giovedì 26 luglio 2007

Il calcolo delle probabilità in soccorso della ragione


Questo è il terzo episodio di una serie dedicata alla superstizione e al libro di Richard Dawkins "Unweaving the Rainbow: a Darwinian View of Life" (L'arcobaleno della vita). Episodi precedenti: primo, secondo.


Capitolo 7. Scomporre l'arcano


... se nessuna mia ampiezza di ragione impone agli oscuri misteri dell'animo chiari concetti...


JOHN KEATS, Sonno e poesia, 1917



L'autorevole ginecologo Robert Winston, esperto nei problemi della fertilità, ha immaginato che un medico privo di scrupoli potrebbe pubblicare su un quotidiano la seguente inserzione, rivolta ai coniu­gi desiderosi di avere un figlio maschio (il sessismo non è una mia invenzione, ma una netta caratteristica di tutto il mondo antico e an­che di molti paesi odierni): «Dietro invio di cinquecento sterline, ri­ceverete da me la ricetta infallibile per avere un maschio. Soddisfatti o rimborsati». Il rimborso è inteso naturalmente a garantire l'affida­bilità del metodo. Poiché il 50 per cento dei neonati sono in ogni caso maschi, la truffa permetterebbe al filibustiere di guadagnare pa­recchio. Anzi, per ogni femmina nata egli potrebbe tranquillamente aggiungere altre 250 sterline alle 500 rimborsate e guadagnare co­munque nel lungo periodo un sacco di quattrini.

Ricorsi a un esempio analogo nel 1991, durante una delle mie conferenze natalizie per la Royal Institution. Poiché, dissi, avevo motivo di credere che tra il pubblico vi fosse una persona sensitiva e chiaroveggente in grado di influenzare gli eventi con la sola forza del pensiero, avrei cercato di individuarla. «Prima di tutto vediamo se il sensitivo si trova nella metà destra o nella metà sinistra della sa­la» esordii. Quindi invitai la gente ad alzarsi e pregai il mio assisten­te di lanciare una moneta. A tutte le persone sul lato sinistro della sa­la fu chiesto di «volere» che venisse fuori testa, a tutte quelle sul lato destro di «volere» che venisse fuori croce. Ovviamente uno dei due schieramenti perse, e venne invitato a sedersi. Quelli che erano ri­masti in piedi furono divisi in due: metà che «volevano» che uscisse testa e metà che «volevano» che uscisse croce. Ancora una volta i perdenti furono fatti sedere e ancora una volta si procedette a divi­dere i vincenti, finché, dopo sette o otto lanci di monetina, com'era inevitabile rimase in piedi una sola persona. «Un grande applauso per il nostro sensitivo!» esclamai. Non era forse un sensitivo uno che era riuscito a «influenzare» la moneta otto volte di seguito?

Se la televisione avesse trasmesso le conferenze in diretta, anziché registrarle e mandarle in onda in seguito, la dimostrazione sarebbe stata assai più efficace. Avrei chiesto a tutti i telespettatori il cui cognome cominciava con una lettera compresa tra la A e la I di «vole­re» testa, e a quelli il cui cognome cominciava con una lettera com­presa tra J e Z di «volere» croce; la metà comprendente il «sensitivo» sarebbe poi stata divisa di nuovo in due, e così via. Avrei inoltre chiesto a tutti di scrivere in ordine cronologico tutti gli esiti che ave­vano «voluto». Con due milioni di telespettatori, sarebbero occorsi circa ventun passaggi perché rimanesse una persona sola. Per stare dalla parte sicura mi sarei fermato poco prima del ventunesimo pas­saggio e, diciamo, al diciottesimo avrei invitato chiunque fosse stato ancora in gara a telefonare in studio. In quella fase i partecipanti sa­rebbero stati ancora parecchi e credo che qualcuno avrebbe chiama­to. Al telespettatore che avesse telefonato avrei quindi domandato di leggere gli appunti sugli esiti (testa o croce) da lui «voluti» e que­sti appunti, TCCCTTCTTTTCCCTTCC, sarebbero stati ovviamente corrispondenti alla successione di esiti registratisi in studio. In altre parole, sarebbe parso che il «sensitivo» all'altro capo del filo avesse «influenzato» diciotto lanci di monetina, e il pubblico se ne sarebbe uscito in esclamazioni di meraviglia. Ma meraviglia per che? Per la mera fortuna: nient'altro. Non so se un simile esperimento sia stato fatto, ma è un trucco così ovvio che probabilmente non ingannereb­be molta gente. Che dire però del seguente?

Poniamo che, durante un pranzo con un produttore, un agente pubblicitario procuri a un noto «sensitivo» una ben pagata parteci­pazione a un programma televisivo. Guardando dieci milioni di telespettatori con occhi magnetici (resi tali dalle arti sopraffine del Trucco e dell'Illuminazione), il nostro immaginario veggente affer­ma di sentire con certi telespettatori una strana intesa spirituale, un curioso, vibrante scambio di energia cosmica. Queste persone capi­ranno di essere in comunicazione con lui, dice, perché, proprio men­tre lo sentiranno pronunciare certe formule mistiche, il loro orologio si fermerà. Dopo una breve pausa, un telefono sul tavolo dello stu­dio squilla e, con voce amplificata dai microfoni, una donna annun­cia sgomenta che il suo orologio si è fermato pochi secondi dopo le parole del veggente. Essa aggiunge di aver avuto una sorta di pre­monizione, perché già prima di guardare l'orologio le è parso di co­gliere negli occhi magnetici del sensitivo qualcosa che parlava diret­tamente alla sua anima; ha sentito, insomma, le «vibrazioni» di «energia». Intanto squilla un secondo telefono: anche un altro orolo­gio si è fermato.

Un terzo telespettatore chiama per dire che gli si è fermata la pen­dola, il che è davvero rimarchevole: dopotutto, la piccola molla del bilanciere di un orologio da polso è senza dubbio più sensibile alle forze psichiche di una massiccia pendola a colonna ... L'orologio di un altro telespettatore si è fermato addirittura prima che il grande occultista pronunciasse le sue formule, sicché viene da pensare che i suoi poteri psichici siano ancora più impressionanti del previsto ... E un quinto orologio ha subito l'influenza occulta con anticipo ancora maggiore: si è fermato un intero giorno prima, nel momento in cui la sua proprietaria stava guardando sul giornale la foto del famoso veggente. Il pubblico in studio prorompe in esclamazioni di stupore. Non sfidano forse qualsiasi scetticismo dei poteri che entrano in azione un intero giorno prima? «Vi sono molte più cose in cielo e ter­ra, Orazio ... »

In realtà, dovremmo esclamare meno e pensare di più. Nel pre­sente capitolo mi propongo di calcolare serenamente con quanta probabilità dette coincidenze si sarebbero verificate comunque. Sco­priremo via via che liberare le coincidenze dal peso dell'arcano è as­sai più interessante che gridare al miracolo.

A volte il calcolo è facile. In un mio precedente saggio rivelai la combinazione del lucchetto della mia bicicletta. Ritenevo di non correre rischi, perché ero convinto che i miei libri non fossero letti dal tipo di persona che ruba biciclette, ma qualcuno me la rubò dav­vero, e ora ho una nuova catena che ha per combinazione del luc­chetto un altro numero, 4167. È una cifra facile da ricordare per me: 41 era il numero che contrassegnava i miei abiti e le mie scarpe quando stavo in collegio, e 67 è l'età alla quale dovrò andare in pen­sione. E chiaro che qui non vi sono coincidenze interessanti: se aves­si scelto un'altra combinazione, avrei comunque cercato due numeri che mi avessero ricordato qualcosa di significativo. Ma vediamo un po' il seguito. Il giorno in cui scrissi la pagina di libro appena ripor­tata, ricevetti dal mio college di Oxford una lettera che diceva:

A ciascuna persona autorizzata a usare le fotocopiatrici è stato assegnato un codice d'accesso. Il suo nuovo numero di codice è 4167.

Lì per lì pensai che avrei sicuramente perso quel foglietto (come avevo smarrito il precedente, l'anno prima) e che dovevo trovare subito il modo di memorizzare il codice. Potevo ricorrere allo stesso tipo di trucco di cui mi ero servito per ricordare la combinazione del lucchetto della bici, mi dissi. Così tornai a guardare il numero stampato sulla lettera dell'università; e, per usare una bella frase di Fred Hoyle nel romanzo fantascientifico La nuvola nera, i numeri sul pezzo di car­ta parvero espandersi fino ad assumere proporzioni gigantesche.

4167

Non avevo bisogno di una nuova associazione mentale per ricor­dare il numero del codice d'accesso: era lo stesso del lucchetto della bici. Corsi a raccontare a mia moglie di questa incredibile coinciden­za, ma se avessi riflettuto meglio avrei capito che non c'era da meravigliarsi tanto. Le probabilità che un evento del genere si verifichi si possono calcolare facilmente. La prima cifra sarebbe potuta essere qualsiasi nu­mero compreso tra O e 9. In altre parole, vi era una probabilità su 10 che il primo numero del codice d'accesso alle fotocopiatrici fosse uguale a quello del lucchetto. Anche la seconda cifra sarebbe potuta essere una qualsiasi di quelle comprese tra O e 9, sicché ancora una volta avrei avuto una probabilità su dieci di trovare lo stesso nume­ro del lucchetto. Le probabilità che entrambe le prime cifre fossero uguali alle prime due del lucchetto erano una su 100 e le probabilità che fossero uguali tutte e quattro le cifre erano una su 10.000. Sono proprio simili scarse probabilità a rappresentare una difesa contro il furto.

La coincidenza colpisce molto, ma che cosa dovremmo concludere, che la provvidenza aveva un suo disegno misterioso, che dietro le quinte agivano gli angeli custodi o che stelle benigne erano in congiunzione con Urano? No. Non c'è motivo di sospettare nulla di più del semplice caso. Le persone al mondo sono in numero talmente superiore a 10.000 che in questo stesso momento qualcuno si starà senza dubbio imbattendo in una coincidenza altrettanto strana della mia. Quel giorno è toccato a me. Guarda caso, l'episodio mi è capita to mentre scrivevo il sesto capitolo, ma è una coincidenza minore perché in realtà avevo terminato la prima stesura già da alcune settimane. Tornai su «Scomporre l'arcano» per inserire l'aneddoto. Nei mesi successivi avrei riguardato più volte quelle pagine per limarle, ma non ho cambiato nulla di questo brano perché il dato era esatto e perché i particolari suggestivi abbelliscono una storia.

Possiamo eseguire un calcolo analogo nel caso del «telesensitivo» che con la forza del pensiero pareva fermare gli orologi della gente, ma dovremo ricorrere a stime anziché a cifre esatte. Vi sono determinate probabilità (piuttosto basse) che un orologio si fermi in un momento dato. Non so quali siano, ma possiamo valutarlo. Poiché la batteria si esaurisce in genere nel giro di un anno, gli orologi digitali smettono di funzionare circa una volta all'anno. È facile che quelli a molla si fermino più spesso perché la gente si dimentica di caricarli, e che quelli digitali si fermino meno spesso perché diverse persone si ricordano di cambiare la batteria prima che si scarichi del tutto; ma entrambi possono smettere di andare a causa di un guasto. Cal­coliamo dunque che un orologio, qualunque sia, si fermi circa una volta all'anno. Non ha molta importanza che la stima sia accurata: l'importante è il principio.

Se l'orologio di una data persona si fermasse tre settimane dopo la «magia» del telesensitivo, anche i più creduli imputerebbero il fe­nomeno al caso. Dobbiamo decidere quale intervallo, tra il momento in cui il veggente pronuncia la formula magica e quello in cui l'oro­logio si ferma, il pubblico giudicherebbe così limitato da risultare impressionante. Cinque minuti rientrano sicuramente nell'idea di «simultaneità» della gente, specie considerato che il sensitivo parla con i telespettatori che telefonano e passa quindi qualche tempo pri­ma che, all'ennesima telefonata, si smetta di avvertire l'idea della contemporaneità. In un anno ci sono circa 100.000 periodi di cinque minuti: le probabilità che un qualsiasi orologio, per esempio il mio, si fermi in uno di questi periodi sono dunque di una su 100.000. So­no probabilità scarse, ma se i telespettatori intenti a guardare il pro­gramma fossero dieci milioni e almeno la metà di loro portasse l'orologio, circa 25 di quegli orologi potrebbero fermarsi in qualsiasi momento. Se anche solo un quarto di tali persone telefonasse in stu­dio, avremmo sei telefonate, più che sufficienti a stupire un pubblico ingenuo; inoltre a queste si potrebbero aggiungere le chiamate di co­loro a cui l'orologio si fosse fermato il giorno prima o a cui si fosse fermata la pendola. Altri telespettatori, poi, potrebbero chiamare per dire che l'orologio di un loro familiare appena morto d'infarto ha smesso di ticchettare. Sono le coincidenze che vengono celebrate in una vecchia canzoncina deliziosamente patetica, L'orologio a pendolo:

Novant'anni senza posa tic tac, tic tac, tic tac

ha scandito la sua vita, tic tac, tic tac, tic tac,

per sempre si è fermato

quando il nonno è spirato.

In una conferenza del 1963 il cui testo fu pubblicato postumo nel 1998, Richard Feynman raccontò che la sua prima moglie era morta alle 9 e 22 della sera e che in seguito si era scoperto che la sveglia della sua stanza si era fermata alle 9 e 22 esatte. Alcuni griderebbero subito all'arcano davanti a una simile coincidenza e rimarrebbero delusi dalla spiegazione semplice e razionale dello scienziato. La sveglia era vecchia e funzionava in maniera irregolare: si fermava se veniva inclinata e non stava più in piano, tanto che Feynman stesso l'aveva sovente riparata. Quando la signora Feynman morì, l'infer­miera dovette registrare l'ora esatta della morte e si avvicinò alla sveglia, ma poiché questa era al buio, per vedere le ore la prese in mano e la inclinò verso la luce, facendola fermare. È vero, come sicu­ramente sarebbe pronto a sostenere qualcuno, che Feynman rovina la solennità poetica di un momento tragico dando una spiegazione molto semplice e molto attendibile dell'accaduto? Assolutamente no, secondo me. Egli ci dice una cosa verissima: che il nostro è un universo bello, elegante e ordinato, nel quale gli orologi si fermano per un motivo, e non per accendere la fantasia e incoraggiare il sen­timentalismo degli esseri umani.

Vorrei a questo punto coniare un termine tecnico, e spero mi perdo­nerete se sarà un acronimo. PCAA sta per «Popolazione delle Coinci­denze Apparentemente Arcane». «Popolazione» potrà suonare stra­no, ma è il giusto termine statistico (non continuerò però a usare il maiuscolo, perché non fa un bell'effetto sulla pagina stampata). L'oro­logio da polso che si ferma dieci secondi dopo che il sensitivo ha pronunciato le sue parole «magiche» appartiene alla categoria delle pcaa. A rigor di termini, la pendola non dovrebbe rientrare nella categoria, perché il telesensitivo non aveva parlato di pendole; tuttavia c'è il tele­spettatore che, quando la sua si ferma, si affretta a telefonare perché si stupisce ancora di più di quanto si sarebbe stupito se gli si fosse ferma­ to l'orologio da polso. Viene così incoraggiata un'ipotesi tanto bizzar­ra quanto errata, ossia che il mago sia ancora più potente del previsto, in quanto non aveva contemplato gli orologi a pendolo. Non aveva parlato neanche di orologi da polso che si fermavano il giorno prima o nel momento in cui il nonno che li portava moriva d'infarto.

La gente ritiene che questi fenomeni imprevisti appartengano alla popolazione degli eventi arcani, determinati da forze occulte, che solo in apparenza «sembrerebbero» coincidenze. Se però si allarga così il campo, la pcaa diventa immensa, e qui sta la trappola. Se il no­stro orologio da polso si fermasse esattamente ventiquattr'ore prima che il telesensitivo parlasse, non dovremmo essere così creduloni da far rientrare l'avvenimento nella categoria arcana. Se l'orologio di qualcuno si fermasse sette minuti prima dell'incantesimo, certe per­sone potrebbero rimanerne impressionate, perché sette è un numero ritenuto da sempre magico (e lo stesso probabilmente varrebbe per sette ore, sette giorni ecc.). Più grande fosse la pcaa, meno dovrem­mo essere colpiti dalla coincidenza quando questa si verificasse. Uno dei trucchi dei truffatori abili è di indurre la gente a credere esattamente l'opposto.

Ma c'è un trucco ancora più facile a proposito di orologi: quello di farli ripartire. Il «veggente» invita i telespettatori ad alzarsi, tirar fuori da cassetti o solai orologi da polso rotti, e tenerli in mano men­tre lui, fissando con sguardo ipnotico la telecamera, pronuncia paro­ le magiche. Che cosa succede in realtà? Il calore della mano scioglie l'olio che si era coagulato e questo rimette in moto l'ingranaggio, sia pure per poco. Benché i meccanismi riprendano a funzionare solo in una piccola percentuale di casi, tale percentuale, moltiplicata per un folto pubblico, induce parecchie persone a telefonare stupefatte. Di fatto, come si legge in Soul Searching (1995), il saggio in cui Nicholas Humphrey denuncia con efficacia l'imbroglio del paranormale e del soprannaturale, è stato dimostrato che oltre il 50 per cento degli oro­logi rotti hanno una breve ripresa quando vengono tenuti in mano.

Ora proporrò un altro esempio di coincidenza nel quale è facile il calcolo delle probabilità e lo userò per dimostrare come tale calcolo spogli di ogni stranezza casi apparentemente stranissimi. Parecchio tempo fa ebbi una ragazza che era nata lo stesso giorno (anche se non lo stesso anno) della mia precedente fidanzata. Lei raccontò la coincidenza a una sua amica che credeva nell'astrologia e l'amica, tutta esaltata, mi chiese come mai fossi ancora scettico davanti a una prova così lampante: era evidente che ero stato involontariamente attratto da quelle due donne a causa delle loro «stella»! Procediamo anche in questo caso a un'analisi razionale e serena. E' facile calcola­re le probabilità che due persone scelte a caso siano nate lo stesso giorno: i giorni in un anno sono 365. In qualunque giorno sia nato il primo soggetto, il secondo ha una probabilità su 365 (lasciando stare gli anni bisestili) di essere suo «gemello». Proviamo dunque ad accoppiare due donne scegliendo, come nel nostro caso, due fidanzate successive dello stesso uomo: le probabilità che siano nate lo stesso giorno sono una su 365. Se prendiamo dieci milioni di uomini (meno della popolazione di Tokyo o di Città del Messico), tale arcana coin­cidenza sarà capitata a oltre 27.000 di loro!

Tornando alla pcaa, constatiamo che più i numeri sono grandi, più gli «eventi arcani che solo in apparenza sembrerebbero coincidenze» risultano in realtà dovuti al mero caso. Anche accoppiando persone con criteri diversi dal giorno di nascita finiremmo sempre per notare una coincidenza apparente: per esempio due fidanzate successive dello stesso uomo non imparentate, ma con lo stesso cognome. Due soci d'affari che fossero nati lo stesso giorno o due persone che se­ dessero fianco a fianco su un aeroplano e scoprissero di essere nate lo stesso giorno verrebbero assegnati da molti alla pcaa, ma su un Boeing 747 al completo vi sono in realtà oltre 50 probabilità su cento che almeno un paio di vicini di posto siano «gemelli». Di solito non ce ne accorgiamo perché non stiamo a sbirciare che cosa scrivono gli altri quando dobbiamo riempire i noiosi moduli dell'Ufficio immi­grazione; ma se sbirciassimo e scoprissimo le coincidenze, qualcuno sulla maggior parte dei voli comincerebbe a parlare di forze occulte.

La coincidenza dei compleanni è stata illustrata in maniera assai suggestiva. Prendiamo una stanza in cui siano presenti solo 23 indi­vidui: i matematici possono dimostrare che vi sono più di 50 proba­bilità su cento che almeno due di essi siano nati lo stesso giorno. Due persone che avevano letto la bozza di questo libro mi hanno chiesto di spiegare meglio tale affermazione incredibile. È più facile calcolare le probabilità che non vi siano compleanni condivisi (e sot­trarre il risultato all'unità). Lasciamo perdere gli anni bisestili, che complicano inutilmente le cose, e supponiamo che scommetta con voi che delle 23 persone presenti, come minimo due siano nate lo stesso giorno. Voi, tanto per stare al gioco, scommettete che non ci siano compleanni comuni. Faremo il calcolo arrivando ai 23 indivi­dui gradualmente: cominceremo da uno solo e aggiungeremo gli al­tri uno alla volta. Se a un certo punto troveremo un «gemello», io avrò vinto la scommessa, smetteremo di giocare e non staremo a cu­rarci dei rimanenti individui. Se invece arriveremo al ventitreesimo senza avere trovato il «gemello», a vincere sarete stati voi.

Quando nella stanza c'è solo il primo soggetto, che chiameremo A, le probabilità che non vi sia alcun «gemello» sono, banalmente, pari a 1 (365 probabilità su 365). Aggiungiamo adesso il soggetto B: le probabIlità diventano una su 365, quindi le probabilità che non vi siano «gemelli» sono 364/365. Facciamo entrare ora una terza persona, C: vi sono una probabilità su 365 che C sia nato lo stesso giorno di A e una su 365 che sia nato lo stesso giorno di B, sicché le probabilità che non sia «gemello» né di A né di B sono 363/365, (non può essere «ge­mello» di entrambi, perché sappiamo già che A e B non sono nati lo stesso giorno). Per sapere quali siano complessivamente le probabi­lità che non si verifichi un «gemellaggio», dobbiamo prendere 363/365 e moltiplicarlo per le probabilità che non si verificasse un ge­mellaggio nel caso (o nei casi) precedenti, ovvero, nell'esempio speci­fico, moltiplicarlo per 364/365. Lo stesso ragionamento vale quando aggiungiamo la quarta persona, D. Le probabilità totali che non vi siano «gemelli» diventano 364/365 x 363/365 x 362/365. E così via, finché nella stanza non abbiamo 23 persone. Ogni nuova persona ci porta un nuovo termine da aggiungere alle moltiplicazioni da fare per calcolare le probabilità che il «gemello» non si presenti.

Se si procede con tali moltiplicazioni fino ad avere 23 termini (l'ultimo dei quali sarà 343/365), l'esito sarà 0,49: ed è questa la probabilità che non vi siano nella stanza individui nati lo stesso giorno. Vi sono quindi probabilità lievemente superiori al 50 per cento che almeno due persone in una compagnia di 23 siano «gemelle». Ba­sandosi sull'intuizione, la maggior parte della gente scommettereb­be contro il «gemellaggio», ma sbaglierebbe. È proprio questo il tipo di errore intuitivo che ci induce a considerare arcane coincidenze che sono normalissime.

Parlerò adesso di una coincidenza capitata nella vita reale e, an­che se in questo caso è leggermente più difficile, cercheremo di valu­tare in maniera approssimativa quali siano le probabilità che si veri­fichi. Un giorno mia moglie comprò per sua madre un oggetto antico, un bell'orologio da polso con il quadrante rosa. Quando tornò a casa e tolse l'etichetta del prezzo, si stupì di vedere, incise sul retro, le iniziali M.A.B., le stesse di sua madre. Un fatto strano, arcano, da brivido lungo la schiena? Il celebre romanziere Arthur Koestler sarebbe ricorso a chissà quale complessa chiave di lettura e altrettanto avrebbe fatto Carl Gustav Jung, l'ammiratissimo psicana­lista che, oltre ad avere ideato il concetto di «inconscio collettivo», credeva che le forze psichiche potessero per esempio produrre un rumoroso schianto in una libreria. Mia moglie, dotata di maggior buonsenso, si limitò a pensare che la storia delle iniziali identiche le tornasse molto comoda e fosse abbastanza curiosa da poter essermi raccontata; ed ecco che io mi sono premurato di raccontarla a un pubblico più vasto.

Quali sono dunque le probabilità che si verifichi una coincidenza così apparentemente incredibile? Possiamo cominciare a calcolarle in maniera molto semplice. Nell'alfabeto inglese ci sono ventisei lettere. Se nostra madre ha un nome di tre iniziali e troviamo un orolo­gio su cui sono incise tre lettere a caso, le probabilità che le tre cop­pie di lettere coincidano sono 1/26 x 1/26 x 1/26, ovvero una su 17.576. La Gran Bretagna ha circa 55 milioni di abitanti: se tutti aves­sero comprato un orologio antico con delle iniziali incise sul retro, più di 3000 persone si sbalordirebbero tornando a casa e vedendo sotto l'etichetta del prezzo le stesse iniziali della loro mamma.

Ma le probabilità sono in realtà più alte di così. Il nostro calcolo elementare parte dal presupposto errato che ciascuna lettera abbia una probabilità su 26 di essere l'iniziale di qualcuno, e in effetti que­sta è la probabilità media per l'alfabeto inglese; ma alcune lettere, come X e Z, hanno probabilità inferiori di essere iniziali di nomi e cognomi, mentre M, A e B sono più comuni: pensate a quanta più impressione ci avrebbe fatto la coincidenza se le due coppie di tre iniziali uguali fossero state X.Q.Z. Possiamo rendere più accurata la nostra stima effettuando un campionamento con l'elenco telefonico. Il campionamento è un buon sistema per valutare qualcosa che non possiamo contare direttamente, e l'elenco telefonico di Londra è adatto all'operazione, perché contiene molti nomi, perché mia mo­glie aveva comprato l'orologio a Londra e perché a Londra viveva sua madre. L'elenco telefonico di Londra comprende circa 85.060 pollici colonna (2160 metri), o circa 1,34 miglia colonna (2,160 chilo­ metri) di nomi di cittadini. Di questi, circa 8110 pollici colonna (206 metri) sono dedicati alle B. Ciò significa che ha il cognome iniziante per B il 9,5 per cento dei londinesi, una percentuale parecchio supe­riore al 3,8 per cento (1/26) della popolazione che ha un cognome iniziante per una lettera media.

Dunque le probabilità che un londinese qualunque abbia un co­gnome iniziante per B sono circa 0,095 (cioè il 9,5 per cento). E le probabilità che il nome proprio inizi per M o A? Ci vorrebbe troppo tempo per contare le iniziali dei nomi nell'elenco telefonico e non avrebbe nemmeno senso farlo, visto che tale elenco rappresenta sol­tanto un campione. Conviene piuttosto prendere un sottocampione nel quale le iniziali dei nomi propri siano comodamente elencate in ordine alfabetico, e questo sottocampione lo troveremo naturalmen­te all'interno di ciascun cognome. Proviamo a scegliere Smith, il co­gnome più comune d'Inghilterra, e a guardare quale percentuale di M. Smith e A. Smith vi sia (è lecito sperare che il campione rappresenti in maniera approssimativa i nomi propri dei londinesi nel loro complesso). Troveremo oltre 20 iarde colonna (118 metri) di Smith. Di questi Smith, lo 0,073, cioè 53,6 pollici colonna (186 cm), sono M. Smith. Gli A Smith occupano 75,4 pollici colonna (191 cm) e rappre­sentano quindi lo 0,102 di tutti gli Smith.

Se dunque siamo londinesi e abbiamo tre iniziali, le probabilità che esse siano M.AB. in questo esatto ordine sono 0,102 x 0,073 x 0,095, ovvero 0,0007. Poiché la Gran Bretagna ha 55 milioni di abitanti, 38.000 di essi avrebbero quindi le iniziali M.AB., ma solo nel caso che tutti i cittadini britannici avessero tre iniziali. Così non è; però, guar­dando ancora una volta l'elenco telefonico, sembra di constatare che almeno la maggioranza le abbia. Se anche partissimo dall'ipotesi molto cauta che solo metà britannici avessero tre iniziali, vi sarebbero ugualmente più di 19.000 persone con iniziali identiche a quelle della madre di mia moglie. Tra queste 19.000, chiunque avesse comprato l'orologio si sarebbe sbalordito per la coincidenza; ma i nostri calcoli hanno dimostrato che non c'è motivo di sbalordirsi.

In realtà, riflettendo meglio sulla Pcaa, ci rendiamo conto che i motivi di meraviglia sono ancora meno di quanto supponessimo. M.AB. erano le iniziali di mia suocera da ragazza. Da sposata aveva le iniziali M.AW., che ci avrebbero stupito nello stesso modo se fos­sero state trovate incise sull'orologio. Nell'elenco telefonico, i cogno­mi inizianti per W sono quasi altrettanto comuni di quelli inizianti per B, e tale considerazione raddoppia le possibilità di coincidenza, perché raddoppia il numero di britannici che un «cacciatore di arca­ni» avrebbero potuto trovare in possesso delle stesse iniziali di mia suocera. Inoltre, se una donna comprasse un orologio e vi trovasse incise non già le iniziali di sua madre bensì le proprie, forse lo consi­dererebbe un caso ancor più strano e ancor più degno di essere inse­rito nella categoria (sempre più vasta) delle Pcaa.

Come ho già detto, il defunto Arthur Koestler era un grande cul­tore delle coincidenze. Tra le storie da lui raccontate in Le radici del caso (1972), ve ne sono parecchie che in origine erano state raccolte dal biologo austriaco Paul Kammerer, persona che Koestler ammira­va molto (e che è passato alla storia per aver truccato un esperimen­to con cui avrebbe voluto dimostrare l'ereditarietà dei caratteri ac­quisiti nel rospo ostetrico). Ecco un tipico aneddoto narrato da Kammerer e citato da Koestler:

Il 18 settembre 1916, mia moglie, mentre aspettava il suo turno nella sala d'aspetto del professor T.V.H., sfogliava la rivista "Die Kunst"; fu colpita da alcune riproduzioni dei quadri di un pittore che si chiamava Schwalbach e cercò di fissarsi nella mente il nome perché le sarebbe piaciuto vedere gli originali. In quel momento si aprì la porta e l'infermiera chiese ad alta voce: «C'è la signora Schwalbach? È desiderata al telefono».

Forse non vale la pena cercare di valutare le probabilità che si ve­rifichi una coincidenza del genere, ma possiamo almeno chiarire di quali informazioni avremmo innanzitutto bisogno. «In quel momen­to si aprì la porta» è un modo di esprimersi piuttosto vago. La porta si aprì un secondo o venti minuti dopo che la signora Kammerer si era ripromessa di vedere gli originali di Schwalbach? Poteva essere rimasta per ben venti minuti così colpita dalle riproduzioni da av­vertire poi come simultanea la domanda fatta dall'infermiera? La frequenza del cognome Schwalbach è naturalmente rilevante: ci avrebbero impressionato meno uno Schmidt o uno Strauss, e di più un Twistleton-Wykeham-Fiennes o un Knatchbull-Huguesson. La biblioteca del mio luogo di residenza non ha l'elenco telefonico di Vienna, ma dando un'occhiata al grosso elenco di un'altra città di lingua tedesca, Berlino, ho trovato cinque o sei Schwalbach; il nome quindi non è particolarmente comune ed è comprensibile che la si­gnora sia rimasta colpita. Ma dobbiamo valutare meglio le dimensioni della Pcaa. Coincidenze analoghe sarebbero potute capitare a persone che si trovavano in altre sale d'aspetto di medici o di denti­sti, nonché in uffici statali e altri luoghi del genere; e non solo a Vien­na, ma in tante altre città. Bisogna tenere presente il numero delle possibilità di coincidenza che, se si fossero tradotte in realtà, sareb­bero state ritenute altrettanto rimarchevoli di quella che di fatto si verificò.

Ora prendiamo un altro tipo di coincidenza di cui è ancora più difficile calcolare le probabilità. Consideriamo un'esperienza denun­ziata da molti: sognare dopo tanti anni un vecchio conoscente e poi, il giorno dopo, ricevere all'improvviso sue notizie. Potremmo trova­re una sua lettera nella posta oppure apprendere che è morto pro­prio quella notte, o ancora che quella notte non è morto lui, ma suo padre, o che suo padre non è morto ma ha vinto al totocalcio. Vedete come la Pcaa esce dal controllo quando allentiamo la vigilanza?

Spesso queste storie provengono da un campo molto vasto. Le ru­briche delle lettere nei quotidiani popolari contengono missive che i lettori non avrebbero scritto se non avessero ritenuto sorprendente la coincidenza loro capitata. Per capire se è il caso di stupirsi davvero oppure no, bisogna conoscere la diffusione del quotidiano. Se vende quattro milioni di copie, sarebbe sorprendente che non leg­gessimo ogni giorno qualche incredibile aneddoto, perché basterebbe che un «evento arcano» accadesse a uno dei quattro milioni di let­tori perché avessimo buone probabilità di sentirne parlare sul gior­nale. E' difficile calcolare la probabilità che a una certa persona capiti una coincidenza come sognare un vecchio amico dimenticato da tempo e venire a sapere il giorno dopo che l'amico è morto proprio quella notte; ma qualunque sia, è certo molto più di una su quattro milioni.

Di fatto, dunque, non abbiamo motivo di stupirci quando leggia­mo sul giornale di un caso strano accaduto a un lettore o a qualcun altro in qualche parte del mondo. Un ragionamento in base al quale abbiamo concluso che non ha senso stupirsi è validissimo, eppure in tutta questa faccenda c'è ancora qualcosa che continua a turbarci. Possiamo essere pronti ad ammettere che, come lettori di un quoti­diano ad alta diffusione, non abbiamo diritto di meravigliarci di una coincidenza capitata a uno dei milioni di altri lettori, il quale si è disturbato a scrivere al quotidiano; ma facciamo molta più fatica a mantenerci freddi e razionali quando la coincidenza capita a noi personalmente. Non si tratta di una reazione circoscritta ad alcuni soggetti particolarmente impressionabili: no, l'argomento è indubbiamente serio. Quasi tutte le persone che conosco hanno provato un brivido d'inquietudine in circostanze del genere; se si interroga qualcuno a caso, ci sono buone probabilità che abbia da raccontare almeno un episodio riguardante una coincidenza arcana. All'appa­renza, quindi, questo fenomeno sembrerebbe inficiare le conclusioni cui eravamo arrivati, ossia che non ci si deve stupire degli strani casi di cui si legge sui giornali, perché sono normalissimi in rapporto al grosso bacino di opportunità rappresentato da molti milioni di letto­ri. Invece le nostre conclusioni restano validissime, e per i seguenti motivi.

Ognuno di noi, pur essendo una persona singola, rappresenta un'enorme popolazione di occasioni di coincidenza. Ogni comune giorno che voi e io viviamo costituisce un'ininterrotta sequenza di eventi, o episodi, che contengono ciascuno le potenzialità di una coincidenza. In questo momento sto guardando su una parete della stanza la foto di un pesce di profondità dal curioso muso «alieno». In questo stesso momento il telefono potrebbe squillare e qualcuno all'altro capo del filo potrebbe presentarsi come il signor Pesci. Sono in attesa ...

Il telefono non ha squillato. In poche parole, voglio dire che, qua­lunque cosa stiamo facendo in un momento dato, c'è probabilmente qualche altro evento (come una telefonata) che, una volta verificatosi, potremmo con il senno di poi considerare una strana coinciden­za. Vi sono così tanti minuti nella nostra vita, che sarebbe davvero sorprendente trovare un individuo cui non fosse mai capitato un ca­so singolare. Nell'ultimo minuto ho pensato per esempio a Havi­land, un compagno di scuola (non ricordo né il nome di battesimo né l'aspetto) che non vedo e a cui non penso da quarantacinque an­ni. Se in questo stesso attimo un aereo dell'industria Haviland sfrec­ciasse davanti alla mia finestra, avrei sottomano una coincidenza. Bene, devo riconoscere che nessun Haviland è apparso nel pezzo di cielo che si vede dalla mia finestra, ma nel frattempo ho cominciato a pensare il qualcos'altro, il che mi offre altre occasioni di coinciden­za. Insomma, le potenzialità di coincidenza si presentano tutti i gior­ni per tutto il giorno; ma dei non eventi, delle mancate coincidenze, non si tiene nota né si parla.

La tendenza a vedere significato e scopo nella coincidenza, sia questa dotata o priva di significato reale, rientra nella tendenza più generale a cercare un disegno nelle cose.

(continua)
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