Questo post è il quinto di una serie, cominciata su "Novissimo blog", dedicata alla teoria dell'evoluzione e al libro di Richard Dawkins "L'orologiaio cieco". Episodi precedenti: primo, secondo, terzo , quarto.
Questo episodio è meno importante degli altri: non contiene nuovi concetti chiave, ma solo una sequenza di curiosità sul mondo animale, con cui Dawkins argomenta il discorso precedente. Sconsiglio di leggere questo episodio senza aver letto i precedenti. L'episodio è comunque importante perché fornisce fortissima evidenza che non esiste un progettista consapevole per gli esseri viventi.
Scorribande nel mondo animale (seguito)
Alcuni animali unicellulari hanno una macchia sensibile alla luce con un piccolo schermo di pigmento dietro di essa. Lo schermo protegge la macchia dalla luce proveniente da una certa direzione, fornendo così all'animale un'indicazione sulla direzione da cui viene la luce. Fra gli animali pluricellulari, vari tipi di vermi e qualche mollusco presentano una soluzione simile, con la differenza però che le cellule sensibili alla luce sono contenute in una invaginazione epiteliale o fossetta. Questo fatto fornisce una migliore capacità di individuare la direzione, poiché ogni cellula è protetta selettivamente dai raggi di luce che entrano nella fossetta dalla sua parte. In una serie continua che va da strati piani di cellule fotosensibili a fossette poco profonde, ogni passo nella serie, per quanto piccolo (o grande), sarebbe un perfezionamento ottico. Ora, nel caso di una fossetta molto profonda, i cui lati siano rivoltati in modo da ottenere una chiusura progressivamente più completa, si ottiene infine una camera stenopeica, ossia una camera oscura senza lente in cui la luce entra attraverso un forellino grande quanto la punta di uno spillo. Esiste una serie di gradazioni continue da una fossetta poco profonda a una camera stenopeica (...).
Una camera stenopeica forma un'immagine definita, la quale è tanto più nitida (ma anche meno luminosa) quanto più piccolo è il forellino, e tanto più luminosa (ma confusa) quanto più il foro è grande. Il nautilo, un mollusco capace di nuotare - strana creatura di aspetto simile ai calamari che vive in una conchiglia, come le ammoniti oggi estinte (vedi il «cefalopodo con conchiglia» della figura 5) - ha per occhi un paio di camere stenopeiche. L'occhio ha fondamentalmente la stessa forma del nostro, ma è privo di lente e la pupilla è solo un foro che lascia entrare l'acqua di mare nella cavità interna dell'occhio. In realtà il nautilo rappresenta un vero enigma. Perché, in tutte le centinaia di milioni di anni a partire da quando i suoi progeniilori svilupparono per la prima volta una camera oscura senza lente, esso non scoprì mai il principio della lente? Il vantaggio di una lente è quello di consentire all'immagine di essere nitida e luminosa al tempo stesso. Quel che nel nautilo dà da pensare è il fatto che la qualità della sua retina è tale che esso potrebbe trarre davvero un beneficio grandissimo e immediato da una lente. Questo mollusco è come un sistema di alta fedeltà con un eccellente amplificatore ma con un grammofono dalla puntina consumata. Il sistema sembrerebbe esigere a gran voce un mutamento particolare semplice. Nell'iperspazio genetico il nautilo sembra trovarsi immediatamente accanto a un miglioramento ovvio e immediato, eppure non compie questo piccolo passo necessario. Perché no? Michael Land dell'Università del Sussex, la più grande autorità nel Regno Unito sugli occhi degli invertebrati, non riesce a darsi ragione di questo fatto, e neppure io. Forse le mutazioni necessarie non possono verificarsi dato il modo in cui si sviluppano gli embrioni del nautilo? Questa spiegazione non mi soddisfa, ma non ho una spiegazione migliore da offrire. Almeno il nautilo dimostra in modo efficace che un occhio senza lente è una soluzione di gran lunga preferibile all'assenza di occhi.
Quando si ha per occhio una fossetta quasi chiusa, una vescicola, la sovrapposizione alla sua apertura di un qualsiasi materiale vagamente convesso, vagamente trasparente o addirittura semi trasparente, costituirà un miglioramento potendo esso fungere da lente, per quanto modesta. La lente raccoglie luce al di sopra della sua superficie e la concentra su un'area più ristretta della retina. Una volta realizzato un tale rozzo protocristallino, si verifica una serie di perfezionamenti graduata in modo continuo che lo ispessiscono, ne aumentano la trasparenza e ne riducono la distorsione, tendenza che culmina in quella che noi tutti riconosciamo come una vera lente, il cristallino. I parenti del nautilo, i calamari e i polpi, posseggono una vera lente, molto simile alla nostra, benché i loro pro genitori abbiano senza dubbio evoluto l'intero principio dell'occhio a camera stenopeica in modo completamente indipendente da noi. Per inciso, Michael Land calcola che esistano nove principi fondamentali per la formazione di immagini per mezzo di occhi, e che la maggior parte di essi siano stati evoluti molte volte autonomamente. Per esempio il principio del disco riflettore incurvato è radicalmente diverso dal nostro occhio a camera oscura (noi lo usiamo nei radiotelescopi, e anche nei nostri telescopi ottici di maggiori diimensioni poiché è più facile costruire un grande specchio che non una grande lente), ed è stato «inventato» indipendentemennte da vari molluschi e crostacei. Altri crostacei hanno un occhio composito come gli insetti (in realtà una grande aggregazione di minuscoli occhi), mentre altri molluschi, come abbiamo visto, hanno un occhio a camera stenopeica dotato di lente come il nostro, oppure un occhio a camera stenopeica senza lente. Per ciascuno di questi tipi di occhio esistono in altri animali moderni stadi corrispondenti a forme evolutive intermedie perfettamente funzionanti.
La letteratura di propaganda contro l'evoluzione abbonda di presunti esempi di sistemi complessi che «non potrebbero» essere passati attraverso una serie graduale di forme intermedie. Questo è spesso solo un altro caso dell'atteggiamento piuttosto patetico dell'«incredulità personale» in cui ci siamo imbattuti nel capitolo Il. Subito dopo la sezione sull'occhio, per esempio, il libro The Neck of the Giraffe di Hitching continua discutendo il caso del brachino bombardiere, un coleottero che
schizza in faccia ai suoi nemici un miscuglio letale di idrochinoone e di acqua ossigenata. Queste due sostanze chimiche, quando vengono mescolate assieme, esplodono letteralmente. Per poterle conservare senza danno dentro il suo corpo, il brachino bombardiere ha sviluppato perciò un inibitore chimico che le rende innoocue. Nel momento in cui il coleottero spruzza il liquido dalla parte posteriore del suo addome, al miscuglio viene aggiunto un anti-inibitore per renderlo di nuovo esplosivo. La catena di eventi che hanno potuto condurre a un processo così complesso, coordiinato e sottile sfida qualsiasi spiegazione biologica sulla base di una sequenza di passi semplici. La minima alterazione nell'equiilibrio chimico condurrebbe immediatamente a una strage di massa di brachini bombardieri suicidi.
Un mio collega biochimico mi ha fornito gentilmente una bottiglia d'acqua ossigenata e abbastanza idrochinone per 50 brachini bombardieri. Ora mi accingo a mescolare assieme le due sostanze. Secondo le affermazioni di Hitching, esse mi esploderanno in faccia. Vediamo ...
Be', sono ancora qui. Ho versato l'acqua ossigenata nell'idrochinone, e non è accaduto assolutamente nulla. La miscela non si è neppure riscaldata. Ovviamente lo sapevo: non sono poi tanto temerario! L'affermazione che «queste due sostanze chimiche, quando vengono mescolate assieme, esplodono letteralmente» è semplicemente falsa, anche se viene ripetuta regolarmente nella letteratura creazionistica. Se il lettore è curioso di sapere che cosa accada realmente nel brachino bombardiere eccolo accontentato. È vero che il brachino schizza sui suoi nemici un miscuglio caldissimo di acqua ossigenata e di idrochinone, ma le due sostanze non reagiscono violentemente fra loro a meno che non si aggiunga un catalizzatore. E questo è appunto ciò che fa il brachino bombardiere. Quanto ai precursori di questo sistema nell'evoluzione, sia l'acqua ossigenata sia vari tipi di chinoni sono usati per altri scopi nella chimica del corpo. I progenitori del brachino bombardiere usarono semplicemente a un fine diverso delle sostanze di cui già disponevano. È questo il modo in cui spesso funziona l'evoluzione.
Nella stessa pagina del libro di Hitching in cui si tratta del brachino bombardiere c'è la domanda: «Di quale utilità sarebbe [...] mezzo polmone? La selezione naturale eliminerebbe senza dubbio creature così strane, non le conserverebbe». In un essere umano adulto sano, ognuno dei due polmoni è diviso in circa trecento milioni di minuscole camere, gli alveoli, alle punte di un sistema ramificato di condotti. L'architettura di questi condotti - i bronchi, i bronchioli e i condotti alveolari - assomiglia all'albero biomorfo nella figura 2 in basso, nel capitolo precedente [Noi l'abbiamo saltato, NdM]. In quell'albero il numero delle successive ramificazioni, determinate dal «gene 9», è otto, e il numero delle punte di ramoscelli è 2 elevato all'ottava potenza, cioè 256. Man mano che, nella figura 2, si scende verso il basso, in ogni albero il numero delle punte dei ramoscelli si raddoppia. Per arrivare al numero di 300 milioni di punte di ramoscelli si richiederebbero solo 29 raddoppiamenti successivi. Si noti che qui c'è una gradazione continua da un singolo alveolo a 300 milioni di alveoli, ogni passo in questa gradazione essendo fornito da un'altra ramificazione in due. Questa transizione può essere compiuta in 29 ramificazioni successive, cosa che possiamo immaginarci nel modo più semplice come una solenne passeggiata di 29 passi attraverso lo spazio genetico.
Nei polmoni, il risultato di tutta questa ramificazione è che l'area della superficie funzionale all'interno di ciascun polmone è di circa 60 metri quadrati. L'area è la variabile importante per un polmone, determinando la rapidità con cui può essere assunto l'ossigeno, ed espulsa l'anidride carbonica, che è il prodotto di rifiuto. Ora, la cosa importante sull'area è che è una variabile continua: l'area non è una di quelle cose che si hanno o non si hanno. È una cosa che si può avere in quantità maggiore o minore. Più della maggior parte delle altre cose, l'area dei polmoni si presta a un mutamento graduale, un passo dopo l'altro, a partire da 0 metri quadrati sino a 60 metri quadrati.
Ci sono numerosi pazienti chirurgici che se ne vanno in giro con un solo polmone, e alcuni di loro dispongono solo di un terzo dell'area polmonare normale. Essi possono camminare, ma non fanno molta strada e non camminano con passo molto svelto. Questo è il punto. Una riduzione graduale dell'area dei polmoni non ha un effetto assoluto, del tipo tutto o nulla, sulla sopravvivenza. Ha invece un effetto graduale, esercitando una variazione continua su quanto un individuo riesce a camminare, e quanto velocemente. Variazione che si riflette, in modo altrettanto continuo, sulla speranza di vita dell'individuo. La morte non arriva bruscamente al di sotto di un particolare valore di soglia della superficie dei polmoni! Essa diventa gradualmente più probabile man mano che l'area dei polmoni diminuisce al di sotto di un optimum (e man mano che cresce al di sopra di quello stesso optimum, per ragioni diverse connesse al dispendio di energia).
I primi fra i nostri progenitori a sviluppare polmoni vissero quasi certamente nell'acqua. Possiamo farci un'idea di come probabilmente respiravano osservando i pesci moderni. La maggior parte dei pesci moderni respirano in acqua con le branchie, ma molte specie che vivono in acquitrini, poveri di osssigeno, integrano la respirazione branchiale inghiottendo aria in superficie. Essi usano come una sorta di rozzo protopolmone la camera interna della bocca, la quale è talvolta ingrandita in un sacco respiratorio riccamente vascolarizzato. Come abbiamo visto, non c'è alcuna difficoltà nell'immaginare una serie continua di forme intermedie che connettano un singolo sacco respiratorio a un insieme ramificato di 300 milioni di alveoli, come in un polmone umano moderno.
Fatto interessante, molti pesci moderni hanno conservato il loro singolo sacco e lo usano per uno scopo completamente diverso. Pur avendo avuto probabilmente in origine una funzione respiratoria, esso si è trasformato nel corso dell'evoluzione in una vescica natatoria o pneumatocisti, un dispositivo ingegnoso per mezzo del quale il pesce si mantiene in costante equilibrio idrostatico nell'acqua. Un animale privo di vescica natatoria è normalmente un po' più pesante dell'acqua, cosicché affonda. Ecco perché gli squali devono nuotare di continuo per non affondare. Un animale che possegga al suo interno grandi sacche d'aria, come i nostri grandi polmoni, tende a salire in superficie. In una posizione intermedia in quest'ambito continuo di variazione, un animale con una vescica d'aria che abbia esattamente le dimensioni giuste non affonda né sale in superficie, ma si mantiene senza sforzo in equilibrio col mezzo ambiente. È questo il dispositivo che è stato sviluppato dai pesci moderni con l'eccezione degli squali. A differenza di questi ultimi, essi non sprecano energia per evitare di affondare. Le loro pinne e la loro coda sono libere per la guida e la propulsione rapida. I pesci moderni non fanno più ricorso all'aria esterna per riempire la vescica natatoria, ma hanno sviluppato speciali ghiandole per la produzione di gas. Usando queste ghiandole e altri mezzi, essi regolano con precisione il volume del gas nella vescica, e riescono quindi a mantenersi in un preciso equilibrio idrostatico.
Varie specie di pesci moderni possono uscire dall'acqua. Un estremo è costituito dall'anabate indiano (Anabas scandens), un pesce che solo di rado entra in acqua. Esso ha sviluppato indipendentemente un tipo di polmone del tutto diverso da quello dei nostri antenati: una camera d'aria che circonda le branchie. Altri pesci vivono per lo più in acqua, avventurandosi talvolta per breve tempo sulla terraferma. Questo fu probabilmente annche ciò che fecero i nostri antenati. Queste scorrerie fuori dall'acqua possono presentare una variazione di durata continua da zero in su. Se tu sei un pesce che vive e respira fondamentalmente in acqua, avventurandosi però occasionalmente sulla terrraferma, per esempio per passare da un acquitrino fangoso a un altro, sopravvivendo in tal modo a lunghi periodi di siccità, potresti trarre vantaggio non solo dal possesso di mezzo polmone ma anche di un centesimo di polmone. Per quanto piccolo sia il polmone primordiale, esso ti permetterà di sopravvivere per un po' di tempo fuori dell'acqua, tempo che dev'essere almeno un po' più lungo del tempo che riusciresti a sopravvivere senza tale polmone. Questa durata è una variabile continua. Non c'è una divisione netta fra animali che respirano nell'acqua e animali che respirano nell'aria. Animali diversi possono spendere in acqua il 99 per cento del loro tempo, o il 98 per cento, o il 97 per cento e così via sino allo O per cento. A ogni passo lungo questa via un qualsiasi aumento frazionario nell'aria dei polmoni rappresenterà un vantaggio. C'è continuità, gradualismo lungo l'intero ambito di variazione.
Quale utilità può avere mezza ala? In che modo le ali cominciarono a esistere? Molti animali saltano da un ramo all'altro, e a volte cadono al suolo. Specialmente in un animale di piccole dimensioni, l'intera superficie del corpo cattura l'aria e dà un aiuto nel salto, o interrompe la caduta, svolgendo l'azione di un rozzo piano a profilo aerodinamico. Ogni tendenza ad accrescere il rapporto della superficie al peso può offrire qualche vantaggio, per esempio membrane di pelle che crescessero negli angoli delle articolazioni. Da questo punto iniziale c'è una serie continua di gradazioni sino ad ali per il volo planato, e di qui alle ali battenti. È chiaro che ci sono distanze che non avrebbero potuto essere superate d'un balzo dai più antichi animali dotati di proto-ali. Fatto altrettanto ovvio, per ogni struttura alare, per quanto primitiva, dev'esserci una qualche distanza, per quanto breve, che può essere superata in un balzo grazie a tale superficie di sostentamento e che non può essere superata senza di essa.
Ora, se le prime superfici di sostentamento servivano per rallentare la caduta dell'animale, non si può dire che membrane alari di superficie inferiore a una superficie data non sarebbero state di alcuna utilità. Ancora una volta, non ha alcuna importanza se tali superfici di sostentamento erano piccole e molto diverse da vere ali. Dev'esserci una certa altezza, diciamo h, tale che un animale, cadendo da essa, si romperebbe l'osso del collo, mentre sopravviverebbe cadendo da un'altezza leggermente minore. In questa zona critica, qualsiasi perfezionamento della capacità della superficie del corpo di catturare aria e costringerla a sostenere il corpo diminuendo in tal modo la velocità di caduta, può fare la differenza fra la vita e la morte. La selezione naturale favorirà quindi gli animali in possesso di una superficie di sostentamento alare per quanto modesta. Una volta che questo prototipo di ala sia diventato la norma, l'altezza critica h diventerà leggermente maggiore. Ora la differenza fra la vita e la morte sarà fatta da un ulteriore lieve aumento della superficie alare. E così via, fino a sviluppare ali vere e proprie.
Ci sono animali vivi oggi che illustrano magnificamente ogni stadio in questo continuum. Ci sono raganelle che volano come alianti grazie a grandi membrane interdigitali, serpenti volanti dal corpo appiattito come un nastro, capaci di aumentare la portanza accorciando in volo il loro corpo con una serie di spire a S, sauri - come il drago volante - che volano distendendo una membrana cutanea sostenuta da prolungamenti delle costole; e varie specie diverse di mammiferi che volano come alianti con membrane distese fra i loro arti, mostrandoci come deve avere avuto inizio il volo fra i pipistrelli. A dispetto della letteratura creazionistica, non solo sono comuni animali con «mezza ala», ma anche animali con un quarto di ala, con tre quarti di ala e così via. L'idea di un continuo nell'evoluzione dell'ala diventa ancora più convincente quando ricordiamo che gli animali molto piccoli tendono a librarsi dolcemente in aria, quale che sia la loro forma. La ragione per cui quest'argomentazione è persuasiva è che esiste un continuo con infinite gradazioni fra piccolo e grande.
L'idea di piccoli mutamenti cumulati nel corso di molti stadi è un'idea immensamente efficace, capace di spiegare una gamma enorme di cose che altrimenti sarebbero inspiegabili. Come ebbero origine i serpenti velenosi? Molti animali mordono, e la saliva di qualche animale contiene proteine che, entrando in una ferita, possono causare una reazione allergica. Persino i cosiddetti serpenti non velenosi possono infliggere morsi che causano in alcune persone una reazione dolorosa. C'è una serie continua graduata fra la saliva comune e un veleno mortale.
Come ebbero origine le orecchie? Qualsiasi pezzo di epidermide può scoprire vibrazioni se entra in contatto con oggetti vibranti. Questo è uno sviluppo naturale del senso del tatto. La selezione naturale potrebbe aver perfezionato facilmente questa facoltà per mezzo di passaggi graduali fino a raggiungere una sensibilità sufficiente per captare vibrazioni per contatto molto lievi. A questo punto un organismo sarebbe stato automaticamente abbastanza sensibile da captare vibrazioni (stati di rarefazione e compressione) dell'aria di sufficiente energia e/o originate da una sorgente abbastanza vicina. La selezione naturale avrebbe favorito a questo punto l'evoluzione di speciali organi -le orecchie - per captare vibrazioni dell'aria provenienti da sorgenti a distanze sempre maggiori. È facile vedere che dovette esserci una sequenza continua di piccoli perfezionamenti graduali, dalla percezione di vibrazioni meccaniche a un udito perfetto. Come ebbe inizio l'ecolocazione? Qualsiasi animale dotato di un udito può percepire un'eco. Spesso gli esseri umani ciechi imparano a servirsi di questi echi per orientarsi. Una versione rudimentale di tale abilità in mammiferi ancestrali dovette fornire alla selezione naturale un'abbondante materia prima su cui costruire, conducendo per gradi all'alta perfezione dei pipistrelli.
Una vista al cinque per cento è preferibile all'assenza totale della vista. Un udito al cinque per cento è preferibile a un'assenza totale dell'udito. Una capacità di volare al cinque per cento è sempre meglio che non possedere alcuna attitudine al volo. È perfettamente credibile che ogni organo o apparato che vediamo nella realtà sia il prodotto di una traiettoria regolare attraverso lo spazio animale, una traiettoria in cui ogni stadio intermedio diede un contributo alla sopravvivenza e alla riproduzione. Ogni volta che in un animale vivente abbiamo un X, dove X è un qualche organo troppo complesso per poter avere avuto origine per caso in un singolo passo, allora, secondo la teoria dell'evoluzione per selezione naturale, dev'essersi verificato il caso in cui una frazione di X era meglio dell'assenza totale di X, che due frazioni di X dovevano essere meglio di una e che un intero X doveva essere meglio di nove decimi l un X. lo non ho alcuna difficoltà ad accettare che queste affermazioni valgano per gli occhi, per le orecchie, comprese le orecchie di pipistrelli, per le ali, per il mimetismo animale, per le mascelle dei serpenti, per i pungiglioni, per le abitudini dei cuculi e per tutti gli altri esempi presentati nella propaganda contro l'evoluzione. Senza dubbio ci sono numerosi X concepibili per i quali queste affermazioni non sarebbero vere, numerose vie evolutive concepibili per le quali le forme intermedie non sarebbero miglioramenti rispetto alle forme presenti in organismi anteriori. Ma questi X non si trovano nel mondo reale. Darwin scrisse (nell'Origine delle specie, capitolo VI):
Se si potesse dimostrare l'esistenza di un qualche organo complesso che non avrebbe potuto formarsi per numerose lievi modificazioni successive, la mia teoria cadrebbe assolutamente.
Centoventicinque anni dopo, noi sappiamo sugli animali e sulle piante molte cose di più di ciò che sapeva Darwin, e nondimeno non mi è noto un singolo caso di un organo complesso che non avrebbe potuto formarsi per numerose lievi modificazioni successive. lo non credo che un caso del genere si troverà mai. Se lo si troverà - dovrà essere un organo realmente complesso e, come vedremo in capitoli successivi, noi dovremo mettere la massima cura nel definire che cosa intendiamo per «lievi» modificazioni - io smetterò di credere nel darwinismo.
A volte la storia di stadi intermedi graduali è scritta in modo chiaro nella forma di animali moderni, assumendo addirittura la forma di autentiche imperfezioni nel disegno finale. Stephen Jay Gould, nel suo eccellente saggio sul Pollice del panda, ha sostenuto che l'evoluzione potrebbe essere supportata in modo più convincente dalle prove di evidenti imperfezioni che non dalla prova della perfezione. lo mi limiterò a citare solo due esempi.
I pesci che vivono sul fondo del mare traggono beneficio dal I fatto di essere piatti e di poter nascondere la loro silhouette. Ci sono due tipi molto diversi di pesci piatti che vivono sul fondo del mare, i quali hanno sviluppato la loro forma piatta in modi del tutto differenti. Razze, pastinache e torpedini, parenti degli squali, sono diventate piatte in quello che potrebbe essere considerato un modo ovvio. Il loro corpo è cresciuto lateralmente a formare grandi «ali». Esse sono come squali passati sotto un rullo compressore, ma rimangono simmetriche e presentano la divisione usuale fra «sopra e sotto». Sogliole, platesse, passere di mare e simili si sono appiattite in un modo diverso. Esse sono pesci ossei (con vescica natatoria) imparentati con le aringhe, le trote e via dicendo, e non hanno niente a che fare con gli squali. A differenza degli squali, i pesci ossei hanno una spiccata tendenza ad appiattirsi in senso verticale. Un'aringa, per esempio, è molto più «alta» che larga. Essa usa il suo corpo appiattito verticalmente come una superficie per il nuoto, ondulandolo nell'acqua mentre nuota. Era perciò naturale, quando gli antenati della passera di mare e della sogliola andarono a vivere sul fondo del mare, che si coricassero su un fianco anziché sul ventre, come i progenitori delle razze e delle pastinache. Questo fatto pose però il problema che un occhio rimaneva sempre immerso nella sabbia del fondo, finendo con l'essere inutilizzato. Nell'evoluzione questo problema fu risolto per mezzo della "migrazione" dell'occhio inferiore sul fianco superiore.
Noi vediamo questa migrazione dell'occhio ripetersi nello sviluppo di ogni pesce osseo appiattito. Un pesce piatto giovane comincia la sua vita nuotando in prossimità della superficie, ed è simmetrico e appiattito verticalmente come un'aringa. Successivamente, però, il cranio comincia a crescere in uno strano modo asimmetrico, contorto, così che un occhio, per esempio il sinistro, passa sopra il vertice della testa per terminare la sua migrazione sul fianco superiore. Il giovane pesce si stabilisce allora sul fondo con entrambi gli occhi rivolti verso l'alto, formando una bizzarra immagine picassiana. Per inciso, alcune specie di pesci si posano sul fianco destro, altre sul fianco sinistro, altre ancora su uno qualsiasi dei due.
L'intero cranio di un pesce osseo piatto conserva le tracce di torsione e distorsione che ne attestano l'origine. La sua stessa imperfezione è una testimonianza efficace della sua antica storia, una storia di mutamento graduale più che di disegno intenzionale. Nessun progettista intelligente avrebbe concepito una tale mostruosità se avesse avuto la facoltà di creare liberamente un pesce piatto su un foglio bianco. lo ho il sospetto che la maggior parte dei progettisti intelligenti riuscirebbero a escogitare qualcosa di meglio di una razza. Ma l'evoluzione non prende mai l'avvio da un foglio bianco. Essa deve partire da qualcosa che c'è già. Nel caso dei progenitori delle razze, questo qualcosa erano gli squali che non vivevano sul fondo ma nuotavano liberamente. Gli squali, in generale, non sono appiattiti verticalmente come i pesci ossei, per esempio le aringhe. Semmai, sono già leggermente appiattiti dal dorso al ventre. Ciò significa che, quando qualche antico squalo andò a vivere sul fondo marino, ci fu una progressione facile e continua verso la forma delle razzze, progressione nella quale ogni forma intermedia costituiva un lieve miglioramento, date le condizioni vigenti sul fondo, riispetto al suo predecessore lievemente meno appiattito.
D'altra parte, quando il progenitore delle razze e delle passere di mare - che come le aringhe era appiattito verticalmente ˆandò a vivere sul fondo, si trovò meglio a coricarsi su un fianco che non a bilanciarsi precariamente sulla lama di coltello del suo ventre! Anche se il suo corso evolutivo lo avrebbe infine condotto alle distorsioni complicate e probabilmente costose implicite nell'avere due occhi su un fianco, e benché il modo di essere un pesce piatto esibito dalle razze fosse forse in ultima analisi la soluzione migliore anche per i pesci ossei, le presunte forme intermedie che seguirono questo percorso evolutivo ottennero evidentemente a breve termine risultati meno brillanti rispetto ai loro rivali che giacevano su un fianco, i quali risultarono infatti molto più efficienti, in una prospettiva a breve termine, nell'occultare in tal modo il loro profilo. Nell'iperspazio genetico c'è una traiettoria continua che connette i pesci ossei ancestrali che nuotavano liberamente ai pesci piatti che si posano sul fondo su un fianco, col loro cranio deformato. Non esiste invece una tale traiettoria regolare che connetta quei lontani pesci ossei ancestrali con pesci piatti che giacciano sul ventre. Questa speculazione non può però essere tutta la verità, giacché esistono pesci ossei che sono diventati piatti in modo simmetrico, come le razze. Forse i loro antenati che nuotavano liberamente erano già appiattiti per qualche altra ragione.
Il mio secondo esempio di una progressione evolutiva che non si verificò a causa dei caratteri svantaggio si delle forme intermedie - anche se avrebbe potuto avere, verificandosi, risultati migliori di quelli raggiunti dall'evoluzione reale - concerne la retina dei nostri occhi (e di quelli di tutti i vertebrati). Come qualsiaasi altro nervo, il nervo ottico è una sorta di cavo di un circuito elettrico, un fascio di fili «isolati» separati, in questo caso in numero di circa tre milioni. Ognuno dei tre milioni di fili conduce da una cellula della retina al cervello. Possiamo concepirli come i fili che vanno da un pannello di tre milioni di fotocellule (in realtà tre milioni di stazioni ripetitrici che raccolgono informazioni da un numero ancora maggiore di fotocellule) al computer che deve elaborare l'informazione nel cervello. Questi fili, provenienti dall'intera superficie della retina, si raccolgono in un singolo fascio, che è il nervo ottico dell'occhio in oggetto.
Qualsiasi ingegnere sarebbe naturalmente indotto a supporre che le fotocellule fossero rivolte verso la luce, con i fili diretti all'indietro verso il cervello. Egli si farebbe beffe di chi gli dicesse che le fotocellule potrebbero essere puntate in direzione opposta alla luce, e che i fili potrebbero dipartirsi dal lato più vicino alla luce. Eppure questa è esattamente la situazione che si riscontra nella retina di tutti i vertebrati. Ogni fotocellula è orientata in realtà in direzione opposta a quella ottimale, con i fili che ne escono dal lato più vicino alla luce. Il filo deve percorrere la superficie della retina sino a un punto in cui si immerge in essa attraverso un foro (la cosiddetta «macchia cieca») per andare a unirsi al nervo ottico. Ciò significa che la luce, anziché poter pervenire indisturbata alle fotocellule, deve attraversare una foresta di fili di connessione, soffrendo presumibilmente almeno di una certa attenuazione e distorsione (in realtà forse non molto, ma è soprattutto il principio che urterebbe qualsiasi ingegnere rigoroso!).
lo non conosco l'esatta spiegazione di questo strano stato di cose. Il periodo dell'evoluzione che ha condotto a esso appartiene a un passato molto lontano. Sono però pronto a scommettere che esso abbia qualcosa a che fare con la traiettoria, il percorso evolutivo attraverso [lo spazio di tutti gli organismi possibili], che dovrebbe essere seguita per far ruotare la retina nella situazione più razionale, a partire dall'organo ancestrale - qualunque esso possa essere stato - che precedette l'occhio. Probabilmente una tale traiettoria esiste, ma quando quel percorso ipotetico si realizzò nel corpo reale di animali intermedi, dovette rivelarsi svantaggioso, temporaneamente svantaggioso, ma questo è appunto quanto basta. Le forme intermedie vedevano forse ancora peggio dei loro imperfetti progenitori, e non è una consolazione pensare che esse stessero costruendo una vista migliore per i loro lontani discendenti! Ciò che importa è la sopravvivenza qui e ora.
La «legge di Dollo» (dal paleontologo Louis Dollo) dice che l'evoluzione è irreversibile. Quest'asserzione viene spesso confusa con una quantità di assurdità idealistiche circa l'inevitabilità del progresso, spesso associate a tesi strampalate, come quella che l'evoluzione «viola la seconda legge della termodinamica» (le persone appartenenti alla metà della popolazione colta che, secondo il romanziere C.P. Snow, sanno che cos'è la seconda legge, si renderanno facilmente conto che questa legge non è violata dall'evoluzione più di quanto sia violata dalla 'crescita di un bambino). Non c'è alcuna ragione per cui certe tendenze generali nell'evoluzione non dovrebbero invertirsi. Se per un certo periodo dell'evoluzione c'è una tendenza verso corna ramificate, può esserci benissimo una tendenza successiva verso corna più corte. La legge di Dollo è in realtà solo un'affermazione sull'improbabilità statistica che una traiettoria evolutiva (o, di fatto, qualsiasi traiettoria particolare) venga seguita esattamente due volte, una volta in un senso e l'altra nel senso opposto. Una singola mutazione può essere rovesciata facilmente. Ma per quantità maggiori di mutazioni, persino nel caso dei biomorfi con i loro nove piccoli geni, lo spazio matematico di tutte le traiettorie possibili è così grande che la probabilità che due traiettorie arrivino esattamente allo stesso punto è infinitamente piccola. Ciò vale ancor più per gli animali veri, col loro numero di geni enormemente maggiore. Nella legge di Dollo non c'è niente di misterioso o di mistico, né c'è qualcosa che noi possiamo sottoporre a verifica in natura. Essa è una semplice conseguenza delle leggi elementari della probabilità.
Esattamente per la stessa ragione, è estremamente improbabile che uno stesso percorso evolutivo possa essere seguito esattamente due volte. E sembra similmente improbabile, per le stesse ragioni statistiche, che due linee evolutive debbano convergere esattamente verso lo stesso punto finale a partire da punti di partenza diversi.
È perciò una testimonianza tanto più sorprendente del potere della selezione naturale che nel mondo reale si possono trovare numerosi esempi in cui linee di evoluzione indipendenti sembrano essersi dirette, da punti di partenza molto diversi, verso quello che sembra quasi esattamente lo stesso obiettivo. Quando consideriamo le cose nei particolari troviamo - e ci sarebbe di che preoccuparsi se non fosse così - che la convergenza non è totale. Le diverse linee evolutive tradiscono le loro origini indipendenti in una varietà di particolari. Per esempio gli occhi del polpo sono molto simili ai nostri, ma i fili che escono dalle sue fotocellule non sono rivolti all'esterno verso la luce, come i nostri. Gli occhi del polpo sono, sotto questo aspetto, progettati «con più intelligenza» dei nostri. Essi sono pervenuti a un obiettivo simile prendendo l'avvio da un punto di partenza sorprendente mente diverso. E la diversità dell'origine si manifesta proprio in particolari come questi.
Tali somiglianze superficialmente convergenti sono spesso notevolissime, e dedicherò il resto del capitolo all'esame di alcune di esse. Esse forniscono dimostrazioni sorprendenti del potere della selezione naturale di concepire buoni progetti. Eppure il fatto che progetti superficialmente simili presentino anche differenze fra loro attesta l'indipendenza della loro origine e della loro storia evolutiva. La ragione di fondo è che, se un progetto è abbastanza buono da evolversi una volta, lo stesso principio di progettazione è abbastanza buono da evolversi due volte, da punti di partenza diversi, in parti differenti del regno animale. Quest'argomentazione non potrebbe trovare illustrazione migliore che nel caso da noi usato come esempio basilare del buon progetto stesso: l'ecolocazione. [Abbiamo saltato l'ecolocazione dei pipistrelli, ma Dawkins dedicava ad essa l'intero capitolo 2, NdM.]
La maggior parte di ciò che sappiamo sull'ecolocazione proviene dai pipistrelli (e da strumenti umani), ma essa è presente anche in un certo numero di altri gruppi di animali che non hanno alcun rapporto di parentela fra loro. L'ecolocazione compare in almeno due gruppi separati di uccelli ed è stata portata a un livello di complessità molto alto da delfini e balene. Essa fu inoltre «scoperta» indipendentemente da almeno due gruppi differenti di pipistrelli. Gli uccelli che la praticano sono i guaciari del Sudamerica e la salangana, un rondone dell'Estremo Oriente il cui nido viene usato per preparare il tipico brodo cinese di «nidi di rondine». Entrambi questi uccelli nidificano in caverne buie in cui penetra ben poca luce, ed entrambi navigaano nel buio servendosi dell'eco dei loro clic vocali. In entrambi i casi si tratta di suoni udibili dagli esseri umani, non di ultrasuoni come nel caso dei pipistrelli. In effetti, nessuna delle due specie di uccelli sembra avere sviluppato la tecnica dell'ecolocazione a livelli paragonabili a quella dei chirotteri. I loro clic non sono a modulazione di frequenza, né sembrano adatti alla miisurazione della velocità mediante l'effetto Doppler. È probabile, come nel caso del pipistrello frugivoro Rousettus, che essi servano semplicemente a misurare l'intervallo di silenzio che interrcorre fra ciascun clic e la sua eco.
In questo caso possiamo essere assolutamente certi che le due specie di uccelli abbiano inventato l'ecolocazione indipendentemente dai pipistrelli e in modo autonomo l'una specie dall'altra. La linea di ragionamento è di un tipo che viene usato spesso dagli evoluzionisti. Noi osserviamo tutte le migliaia di specie di uccelli e osserviamo che la grande maggioranza di essi non usano l'ecolocazione. Solo due piccoli generi isolati di uccelli la usano, e questi due generi non hanno nulla in comune fra loro oltre al fatto di nidificare in caverne. Anche se noi crediamo che tutti gli uccelli e i pipistrelli debbano avere un progenitore comune purché seguiamo a ritroso la loro linea genealogica fino a un passato sufficientemente lontano, tale progenitore comune fu anche il progenitore di tutti i mammiferi (compresi noi stessi) e di tutti gli uccelli. La grande maggioranza dei mammiferi e la grande maggioranza degli uccelli non usano l'ecolocazione, ed è molto probabile che non la usasse neppure il loro progenitore comune (il quale neppure volava: questa è un'altra tecnologia che è stata sviluppata indipendentemente numerose volte). Ne segue che la tecnologia dell'ecolocazione dev'essersi evoluta indipendentemente nei pipistrelli e negli uccelli esattamente come fu sviluppata indipendentemente da scienziati britannici, americani e tedeschi. Lo stesso tipo di ragionamento, su scala minore, conduce alla conclusione che neppure il comune antenato del guaciaro e della salangana usava l'ecolocazione e che questi due generi devono avere sviluppato la stessa tecnologia l'uno indipendentemente dall'altro.
(continua)