di Babbo Na­ tale, le leggi della fisica potevano andare a farsi benedire. I suoi genitori le avevano detto che egli scendeva da tutti i camini nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, e così doveva essere.

Dove voglio arrivare? Voglio arrivare a dire che la fiduciosa credulità potrà essere sana e normale in un bambino, ma diventa mal­ sana e riprovevole in un adulto. Crescere, nel senso più pieno della parola, dovrebbe indurre anche a coltivare un sano senso critico. L'atteggiamento di chi è pronto a credere a tutto si può definire in­fantile perché è comune, e giustificabile, nei bambini; quando persi­ste nell'età adulta, ho idea che derivi dal rimpianto struggente delle sicurezze e dei vantaggi perduti dell'infanzia. Il concetto fu efficace­ mente illustrato nel 1986 da Isaac Asimov, grande divulgatore scien­tifico e grande scrittore di fantascienza: «Se si analizza qualsiasi pseudoscienza, vi si troverà una coperta calda, un pollice da suc­chiare, una gonna cui aggrapparsi». Per molti l'infanzia è una per­duta Arcadia, un paradiso di certezze e sicurezze in cui si poteva fantasticare di volare nel Paese dei Sogni. Ah, com'era bello ascolta­ re la mamma raccontarci le favole a letto e cadere con il nostro orsac­chiotto nelle braccia di Morfeo! Con il senno del poi, possiamo forse dire che gli anni dell'innocenza infantile passano troppo in fretta. Sono grato ai miei genitori per avermi narrato della fata dei denti e di Babbo Natale, di Mago Merlino e dei suoi incantesimi, del bambin Gesù e dei Re Magi. Tutte queste storie arricchiscono l'infanzia e, con molte altre, contribuiscono a renderla un reame incantato del­ la memoria.

Il mondo adulto potrà apparire vuoto e freddo al confronto, privo com'è di Babbo Natale, del Paese dei Balocchi, del paradiso degli animali dove il cagnolino continua a vivere felice e della protezione di angeli custodi. Ma nell'età adulta non ci sono nemmeno i diavoli, il fuoco dell'inferno, le streghe cattive, gli spettri, le case infestate, le possessioni demoniache, gli orchi o gli uomini neri. Certo, si scopre che l'orsacchiotto e la bambola sono inanimati, ma in compenso si possono abbracciare compagni caldi, vivi, parlanti e pensanti, e mol­ti di noi trovano questo tipo d'amore più gratificante dell'affetto in­fantile per i pur morbidi e simpatici animaletti di peluche.

Non maturare del tutto significa conservare la qualità «larvale» in­fantile (che è utile al bambino) nell'età adulta (quando diventa dan­nosa). Nell'infanzia la credulità è preziosa perché ci permette di immagazzinare con straordinaria rapidità una quantità di informazioni raccolte dai genitori e dagli antenati nel loro complesso. Ma se a tem­po debito non usciamo da questo stadio naif, la nostra natura «larva­le» ci renderà facili prede di astrologi, medium, guru, predicatori e ciarlatani. Il grande talento del bambino, questo straordinario bruco, consiste nell'assorbire informazioni e idee, non nel criticarle. A dispetto dell'ingenuità infantile, in seguito le facoltà critiche aumenta­no. La natura spugnosa, assorbente del cervello infantile è l'improba­bile vivaio, l'incerto terreno su cui in seguito può crescere, come un granello di senape in lotta per l'esistenza, l'atteggiamento critico. Dobbiamo sostituire la credulità innata dell'infanzia con la selettività costruttiva della scienza adulta.

Ma ho idea che vi sia anche un altro problema. Descrivere il bam­bino come un «bruco del sapere» è semplicistico. Il software della credulità infantile ha aspetti che possono apparire paradossali se non li si analizza in profondità. Torniamo dunque all'infanzia e al suo bisogno di assorbire il più in fretta possibile informazioni dalla generazione precedente. Può accadere che due adulti, per esempio nostro padre e nostra madre, ci diano consigli contraddittori: per esempio la mamma ci dice che i serpenti sono tutti velenosi e letali e che dobbiamo evi tarli con cura, e il giorno dopo il babbo ci dice che i serpenti sono tutti velenosi e letali, tranne quelli verdi, che possono quindi essere allevati come animali domestici. Entrambi i consigli sarebbero in teoria giusti. Quello più generico della mamma conse­guirebbe l'obiettivo di difenderci dai serpenti, pur non informando­ci dell'innocuità degli esemplari verdi; quello più dettagliato del babbo ci proteggerebbe altrettanto e sarebbe in certo modo più esat­to, ma potrebbe risultare fatale se venisse seguito, senza debite cor­rezioni, in un paese lontano. In ogni caso la discrepanza fra i due consigli rischierebbe di disorientarci parecchio. Spesso i genitori fan­no di tutto per non contraddirsi a vicenda, e probabilmente è giusto che si comportino così; ma nel «programmare» la credulità, la selezione naturale dovrebbe tener conto dei messaggi contrastanti e per esempio includere una semplice «regola della precedenza», come: «Credi a qualunque storia tu abbia sentito per prima» o: «Credi alla mamma anziché al babbo, e al babbo anziché agli altri adulti della popolazione» .

A volte, con i loro consigli, i genitori cercano di mettere in guardia i bambini da altri membri della popolazione adulta. L'esempio clas­sico è: «Se un adulto vi invita a seguirlo dicendo di essere un amico di mamma e papà, non credetegli nemmeno se sembra simpatico e nemmeno (anzi meno che mai) se vi offre delle caramelle. Seguite solo un adulto che sia voi sia noi conosciamo, o che porta la divisa da poliziotto». (Non molto tempo fa apparve sui quotidiani inglesi una notizia divertente. Un giorno, passando in macchina per una strada, la regina madre, allora novantasettenne, aveva notato una bambina che piangeva perché si era persa e aveva detto allo chaffeur di fermarsi; poi, gentilmente, era scesa dall'auto per consolarla e si era offerta di accompagnarla a casa. «Non posso» aveva risposto tra i singhiozzi la piccola. «Non mi è permesso parlare con estra­nei.») I bambini si dimostrano tutt'altro che creduloni quando insi­stono a credere a un'affermazione fatta da un adulto in passato rifiu­tando un'affermazione successiva pur plausibile e convincente.

Forse, quindi, è opportuno correggere la definizione corrente di bambino sempre pronto a credere. I veri creduloni prendono per buono l'ultimo discorso che hanno sentito, anche se contraddice af­fermazioni precedenti. La qualità infantile che sto cercando di defi­nire non è tanto la pura credulità, quanto una complessa convergen­za di credulità e incredulità: il tenace persistere in una convinzione dopo che questa è stata acquisita e si è consolidata. Insomma è un atteggiamento che parte dalla credulità estrema, ma è poi seguito da un'altrettanto estrema irremovibilità. Si tratta di una combinazione chiaramente devastante. I gesuiti di una volta sapevano il fatto loro quando dicevano: «Datemi un bambino nei primi sette anni di vita, e vi darò l'uomo».

(fine capitolo 6)

martedì 24 luglio 2007

Astrologia e paranormale



Questo post è il primo di una serie dedicata alla superstizione e al libro di Richard Dawkins "L'arcobaleno della vita" [Unweaving the rainbow: a darwinian view of life"].

In questo episodio introduttivo Dawkins elenca casi notevoli di credulità umana. Particolarmente interessante è il racconto di un episodio di telepatia trasmesso in televisione. Uno degli argomenti centrali è che è possibile dimostrare che gli astrologi, ed altre categorie di sedicenti "veggenti", sono ciarlatani. Allora perché costoro non vengono perseguiti e condannati per frode? Un altro concetto importante è che, per un uomo del secolo scorso, molte nostre tecnologie odierne sarebbero apparse come magia. Allora come distinguere tra scienza e pseudoscienza?

Capitolo 6. Ingannati da chimere


La credulità è la debolezza dell'uomo, ma la forza del fanciullo.
CHARLES LAMB, Saggi di Elia, 18231

Abbiamo sete di meraviglia. Abbiamo una poetica sete di meraviglia che la vera scienza sarebbe qualificata a placare, ma che spesso viene intercettata, a scopo di lucro, dagli astrologi, dai «sensitivi» e dalle loro ciarlatanerie. Espressioni magniloquenti come «la quarta casa in Acquario» o «Nettuno retrogrado sta entrando in Sagittario» sono circondate da un alone pseudoromantico che all'orecchio degli ingenui e dei suggestionabili possono suonare simili a terminologie e frasi realmente scientifiche, come: «L'universo è inconcepibilmente prodigo» o (a proposito del sistema solare, condensatosi da un disco di materia' stellare che ruotava su se stesso) «Il disco brulica di futuri possibili», tratte da Shadows of Forgotten Ancestors (1992), di Carl Sagan e Ann Druyan. In un altro volume, Sagan osservava:

Come mai nessuna delle principali religioni ha mai concluso, dopo aver preso in considerazione la scienza: «È meglio di quanto sembrava. L'universo è assai più vasto di quanto dicevano i nostri profeti, e assai più maestoso, sottile e affascinante». Perché, invece, ognuna dice: «No, no, no, il mio è un dio piccolo e voglio che così resti»? Una religione - vecchia o nuova - che esaltasse la magnificenza dell'universo quale c'è stata rivelata dalla scienza moderna susciterebbe un senso di reverenza ben superiore a quello suscitato finora dalle religioni tradizionali.
Pale Blue Dot, 1995

Da quando, in Occidente, le religioni tradizionali hanno cominciato a declinare, esse sembrano aver ceduto il posto non tanto alla scienza e alla sua visione chiara e onnicomprensiva del cosmo, quanto all'astrologia e al paranormale. Dopo un secolo come il Novecento, nel quale si sono registrati i più strepitosi successi scientifici di tutti i tempi, ci si aspetterebbe che la scienza fosse divenuta parte integrante della cultura generale e che l'estetica umana ne comprendesse la poesia. Pur senza voler essere pessimista come lo fu C.P. Snow quando, negli anni Cinquanta, pubblicò Le due culture, devo riconoscere che all'alba del Duemila questa speranza d'integrazione è andata delusa. I libri di astrologia vendono più dei libri di astronomia, e la televisione spalanca le porte a maghi d'accatto che vengono spacciati per medium e chiaroveggenti. In questo sesto capitolo analizzerò la superstizione e la credulità, cercando di capire la loro origine e di spiegare perché si possa far leva tanto facilmente su di esse; nel settimo, invece, spiegherò in che modo si può usare il ragionamento statistico per difendersi dal «morbo del paranormale». Iniziamo dunque dall'astrologia.

Il 27 dicembre 1997 il «Daily Mail», uno dei quotidiani più diffusi in Gran Bretagna, dedicò la prima pagina all'argomento, intitolando l'articolo di apertura: 1998: l'alba dell'Acquario. Si era quasi grati quando, procedendo nella lettura, ci si rendeva conto che la cometa Hale-Bopp non era considerata la causa diretta della morte della principessa Diana. Lo strapagato astrologo del quotidiano avvertiva che "il lento, ma potente Nettuno" stava per «congiungersi» all'altrettanto potente Urano nel segno dell'Acquario. Le conseguenze, spiegava, sarebbero state rimarchevoli:

il Sole sta sorgendo. E la cometa è venuta a ricordarci che questo Sole non è fisico, ma psichico, spirituale, interiore, sicché non è costretto a seguire la legge di gravitazione. Esso può levarsi più rapido sopra l'orizzonte se un numero abbastanza grande di persone lo saluterà e incoraggerà. E, apparendo, sarà in grado di scacciare le tenebre.


Come può la gente trovare affascinanti simili balordaggini e preferirle alla bellezza dell'universo reale che ci viene svelata dall'astronomia?

In una notte senza luna in cui "le stelle appaiono gelide" e le uniche nubi visibili sono le macchie luminose della Via Lattea, provate ad andare in un posto lontano dall'inquinamento luminoso dei lampioni, a sdraiarvi sull'erba e a guardare il cielo. Lì per lì noterete le costellazioni, ma il loro «disegno» è del tutto casuale, come una macchia d'umidità sul soffitto del bagno. Riflettete dunque su quanto poco significhi affermare che «Nettuno è entrato nell'Acquario» . L' Acquario è composto da stelle eterogenee che si trovano a distanze diverse da noi e che non sono connesse in nessun modo se non per il fatto di apparire in un certo (insignificante) modo quando vengono viste da un (insignificante) posto della galassia come il nostro pianeta. Le costellazioni non sono entità, quindi non sono cose nelle quali si possa sensatamente dire che Nettuno, o qualsiasi altro oggetto, «entra».

Inoltre, la loro forma cambia. Un milione d'anni fa, L'homo herectus (quando l'inquinamento luminoso non esisteva, a meno che non ardesse il fuoco del bivacco, brillante invenzione di questo nostro antenato) contemplava di notte costellazioni assai diverse da quelle che vediamo noi. Tra un milione d'anni, i nostri discendenti ammireranno in cielo altre «figure» di cui conosciamo già l'aspetto. È questo il tipo di previsione che gli astronomi, non gli astrologi, sono in grado di fare. E, diversamente dagli oroscopi, sarà esatta.

Poiché la luce ha una velocità finita, quando si guarda la grande galassia di Andromeda, nella costellazione omonima, si vede come era 2,3 milioni di anni fa, all'epoca in cui l'Australopithecus vagava per l'erba alta della savana. In altre parole, si guarda indietro nel tempo. Se poi spostiamo lo sguardo di qualche grado, verso la stella più vicina della medesima costellazione, noteremo Mirach, che è assai più vicina nel tempo: la vediamo infatti com'era quando da noi ci fu il crac di Wall Street. Il sole, il disco giallo intorno a cui la terra gira, è a soli otto minuti da noi. Ma se puntiamo un grande telescopio sulla galassia Sombrero vediamo un miliardo di miliardi di stelle, che sono com'era il sole quando i nostri antenati con la coda guardavano il cielo intimoriti e quando l'India entrò in collisione con l'Asia dando origine alla catena dell'Himalaya. Osserviamo una collisione più spettacolare, tra due galassie nel quintetto di Stephan, quale avvennne all'epoca in cui sulla terra stavano apparendo i dinosauri e le trilobiti si erano appena estinte.

Qualunque avvenimento storico ci venga voglia di nominare ha la sua traccia in cielo, ossia una stella la cui luce brilla da quel particolare anno. Tutti, tranne i bambini in fasce, hanno nella volta celeste una «stella di natività», il bagliore termonucleare che segnò l'anno della loro nascita. Anzi, di queste stelle se ne possono trovare parecchie (40 se si hanno quarant'anni, 70 se se ne hanno cinquanta, 175 se se ne hanno 80). Quando guardiamo una «stella di natività», il telescopio diventa una macchina del tempo che ci permette di contemplare eventi termonucleari verificatisi nell'anno in cui venimmo al mondo. È senza dubbio un'idea piacevole, ma niente di più. La stella del nostro anno di nascita non si degna certo di parlarci della nostra personalità, del nostro futuro o dei partner sessuali a noi più adatti: ha un carnet di impegni di dimensioni ben più vaste, dal quale sono escluse le insignificanti vicende umane.

Naturalmente la stella della nostra nascita è nostra solo per l'anno in corso; l'anno successivo bisogna prendere in considerazione una «sfera» più grande, più lontana di un anno luce. Proviamo a pensare a questa sfera in espansione come al raggio sempre più lungo della buona notizia (la notizia della nostra nascita). In teoria, nell'universo einsteiniano nel quale, secondo i fisici, viviamo, niente viaggia più veloce della luce; così, se abbiamo 50 anni, la "sfera della notizia" ha un raggio di 50 anni luce. All'interno di tale sfera (comprendente poco più di mille stelle) è, sempre in teoria (anche se ovviamente non in pratica), possibile che si sia diffusa la notizia della nostra nascita; all'esterno di essa potremmo benissimo non esistere e, anzi, in senso einsteiniano non esistiamo affatto. Gli anziani hanno più ampie «sfere di esistenza» dei giovani, ma in nessun caso la vita copre più di una minuscola frazione d'universo. La nascita di Gesù potrà sembrarci un avvenimento molto importante e anche molto antico, visto che risale a duemila anni fa, ma su scala cosmica è così recente che, pur ipotizzando circostanze ottimali, la notizia, sempre in linea di principio, potrebbe aver raggiunto meno di un duecentomiliardesimo degli astri dell'universo. Intorno a molte stelle, se non alla maggior parte, orbiteranno pianeti. I numeri, in cielo, sono così grandi che probabilmente alcuni di quei pianeti ospiteranno forme di vita e altri saranno popolati da specie intelligenti, dotate di una loro tecnologia. Tuttavia la distanza e il tempo che ci dividono sono talmente giganteschi che migliaia di forme di vita potrebbero evolversi in modo indipendente ed estinguersi senza mai venire a sapere dell'esistenza le une delle altre.

Per fare il calcolo del numero di stelle di natività, sono partito dall'assunto che la distanza media fra le stelle sia di 7,6 anni luce, cioè più o meno la distanza osservabile nella particolare regione della Via Lattea in cui ci troviamo. Sembra una densità bassissima (circa 440 anni luce cubici per stella), ma in realtà è alta in confronto a quella delle stelle dell'universo nel suo complesso, dove lo spazio tra le galassie è vuoto. Isaac Asimov ha fatto un esempio molto efficace: è come se tutta la materia dell'universo fosse, ha detto, un unico granello di sabbia posto al centro di una stanza vuota lunga 32 chilometri e alta e larga altrettanto. Nel contempo, è come se il singolo granello fosse polverizzato in mille milioni di milioni di milioni di frammenti, perché è all'incirca quello il numero delle stelle nell'universo. Sono questi alcuni dei dati concreti dell'astronomia, che, se da un lato ci tolgono l'illusione di essere protagonisti, dall'altro ci colpiscono per la loro bellezza.

Sotto il profilo estetico, invece, l'astrologia è un insulto. I suoi deliri precopernicani sviliscono e offendono l'astronomia, come certi pezzi di Beethoven usati per messaggi commerciali sviliscono e offendono il grande musicista. È un insulto alla psicologia e alla straordinaria ricchezza della personalità umana catalogare semplicisticamente tutti gli individui in dodici categorie. Gli Scorpioni sono allegri ed estroversi, mentre i Leoni, con il loro carattere metodico, vanno d'accordo con le Bilance (o chi per loro). Mia moglie, Lalla Ward, si ricorda che una volta, mentre stava girando un film, una sua collega, un'attricetta americana cui era stata assegnata una particina, si avvicinò al regista Otto Preminger e gli chiese: «Mr. Preminger, di che segno è lei?». Al che, con forte accento austriaco, Preminger diede una risposta memorabile: «Del segno Non Scocciare».

La personalità è una realtà, e gli psicologi sono riusciti a elaborare modelli multidimensionali che ne misurano in certo grado le variazioni. Il numero molto elevato di dimensioni può essere ridotto matematicamente a un numero inferiore con una perdita quantificabile, e in parte quantificata, di capacità predittiva. Queste dimensioni derivate corrispondono a volte a quelle che pensiamo di riconoscere in maniera intuitiva: aggressività, ostinazione, affettuosità e così via. Rappresentare la personalità di un individuo come un punto in uno spazio multidimensionale è un'approssimazione utile di cui si possono determinare i confini. È un metodo ben diverso dalle categorizzazioni assolute e mutualmente incompatibili, e certo ben diverso dalle stupide farneticazioni dell'astrologia dei giornali: si basa infatti su dati realmente pertinenti alle persone, non sui «pianeti» del giorno della nascita. Il modello psicologico multidimensionale può permettere di capire se un individuo è adatto a una certa carriera o se due fidanzati hanno buone prospettive di un matrimonio felice. I dodici segni zodiacali sono, nella migliore delle ipotesi, un costoso quanto inutile trastullo.

Inoltre mal si accordano con le leggi antidiscriminatorie e con le nostre forti obiezioni verso tutto ciò che è politicamente scorretto. Si abituano i lettori di quotidiani a considerare se stessi e i loro amici e colleghi «Scorpioni», «Bilance», «Leoni» e via dicendo. A ben pensarci, non è un modo di etichettare e discriminare la gente, insomma di applicare quegli stereotipi culturali che oggi molti di noi trovano deplorevoli? Mi immagino i Monty Python ideare una scenetta in cui qualcuno legge questo genere di rubrica sul quotidiano:

Tedeschi. Siete per natura molto laboriosi e metodici, e questo oggi vi tornerà utile in ufficio. Quanto alle relazioni personali, stasera cercate di reprimere la vostra innata tendenza a obbedire agli ordini.

Spagnoli. Vi lascerete prendere dal vostro sangue caldo latino: attenti a non fare qualcosa di cui potreste pentirvi! E, per favore, non mangiate aglio a pranzo se avete progetti romantici per la sera ...

Cinesi. L'imperscrutabilità presenta molti vantaggi, ma oggi potrebbe segnare la vostra débacle.

Inglesi. Impassibili come siete, sarete avvantaggiati nelle trattative d'affari. Ma perché non provate per una volta a rilassarvi e a lasciarvi andare nella vita sociale?

Si possono facilmente immaginare gli altri stereotipi nazional-zodiacali. Certo, le rubriche di astrologia sono meno offensive degli esempi di discriminazione sopra riportati, ma proviamo a chiederci dove sta la differenza. Le une e gli altri dividono ingiustamente l'umanità in gruppi definiti da caratteristiche arbitrarie. Se anche vi fosse qualche piccola indicazione statistica a favore di determinate tipologie, entrambe le rubriche sopra citate favorirebbero il pregiudizio, incoraggiando la gente a trattare gli altri come tipi anziché come individui. Già adesso, nelle sezioni dei giornali dedicate ai «cuori solitari» si leggono frasi come: «Scorpioni esclusi» o: «Tori, risparmiatevi di scrivere». Certo, non si arriva alla gravità dei cartelli su cui era scritto: «Vietato l'ingresso ai neri» o: «Vietato l'ingresso agli irlandesi», perché i pregiudizi astrologici non sono rivolti sempre e soltanto verso determinati segni, ma resta il fatto che creare stereotipi e discriminare in base a essi impedisce di accettare la gente nella sua individualità.

Le conseguenze potrebbero essere tristi sotto il profilo umano. La piccola pubblicità dei cuori solitari serve ad ampliare il raggio dei possibili partner sessuali (in effetti le occasioni che si presentano sul lavoro o nella cerchia delle conoscenze sono spesso scarse e la necessità di incrementarle è assai concreta): se le persone sole, che potrebbero trarre grande vantaggio dall'incontro con l'agognato partner, vengono indotte a scartare per motivi assurdi e gratuiti fino a undici dodicesimi della popolazione, il danno è evidente. Al mondo ci sono creature vulnerabili che vanno compatite, non deliberatamente fuorviate.

Mi è stato raccontato che, alcuni anni fa, un pennivendolo che aveva avuto la sfortuna di dover curare l'oroscopo per il proprio quotidiano alleviò la noia scrivendo sotto uno dei dodici segni zodiacali la funesta frase: «Tutti i dispiaceri di ieri sono niente in confronto a quello che vi capiterà oggi». Fu licenziato perché il centralino del giornale venne sommerso da telefonate di lettori impauriti; il che dimostra, ahimé, fino a che punto la gente riponga ingenuamennte fiducia nell'astrologia.

Oltre ad avere leggi contro la discriminazione, abbiamo leggi atte a difenderci dai produttori che dichiarano il falso circa il loro prodotto. Non c'è invece alcuna norma che ci salvaguardi dalle false dichiarazioni riguardo al mondo naturale. Se ci fosse, gli astrologi sarebbero sicuramente condannati per falso. Affermano di prevedere il futuro e di saper indovinare il carattere delle persone, e vengono pagati sia per redigere un profilo della personalità sia per dare consigli professionali riguardo a decisioni importanti. Se una casa farmaceutica mettesse in commercio una pillola antifecondativa che non avesse il minimo effetto sulla fertilità, sarebbe citata in giudizio in base al Trade Descriptions Act, e denunciata dalle clienti rimaste incinte; invece nel caso di questi «professionisti» non succede niente. Le mie critiche potranno sembrare ancora una volta eccessive, ma francamente non capisco perché gli astrologi non vengano arrestati per frode, oltre che per istigazione al comportamento discriminante. Il 18 novembre 1997, il «Daily Telegraph» di Londra scrisse che il giorno prima, 17 novembre, un sedicente esorcista era stato condannato a diciotto mesi di carcere perché, con il pretesto di liberarla dagli spiriti maligni, aveva indotto un'adolescente molto ingenua ad avere rapporti sessuali con lui. L'uomo aveva mostrato alla ragazza alcuni libri di chiromanzia e magia, le aveva detto che qualcuno le aveva «gettato il malocchio e fatto una fattura», e spiegato che per esorcizzarla avrebbe dovuto ungerle l'intero corpo con oli speciali. Lei aveva acconsentito a spogliarsi completamente e, saputo dal mago che l'atto sessuale era necessario per «scacciare gli spiriti maligni», aveva copulato con lui. Ebbene, io credo che la società non possa dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Se è giusto incarcerare un sedicente esorcista che approfitta di una giovane ingenua (la ragazza aveva raggiunto, ai termini di legge, l'età della maturità sessuale), è anche giusto condannare gli astrologi che spillano quattrini a persone altrettanto ingenue, o i «sensitivi» che, dietro lauti compensi pagati dagli azionisti, offrono le loro preziose consulenze alle compagnie petrolifere per la ricerca di nuovi giacimenti. Viceversa, se si accetta la tesi che gli sciocchi siano liberi di regalare quattrini ai ciarlatani, l'«esorcista» marpione andava assolto, visto che la giovane donna era libera di compiere un «rito» sessuale che riteneva utile a guarirla.

Nessuna legge fisica nota induce a pensare che la posizione di lontani corpi celesti al momento della nostra nascita abbia un'influenza sul nostro carattere o sul nostro destino. Ciò non esclude la possibilità che vi sia un rapporto causale sconosciuto, ma per mettersi ad analizzarlo occorrerebbe almeno che qualcuno ne dimostrasse gli effetti. Nessun tentativo di dimostrazione ha mai portato a risultati concreti. La stragrande maggioranza degli studi scientifici sull'astrologia non ha dato esito positivo. Alcune analisi (pochissime, per la verità) lasciano pensare (molto alla lontana) che vi sia una correlazione statistica tra segno zodiacale di nascita e carattere, ma simili conclusioni positive sono poi spiegate in altro modo: molte persone conoscono così bene l'astrologia che sanno quali caratteristiche gli altri si aspettano di trovare in loro e tendono ad adeguarsi al modello. Certo, non è una tendenza molto spiccata, ma basta a produrre i lievissimi effetti statistici osservati.

Come minimo, qualsiasi metodo rispettabile di diagnosi o divinazione dovrebbe superare quella che in statistica è chiamata «prova di attendibilità». Il test non si propone di stabilire se il metodo funzioni davvero, ma solo se professionisti diversi posti di fronte agli stessi dati (o il medesimo professionista chiamato ad affrontare due volte gli stessi dati) diano lo stesso responso. Pur essendo convinto della poca serietà dell'astrologia, credevo che l'attendibilità fosse alta sotto il profilo appena illustrato, perché ero convinto che astrologi diversi attingessero agli stessi libri. In poche parole, credevo che i verdetti fossero sbagliati, ma che i metodi fossero abbastanza sistematici da produrre se non altro le stesse sentenze errate. Invece, leggendo l'analisi di G. Dean e dei suoi colleghi, ho constatato che gli astrologi non superano nemmeno questa prova facile ed elementare. Quando esaminatori diversi giudicavano il rendimento delle persone in colloqui strutturati che non c'entravano nulla con l'astrologia, il coefficiente di correlazione superava lo 0,8 (un coefficiente di correlazione 1,0 rappresenta l'accordo perfetto, -1,0 il disaccordo completo, 0,0 la totale casualità o mancanza di associazione: un indice 0,8 è ottimo). Quando invece si veniva al campo dell'astrologia, il coefficiente di attendibilità scendeva a un pietoso 0,1, che si poteva confrontare solo con quello della chiromanzia (0,11) e che sfiorava la totale casualità. Per quanto assurda sia l'astrologia, si penserebbe che gli astrologi si accordassero sulle loro interpretazioni almeno quel tanto da apparire coerenti, ma a quanto sembra non è così. La grafologia, che come ho detto è l'analisi della scrittura, e il test di Rorschach (quello delle macchie d'inchiostro) non sono molto meglio.

I responsi astrologici richiedono così poco studio e così poca abilità che nei quotidiani vengono spesso affidati ai giovani con poca esperienza alle spalle e abbastanza tempo a disposizione. Sul «Guardian» del 6 ottobre 1994, il giornalista Jan Moir scrisse: «Il mio primo lavoro fu di redigere gli oroscopi per una catena di riviste femminili. Era il compito che veniva sempre assegnato agli ultimi assunti, perché era così stupido e facile che perfino un pivellino era in grado di assolverlo». Da giovane anche James Randi, un mago che poi, da persona lucida e razionale qual era, si mise a smascherare i finti sensitivi, stese gli oroscopi per un quotidiano di Montreal usando lo pseudonimo di Zo-ran. Procedeva così: prendeva delle vecchie riviste di astrologia, ritagliava gli oroscopi con le forbici, mescolava i ritagli in un cappello, li incollava a caso sotto i dodici segni e poi li pubblicava spacciandoli per previsioni personali. Una volta, durante l'intervallo di pranzo, sentì per caso due impiegate leggere avidamente a voce alta la rubrica di Zo-ran sul giornale.

Strillavano di gioia davanti a quei responsi così esatti sul loro immediato futuro e quando chiesi loro il motivo di tanto entusiasmo dissero che Zo-ran «ci aveva preso in pieno» la settimana prima. Non confessai che Zo-ran ero io ... Anche nelle lettere inviate al quotidiano la gente aveva mostrato di reagire con entusiasmo ai miei oroscopi, tanto da indurmi a pensare che molti, una volta accettato qualcuno come autorità dotata di poteri occulti, credano a qualunque cosa dica. A quel punto Zo-ran infilò nel cassetto le forbici e il vasetto della colla, e chiuse bottega.

Flim-Flam, 1992

Dai sondaggi svolti con i questionari risulta che molti lettori abituali dell'oroscopo in realtà non ci credono. Lo leggono, dicono, solo per «divertimento» (quanto a letteratura d'intrattenimento, hanno evidentemente gusti diversi dai miei). Parecchi però credono all'astrologia e ne seguono le dritte; e tra questi -- la notizia è ancor più inquietante in quanto è attendibile -- c'era Ronald Reagan all'epoca del mandato presidenziale. Ma come mai l'oroscopo ha tanto successo?

In primo luogo le previsioni o le «letture» del carattere sono così vaghe, sfumate e generiche che si adattano praticamente a qualsiasi persona e circostanza (di norma ognuno legge solo il suo oroscopo; se desse un'occhiata agli altri undici, il suo gli parrebbe molto meno azzeccato). In secondo luogo, siamo portati a ricordare la previsione indovinata e a dimenticare quella sbagliata. Se in un oroscopo di una decina di righe leggiamo una frase che ci sembra azzeccata, notiamo quella e sorvoliamo su tutte le altre. Ma anche quando si imbattono in una previsione clamorosamente errata, alcuni tendono a giudicarla un'anomalia o una curiosa eccezione anziché un indice della totale inaffidabilità dell'astrologia. Mi viene in mente quando David Bellamy, molto noto in Inghilterra per le sue trasmissioni televisive scientifiche (e molto stimato per le sue battaglie ambientalistiche), confidò a Radio Times (programma un tempo autorevole della Bbc) di avere in certe cose «la circospezione del Capricorno zodiacale», ma di essere perlopiù incline a caricare a testa bassa come un capricorno vero. Che fantastica puntualizzazione! Questo, a mio avviso, dimostra ciò che sostengo sempre: è l'eccezione a confermare la regola. Probabilmente Bellamy non credeva affatto a quel che diceva, ma aveva deciso di assecondare la comune tendenza delle persone colte a considerare l'astrologia un innocuo trastullo. lo non la reputo innocua, e mi chiedo se chi la definisce divertente ne sia mai stato realmente divertito.

"Donna partorisce gattino di tre chili e mezzo" è un tipico titolo del "Sunday Sport", che, come il suo equivalente americano «National Enquirer» (quattro milioni di copie vendute) pubblica notizie completamente assurde spacciandole per vere. Una volta conobbi una ragazza che era stata assunta a tempo pieno da una rivista americana di questo tipo e che passava il tempo a inventare facezie. Lei e i suoi colleghi, mi disse, facevano a gara a chi scriveva impunemente le peggiori cavolate. La gara risultò poi vana, perché sembra non ci sia limite alle fandonie che la gente è disposta a credere quando le legge sulla carta stampata. Nella pagina successiva a quella del parto felino, il «Sunday Sport» pubblicava un articolo su un mago che, non sopportando più la moglie bisbetica, l'aveva trasformata in un coniglio. Oltre ad assecondare il cliché maschilista della Santippe, la rivista mostrava un certo istinto xenofobo in un altro pezzo, intitolato: Greco pazzo trasforma ragazzo in kebab. Per citare qualche altro artiicolo esilarante, ricorderò: Marilyn Monroe rivive in un cuore di lattuga (corredato della foto verde di un cespo d'insalata al cui centro campeggiava il volto dell'attrice) e: Statua di Elvis rinvenuta su Marte.

Come è noto, molta gente ha visto Elvis Presley ubiquo e redivivo. Il culto di Elvis, che induce certi fan a conservare le unghie dei suoi piedi e altre consimili reliquie, a custodire le sue foto come santini e ad andare in pellegrinaggio a Memphis, ha buone probabilità di diventare una vera e propria religione, ma dovrà curare parecchio le pubbliche relazioni se vorrà evitare di essere superato dal culto più recente della principessa Diana. Quando, nel 1997, Lady Spencer morì, molte delle innumerevoli persone che fecero la fila per firmare il libro delle condoglianze dissero ai giornalisti di avere visto distintamente la principessa staccarsi da un vecchio ritratto appeso al muro e guardare dalla finestra del palazzo la folla ossequiante. Come nel caso dell' «angelo di Mons» che apparve ai soldati nei giorni più neri della prima guerra mondiale, numerosi testimoni oculari «scorsero» lo spettro di Diana, e la notizia si diffuse come un lampo tra la gente che, già "caricata" a dovere dalla stampa popolare, piangeva calde lacrime.

La televisione è un medium ancora più potente dei giornali e, ahimè, ci propina una quantità inusitata di paranormale. In Gran Bretagna, uno degli esempi più scandalosi degli ultimi anni è quello del santone che durante un programma affermò di essere la reincarnazione di tale Paolo di Giudea, un «dottore della legge morto duemila anni prima»; senza condurre la minima analisi critica, la BBC dedicò un servizio di ben mezz'ora all'argomento, spacciando questa ridicola fantasia per un fatto vero. In seguito, al festival televisivo di Edimburgo del 1996, nel corso di un dibattito pubblico sul tema «La resa al soprannaturale», mi scontrai con il direttore esecutivo di quel programma. Il funzionario si difese ripetendo che il santone era una brava persona, perché i pazienti li guariva sul serio. Sembrava in buona fede: non gli importava affatto se il «dottore» fosse o non fosse un reincarnato, l'unico dato rilevante era il conforto che dava ai pazienti. Ma il colmo dei colmi era il «promo» con cui la Bbc aveva accompagnato il servizio: si ringraziavano i consulenti che avevano vagliato il contenuto della trasmissione, e fra loro c'era pure lui, Paolo di Giudea! Per carità, non contesto che si possa chiedere a uno psicotico o a un imbroglione di comparire in tivù per illustrare i propri strani deliri: forse è divertente o addirittura comico (benché io lo trovi di cattivo gusto, come ridere dei fenomeni da baraccone o appassionarsi alle violente liti coniugali che gli americani «riproducono» in televisione); ma trovo inconcepibile che un'istituzione autorevole come la Bbc metta a repentaglio la credibiilità conquistata in tanti anni mostrando pubblicamente di credere al delirio di uno psicotico.

La televisione del paranormale usa spesso una formula assai volgare, ma efficace: ingaggia comuni prestigiatori e dice al pubblico che sono veri sensitivi dotati di poteri paranormali. Con cinico disprezzo per l'intelligenza dei telespettatori, a costoro non si richiede di fornire nessun riscontro, nessuna dimostrazione di credibilità. I prestigiatori, se sono dei professionisti, fanno se non altro vedere al pubblico che non si sono infilati niente su per le maniche e che non hanno collocato fili sotto il tavolo. Ai cosiddetti «sensitivi», invece, non si chiede nemmeno questa formale testimonianza di buonafede.

Permettetemi di descrivere una vera e propria esibizione: una dimostrazione di telepatia che si poteva guardare non molto tempo fa a Beyond Belief, un programma della Carlton Television prodotto e presentato da David Frost, un veterano della televisione britannica a cui il governo ha ritenuto opportuno conferire il titolo di baronetto e il cui parere, quindi, suona autorevole ai telespettatori. I «sensitivi» erano due israeliani, un padre che trasmetteva messaggi telepatici e un figlio che, bendato, vedeva «con gli occhi del padre». Si girava anzitutto una ruota finché veniva fuori un numero: il padre guardava fisso il numero stringendo i pugni per la tensione, poi, con un sofferto rantolo, chiedeva al figlio se ritenesse di poter captare il suo pensiero. «Sì, credo di sì» gracchiava di rimando il figliolo; e naturalmente indovinava il numero ed era salutato da un fragoroso applauso. Veramente incredibile! Tanto più che i telespettatori sapevano di trovarsi di fronte alla tivù-verità, a un programma di fatti veri, non di fiction come X-Files.

In realtà, babbo e figlio avevano proposto un vecchio, banale gioco di prestigio, uno dei numeri più in auge negli antichi teatri di varietà del XVIII secolo, quando, negli anni Ottanta del Settecento, si esibiva il celebre Luigi Pinetti. Sono molti e semplici i codici con i quali il padre potrebbe aver «trasmesso» il numero al suo ben addestrato marmocchio; per esempio il conteggio delle parole nella domanda apparentemente innocente: «Credi di potercela fare, figlio mio?» Invece di sgranare gli occhi per lo stupore, David Frost avrebbe dovuto imbavagliare il padre, oltre che bendare il figlio. Qual è il problema? Solo questo: una: rete televisiva dì tutto rispetto ha spacciato un gioco di prestigio per un fenomeno «paranormale».

Pochi di noi conoscono i trucchi dei prestigiatori. lo rimango spesso sbalordito di fronte a questi spettacoli: non capisco come si faccia a tirar fuori conigli dai cappelli o a segare in due delle scatole senza ferire le signore che vi sono state infilate dentro. Ma tutti sappiamo che c'è una spiegazione perfettamente razionale, che il mago potrebbe fornire se volesse e che però, com'è comprensibile, non rivela. Perché allora dovremmo chiamare «miracolo» lo stesso trucco quando ci viene spacciato per potere soprannaturale da una rete televisiva?

Vi sono poi quei «maghi» ai quali sembra di «sentire» che qualcuno tra il pubblico voleva bene a una persona il cui nome cominciava per M, che aveva un cane pechinese e che era morta per una malattia di petto; vi sono, cioè, dei «medium» e dei «chiaroveggenti» capaci di intuire cose «impossibili da percepire con i cinque sensi normali».

Non ho lo spazio per scendere in dettaglio, ma i prestigiatori chiamano questo trucco «lettura a freddo». Consiste nello sfruttare fenomeni molto comuni (tante persone, per esempio, muoiono di insufficienza cardiaca o cancro dei polmoni) e nel cercare indizi in giro, aiutati dalla tendenza della gente a ricordare le previsioni indovinate e a dimenticare quelle sbagliate (il pubblico involontariamente si tradisce quando il prestigiatore indovina). Inoltre i «lettori a freddo» usano spesso degli informatori, che origliano ciò che dicono gli spettatori quando entrano a teatro, a volte addirittura li interrogano e poi vanno nel camerino del mago prima dello spettacolo e gli raccontano tutto.

Se un «sensitivo» desse davvero un esempio scientificamente dimostrato di facoltà telepatiche (precognizione, psicocinesi, reincarnazione, moto perpetuo e quant'altro), risulterebbe lo scopritore di leggi fisiche sconosciute e straordinarie. Chi individuasse un nuovo campo di energia capace di collegare tra loro le menti nella telepatia, o una forza fondamentale nuova capace di spostare gli oggetti da un punto all'altro di un tavolo, meriterebbe il premio Nobel, e forse lo vincerebbe. Se custodisse davvero un così rivoluzionario segreto scientifico, perché mai dovrebbe buttar via il suo tempo facendo il mago in tivù? Non sarebbe logico che dimostrasse i suoi poteri in maniera scientifica, per poter essere salutato come il nuovo Newton? In realtà sappiamo la risposta: il nostro amico non può perché è fasullo. Ma, grazie a produttori televisivi creduloni o cinici, i suoi volgari trucchi di prestidigitazione troverebbero credito presso il pubblico.

Ciò premesso, va detto che alcuni «sensitivi» sono così abili da ingannare la maggior parte dei ricercatori, e le persone più qualificate a smascherarli non sono scienziati, ma altri prestigiatori. Ecco perché i più famosi di loro si rifiutano sempre, con qualche pretesto, di salire sul palcoscenico se vengono a sapere che nelle prime file della platea siedono prestigiatori professionisti. Diversi abili maghi, come James Randi in America e Ian Rowland in Gran Bretagna, organizzano spettacoli nei quali ripetono davanti al pubblico i «miracoli» di famosi sensitivi e poi spiegano che si tratta appunto di trucchi. Ci sono persone razionali e laiche anche in India, dove alcuni giovani e seri prestigiatori girano per i villaggi smascherando i santoni e ripetendo i loro «miracoli». Purtroppo qualcuno continua a credere nel soprannaturale anche dopo che è stato svelato l'inganno. Qualcun altro, messo con le spalle al muro, non vuole rassegnarsi e dice: «Be', forse quello di Randi è un trucco, ma non significa che altri non facciano davvero miracoli». A un'obiezione del genere Ian Rowland diede una volta una caustica risposta: «Be', si sono esercitati di più!».

Si possono guadagnare tanti soldi ingannando gli ingenui. Il comune prestigiatore sbarca il lunario alle feste dei bambini e mai penserebbe di poter andare in onda sulla televisione nazionale. Ma se spacciasse i suoi trucchi per fenomeni soprannaturali, forse avrebbe migliori prospettive. Le reti televisive non vedono l'ora di mandare in onda imbrogli. L'imbroglio ha sempre ottimi indici di ascolto. Invece di applaudire educatamente dinanzi a un abile gioco di prestigio, i conduttori televisivi simulano gigionesco stupore per indurre i telespettatori a credere di aver visto un fenomeno in contrasto con le leggi della fisica. Persone psichicamente disturbate raccontano i loro dei di fantasmi e poltergeist, ma invece di mandarle da un bravo psichiatra i produttori televisivi acquistano l'esclusiva, imbastiscono ricostruzioni filmate con attori di professione e ottengono gli effetti desiderati sullo sprovveduto pubblico di massa.

Corro il rischio di essere frainteso, e farò bene quindi a chiarire la mia posizione. Sarebbe semplicistico sostenere compiaciuti che le attuali conoscenze scientifiche sono assolutamente complete, e che l'astrologia e i fantasmi sono sciocchezze di cui non vale la pena parlare perché la scienza attuale non è in grado di spiegarli. È proprio così lapalissiano che l'astrologia sia un cumulo di sciocchezze? Come posso essere sicuro che una donna non abbia realmente partorito un gattino di tre chili e mezzo? Siamo davvero certi che Elvis Presley non sia risorto e salito al cielo, lasciando una tomba vuota? Sono accadute cose più strane di queste. O meglio, cose che noi diamo per scontate, come la radio, sarebbero parse ai nostri antenati non meno improbabili della visita di uno spettro. Per noi il telefono cellulare è quell'oggetto che squilla sempre inopportuno, ma agli uomini e alle donne dell'Ottocento, che sì e no avevano visto un treno, sarebbe sembrato pura magia. Come ha osservato Arthur C. Clarke, l'illustre scrittore di fantascienza e convinto assertore del potere illimitato della scienza e delle tecnologia: «Qualsiasi tecnica abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia». È chiamata, questa, la «terza leggge di Clarke», e vi ritornerò sopra.

William Thomson, primo Lord Kelvin, fu uno dei più illustri e influenti fisici britannici del XIX secolo; tuttavia fu una spina nel fianco per Darwin, perché «dimostrò», in modo tanto autorevole quanto errato, come oggi sappiamo, che la terra era troppo giovane perché vi avesse avuto luogo l'evoluzione. Gli si attribuiscono inoltre le tre sentenze categoriche: «La radio non ha futuro»; «Macchine più pesanti dell'aria non possono volare»; «I raggi X si riveleranno una beffa». Insomma Lord Kelvin spinse così all'estremo il proprio scetticismo da esporsi al ludibrio delle generazioni future. In "Le nuove frontiere del possibile" (1962), Arthur C. Clarke citò a mo' di avvertimento casi analoghi e mise in guardia il pubblico dai rischi di chiusure dogmatiche. Quando, nel 1878, Edison annunciò di stare lavorando alla lampada a incandescenza, in Gran Bretagna fu istituita una commissione parlamentare incaricata di verificare se la luce elettrica fosse una cosa seria o una burla. La commissione di esperti concluse che l'idea bizzarra di Edison (quella che noi oggi chiamiamo lampadina) «poteva soddisfare gli amici d'oltreoceano ... ma non meritava l'attenzione di uomini di scienza o di buon senso».

Perché l'elenco non suonasse troppo antibritannico, Clarke riportò anche le affermazioni di due illustri scienziati americani in merito agli aeroplani. L'astronomo Simon Newcomb ebbe l'infelice idea di fare quest'osservazione poco prima del famoso volo dei fratelli Wright nel 1903:

La dimostrazione che le combinazioni possibili di sostanze e congegni e forze conosciute non sono capaci di concorrere alla costruzione d'una macchina con cui l'uomo possa volare per lunghi tratti, sembra all'autore tanto completa quanto lo può essere la dimostrazione di un fatto fisico.

William Henry Pickering, un altro autorevole astronomo americano, affermò categoricamente che gli aeroplani più pesanti dell'aria, pur essendo realizzabili (dovette ammetterlo perché ormai i fratelli Wright avevano già volato), non avrebbero mai potuto rappresentare un mezzo di trasporto concreto e affidabile:

Spesso la mentalità popolare si raffigura gigantesche macchine volanti che attraversano velocemente l'Atlantico trasportando una moltitudine di passeggeri, in modo analogo ai nostri moderni piroscafi ... Mi sembra di poter affermare che tali idee sono da considerarsi del tutto fantastiche. Anche se un apparecchio potesse arrivare oltreoceano con uno o due passeggeri, la spesa sarebbe proibitiva per chiunque non fosse un capitalista ... Altra illuusione comune è che si possa ottenere una straordinaria velocità.

Pickering proseguiva «dimostrando», con seri calcoli sugli effetti della resistenza dell'aria, che un aeroplano non avrebbe mai potuto viaggiare più veloce dei treni espressi dell'epoca. [...]

Questi autorevoli scienziati che scivolano su bucce di banana ci mostrano quanto sia pericoloso trincerarsi nel già noto. Non credere a niente di ciò che appare bizzarro o inspiegabile non è una virtù. Qual è allora la differenza tra la chiusura dogmatica e il mio rifiuto dichiarato nei riguardi dell'astrologia, della reincarnazione e della resurrezione di Elvis Presley? Come facciamo a distinguere lo scetticismo giusto da quello miope, intollerante e dogmatico?

(continua)