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martedì 13 novembre 2007

Robinson sull'isola deserta. Meglio il capitalismo o la decisione centrale?

Con l'aiuto degli economisti H. Hazlitt e T. Sowell, cerco di illustrare la vera funzione del sistema dei prezzi e della logica del profitto.

Nell'episodio precedente abbiamo visto che, quando la domanda di un prodotto aumenta, la sua produzione aumenta ma aumenta anche il prezzo. Se lo stato cerca di limitare il prezzo, invece, la produzione crolla.

A questo punto qualcuno potrebbe convincersi che il capitalismo sia fondamentalmente "bacato". Il ragionamento potrebbe essere:
Se limito il prezzo per legge, la produzione non soddisfa la domanda. Se invece non limito il prezzo, la produzione soddisfa la domanda, ma i poveri non potranno permettersi di comprare. In entrambi i casi, ci sarà qualcuno che non potrà avere quel prodotto. Qualcuno che resta a bocca asciutta. Quindi il capitalismo è intrinsecamente incapace di soddisfare appieno i bisogni delle persone.

Quindi serve un nuovo sistema, un sistema in cui la produzione possa aumentare senza far aumentare i prezzi.

Il mondo ha bisogno di più beni, e i produttori, che regolano la produzione in base al profitto, non producono abbastanza da soddisfare le esigenze delle persone. Arrestano la produzione prima. Non sfuttano appieno le potenzialità produttive della moderna tecnologia. Bisogna quindi abbandonare il capitalismo, e scegliere un sistema in cui si produca in base alle necessità reali delle persone.

Questo ragionamento è sbagliato e dimostra l'ignoranza della vera funzione dei prezzi e dei profitti nella società. L'economista Henry Hazlitt usa una brillante metafora:

L'errore centrale deriva dal guardare solo ad una industria, o solo a un certo insieme di industrie, come se ognuna esistesse in isolamento dalle altre. Invece ognuna di esse esiste in relazione alle altre. [..]

Possiamo capire meglio la cosa se comprendiamo il problema di base che le imprese, complessivamente, devono risolvere. Per semplificare il più possibile, consideriamo il problema che Robinson Crusoe si troverà a fronteggiare su un'isola deserta. I suoi desideri sulle prime sembreranno non finire mai. E' zuppo di pioggia; ha i brividi per il freddo; soffre la fame e la sete. Ha bisogno di tutto: acqua da bere, cibo, un tetto sulla testa, protezione dagli animali, un fuoco, un posto morbido per dormire. E' impossibile per lui soddisfare tutti questi bisogni allo stesso tempo; non ne ha il tempo, le energie e le risorse. Deve soddisfare immediatamente i bisogni più pressanti. La cosa più urgente è, diciamo, la sete. Scava una buca nella sabbia per raccogliere l'acqua piovana, o costruisce un rozzo contenitore. Quando si è procurato anche una minima riserva d'acqua, però, deve cominciare a cercare del cibo, prima che possa pensare di migliorarla. Può cercare di pescare; ma per farlo gli servono uncino e bastone, oppure una rete, e deve cominciare a lavorare su queste. Ma tutto ciò che fa rallenta o impedisce di fare qualcos'altro che è solo un po' meno urgente. Ha continuamente davanti a sé il problema delle applicazioni alternative del suo tempo e fatica.

Immaginiamo ora che sull'isola ci sia tutta la famiglia Robinson. Il problema sarà più semplice per loro. Ci sono più bocche da sfamare, ma anche più braccia per lavorare. Possono praticare la divisione del lavoro. Il padre va a caccia; la madre prepara il cibo; i bambini raccolgono legna. Ma anche questa famiglia non si può permettere che un membro faccia sempre la stessa cosa, indipendentemente dall'urgenza relativa tra il bisogno comune che egli soddisfa e i bisogni ancora insoddisfatti. [..] Anche la famiglia ha il problema di scegliere tra applicazioni alternative del lavoro e, se è abbastanza fortunata da ottenere armi, canna da pesca, una barca, un'ascia, una sega e così via, di scegliere tra applicazioni alternative del lavoro e del capitale. Sembrerebbe incredibilmente stupido se colui che si occupa di raccogliere la legna dicesse che si potrebbe raccogliere più legna se suo fratello lo aiutasse tutto il giorno, anziché pescare il pesce che la famiglia mangia a cena. In questo caso è evidente che un'occupazione si può espandere solo alle spese di altre occupazioni.

( E ovviamente il discorso non cambia se le persone sull'isola, anziché cinque, sono cento milioni. )

Insomma, l'errore nel ragionamento consiste nel non capire che la produzione in un settore può aumentare solo alle spese di altri settori. Questo discende immediatamente dal fatto che la quantità di terra, materiale e forza lavoro disponibile sul nostro pianeta è limitata. Quindi, se fai espandere un'industria, necessariamente stai sottraendo risorse a qualche altra industria o settore, che per forza di cose si dovranno ridurre (in termini assoluti o relativi).

Ma chi decide quali settori dovranno ridursi, per aumentare la produzione del prodotto X? Risposta: il sistema dei prezzi e del profitto. Il maggiore prezzo del prodotto X costringe i cittadini ad economizzare in qualche altro settore. Li costringe a diminuire le spese per altre cose. Così facendo, i cittadini stanno automaticamente decidendo quale settore si dovrà ridurre, per fare spazio al nuovo. I cittadini stanno di fatto votando con i loro soldi. Stanno decidendo qual è il rapporto di grandezza più efficiente tra le varie industrie. Stanno decidendo quali beni sono più importanti e necessari di altri.

Quindi la logica del profitto, per cui i produttori aumentano la produzione ma allo stesso tempo aumentano anche i prezzi, ha una funzione sociale: è il meccanismo in cui i cittadini decidono quale produzione si deve ridurre, in cambio dell'aumento della produzione di qualcos'altro.

Non che sia un sistema perfetto: dopo tutto, in questo modo, chi ha meno soldi "vota di meno". Ma qual è l'alternativa?

Storicamente alcuni Stati hanno cercato di sostituirsi al sistema dei prezzi: hanno cercato di far decidere a dei burocrati quali settori devono ridursi, e dove invece vanno destinate più risorse. Cioè, al mercato si è cercato di sostituire la decisione centralizzata, il diktat dall'alto. E il risultato di questi tentativi è stato così tragico, ed ha causato così tanta miseria, che per me è doloroso parlarne. Nell'unione sovietica, mentre molte persone morivano di fame (a causa del crollo della produttività), in molte città c'erano depositi pieni di grano che restavano a marcire. Il motivo è che un burocrate non aveva ancora deciso dove dovessero essere destinati. In India, quando nacquero i telai meccanici, il governo decise di proteggere i posti di lavoro di quelli che lavoravano ai telai manuali, mediante sussidi presi dalle tasse. Questo rese sconveniente introdurre le macchine. Di fatto il governo impedì l'introduzione delle macchine nel paese. In questo modo impedì l'enorme aumento di produzione che le macchine avrebbero portato, mentre il paese si impoveriva sempre di più (lavorando in perdita grazie ai sussidi). Oggi in India si muore di fame esattamente grazie a questo tipo di decisioni. Anche in paesi non interamente socialisti, come gli Stati Uniti, gli insuccessi di questo tipo non si contano. Durante la crisi del gasolio del 1972 e 1972, quando i prezzi del petrolio erano mantenuti artificialmente bassi dal governo, c'erano in tutti gli Stati Uniti lunghissime code di automobili che aspettavano per ore per fare benzina nei distributori; ma la quantità di gasolio negli Stati Uniti era il 95% dell'anno prima, ed in quell'anno non c'era alcuna fila.

A parte gli esempi, la ragione per cui questo non può funzionare ci è illustrata ottimamente da Thomas Sowell: i burocrati che allocano le risorse non possono neppure conoscere le vere necessità relative dei vari settori. Nella russia sovietica, i burocrati di grado alto non conoscevano le necessità reali di una zona, perché i burocrati di grado più basso avevano l'incentivo a dichiarare più necessità del dovuto per la propria zona. I burocrati tendevano regolarmente a chiedere quante più risorse potevano, anziché quelle che erano necessarie, perché questo era nel loro interesse. Continua Sowell:


All'unione sovietica non mancavano le risorse naturali, anzi in questo senso era una delle nazioni più ricche del pianeta. Ciò che le mancava era un sistema che allocasse in modo efficiente risorse scarse. Poiché le imprese sovietiche non avevano le stesse limitazioni di soldi delle imprese capitaliste, acquistavano più macchine di quelle di cui avevano bisogno, macchine "che poi restavano a prendere la polvere nei capannoni o ad arrugginire fuori dalla porta", per usare le parole degli economisti sovietici. In breve, non erano costretti ad economizzare. [...]

Questo spreco di risorse non potrebbe aver luogo in una economia in cui queste risorse devono essere acquistate, e in cui l'impresa può sopravvivere solo mantenendo i costi più bassi delle sue entrate. In questo tipo di sistema capitalista, governato dai prezzi, la quantità di risorse ordinate dalle imprese sarebbe basata sulla stima più accurata possibile di ciò che davvero è necessario, non su quello che i suoi manager riuscivano a far sembrare plausibile ai burocrati loro superiori, i quali non potrebbero mai essere esperti in tutta la vasta gamma di industrie che sorvegliano.

Spero che adesso sia chiaro che un sistema socialista non potrebbe mai fare meglio del sistema dei prezzi, in cui ogni singolo cittadino vota con i propri soldi dove devono andare le risorse. Semplicemente, un burocrate non potrebbe mai avere informazioni tanto accurate. Questo sembra ovvio. Eppure oggi, in Italia e ovunque, moltissime risorse non vengono allocate dal sistema dei prezzi, ma dal governo, mediante il meccanismo della "finanziaria". E chi si lamenta di questo?


Per concludere, non ha senso dire che i produttori sono egoisti perché non producono abbastanza occhiali. E' come dire che Robinson dovrebbe smettere di pescare pesce per raccogliere più legna.

domenica 28 ottobre 2007

"Compra italiano, aiuti l'economia"


Oggi è molto comune sentir dire, ad esempio, "Non comprare l'automobile giapponese, compra quella italiana. Spendi un po' di più, ma almeno aiuti l'economia italiana". Queste persone ammettono che chi compra dagli stranieri sta facendo il proprio vantaggio individuale, ma allo stesso tempo credono che stia danneggiando l'economia italiana (forse perché "toglie lavoro agli italiani"). Insomma, chi compra dagli stranieri sarebbe in qualche modo un egoista, che sta facendo il proprio bene alle spese del paese. E' vero questo?

No, è una fallacia. In realtà l'italiano, comprando giapponese, sta facendo sia il proprio bene sia il bene dell'Italia. (Nonché il male del giappone, nel caso i giapponesi stiano vendendo sottocosto). In realtà, per fare il bene dell'economia italiana, devi comprare dove costa meno. Se gli stranieri vendono a meno, e tu compri in Italia, l'Italia diventa più povera. Se invece compri dagli stranieri, farai il bene del paese (oltre al tuo bene individuale).

Questo discorso è fortemente collegato al discorso sui dazi. Quindi mi offre l'opportunità per completare discorso sul protezionismo. Finora me l'ero cavata sbrigativamente dicendo che "i dazi sono equivalenti ai sussidi". Oggi vediamo perché è così. Traduco dal libro "Economics in One Lesson" di Henry Hazlitt.


Capitolo 11. Chi è protetto dai dazi?


[...]

Disse Adam smith: "In ogni Paese è sempre interesse delle persone comprare ciò che vogliono da chi lo vende a minor prezzo". "Questa affermazione è così ovvia", continuava Smith, "che è ridicolo persino perdere tempo a dimostrarla; né mai qualcuno avrebbe pensato di metterla in discussione, se i sofismi interessati dei commercianti e dei produttori non avessero annebbiato il buon senso dei cittadini."

Da un altro punto di vista, Smith considerava il libero commercio come un aspetto della specializzazione dei mestieri:

Il motto di ogni capofamiglia assennato è: non cercare mai di fare da solo ciò che ti costerebbe meno comprare. Il sarto non cerca di farsi le scarpe da solo, ma le compra dal calzolaio. Il calzolaio non cerca di farsi i vestiti da solo, ma paga un sarto. L'agricoltore non cerca di farsi da solo né le scarpe né i vestiti, ma paga questi due artigiani. E' nell'interesse di ciascuno sfruttare l'intera rete industriale in modo da ottenere un vantaggio sui propri vicini, e comprare ciò che vuole con una parte della propria produzione, oppure, equivalentemente, con il prezzo di una parte della propria produzione.

E ciò che è assennato nella condotta di una singola famiglia non può certo essere sciocco in quella di un grande paese.

[Adam Smith vuole dire che un paese non deve cercare di produrre da solo ciò che conviene comprare da altri paesi, NdM]
Ma allora, cosa può aver portato la gente a credere che ciò che è assennato nella condotta di una singola famiglia sia sciocco in quella di un grande paese? E' stata una intricata rete di fallacie, di cui l'umanità non è ancora riuscita a liberarsi. La fallacia principale è quella che abbiamo già visto molte volte. Quella di considerare solo gli effetti immediati di un dazio su gruppi particolari di persone, e ignorare gli effetti a lungo termine su tutta la comunità.

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Un produttore di magliette di lana americano si presenta in Parlamento e dice al comitato in questione che sarebbe un disastro nazionale se rimuovessero o riducessero il dazio sull'importazione di magliette inglesi. Ora lui vende le sue magliette a 15 dollari l'una, ma il produttore inglese potrebbe vendere magliette della stessa qualità a 10 dollari. Quindi, un dazio di 5 dollari è necessario perché lui possa sopravvivere. Non è preoccupato per sé, ovviamente, ma per le migliaia di persone a cui dà lavoro, e alle persone a cui questi a loro volta danno lavoro con i soldi che spendono. Se il parlamento permette che queste persone finiscano disoccupate, esse perderanno potere d'acquisto. [E compreranno meno, danneggiando a loro volta altri lavoratori, NdM]. La perdita di potere d'acquisto si diffonderà così in cerchi sempre più larghi in tutta la popolazione. [E' la stessa logica della vetrina rotta, rovesciata. NdM]. Se l'uomo d'affari riesce a dimostrare che la rimozione del dazio lo farebbe davvero fallire, il parlamento gli darà ragione.


Ma la fallacia nasce dal guardare soltanto al produttore e ai suoi dipendenti, o solo all'industria di magliette americana. Nasce dal notare solo i risultati immediatamente visibili, e ignorare i risultati che non si vedono perché viene impedito loro di esistere.

Questi lobbisti che chiedono dazi fanno continuamente affermazioni false. Ma assumiamo pure che le cose stiano esattamente come hanno detto loro. Assumiamo che sia davvero necessario un dazio di 5 dollari per mantenerli nel mercato, e salvare il lavoro degli impiegati nel settore delle magliette.

Abbiamo scelto di proposito l'esempio più sfavorevole per la rimozione dei dazi. Non stiamo esaminando l'imposizione di un dazio per far nascere una nuova industria, ma il mantenimento di un dazio che ha già portato un'industria ad esistere, e che non si può togliere senza danneggiare qualcuno. [Vediamo quindi che succede se rimuoviamo il dazio.]

Il dazio viene rimosso. Il produttore fallisce. Mille lavoratori sono licenziati. Tutti quei lavoratori di cui essi erano clienti vengono danneggiati. Questo è il risultato immediato che tutti vedono. Ma ci sono anche dei risultati che, pur essendo più difficili da tracciare, non sono meno reali o meno immediati. Adesso una maglietta che prima costava 15 dollari costa solo 10 dollari. Ora i consumatori possono comprare magliette della stessa qualità a prezzo minore. Se comprano una maglietta della stessa qualità, ora non ottengono solo la maglietta, ma restano loro 5 dollari, che altrimenti non avrebbero avuto, per comprare qualcos'altro. Con i 10 dollari che pagano per la maglietta, aiutano l'occupazione nell'industria inglese di magliette. Ma con i 5 dollari rimasti, aiutano l'occupazione in un numero qualunque di altre industrie negli Stati Uniti.


Ma le conseguenze non finiscono qui. [Anche i 10 dollari pagati agli inglesi aiutano l'occupazione negli Stati Uniti, per la ragione che segue. ]

[ Gli americani comprano magliette inglesi, ma pagano in dollari. Questo significa che gli inglesi si troveranno in tasca dei dollari. Per spendere quei dollari, gli inglesi dovranno comprare qualcosa negli Stati Uniti.] Questo è l'unico modo in cui gli inglesi possono usare quei dollari (se trascuriamo complicazioni come tassi di cambio variabili, prestiti, crediti, e spostamenti d'oro, che non alterano il risultato finale). Poiché abbiamo permesso agli inglesi di venderci più cose, ora loro possono comprare di più da noi. Anzi, sono costretti a comprare di più da noi, prima o poi, a meno che non vogliano che le loro riserve di dollari restino per sempre inutilizzate. Quindi, come risultato dell'aver fatto entrare negli Stati Uniti più beni inglesi, ora dovremo esportare più beni americani. E, sebbene ora lavorino meno americani nell'industria americana delle magliette, tuttavia lavorano più americani in qualche altra industria -- diciamo l'industria americana di automobili, o l'industria americana di lavatrici. E lavorano in modo molto più efficiente. Quindi, se tiriamo le somme, il tasso di occupazione americano non è sceso; e la produttività è salita, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. La forza lavoro in entrambi i paesi ora è impiegata in modo più efficiente: ognuno fa le cose che sa fare meglio, anziché essere costretto a fare ciò che sa fare con meno efficienza o male. I consumatori in entrambi i paesi ne hanno tratto un beneficio. Possono comprare ciò che vogliono dove costa meno. I consumatori americani sono riforniti meglio di prima di magliette, e i consumatori inglesi sono riforniti meglio di prima di automobili e lavatrici.


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Ora guardiamo la questione dall'altro lato, e vediamo quali sono gli effetti di imporre un dazio. Supponiamo che non ci siano dazi sui prodotti tessili, che gli americani siano abituati a comprarli dagli stranieri senza dazi. Ora qualcuno dice che, se mettessimo un dazio di 5 dollari sulle magliette, potremmo far nascere un'industria americana di magliette.

Questo argomento non ha nulla di sbagliato, per quel poco che afferma. E' ovvio che il costo delle magliette inglesi per i consumatori americani si può rendere alto a piacere, in modo artificiale. A un certo punto i produttori americani troverebbero conveniente entrare nel business delle magliette, e nascerebbe una nuova industria. Ma i consumatori americani starebbero di fatto sussidiando quell'industria. Per ogni maglietta americana che comprano, sarebbero costretti a pagare una tassa di 5 dollari, che sarebbe imposta su di loro dalla nuova industria di magliette grazie al prezzo più alto.

E' vero che l'industria di magliette darebbe lavoro a degli americani che prima non lavoravano in tale industria. Ma non ci sarebbe nessun beneficio netto, né per l'industria del paese né per il tasso di occupazione del paese. Visto che il consumatore americano deve pagare 5 dollari in più per magliette della stessa qualità, avrebbe esattamente 5 dollari in meno da spendere in altre cose. Dovrebbe ridurre di 5 dollari le sue spese in qualche altro settore. Per far nascere o crescere quell'industria, un centinaio di altre industrie dovrebbero rimpicciolirsi. Per dare un impiego a 20.000 persone in un'industria di magliette, ci sarebbero 20.000 persone in meno impiegate da qualche altra parte.


Ma la nuova industria sarebbe visibile. Potremmo facilmente contare il numero dei suoi impiegati, il capitale investito in essa, il valore di mercato dei suoi prodotti in dollari. Gli osservatori potrebbero vedere i lavoratori entrare e uscire dalla fabbrica ogni giorno. Il risultato sarebbe palpabile e diretto. Ma la riduzione di un centinaio di altre industrie, e la perdita di 20.000 posti di lavoro da qualche altra parte, non sarebbe così facile da notare. Sarebbe impossibile anche per lo statistico più brillante sapere esattamente quale è stata l'incidenza sugli altri posti di lavoro -- quante donne e uomini sono state licenziate da ciascuna industria particolare, o quanta è stata la perdita per ciascuna industria --- del fatto che i consumatori devono pagare di più le magliette. Infatti la perdita sarebbe distribuita tra tutte le attività produttive del paese, e quindi sarebbe relativamente piccola per ciascuna di esse. Sarebbe impossibile sapere esattamente come ogni consumatore avrebbe speso i suoi 5 dollari extra se gli fosse stato permesso di conservarli. Quindi la stragrande maggioranza delle persone cadrebbe probabilmente nell'illusione che la nuova industria non ci sia costata niente.

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E' importante notare che il nuovo dazio sulle magliette non farebbe aumentare i salari americani. Certo, permetterebbe agli americani di lavorare nella nuova industria al livello medio dei salari americani (per un lavoratore con quelle abilità), anziché dover competere nell'industria al livello inglese dei salari. Ma non ci sarebbe alcun aumento nei salari americani in generale. Perché, come abbiamo visto, non ci sarebbe alcun aumento netto nel numero di posti di lavoro, né alcun aumento netto nella domanda di beni, né alcun aumento nella produttività del lavoro. Anzi, la produttività del lavoro nel paese sarebbe ridotta in conseguenza del dazio.

E questo ci porta al vero risulato del dazio. Non è soltanto il fatto che i vantaggi visibili sono superati delle perdite, meno visibili ma non meno reali. E' che il paese subisce complessivamente una perdita. Perché, al contrario di quanto dice la propaganda interessata, il dazio riduce i salari americani.

Osserviamo più chiaramente perché il dazio fa ciò. Abbiamo visto che i 5 dollari in più che i consumatori pagano per un bene protetto da un dazio li priva esattamente della stessa quantità per comprare altri beni. Non c'è nessun vantaggio netto per l'industria nel suo complesso. Ma, a causa della barriera artificiale eretta contro i beni stranieri, la forza lavoro americana, il capitale e la terra sono stati dirottati da ciò che sanno fare meglio a ciò che sanno fare in modo meno efficiente. Quindi, come risultato del muro eretto dal dazio, la produttività media della forza lavoro e del capitale americano si riduce.


Se guardiamo la faccenda dal punto di vista del consumatore, troviamo che il consumatore può comprare meno cose con i suoi soldi. Poiché deve pagare di più per le magliette e altri beni protetti, può comprare meno di tutto il resto. Il potere d'acquisto complessivo del suo reddito si è quindi ridotto. Se l'effetto concreto del dazio sarà di diminuire i salari o di alzare i prezzi dipenderà dalla politica monetaria che è seguita. Ma il vero effetto del dazio, quando consideriamo tutti i posti di lavoro, non solo quelli protetti, è di ridurre i salari reali. (Anche se i salari nelle industrie protette possono salire rispetto a come sarebbero stati altrimenti). [Insomma, il dazio può aumentare i salari dei lavoratori protetti, ma sempre alle spese di tutti gli altri salari, NdM.]

Solo una mente corrotta da generazioni di propaganda interessata può considerare paradossale questa conclusione. Quale altro risultato dovremmo aspettarci da una politica che deliberatamente dirotta le nostre risorse di capitale e forza lavoro verso ciò che sanno fare in modo meno efficiente? Quale altro risultato potremmo aspettarci dall'introduzione di ostacoli artificiali al commercio e ai trasporti?

Erigere un muro di dazi è come erigere un muro reale. E' significativo che i protezionisti usino regolarmente il linguaggio della guerra. Parlano di "respingere l'invasione" dei prodotti stranieri. E le tecniche che suggeriscono nel campo fiscale sono quelle del campo di battaglia. Le barriere di dazi che vengono erette per respingere l'invasione sono come i carri armati, le trincee e i fili spinati, creati per respingere l'esercito straniero.

[...]


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Il dazio è spesso descritto come un modo di favorire il produttore alle spese del consumatore. In un certo senso questo è corretto. [...] Ma è sbagliato pensare che ci sia un conflitto tra l'interesse dei produttori come gruppo e quello dei consumatori come gruppo. Non è vero che il dazio favorisce tutti i produttori. Favorisce i produttori protetti alle spese di tutti gli altri produttori americani, e soprattutto quelli che hanno un mercato di esportazione potenzialmente grande.

Forse possiamo chiarire questo punto con un esempio esagerato. Supponiamo che il dazio fosse così alto da essere assolutamente proibitivo, e che non ci sia più alcuna importazione dal mondo esterno. Supponiamo che, come risultato, il prezzo delle magliette americane salga di soli 5 dollari al pezzo. Allora i consumatori americani, visto che devono pagare 5 dollari in più per una maglietta, spenderanno in media 5 centesimi in meno in ciascuna delle altre 100 industrie americane. (I numeri sono scelti solo per illustrare il principio. Naturalmente le perdite non saranno distribuite in modo uniforme. Inoltre, la stessa industria delle magliette sarà sicuramente danneggiata a causa della protezione accordata ad altre industrie ancora. Ma possiamo mettere da parte per un attimo queste complicazioni.)

Ora, poiché le industrie straniere troveranno il mercato americano completamente irraggiungibile, [non venderanno nulla agli americani, e quindi] non avranno dollari, e quindi non potranno comprare alcun bene in america. Come risultato, le industrie americane [non esporteranno più niente, e quindi] saranno danneggiate nella misura in cui i loro guadagni derivavano dall'export. Quelli più danneggiati, in prima istanza, saranno industrie come i produttori di cotone, di [copper], di macchine per cucire, di macchine agricole, di macchine da scrivere, ecc.

Un muro di dazi che non sia del tutto proibitivo produrrà gli stessi risultati, ma in misura minore.

L'effetto del dazio, quindi, è di cambiare la struttura della produzione americana. Cambia la proporzione dei posti di lavoro nelle varie industrie, il tipo di occupazione, e la grandezza relativa delle industrie. Rende più grandi le industrie più inefficienti, e più piccole le industrie più efficienti. Il suo effetto netto, quindi, è di ridurre l'efficienza americana, e di ridurre l'efficienza dei paesi con cui altrimenti avremmo commerciato di più.

A lungo andare, nonostante le continue polemiche, il dazio è irrilevante nella questione del tasso di occupazione (numero di posti di lavoro). (E' vero che improvvisi cambiamenti nei dazi, verso l'alto o verso il basso, possono creare temporanea disoccupazione, perché forzano dei cambiamenti nella struttura della produzione. Questi cambiamenti improvvisi possono persino causare una depressione.) Ma il dazio non è irrilevante nella questione dei salari. A lungo termine riduce i salari reali, perché riduce l'efficienza, la produzione e la ricchezza.

[..]

(Immagino che alcuni lettori chiederanno: "Perché non risolvere tutto questo proteggendo tutti i produttori con dei dazi?". Ma la fallacia in questo caso è che non possiamo proteggere tutti i produttori in modo uniforme, e non possiamo proteggere affatto i produttori domestici che riescono già da soli a sconfiggere i concorrenti stranieri: questi produttori efficienti soffrirebbero necessariamente dal dirottamento del potere d'acquisto prodotto dal dazio.)


[...]

Questo capitolo era diretto alle fallacie secondo cui un dazio, al netto, può "favorire l'occupazione", "alzare i salari", o "proteggere la qualità della vita americana". Non fa niente di tutto ciò; e per quanto riguarda i salari e la qualità della vita, fa esattamente l'opposto.

[...]

venerdì 26 ottobre 2007

Lo Stato non può mai creare lavoro

(Questo post fornisce anche la risposta al quiz precedente.)

Una fallacia classica in economia afferma che lo Stato può diminuire la disoccupazione assumendo i disoccupati in qualche settore pubblico. In realtà è impossibile diminuire la disoccupazione in questo modo. Infatti, per ogni posto di lavoro che lo Stato crea in questo modo, ne distrugge uno da qualche altra parte. Anzi, di solito più di uno. Scopo di questo post è illustrare perché ciò avviene.

Secondo l'economista Henry Hazlitt, il 90% delle fallacie in economia sono casi particolari di un'unica fallacia: considerare solo gli effetti visibili di un evento, e non quelli invisibili. Ricordate la fallacia della vetrina rotta? L'errore era considerare solo il beneficio visibile per il vetraio, ma non il danno invisibile per il sarto. Se il fornaio non avesse dovuto pagare il vetraio per ricostruire il vetro, avrebbe dato lavoro al sarto. Ma nessuno si accorge della perdita del sarto, mentre tutti si accorgono del beneficio per il vetraio. Tutti vedranno la vetrina nuova, tra qualche giorno. Ma nessuno vedrà il vestito nuovo, proprio perché non sarà mai prodotto.

Ebbene, anche l'argomento che "lo Stato può diminuire la disoccupazione" è un caso particolare di questa fallacia. Vediamo perché.

Supponiamo che qualcuno sostenga la costruzione da parte del governo, diciamo, di un ponte, dicendo che servirà a diminuire la disoccupazione. La parola ad Hazlitt.

L'argomento dei sostenitori della spesa pubblica è che il ponte darà lavoro alle persone. Produrrà, diciamo, 500 posti di lavoro all'anno. Posti di lavoro che altrimenti non sarebbero esistiti.

Questo è in effetti l'effetto visibile, ciò che tutti vedranno. Ma noi tutti dovremmo imparare a guardare oltre le conseguenze immediate di una politica, fino alle conseguenze secondarie. E non dovremmo considerare solo coloro che traggono beneficio diretto dal progetto governativo, ma anche quelli che ne sono indirettamente danneggiati. Se fossimo abituati a far ciò, vedremmo una situazione completamente diversa.

E' vero che quel particolare gruppo di persone che lavora al ponte otterrà un lavoro che altrimenti non avrebbe avuto. Ma questo ponte deve essere pagato in qualche modo. E sarà pagato con le tasse. Per ogni dollaro che viene speso per il ponte, ci sarà un dollaro sottratto ai contribuenti. Se il ponte costa 10 milioni di dollari, i contribuenti perderanno 10 milioni di dollari. 10 milioni che altrimenti avrebbero speso in qualche altro modo, per le cose di cui hanno maggior bisogno, dando lavoro a qualcun altro. Quindi, per ogni posto di lavoro pubblico che viene creato dal progetto governativo, è stato distrutto un posto di lavoro nel privato, da qualche altra parte.

Tutti noi abbiamo di fronte agli occhi le persone che lavorano al ponte. Le vediamo mentre lavorano. I sostenitori della spesa pubblica sembrano quindi dalla parte del giusto, per chi non sa vedere oltre i suoi occhi fisici. E molte persone si convincono che abbiano ragione. Ma ci sono altre cose che non vediamo, perché, ahimé, non viene permesso loro di esistere. Sono i posti di lavoro distrutti dai 10 milioni di dollari sottratti ai contribuenti.

In realtà tutto quello che è successo (quando va bene) è che c'è stata una diversione dei posti di lavoro da un settore ad un altro, a causa del progetto governativo. Più costruttori di ponti, ma meno costruttori di automobili, tecnici della televisioni, sarti, agricoltori, ecc.

(Economics in One Lesson, capitolo 4)


Insomma, lo stato non può mai creare posti di lavoro semplicemente assumendo persone. Infatti, se lo Stato assume qualcuno, deve pagarlo con le tasse. Sottrarrà soldi ai cittadini. E in questo modo distruggerà altrettanti posti di lavoro, che sarebbero stati creati dai cittadini stessi con l'atto di spendere quei soldi. I posti distrutti controbilanciano esattamente i posti creati. Anzi, sono un po' di più, per motivi che esulano dallo scopo di questo post e che forse vedremo in seguito.



Ora una considerazione. Questo è uno di numerosi casi in cui lo Stato Sociale dice di fare il bene della comunità, ma finisce per fare soltanto gli interessi di gruppi particolari. E' vero che crea posti di lavoro per qualche gruppo privilegiato, ma lo fa alle spese di altri gruppi, più deboli e meno rappresentati. Quei politici che sostengono che lo Stato deve "dare lavoro" sono spesso nel libro paga di quei gruppi di potere che vengono privilegiati, oppure sono persone in buona fede che vengono assunte come frontmen da quei gruppi di interesse, per ingannare i cittadini.



Questo termina il discorso iniziato nel post precedente. Abbiamo fatto vedere che, con i sussidi di stato, da una parte il paese diventa più povero, dall'altra non si creano nuovi posti di lavoro. Infatti, per sussidiare la Fiat, lo stato deve tassare i cittadini. Per ogni posto di lavoro che salva nella Fiat, ce n'è uno distrutto altrove. Questo termina il discorso sui sussidi.

Per terminare il discorso del protezionismo, basta far vedere che i dazi sono equivalenti ai sussidi. Ma questo non è difficile. I sussidi sono una tassa, i dazi sono una tassa nascosta. Infatti, l'effetto dei dazi è di alzare i prezzi per i consumatori. Dovendo i consumatori pagare di più per i prodotti protetti da dazi, resteranno loro meno soldi di prima, soldi che altrimenti avrebbero speso da qualche altra parte, dando lavoro a qualcun altro, che ora invece non lavorerà. E' per questo che sussidi e dazi sono equivalenti: non è importante se i consumatori hanno meno soldi da spendere perché sono più tassati, o perché alcuni prodotti costano di più. Ciò che conta è che hanno meno da spendere. Vedremo meglio tutto questo nel prossimo post, dedicato interamente ai dazi.

martedì 23 ottobre 2007

Quiz. Dov'è l'errore?

Vediamo se qualcuno dei miei cinque lettori riesce a trovare la fallacia in questo ragionamento economico. :)


Un ragazzo lancia un mattone contro la vetrina di un negozio di un fornaio, sfondandola. Il fornaio corre fuori furioso, ma il giovane vandalo è fuggito. Si raccoglie una folla, e comincia a guardare con soddisfazione il buco nel vetro. Molte persone ricordano al fornaio che, dopo tutto, c'è un lato positivo. Questo evento darà lavoro a qualche vetraio. Dopo tutto, se i vetri non si rompessero mai, che ne sarebbe dell'industria del vetro? Invece, così si ha un beneficio infinito. Infatti, quanto ti costa la vetrina sfondata? Cinquanta dollari? Allora il vetraio avrà 50 dollari in più, che spenderà in qualche modo, dando lavoro a qualche altro professionista; e costui a sua volta avrà 50 dollari in più da dare a qualcun altro, e così via all'infinito. La finestra rotta continuerà così a produrre soldi per molte persone, e a dare lavoro a molte persone, in un cerchio che si espande all'infinito. La conclusione logica è che il ragazzo che ha lanciato il mattone non è stato un vandalo, ma un benefattore pubblico.

(Tratto da Economics in One Lesson di Henry Hazlitt)

Dov'è l'errore?


Soluzione

L'enigma è stato risolto dopo 10 minuti da Flavio Fusco. Complimenti!

Ecco la soluzione in dettaglio.

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Se dobbiamo indicare l'errore esatto nel ragionamento, è questo: il fornaio ora dovrà spendere 50 dollari che altrimenti avrebbe speso per qualcos'altro. Ad esempio per un vestito nuovo. Quindi è vero che il vetraio sarà più ricco, ma il sarto sarà più povero. La perdita del sarto controbilancia esattamente il guadagno del vetraio. E inoltre il paese nel suo complesso è più povero, perché la perdita del fornaio non è controbilanciata da nulla.

Ecco la spiegazione dettagliata di Henry Hazlitt:

La folla dice il vero nella sua prima osservazione. Questo piccolo atto vandalico produrrà davvero più lavoro per qualche vetraio. Il vetraio sarà felice di sapere che è avvenuto l'incidente, tanto quanto un becchino quando apprende di una morte. Ma al fornaio mancheranno 50 dollari che aveva in mente di spendere per un vestito nuovo (o qualche bene equivalente). Invece di avere una finestra e 50 dollari, adesso avrà solo una finestra. Oppure, visto che aveva in mente di comprare il vestito quello stesso pomeriggio, invece di avere un vestito e una finestra adesso si dovrà accontentare di una finestra e niente vestito.

Se consideriamo il tutto dal punto di vista della comunità, risulta che la comunità ha perso un nuovo vestito che altrimenti sarebbe esistito. La comunità è più povera di un vestito.

Il guadagno del vetraio è compensato esattamente dalla perdita di lavoro del sarto. Nessun nuovo "posto di lavoro" è stato creato.

Le persone nella folla stavano considerando solo due parti nella transazione, il fornaio e il vetraio. Avevano dimenticato la terza parte potenziale, il sarto. Lo hanno trascurato perché non è ora che lui entra in scena. Essi vedranno la nuova finestra tra un paio di giorni. Ma non vedranno mai il vestito nuovo, proprio perché non sarà mai prodotto. Sono capaci di vedere solo quello che è immediatamente sotto i loro occhi.


Aggiornamento. Visto che qualcuno non è convinto, provo a spiegarvelo in un altro modo ancora.

In questa faccenda, ci sono due persone che hanno perso 50, e solo una che ha guadagnato 50.

Infatti, il vetraio ha avuto 50 dollari che altrimenti non avrebbe avuto. Il sarto ha perso 50 dollari che altrimenti avrebbe avuto. E questi due si annullano a vicenda. Ma la perdita del fornaio non è controbilanciata da nulla. A fronte della perdita del fornaio, non c'è nessuno che guadagni qualcosa.

Quindi il paese subisce una perdita netta di un vestito, o di 50 dollari (che è lo stesso).