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mercoledì 15 aprile 2009

Quiz: Papa, contraccezione e AIDS

Negli ultimi tempi il Papa è stato fortemente criticato per aver preso posizione contro il preservativo come rimedio contro l'AIDS. I critici hanno sostenuto che, per effetto dei suoi predicamenti, avverrà un aumento della diffusione dell'AIDS.

Sono rimasto sorpreso dall'apprendere che l'argomento di cui sopra (quello dei critici del Papa) è sbagliato. Riuscite a indovinare perché?

La soluzione è dopo i puntini:
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Tratto dal blog di David Friedman:

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Supponete di rendere le auto più sicure obbligando i produttori a dotarle di cinture di sicurezza, piantone sterzo collassabile, e altri cambiamenti che rendono meno probabile che un incidente d'auto uccida gli occupanti dell'auto. La conclusione ovvia, raggiunta da molte persone, è che il numero di morti in autostrada diminuirà.

Sam Peltzman, in un articolo classico, ha fatto notare che non esistono buone ragioni teoriche per aspettarsi che ciò avvenga. Gli incidenti d'auto non sono cose che "accadono e basta"; al contrario, sono il risultato di decisioni prese dai guidatori, come: quanto veloce guidare; quanta attenzione prestare alla guida e quanta alle conversazioni con i passeggeri o all'ascolto della radio; se tornare a casa in macchina o prendere un taxi dopo aver bevuto un po' troppo. Il fatto che le auto sono diventate più sicure riduce il costo di guidare in modo spericolato; minore è la probabilità che l'incidente uccida il guidatore, più i guidatori saranno disposti a guidare in modo spericolato. Quindi rendere le auto più sicure produce sì meno morti per ciascun incidente, ma produce anche più incidenti. Non c'è base teorica per predire se l'effetto netto sarà più o meno morti. Peltzman ha offerto evidenza statistica che, nel caso particolare che lui stava studiando (un insieme di requisiti di sicurezza imposti negli anni '60) i due effetti opposti si cancellavano quasi interamente a vicenda. La mortalità per incidente diminuì, gli incidenti aumentarono, e il tasso di mortalità annuale rimase più o meno lo stesso che ci sarebbe stato senza i cambiamenti legali. [Anzi ci fu un leggero aumento delle morti, NdM.]

Tutto ciò mi è tornato in mente a causa di una recente controversia su una questione diversa ma che usa la stessa logica. Il Papa, non sorprendentemente, ha preso posizione contro la distribuzione di preservativi come sistema per combattere l'epidemia di AIDS in Africa e, non sorprendentemente, è stato criticato per averlo fatto.

Proprio come nel caso della sicurezza delle auto e degli incidenti d'auto, rendere l'atto sessuale più sicuro ha due effetti che vanno in direzione opposta. Diminuisce la probabilità che un singolo atto sessuale produca la trasmissione dell'AIDS. Ma, diminuendo questo rischio, riduce l'incentivo ad evitare interamente il sesso, ad evitare atti sessuali come i rapporti anali che hanno alta probabilità di trasmettere l'AIDS, e ad evitare il sesso con persone che hanno alta probabilità di trasmetterti l'AIDS, come le prostitute. Su basi teoriche non abbiamo modo di sapere se l'effetto netto sarà una quantità maggiore o minore di AIDS.

Su basi empiriche, c'è evidenza che i due effetti si cancellano a vicenda, proprio come nel caso delle automobili. O quantomeno, questa è stata la conclusione, ampiamente citata, di un ricercatore sull'AIDS di Harvard che ha realmente studiato i dati. "Non abbiamo trovato alcuna correlazione significativa tra l'uso del preservativo e una diminuzione dei tassi di infezione da HIV; diminuzione che, dopo 25 anni dall'epidemia, avrebbe dovuto manifestarsi, se davvero l'uso del preservativo stesse funzionando."

Questo mi ricorda un'altra questione ... La chiesa, per ragioni dottrinarie che ignoro, permette la contraccezione con il metodo Ogino-Knaus, ma sostanzialmente condanna tutti i metodi alternativi. I critici di tale politica sostengono spesso la loro critica con immagini di donne povere che generano dieci o dodici figli, con conseguenze terribili su se stesse e, sostengono i critici, sul mondo intero.

L'errore di questa argomentazione è che il problema di sovrappopolazione che si cita è esattamente il problema che viene risolto da forme di contraccezione inaffidabili come la Ogino-Knaus. Se il tuo scopo è avere quattro figli invece di otto, un metodo di contraccezione che fallisce solo occasionalmente servirà bene allo scopo. E' questa presumibilmente la ragione per cui, prima dell'invenzione dei metodi moderni di contraccezione, il tasso di natalità, anziché essere sempre vicino al massimo biologico, era influenzato da fattori come il reddito, che influenzano la desiderabilità di avere figli. [...]

Le forme inaffidabili di contraccezione funzionano abbastanza bene per limitare il tasso di nascite all'interno del matrimonio. D'altra parte, se il tuo scopo è permettere alle donne di avere rapporti sessuali con uomini con cui non sono sposate senza rischi significativi di gravidanza (cioè permettere ciò che è diventato la norma nelle società sviluppate), allora forme di contraccezione più affidabili diventano molto sensate.

Questo mi fa sospettare che nessuna delle due fazioni nella controversia sia stata interamente onesta circa i propri scopi. La Chiesa cattolica difende la sua posizione su base dottrinaria, ma la sua posizione si può interpretare, in modo forse più plausibile, come ingegneria sociale. Limitare la contraccezione a forme inaffidabili (Ogino-Knaus, che la Chiesa approva, e coito interrotto, che la Chiesa non ha modo di impedire) rende il sesso occasionale considerevolmente più rischioso senza imporre grossi oneri al sesso matrimoniale, e quindi rende il primo meno attraente come sostituto del secondo. D'altra parte, i critici della posizione della Chiesa affermano di essere preoccupati della povertà e della sovrappopolazione, ma sostengono l'uso di tecniche di contraccezione che permettono (e probabilmente producono) il moderno stile di vita basato su rapporti sessuali al di fuori di relazioni a lungo termine.

Naturalmente, sul piano dei principi, credo che la contraccezione debba essere legale. Sono agnostico sulla domanda se la contraccezione abbia avuto, al netto, effetti positivi o negativi: riesco a vedere argomenti sensati da entrambi i lati. Ma il mio scopo in questo post non è sostenere una delle due posizioni, ma è solo offrire ragioni di sospettare che nessuna delle due fazioni sia stata interamente onesta circa i propri scopi.

domenica 27 luglio 2008

Diritto e potere. Utilitarismo, libertarismo, Friedman, Rothbard

Pubblico un mio commento ad un post di Luigi Corvaglia che critica il libertarismo americano. In questa parte del commento parlo del diritto naturale in relazione all'evoluzione; nella seconda parte tocco temi disparati come: il monopolio, lo sfruttamento dei lavoratori, il caso Ravasin e i Radicali, il funzionamento di una società senza Stato.

Cominciamo.

1. Distinzione tra diritto e potere

Dici di "non credere nei diritti naturali”, su cui molti libertari americani fondano la propria filosofia.

L'unica cosa che mi preme notare è che, in un certo senso, la dottrina del "diritto naturale" è banalmente vera. Il senso è il seguente. Lo studio della biologia, e in particolare della psicologia evoluzionistica, rivela che la selezione naturale ha programmato i nostri cervelli, dotandoli di alcune regole morali di base; (regole piuttosto vaghe e generiche, come ad esempio "non utilizzare un tuo simile come mezzo non consenziente per uno scopo", o “è sbagliato aggredire un innocente”. Vedi il libro “Menti Morali” di Marc Hauser per ulteriori dettagli e per l'evidenza che queste regole non dipendono dalla cultura.)

Gli umani alla nascita non sarebbero dunque una tabula rasa, ma possiederebbero già alcune regole morali innate, pre-inserite nel cervello, pre-programmate, che definiscono cosa è "giusto". (Incidentalmente, una di queste regole sembra essere il rispetto dei diritti di proprietà: sembra che i bambini molto piccoli possiedano già il senso della proprietà.)

Queste regole innate sono comunque abbastanza generiche e possono essere “istanziate”, o “specializzate”, dalla cultura, o dalla scelta personale. Ad esempio, una regola innata sembra essere che “è sbagliato aggredire un tuo simile innocente”, mentre è probabilmente la cultura a definire chi è il “tuo simile”. (Ad esempio la cultura può stabilire che "tuo simile" è ogni individuo della tua religione, o ogni essere umano, o ogni essere umano maschio, o ogni essere senziente compresi gli animali, ecc.)

Queste regole generiche, che per natura sono presenti nei nostri cervelli, si possono chiamare "diritto naturale". Quindi, almeno in questo senso, il diritto naturale esiste.



Un altro modo di dimostrare l'esistenza del diritto naturale è questo. Supponi che uno Stato promulgasse una legge che dice che è consentito uccidere tutti quelli che hanno i capelli rossi. Questo renderebbe forse legittimo uccidere le persone dai capelli rossi? Darebbe forse a me il diritto di uccidere quegli innocenti? Certo che no. Ma allora il diritto non coincide con la legge dello Stato. Deve esistere qualche altro diritto, preesistente al diritto positivo, che ha per noi la precedenza. Questo diritto, questo insieme di regole di cui abbiamo dimostrato l'esistenza, che preesiste alle leggi dello Stato, si può chiamare diritto "naturale".

E “dove si trova” questo diritto? Forse in qualche platonico iperuranio? No. Lo studio della psicologia suggerisce che quelle regole si trovano semplicemente nel nostro cervello, proprio come un software si trova dentro un computer, sotto forma di configurazioni di simboli. Le regole del diritto sono il software, il cervello è l’hardware; il programmatore è l'evoluzione. E’ questa quindi la natura fisica di quelle regole: sono simboli scritti nel cervello, dotati di una natura materiale, come delle scritte in rilievo su un muro; sono simboli con proprietà causali sul mondo materiale; esistono nel mondo e non soltanto in un mistico iperuranio.

Quindi il diritto naturale esiste, sotto forma di regole scritte nel cervello sin dalla nascita. Cosa interessante, a quanto pare noi non abbiamo la capacità di modificare queste regole; cioè non possiamo ridefinire il concetto di “giusto” mediante la logica o la volontà. Ad esempio, anche se razionalmente mi rendo conto che, uccidendo Tizio, posso salvare la vita di mille persone, ciò non farà mai diventare giusta l’uccisione di Tizio. Non sono in grado di considerare “giusta” quella violenza su un innocente, anche se dal punto di vista utilitaristico sembra essere la cosa migliore da fare. (Attenzione: non sto dicendo che non sono in grado di fare quella cosa, ma solo che non sono in grado di percepirla come giusta.)

E perché non sono in grado di considerarla giusta? Per lo stesso motivo per cui non posso considerare verde una cosa che mi sembra gialla. In breve, perché è l'evoluzione che ha stabilito cosa il mio cervello può considerare giusto. Per dirla in modo teatrale, alla Dawkins, io sono una macchina fatta per considerare ingiusta quella cosa; e non sembro capace di riprogrammarmi e considerarla giusta. Il diritto naturale non sembra modificabile dall’uomo fino a tal punto.

(Sebbene l'informatica insegni che, entro certi limiti, una macchina potrebbe essere capace di riprogrammarsi, tuttavia, nel caso del senso di giustizia, l’evoluzione non sembra averci dotato di questa capacità. La cultura o la logica o la volontà possono solo specializzare entro certi limiti le regole innate, non reinventarle. La manipolazione diretta del cervello o del DNA potrebbe forse modificare il diritto in modo più radicale, ma non abbiamo ancora conoscenza sufficiente per far ciò.)

Riassumendo: il diritto naturale esiste, non è solo un'invenzione di Ratzinger; è un insieme di regole scritte nel cervello, che definiscono cosa noi consideriamo giusto, e sulle quali abbiamo relativamente poco controllo. Questo diritto naturale è indipendente dalle leggi dello stato (diritto positivo). Le leggi dello stato sono espressione del potere, non del diritto.

Ma tutto questo non dovrebbe far esultare i giusnaturalisti, perché, sebbene il diritto naturale esista, per quanto ne so nessuno ha ancora dimostrato che bisogna rispettarlo. (Anzi nessuno ha mai dimostrato alcuna proposizione contenente la parola "dovere".) Siamo perfettamente in grado di ignorare il diritto naturale, cioè di fare cose che percepiamo come ingiuste; e nessuno ha dimostrato che non "dovremmo" farlo. Perché dovrei rispettare il senso di giustizia che l'evoluzione (o Dio) mi ha dato? Nessuno, che io sappia, è riuscito a colmare il "buco" tra "ciò che è" e "ciò che dovrebbe essere"; tra normativo e positivo. (Rothbard e Hoppe sembrano credere di averlo colmato, ma secondo me si sbagliano.)

Un altro motivo per cui il libertario non dovrebbe esultare è che il diritto naturale non sembra coincidere del tutto con la teoria libertaria (vedi articolo di Pinker).

Prosegui:

C’è un che di mistico nel processo di transustanziazione della terra che, mescolandosi lockianamente al mio lavoro, diviene mia.

E’ vero, c’è un che di mistico. Ma, per quanto mistica, questa sembra essere la regola che l’evoluzione ha scritto nei cervelli. Ad esempio, un bambino di 4 anni dice “Questa conchiglia è mia, perché l’ho trovata io”. Oppure dice “Questa macchinina è mia, perché me l’ha data lui”. I bambini sono libertari innati --- e non solo sotto questo aspetto.

Del resto, la regola di "transustanziazione della terra" non è stata certo inventata da Locke, il quale si è limitato a formalizzare una regola che già conosceva intuitivamente. Il vero inventore della regola è l'evoluzione. Probabilmente quella regola aumenta la probabilità di sopravvivenza dei geni che la producono, ed è per questo che esiste nei cervelli umani.

In altre parole: io semplicemente sento che una cosa è mia di diritto perché l’ho trovata per primo. Il fatto che tutto ciò mi sembri “mistico” non cambia le cose: per quanto ciò mi sembri mistico, non potrò mai smettere di considerare legittimo proprietario colui che trova una cosa per primo. Non ho la capacità di ridefinire ciò che ritengo legittimo; non potrò mai cambiare idea su ciò che ritengo giusto (come su ciò che ritengo verde).

Poi dici:

Non esiste diritto se non riconosciuto.

Questo somiglia al positivismo giuridico, dottrina che ha dei problemi, messi in luce dal paradosso dei capelli rossi precedentemente citato, oppure dalla seguente domanda:

"Se la maggioranza smette di riconoscere il diritto alla vita degli ebrei, improvvisamente gli ebrei non hanno più il diritto alla vita? Improvvisamente colui che li uccide non sta più commettendo alcun crimine o ledendo alcun diritto?

E che dire della schiavitù? Il diritto dei neri non esisteva prima di essere "riconosciuto"? Gli schiavisti non stavano ledendo alcun diritto?"

A me pare impossibile rispondere di sì. Questo dimostra, a mio avviso, che il diritto non è il risultato di una convenzione o del consenso; è un insieme di regole preesistente a qualunque convenzione.

Oggi la scienza permette di spiegare come possa esistere qualcosa di "preesistente" alle convenzioni umane: il diritto naturale è preesistente alle convenzioni umane semplicemente perché è stato scritto nei nostri cervelli molto prima di qualunque convenzione; è stato scritto dall'evoluzione in tempi antichissimi. Le convenzioni umane, a quanto pare, se vanno contro quel diritto preesistente, vengono percepite come ingiuste. Il diritto è preesistente alla legge, e non può essere abrogato o modificato da alcuna convenzione. (Cioè, qualunque convenzione che provasse ad abrogarlo sarebbe immediatamente percepita come ingiusta.)

Esiste anche altra evidenza che il diritto preesiste alla legge o al consenso. Se il diritto non fosse preesistente alla legge, perché ci scalderemmo tanto quando viene promulgata una legge che ci sembra ingiusta? Come potremmo mai dire che una legge dello Stato è ingiusta, se fosse davvero lo Stato a definire il diritto, a definire cosa è giusto? Evidentemente il diritto deve essere già dentro di noi.

come diceva Stirner, la proprietà, più che un furto è “un dono”, perché è l’acquiescenza degli altri che ci permette di continuare a possedere.

Mi pare che tu confonda il potere col diritto. Il consenso degli altri ci dà il potere di continuare a possedere; ma non ci dà il diritto di continuare a possedere. Quel diritto ce l’abbiamo in ogni caso, è scritto nei cervelli, e nessuno ce lo può togliere (almeno fino a che costui non riprogramma il mio cervello in modo da cambiare la mia percezione di cosa è giusto e cosa no, di cosa è mio diritto e cosa no).


è allora ovvio che tutti partecipano, attivamente o passivamente, a definire i diritti vigenti in un dato momento e luogo;

Ma, Luigi, il diritto non è qualcosa che tu puoi “definire”, come fossi un burattinaio che sta inventando le regole con cui devono muoversi i pupazzi. Infatti, qualunque cosa tu “definisca”, se non è compatibile con le regole di giustizia che sono già presenti nel mio cervello, io la percepirò come ingiusta. Ma allora, tu non avresti “definito” il diritto; avresti definito solo il potere (che cosa io posso fare senza essere aggredito).

Ad esempio, se tu e un altro milione di persone stabilite che io non posso farmi una canna, non è che improvvisamente io non ho più il diritto di drogarmi, o che magicamente drogarsi diventa “illegittimo” o "ingiusto". Non è che Pannella che mi ha dato la canna diventa improvvisamente un criminale; i criminali restate tu e quel milione di persone che avete deciso di applicare quella regola ed impedire con la forza uno scambio volontario tra persone consenzienti.

Per fare un altro esempio: se domani la gente si mette d’accordo che non si può cantare “o sole mio” dopo le 20, non è che magicamente tu non hai più il diritto di farlo. E’ vero al più che tu non hai più il potere di farlo (perché se lo fai vieni aggredito) ma il diritto ce l’hai comunque.

Insomma, diritto e legge sono due cose diverse. La legge è espressione del potere, non del diritto. I diritti non possono essere “stabiliti” o “ridefiniti” da nessuno: sono regole praticamente immutabili programmate dall’evoluzione nel cervello (come “è sbagliato aggredire un innocente”, ecc), che entro certi limiti possono essere specializzate dalla cultura. Il tuo consenso può darmi, al massimo, il potere materiale di fare qualcosa, non il diritto di farla.

ma questo continuo ridisegnamento del mondo esce dall’ambito della sacralità per entrare in quello dell’utilità. La proprietà non è sacra, è, al più, utile.


Questo “ridisegnamento” del mondo, che tu vedi come l’atto di definire i diritti, è solo una definizione dei poteri; cioè è la definizione di che cosa ciascuno di noi può fare senza essere aggredito.

Per quanto riguarda l’utilitarismo: questa dottrina (che io una volta sostenevo con convinzione) ha evidenti problemi. Ad esempio, prendi lo scenario seguente: un medico ha 5 pazienti in punto di morte. Ognuno di essi, per vivere, ha bisogno di un organo differente. Il medico si accorge che in sala d’aspetto c’è una persona perfettamente sana. Se la uccidesse e prendesse i suoi organi, potrebbe salvare 5 vite. Cinque al prezzo di uno. Domanda: è giusto uccidere la persona per salvarne 5? Secondo la dottrina utilitaristica, la risposta sembrerebbe essere sì. Ne segue che non siamo utilitaristi. Evidentemente nel nostro cervello c’è una regola che non risponde ai criteri utilitaristici (lascio a te il compito di scoprire quale sia questa regola).

David Friedman, ne L’Ingranaggio della Libertà, fa un esempio simile: lo sceriffo che condanna a morte un innocente per salvare la vita di molti cittadini. Friedman stesso nota i problemi dell’utilitarismo e dichiara di non essere filosoficamente un utilitarista. (Eppure quasi tutti lo chiamano utilitarista, cosa che lo fa innervosire.)

La proprietà non è sacra, è, al più, utile.

Noto che poni di frequente un’alternativa tra utilitarismo e “sacralità”. Per te, o i diritti di proprietà sono fondati sull’utilità, oppure sono “sacri”. Beh, io non vedo nulla di sacro o di mistico nel dire che le regole di funzionamento di una macchina sono fissate, e non si possono cambiare a piacimento. Io, in quanto macchina, non sono in grado di considerare “giusta” una cosa che ritengo ingiusta, indipendentemente da cosa è utile o da cosa la maggioranza ha stabilito lecito. E’ al di là delle mie capacità così come stabilite dal mio programmatore (la selezione naturale), proprio come non riesco a considerare verde una cosa che mi pare gialla. La selezione naturale mi ha dato la capacità di fare qualcosa che ritengo ingiusto, ma non la capacità di considerare giusta quella cosa. Questo non significa che per me il diritto sia qualcosa di “sacro”. Significa solo che è una cosa che non posso cambiare. Una cosa può essere immutabile senza essere sacra. Voglio dire, le macchine hanno dei limiti.

Gli anarco-capitalisti, con il loro giusnaturalismo (escludendo dal novero l’ottimo Friedman)

Forse Friedman non va escluso, perché è dichiaratamente libertario e non utilitarista, presumibilmente giusnaturalista.

possono, sulla base di indimostrabili assiomi sulla sacralità di taluni diritti calati dal cielo

Ma tutti gli assiomi sono indimostrati. Se provi a dimostrarli, necessariamente li dimostri in termini di altri assiomi, i quali resteranno a loro volta indimostrati. Quindi tutti noi abbiamo degli assiomi etici indimostrati --- te compreso, immagino. Nessuno (neppure gli utilitaristi, ammesso che esistano) sono in grado di dimostrare i propri assiomi.

Un esercizio interessante è fare introspezione su se stessi per scoprire quali siano i propri assiomi etici. Uno dei miei assiomi è che l’aggressione contro un non-aggressore è sempre sbagliata, indipendentemente dalla ragione e dalle conseguenze; e quindi è giusto che l’aggressore risarcisca la vittima in proporzione, se essa lo richiede. Considero questo un assioma non perché lo posso dimostrare (nessuno può dimostrare i propri assiomi) ma semplicemente perché questa regola emerge nella mia coscienza; cioè, io sono una macchina programmata per considerare ingiusta quella cosa.


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2. Sui vari significati della parola "libertà"

Scrivi:
indice relativo di libertà è la scelta (di oggetti, stili di vita

Una precisazione: per un libertario, la libertà non è la quantità di scelte o la quantità di opportunità di cui disponi, bensì è la condizione in cui tu non vieni aggredito da altri; la condizione in cui la tua persona e la tua proprietà legittima non subiscono l'aggressione o l'invasione di altre persone.

Per notare la differenza con l'altra definizione, basta notare che, per un libertario, Robinson Crusoe su un'isola deserta è perfettamente libero. Anche se sta morendo di fame ed ha pochissime opportunità o scelte. Ad esempio, Robinson è perfettamente libero di andare sulla luna (sebbene non sia capace di farlo) in quanto nessuno glielo impedisce.

Il caso vuole che questa definizione di libertà (“libertà negativa”) si sia rivelata a posteriori l’unica compatibile con le scoperte scientifiche. Infatti, ciò che abbiamo scoperto sul funzionamento della mente sembra indicare che noi non siamo liberi dai nostri stessi processi mentali. Le nostre decisioni (il cosiddetto “arbitrio”) sono il risultato finale di una computazione che avviene nel nostro cervello, sulla quale non abbiamo controllo. Cioè, non siamo liberi di cambiare l’algoritmo con cui il cervello decide cosa fare. Non siamo liberi dalla nostra stessa mente. Come disse Einstein in forma succinta ma efficace, “non posso volere ciò che non voglio”.

Insomma nessuno è libero da se stesso; dai propri limiti mentali e fisici. Questo suggerisce che l'unico significato della parola libertà che potrebbe avere senso è quello che definisce la libertà come libertà dagli altri (e non dalla sorte o dalle proprie capacità). Che è appunto la definizione libertaria. Chiusa parentesi.

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(Continua nel post successivo)

venerdì 27 giugno 2008

Postulare un essere intelligente è una spiegazione?


Che cosa è una buona spiegazione per un fenomeno? Dipende dal contesto, da cosa sei disposto ad assumere. A volte una buona spiegazione per un fenomeno è quella che lo spiega in termini di intenzioni di esseri intelligenti. Ad esempio, l'economia è una scienza che spiega alcuni fenomeni (come l'inflazione, i salari, i tassi d'interesse, la disoccupazione) in termini dell'azione intenzionale di esseri umani; essa per scontato l'esistenza di esseri umani dotati di certe caratteristiche (come obiettivi, preferenza temporale, tendenza all'egoismo, avversione al rischio, utilità marginale decrescente, ecc.). Dà per scontato l'esistenza di intenzioni e spiega tutto il resto in termini di queste ultime. Perché questa è una buona spiegazione? Perché riduce un fenomeno complesso ad un fenomeno più semplice; così semplice che siamo disposti, in quel contesto, a darlo per scontato. Ad esempio, se spieghi che le leggi sul minimo salariale aumentano la disoccupazione, assumendo come ipotesi soltanto uomini razionali che seguono i propri obiettivi, quella è decisamente una buona spiegazione. Hai ridotto il fenomeno del salario a un fenomeno (il comportamento umano) che siamo disposti a dare per scontato, perché sappiamo bene che gli uomini si comportano tendenzialmente in un certo modo e non un altro. E' questo il motivo per cui le spiegazioni offerte dagli economisti sono buone spiegazioni (quando i comportamenti umani che postulano sono realistici).

Un altro esempio di buona spiegazione è quella che spiega l'esistenza di un orologio postulando l'esistenza di un orologiaio: un artefice intelligente, dotato di mente, che aveva l'intenzione di costruire l'orologio in quel modo, e che aveva progettato l'orologio, cioè anticipato nella propria mente le sue caratteristiche. Questa è una buona spiegazione perché, in questo contesto, siamo disposti a dare per scontato l'esistenza di un orologiaio dotato di mente, intenzioni, capacità di previsione.

Ma se il fenomeno da spiegare è proprio l'esistenza di esseri umani dotati di mente ed intenzioni, è chiaro che questo tipo di spiegazione non è più accettabile. In questo contesto non siamo più disposti a postulare l'esistenza di esseri con intenzioni e intelligenza. Se lo facessimo, il nostro ragionamento sarebbe circolare. (O quantomeno lo sarebbe se il livello di intelligenza e complessità dell'essere che postuliamo fosse pari a quello dell'essere che cerchiamo di spiegare.) E' chiaro quindi che in linea di principio l'unica spiegazione accettabile per l'esistenza di oggetti complicati, intelligenti, e dotati di intenzioni, come gli umani, è quella che li spiega in termini di oggetti meno intelligenti, meno dotati di intenzioni, arrivando alla fine ad oggetti privi di intelligenza e di intenzioni. (Abbiamo già visto che ogni buona teoria della mente deve spiegare l'intelligenza in termini di interazione tra automi meccanici privi di intelligenza.) Alla fine bisogna far vedere come un oggetto complesso può essere prodotto da meccanismi semplici, non dotati di mente, né di intenzioni, né di capacità di prevedere il futuro, o altre caratteristiche mentalistiche; meccanismi come ad esempio le leggi della fisica. Solo questa sarebbe una buona spiegazione per l'esistenza degli esseri umani. Al contrario, qualunque approccio di tipo "orologiaio", che spieghi la nostra esistenza in termini di un "creatore intelligente", è già in partenza una spiegazione cattiva. (Il che non significa che sia falsa; molta gente non capisce la differenza.) E' cattiva perché non soddisfa la condizione di base di una buona spiegazione: ridurre un fenomeno complesso ad un altro più semplice, così semplice che in quel contesto siamo disposti a darlo per scontato. (riduzionismo gerarchico.)

Un altro modo di dire la stessa cosa è che una cattiva spiegazione postula l'esistenza di cose troppo complesse per essere nate per caso. Cioè, assume cose troppo improbabili. Ad esempio, se l'economia spiegasse l'aumento della disoccupazione in termini di una combutta tra i lavoratori per confondere gli economisti, questa sarebbe una cattiva spiegazione, perché la probabilità che avvenga una simile cospirazione tra milioni di persone è troppo piccola (dato il resto di ciò che sappiamo sul mondo e la natura umana).

Riporto su questo argomento un brano di Dawkins, tratto da l'Orologiaio Cieco, che a suo tempo avevo saltato.
Un altro tipo di problema è in che modo quella cosa complicata abbia avuto origine. E' questo il problema alla cui soluzione è dedicato l'intero libro, cosicché non è il caso che io mi dilunghi su questo adesso. ... [Ricordo solo che definisco] una cosa "complicata" come una cosa così "improbabile" che non ci sentiamo inclini a darne per scontata l'esistenza. Essa non avrebbe potuto venire all'esistenza in conseguenza di un singolo evento causale. Noi spiegheremo il suo venire all'essere come una conseguenza di trasformazioni graduali, cumulative, passo-passo, a partire da cose più semplici, da oggetti primordiali abbastanza semplici da poter aver avuto origine per caso. Esattamente come il "riduzionismo a grandi passi" non è una buona spiegazione per un meccanismo, e dev'essere quindi sostituito da una serie di piccoli passi graduali da un livello all'altro di una gerarchia [di spiegazioni], così non possiamo spiegare una cosa complessa come se avesse avuto origine in un singolo passo. Dobbiamo di nuovo far ricorso a una serie di piccoli passi, questa volta disposti in sequenza nel tempo.

Nel suo libro, scritto splendidamente, "La creazione", il chimico e fisico di Oxford Peter Atkins [...] sostiene che l'evoluzione di cose complesse sia inevitabile una volta che si siano affermate le condizioni fisiche appropriate. Egli si chiede quali siano le minime condizioni fisiche necessarie, quale sia la quantità minima di lavoro che un Creatore pigro dovrebbe fare per essere certo che l'universo, e in seguito elefanti e altre cose complesse, venissero un giorno all'esistenza. La risposta, dal punto di vista dello scienziato fisico, è che il Creatore in questione potrebbe essere infinitamente pigro. Le unità fondamentali originarie che abbiamo bisogno di postulare per comprendere il venire all'esistenza di qualcosa, o consistono letteralmente in nulla (secondo alcuni fisici) o (secondo altri fisici) sono unità di una semplicità estrema, troppo semplici per aver bisogno di qualcosa come una Creazione deliberata.


Commenti?

mercoledì 13 febbraio 2008

Essere giustiziati per blasfemia


Traduco un articolo del filosofo Daniel Dennett.
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L'occidente ha fatto un grave errore quando non ha condannato in modo unanime la fatwa verso Salman Rushdie. (Non dimenticherò mai l'indegno silenzio di alcuni scrittori che declinarono l'invito ad unirsi in una critica decisa ma non ostile.) L'occidente ha sbagliato di nuovo a non ristampare ovunque le vignette danesi. Quello che molti non capirono è che le sommosse inscenate in risposta alle vignette erano un attacco politico ai musulmani moderati, non ai non-musulmani. La "tolleranza" invocata da molte voci fuori dal mondo musulmano ha fatto il gioco degli islamici radicali.

Ora abbiamo una terza possibilità di venire in aiuto ai musulmani moderati in tutto il mondo ma, finora, non ho sentito molto rumore. Qualche giorno fa ho mandato la seguente lettera al Boston Globe, che non ha ancora manifestato l'intenzione di pubblicarla:
La condanna e la prossima esecuzione per blasfemia di uno studente afgano, Sayed Parwiz Kambakhsh, sono circostanze terribili, ma offrono un'opportunità che noi tutti dovremmo raccogliere. E' giunto il momento che i musulmani si assumano una responsabilità e dimostrino che l'islam è una grande fede che non ha bisogno della violenza o dell'intimidazione per non perdere i suoi fedeli. E noi che siamo all'esterno dell'islam dobbiamo proclamare con la massima chiarezza che non possiamo rispettare né onorare una religione che considera la blasfemia un reato capitale, non importa quanto sia antica la tradizione da cui deriva questa decisione. Dobbiamo far sì che i musulmani che sostengono (o si astengono dal condannare) la condanna e la sentenza di Kambakhsh capiscano di essere responsabili del disonore della loro amata eredita' culturale; e se noi non musulmani non diciamo tutto ciò con chiarezza, abbiamo una parte della colpa. Una persona non lascia che i propri amici commettano, o ignorino, un male che viene perpetrato. Il modo migliore di mostrare la nostra buona volontà verso l'Islam è aiutarlo a liberarsi di un aspetto indifendibile della sua eredita' culturale. Ogni religione ha molte colpe da espiare, ma questo non è un motivo per restare in silenzio e chiudere gli occhi di fronte a colpe più recenti.

Non e' ancora il caso di perdere le staffe. Ricordiamo solamente ai musulmani di ogni parte del mondo ciò che devono certamente sapere: la blasfemia non può essere un reato capitale in alcuna società degna di rispetto. Ora sta ai musulmani impedire ad alcuni dei loro membri di infamare la loro stessa cultura.

giovedì 17 gennaio 2008

Sam Harris: il mondo può finire


Traduco il discorso di Sam Harris in occasione del Festival delle Idee di Aspen 2007. Il video originale in inglese è qui.

Ritengo che questo discorso, unito al discorso del "diamante nel giardino", fornisca una panoramica piuttosto completa delle argomentazioni di Harris.

Da non perdere la parte sulla Corea del Nord, e l'agghiacciante finale.

La parola a Sam Harris.

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Tendo a cominciare ogni mio discorso su questo argomento con delle scuse, perché sto per dire delle cose piuttosto esplicite sulla religione, per cui sono destinato inevitabilmente ad offendere qualcuno di voi. Voglio assicurarvi che non è questo il mio scopo. Non è per questo che sono qui. Non è per questo che ho scritto i miei libri. Non sarò intenzionalmente provocatore. Sono semplicemente molto preoccupato per il ruolo che la religione sta giocando nel nostro mondo. Credo che la religione sia l'ideologia più pericolosa, e più capace di dividere le persone, che noi abbiamo mai prodotto. Soprattutto, è l'unica ideologia che è sistematicamente protetta dalle critiche, sia dall'interno che dall'esterno. Puoi criticare le credenze delle persone su qualunque argomento, ma rimane tabù criticare le loro credenze su Dio. E ritengo che stiamo pagando un prezzo enorme per mantenere in vita questo tabù. Per questo, romperò con entusiasmo il tabù nella prossima mezz'ora. Lascerò un po' di tempo per le domande e sarò felice di ascoltare le vostre critiche. Voglio anche dire, sin da ora, che non c'è niente che dirò che si possa interpretare come la negazione della possibilità di avere esperienze spirituali, o dell'importanza delle esperienze spirituali. Su questo argomento tornerò verso la fine.

Ecco la mia preoccupazione di fondo. La nostra capacità di fare del male a noi stessi si sta oggi diffondendo con l'efficienza propria del ventunesimo secolo. Eppure, noi stiamo ancora in gran parte derivando la nostra idea di come è meglio vivere nel mondo da alcuni brani di letteratura antica. Questo matrimonio, tra la moderna tecnologia distruttiva e una filosofia degna dell'età del ferro, è un matrimonio cattivo, per ragioni che dovrebbero essere ovvie. Eppure ho impiegato la maggior parte del mio tempo per parlare di queste ragioni, sin dall'11 settembre 2001, il giorno in cui 19 uomini pii hanno mostrato alla nostra pia nazione quanto possa essere "socialmente utile" la certezza religiosa. Avendo passato qualche anno criticando pubblicamente la religione, ormai ho familiarità con il modo in cui le persone si ergono a difesa di Dio, ed ho notato che non ci sono così tanti modi di far ciò: sembra che ce ne siano soltanto tre. O una persona sostiene che una data religione è vera, oppure sostiene che la religione è utile, così utile che potrebbe essere necessaria, oppure sostiene che l'ateismo è sostanzialmente un'altra religione (dogmatica, intollerante, o comunque degna di disprezzo). Vorrei differenziare queste tre linee argomentative perché in genere si intrecciano tra di loro, ed ogni conversazione tra un credente o non credente ha una buona probabilità di cadere in uno di questi tracciati.

Cominciamo con l'affermazione che una data religione è vera. Ci sono due problemi con questa tesi. Il primo è che, come fece notare Bertrand Russell un secolo fa, non possono essere tutte vere allo stesso tempo. Data l'enorme diversità delle religioni disponibili sul mercato, anche se sapessimo che una di esse è sicuramente vera (cioè che la vita è l'esame a crocette di Dio: A giudaismo, B cristianesimo, C islam), anche se sapessimo questo, ogni credente dovrebbe aspettarsi di finire all'inferno per una pura questione di probabilità. A me sembra che questo dovrebbe dare un attimo di esitazione alle persone religiose, quando abbracciano le loro certezze religiose. Non succede mai, ma dovrebbe. [Nota: Maometto dice che chiunque creda che Cristo ebbe natura divina brucerà all'inferno, NdM]

Il secondo problema, quando si sostiene che una data religione è vera, è che l'evidenza in favore delle dottrine religiose è pessima o inesistente. E questo vale per tutte le affermazioni circa l'esistenza di un Dio dotato di personalità, o sull'origine divina di certi libri, o sulla nascita da una vergine di certe persone, sulla veridicità di antichi miracoli, e tutto il resto. Considerate il cristianesimo. L'intera dottrina si fonda sull'idea che il resoconto evangelico dei miracoli di Gesù sia vero. È per questo che le persone credono che Gesù fosse il figlio di Dio, che avesse natura divina, eccetera. Questa affermazione è a dir poco problematica, perché tutti ammettono che i Vangeli furono scritti molti decenni dopo la vita di Gesù, e che non esiste alcun resoconto extrabiblico dei suoi miracoli. Ma la verità è ancora peggiore. La verità è che, se anche per le gesta di Gesù avessimo testimonianze multiple e contemporanee di testimoni oculari, ancora questo non fornirebbe una base sufficiente per credere che uno qualsiasi di quegli eventi sia avvenuto davvero. Perché no? Il motivo è che le testimonianze oculari di miracoli sono molto comuni anche oggi, nel ventunesimo secolo. Io ho incontrato letteralmente centinaia di persone educate in Occidente che credono che il loro guru induista o buddista preferito abbia poteri magici. I poteri che vengono attribuiti a questi guru sono tanto mirabolanti quanto quelli attribuiti a Gesù. Per la verità, io rimango aperto all'evidenza che questi poteri esistano. Ma il fatto è che le persone che raccontano queste storie desiderano disperatamente credervi. E tutte queste storie, per quanto ne so, sono prive di quel genere di evidenza corroborante che dovrebbe essere richiesta prima di credere che le leggi della natura siano state abrogate in un modo simile. E le persone che credono a queste storie mostrano una inquietante riluttanza a cercare spiegazioni non miracolose. Resta il fatto che si racconta che gli yogi e i mistici abbiano camminato sull'acqua, resuscitato i morti, volato senza l'aiuto della tecnologia, materializzato oggetti, letto il pensiero, predetto il futuro. E tutto questo viene raccontato oggi. Per esempio, tutti questi poteri sono stati attribuiti a Sathya Sai Baba, il guru dell'India del sud, da un numero enorme di testimoni oculari. Egli afferma persino di essere nato da una vergine, che non è un'affermazione così inusuale nella storia delle religioni, o nella storia in generale. Gengis Khan si dice essere nato da una vergine. Così Alessandro magno. A quanto sembra, la partenogenesi non garantisce che tu debba porgere l'altra guancia. Ma Sai Baba non è una figura marginale. Non è il David Koresh dell'induismo. Recentemente Sai Baba ha dato una festa di compleanno, e ci sono andati milioni di persone. Insomma, ci sono enormi quantità di persone che credono che egli sia un Dio vivente. Potete persino guardare alcuni suoi miracoli su youtube. Preparatevi a restare delusi. È vero che ha una capigliatura di diametro sufficiente da suggerire un distacco totale dalle altre persone, ma non sono sicuro che questa sia una ragione sufficiente per venerarlo.


In ogni caso considerate, come se fosse la prima volta, l'affermazione di fondo del cristianesimo. L'affermazione che alcune storie di miracoli, come quelle che vengono raccontate di Sai Baba, diventano particolarmente convincenti quando le collochiamo nel contesto religioso prescientifico dell'impero romano del primo secolo, decenni dopo il loro presunto verificarsi. Abbiamo storie di miracoli di Sai Baba testimoniate da migliaia e migliaia di testimoni oculari, e non meritano nemmeno un'ora sul Discovery Channel; ma metti qualche storia di miracoli in un libro antico, e la metà delle persone su questo pianeta pensano che sia un progetto legittimo intorno al quale organizzare la propria vita. Non c'è nessuno che vede un problema in tutto questo?

Parlando più in generale, il Cristianesimo, l'Ebraismo e l'Islam sono fondati sull'affermazione che la Bibbia e il Corano siano stati dettati dal creatore dell'universo. Cioè che esista un creatore dell'universo, e ogni tanto si diletti a scrivere libri. Non scrive software, non produce film... (credo che Mel Gibson, avendo scritto sotto l'influsso dello spirito Santo, sia un'eccezione...) Ma in ogni caso Dio principalmente scrive libri. E questa idea ha ottenuto credibilità perché il contenuto di questi libri viene ritenuto così profondo che non potrebbero mai essere il prodotto di una mente umana. Riflettete per favore su quanto poco plausibile sia ciò. Considerate quanto diversamente trattiamo i testi scientifici e le scoperte scientifiche. Nell'estate del 1665 Isaac Newton si rifugiò in isolamento per evitare una pestilenza che, tra parentesi, stava facendo strage delle persone pie d'Inghilterra; e quando uscì dalla sua solitudine aveva inventato il calcolo integrale e differenziale, aveva scoperto le leggi della gravitazione universale e del moto, ed aveva posto le basi per la scienza dell'ottica. Molti scienziati ritengono che questa sia la più stupefacente dimostrazione di intelligenza umana nella storia dell'intelligenza umana. Eppure nessuno è tentato di attribuire le sue conquiste a un atto divino. Sappiamo che questi risultati sono stati prodotti da un mortale --- e un mortale abbastanza sgradevole se è per questo. Eppure, letteralmente miliardi di noi ritengono che il contenuto della Bibbia e del Corano sia così profondo da escludere la possibilità che abbiano un autore terrestre. Ora, data l'ampiezza e la profondità dei risultati ottenuti dall'uomo, credo che questo sia una specie di miracolo di per sé; che sia il caso più eclatante di ammirazione data a sproposito. Sono serviti due secoli di scervellamento da parte di alcune delle persone più intelligenti mai vissute, per migliorare in modo significativo le conquiste di Newton. Ma quanto sarebbe difficile migliorare la Bibbia? Chiunque, in questo capannone, potrebbe migliorare questo testo presunto infallibile, dal punto di vista scientifico, etico, spirituale e storico, in pochi istanti. Considerate la possibilità di migliorare i dieci comandamenti. Questo potrebbe sembrare un obiettivo molto ambizioso, perché sono l'unico testo della Bibbia che Dio ha sentito il bisogno di scrivere personalmente, e sulla pietra. Considerate il secondo comandamento: "non erigere statue" [Il Vaticano l'ha abolito, perciò in Italia non è molto noto, NdM]. È davvero la seconda cosa più importante di tutte? La cosa su cui ammonire tutte le generazioni future di esseri umani? E' veramente questo il massimo che si può fare, nell'etica e nella spiritualità?

Ricordate quelle centinaia di migliaia di musulmani che si infuriarono sulle vignette? Che cosa li ha fatti arrabbiare tanto? Proprio questo. Il secondo comandamento. Tutto quel pio tumulto che è scoppiato, le ambasciate bruciate, l'uccisione delle suore... forse che tutto questo è stato una grande manifestazione di spiritualità? Oppure è stata solo un'incredibile stupidità medioevale? Beh, ora che ci penso, è stata incredibile stupidità medioevale. La verità è che, se sostituissimo quel comandamento con quasi qualunque altro precetto, miglioreremmo la saggezza della Bibbia. Che ne dite di "non maltrattare i bambini"? Oppure "non fingere di sapere cose che non sai"? E che dire di "non mangiare troppi fritti"? Potremmo davvero convivere con la proliferazione di statue che ne risulterebbe? Beh, credo che in qualche modo ci riusciremmo.

Io affermo che non c'è una persona sulla terra che abbia una buona ragione di credere che la Bibbia e il Corano siano il prodotto di un'intelligenza onnisciente. Eppure miliardi di persone affermano di sapere che sono la parola di Dio. Anzi il 78% della popolazione americana dice di sapere che la Bibbia è la parola di Dio. Il 70% dei laureati crede che la Bibbia sia la parola di Dio.

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Ora mettiamo da parte per un attimo la questione della verità delle affermazioni religiose. Il secondo modo di difendere la religione è dire che è utile, così utile che potrebbe essere necessaria. Anche questa linea di argomentazioni ha dei problemi. Il primo è che un completo non-sequitur. Anche se le credenze religiose fossero incredibilmente utili (e non dubito che in alcune circostanze lo siano)... ma anche se fossero utili in ogni situazione, tuttavia questo non sarebbe una ragione per credere che un Dio personificato esista davvero, o che la Bibbia sia la sua parola. Il fatto che alcune idee siano utili, o che ci diano delle motivazioni, o che diano significato alla vita... (come l'idea che Dio ha un progetto per me, o che tutto avviene per una ragione), o il fatto che queste idee siano consolatorie, non fornisce la minima ragione per credere che siano vere. Anzi, anche se avessimo ragioni scientifiche per credere che queste cose siano vere, il loro potere di consolarci non offrirebbe neppure una ragione ulteriore per credere che siano vere. Anche se tutti i cosmologi e i fisici si facessero avanti e dicessero "Amici, scusate il fraintendimento, ma si dà il caso che Dio esiste, e ha un progetto per te"... Ebbene, il fatto che molti di noi troverebbero tutto ciò consolatorio ci darebbe ulteriori ragioni per essere scettici, in termini scientifici. È per questo che in inglese abbiamo frasi come "autoinganno" ed "ottimismo ingiustificato" [wishful thinking]. È per questo che gli scienziati fanno studi di verifica "a due livelli di cecità", ove possibile. È per questo che sottomettono i loro dati allo scrutinio di altri colleghi. Se abbiamo mai fatto una conquista nella storia della razionalità, è capire che c'è una differenza profonda tra voler credere una cosa ed avere buone ragioni per credere una cosa.

Naturalmente, ci sono altre ragioni per dubitare dell'utilità della religione. E molte di esse sono annunciate quotidianamente dalle esplosioni di bombe. Quanto è utile che milioni di musulmani credano nella metafisica del martirio? quanto è utile che i sunniti e gli sciiti in Iraq abbiano divergenze religiose così sentite? Quanto è utile che così tanti coloni ebrei credano che il creatore dell'universo abbia promesso loro un fazzoletto di terra nel Mediterraneo? Quanto è stata utile l'ossessione cristiana verso il sesso, in queste ultime 70 generazioni?

Coloro che confondono l'utilità è la verità, nel difendere la religione, affermano di solito che la religione fornisce la fondazione più affidabile per la moralità. Di nuovo, prima che di cominciare a giudicare questa affermazione, per favore notate che è un non-sequitur. Anche se la religione rendesse morali le persone, questa non sarebbe evidenza che Dio esiste, o che Gesù sia suo figlio, né che sia vera qualsiasi dottrina specifica a cui le persone sono attaccate. Infatti, ogni religione potrebbe funzionare come un placebo: potrebbe essere estremamente utile e allo stesso tempo completamente vuota di contenuto.

Ma parliamo per un attimo del presunto collegamento tra la moralità e la religione. A me sembra che la religione dia alle persone ragioni cattive per essere buoni, mentre sono ampiamente disponibili buone ragioni per essere buoni. Chiedetevi questo: che cosa è più morale? Aiutare i poveri, sfamare gli affamati, difendere i deboli, perché siete preoccupati per loro, oppure aiutarli perché lo vuole il creatore dell'universo? La verità è che le persone non hanno bisogno della minaccia della dannazione eterna per amare i propri figli, per amare i propri amici, per collaborare con estranei, o persino per comprendere che aiutare gli estranei può essere una delle maggiori fonti di felicità.

E che razza di moralità è, quella che si fonda sul desiderio interessato di evitare la dannazione? Sembra mancare della condizione essenziale per la moralità, cioè l'empatia reale e sincera verso il benessere delle altre persone. Ma certamente è possibile insegnare ai nostri bambini a provare questa empatia, a sviluppare la compassione, senza per questo mentire a noi stessi, o a loro, circa la natura dell'universo. Senza fingere di sapere cose che non sappiamo. Puoi insegnare a tuo figlio la Regola d'Oro [non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te] come precetto etico elevatissimo, senza però fingere di sapere che Gesù è nato da una vergine.

Vale anche la pena di osservare che le società più atee del nostro pianeta, come la Svezia, la Danimarca e l'Olanda, sono anche le più morali, sotto qualunque criterio. Hanno tassi di crimini violenti molto più bassi, e sono più generosi, sia verso la loro stessa popolazione, sia verso il mondo in via di sviluppo, su una base pro-capite. Gli svedesi, che si sono opposti alla guerra in Iraq, ciononostante hanno accolto più profughi iracheni nei loro confini di qualunque altro paese, e molti di più rispetto agli Stati Uniti. Quindi se cercate un paese che sia il modello della carità cristiana, le società più atee si adattano di più a questo modello rispetto alle società più cristiane.

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Che dire dell'affermazione che noi deriviamo la nostra moralità dalle Scritture? Prima di tutto, chiaramente noi non otteniamo i nostri impulsi morali di base dalle Scritture, perché questi istinti si manifestano molto presto nella vita: gli infanti cercano spontaneamente di confortare qualcuno che sembra triste.

Inoltre, noi chiaramente non
apprendiamo che la crudeltà è sbagliata leggendo la Bibbia o il Corano; perché se voi provaste a leggere questi libri vi trovereste davanti una infinita celebrazione della crudeltà. Questi libri trasudano celebrazioni di ogni genere di crudeltà, sia da parte degli uomini che da parte di Dio. Il Dio della Bibbia odia la sodomia, e vi ucciderà se la praticate... però apprezza molto qualche occasionale sacrificio umano. Quantomeno possiamo dire che ha le idee un po' confuse sulle priorità. Nel Vecchio Testamento ci troviamo davanti al comportamento più immorale che si possa immaginare: genocidio, pulizia etnica, schiavizzazione sessuale, omicidio di bambini, rapimento. Tutte queste cose non solo sono permesse da Dio, ma addirittura sono comandate da Dio. Se non ci credete, rileggete l'Esodo, Il Levitico, il Deuteronomio, il secondo Samuele, i Numeri, il primo e secondo dei Re, e Zaccaria. In questi libri viene celebrato il comportamento più immorale. Se questi eventi avvenissero nel nostro tempo, la metà dei profeti e dei re d'Israele sarebbero ammanettati e processati per crimini contro l'umanità. Compreso Mosé per avere sterminato i Medianiti. Compreso Giosuè per avere sterminato i Malachiti; compreso Elia per aver sterminato i profeti di Baal. Questi uomini, per i nostri standard odierni, sarebbero considerati degli psicopatici totali. Come lo era Abramo (come ha recentemente notato Christopher Hitchens) per aver portato suo figlio Isacco a fare quella "passeggiata lunga e tenebrosa".

A questo punto potreste chiedervi: che dire dei dieci comandamenti? Che dire di "non uccidere"? Il problema è che i dieci comandamenti ci danno semplicemente altre ragioni per uccidere. Infatti, che cosa devi fare quando il tuo migliore amico infrange il comandamento lavorando di sabato? O quando erige un'immagine divina? O quando pronuncia il nome di Dio invano? Lo devi uccidere. E se non sei disposto a ucciderlo, i tuoi vicini devono uccidere te. E' questo che c'è scritto. E' veramente il miglior libro che abbiamo sulla moralità? E' anche soltanto un buon libro?


Fortunatamente, oggi la maggior parte degli ebrei e dei cristiani sceglie di ignorare la "moralità" che viene comandata nel vecchio testamento. E razionalizza la barbarie che troviamo in quei libri dicendo che "questo precetto era appropriato in quell'epoca. Era appropriato nel mondo antico". In altre parole, i canaaniti erano così selvaggi che fare una lista breve di ragioni per uccidere i tuoi simili, e attenersi attentamente a questa lista, era già un miglioramento rispetto alla barbarie generale dell'epoca. [Il pubblico ride.] No, non era affatto un miglioramento. Era già completamente alla portata delle persone dell'epoca il concetto che uccidere qualcuno per aver commesso adulterio è una cosa sbagliata. Budda era riuscito benissimo a capirlo. Mahavira, il patriarca dei giainisti, ci era riuscito. Numerosi filosofi greci ci erano riusciti. Quindi, gli ebrei e i cristiani stanno semplicemente mentendo a se stessi, quando raccontano dei presunti impedimenti alla morale che prevalevano nel quinto secolo a.C.

E l'altra cosa da notare è che, anche se riuscissimo a razionalizzare la barbarie che troviamo nel vecchio testamento, ciò renderebbe questi libri al massimo irrilevanti; in nessun modo li renderebbe saggi. E' davvero un complimento molto debole, se la cosa migliore che riesci a dire delle Scritture è che oggi si possono ignorare senza pericolo.

Ora, nonostante ciò che dicono i cristiani, il Nuovo Testamento non è così buono da trasformare la Bibbia in una base affidabile per la moralità. Anzi, la maggior parte del Nuovo Testamento è imbarazzante per chiunque cerchi di difenderne la moralità, e ancora di più per chi sostiene che sia un libro perfetto dal punto di vista morale. Questo è maggiormente evidente verso la questione della schiavitù. La verità è che la Bibbia nella sua totalità, compreso il Nuovo Testamento, sostiene la schiavitù. Se c'è una cosa su cui oggi siamo tutti d'accordo, in termini etici, è che la schiavitù è una cosa cattiva. Ma in nessun posto della Bibbia questo male viene riconosciuto, e men che meno ripudiato. Gli schiavisti del sud si trovavano dalla parte del giusto, teologicamente parlando. E lo sapevano. Non hanno mai smesso di dirlo. Il massimo che Dio dice nel vecchio testamento è che non dobbiamo picchiare i nostri schiavi tanto forte da ferirli agli occhi o far saltare loro i denti; o di non colpirli col bastone tanto forte da farli morire sul colpo. Se muoiono dopo un giorno o due, nessun problema. Credo sia ovvio che non è questo il genere di precetto morale che ci ha permesso di liberarci della schiavitù negli Stati Uniti.

Oppure considerate il comportamento verso le donne. Per millenni, i grandi teologi e profeti delle nostre religioni hanno riflettuto sulla questione delle donne; e il risultato, in vari luoghi e tempi, quale è stato? Vedove bruciate vive, omicidi d'onore, mutilazioni genitali, un'ossessione morbosa per la verginità, ed altre forme di abuso fisico e psicologico, così variegati e caleidoscopici che è difficile persino elencarli.

Ora, io non ho dubbi che gran parte di questa malvagità sessista sia nata prima della religione, e può essere imputata alla nostra biologia. Ma non c'è dubbio che la religione ratifica e rende sacrosante alcune attitudini verso le donne che sarebbero impensabili in una scimmia brachiale. L'uomo è stato fatto a immagine di Dio, la donna è stata fatta a immagine dell'uomo. Questo secondo il giudaismo, il cristianesimo e l'islam. Quindi l'umanità della donna è un'umanità derivata, è ersatz. Il Vecchio Testamento valuta il valore della vita di una donna tra la metà e i due terzi di quella di un uomo. Il Corano dice che occorre la testimonianza di due donne per compensare la testimonianza di un uomo. E che ogni donna ha diritto alla metà dell'eredità che spetta a suo fratello maschio. Il dio biblico è stato chiarissimo sul fatto che una donna deve vivere in uno stato di soggiogamento assoluto al proprio padre; fino al momento in cui è costretta a fornire il servizio matrimoniale ai suoi mariti. E il Nuovo Testamento non offre nessuna ritrattazione di ciò; San Paolo l'ha ribadito nella sua lettera agli Efesini: "mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come lo siete al Signore. Perché il marito è il capo della moglie come Cristo è il capo della Chiesa. Come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni situazione.".

Il Corano trasmette lo stesso messaggio. E nella maggior parte delle traduzioni dice che le mogli disobbedienti devono essere frustate o picchiate. Il saggio dell'11mo secolo, Al Ghazzali, forse il più influente musulmano dopo Maometto, descrive i doveri della donna in questo modo: deve restare a casa e adempiere alla tessitura; non deve uscire spesso di casa; non deve essere bene informata; né comunicare troppo coi propri vicini; e far loro visita solo quando assolutamente necessario; deve occuparsi di suo marito e rispettarlo in sua presenza e in sua assenza, e cercare di soddisfarlo in tutto. Non deve lasciare la casa senza il suo permesso, e se ottiene il permesso deve uscire senza farsi riconoscere: deve indossare vestiti vecchi, e camminare in strade deserte e vicoli; evitare i mercati, assicurarsi che degli stranieri non sentano la sua voce o la riconoscano; non deve parlare a un amico di suo marito neppure se ne ha bisogno. La sua sola preoccupazione dovrebbe essere la propria virtù, la propria casa, la propria preghiera e il proprio digiuno. Se un amico di suo marito chiama quando lui è assente, non deve aprire la porta, o rivolgersi a lui, allo scopo di salvaguardare se stessa e l'onore del proprio marito. Deve accettare come sufficienti le prestazioni sessuali che il marito le dà; e deve essere pulita e pronta a soddisfare il bisogno sessuale del marito in ogni momento.

Ora pensate per un attimo alla vita meravigliosa delle donne in afghanistan sotto i talebani; o ai milioni di donne che ancora oggi sono costrette a indossare il velo sotto l'islam; o che sono costrette a matrimoni forzati con uomini che non hanno mai incontrato; e vi renderete conto che questo tipo di credenze religiose hanno conseguenze reali.

L'effetto netto della religione, specialmente nella tradizione di Abramo, è stato di demonizzare la sessualità femminile, e dipingere le donne come inferiori all'uomo intellettualmente e moralmente.

Si immagina che ogni donna mantenga nelle sue mani l'onore dell'uomo, e possa rovinarlo con uno sguardo. O distruggerlo del tutto con un'indiscrezione sessuale. In questo contesto, lo stupro è in realtà un crimine commesso da un uomo contro un altro uomo. La donna è solo un veicolo della vergogna. Ed è spesso incolpata di aver adescato l'uomo, essendo tutta vezzi e ammiccamenti e inganni. Nel Vecchio Testamento, deuteronomio 22, Dio dice che se una donna non urla abbastanza forte quando viene stuprata, ella deve essere lapidata a morte, avendo contribuito alla propria vergogna.

Non si scappa alla visione, nella bibbia e corano, che le donne sono state messe sulla terra per servire l'uomo, per tenere ordinate le case dell'uomo, e per fare da incubatrici ai suoi figli. Questo è un fatto che non si può davvero mettere in discussione. Se mai raggiungeremo una civiltà globale che davvero dia valore ed onori i diritti e le capacità delle donne, non sarà perché avremo dato più attenzione ai nostri libri sacri.

Quindi, per riassumere, l'affermazione di fondo che noi deriviamo la nostra moralità dalla religione è chiaramente falsa.

L'affermazione che siamo l'unica specie ad avere impulsi morali è anch'essa falsa. Chiaramente la nostra capacità di cooperare tra di noi può essere spiegata in termini evoluzionistici. Gli scimpanzè, con cui condividiamo il 99% del nostro DNA, percepiscono le rispettive vite emotive come importanti, tanto quanto noi. Sono motivati a riconciliarsi dopo le dispute. Cercano di confortarsi l'un l'altro. Degli scimpanzè sono addirittura morti nel tentativo di salvare altri scimpanzè dall'affogare. Regiscono negativamente alle situazioni che percepiscono come ingiuste, come una distribuzione del cibo disuguale. Dato quanto sono precarie le vite di tutti i primati, non è sorprendente che l'evoluzione abbia selezionato una grande varietà di preoccupazioni morali, ed istinti sociali. Le persone religiose hanno ragione a credere che la nostra moralità non è soltanto un prodotto della cultura: è davvero profondamente radicata in noi [nella nostra storia evolutiva, NdM]. E chiaramente la moralità è molto rafforzata dalla nostra capacità di parlare e scrivere: il linguaggio ci dà la capacità di estendere il nostro orizzonte morale oltre la famiglia e i parenti, e anche oltre la nostra specie. Ma il linguaggio rafforza anche la nostra potenzialità di malvagità e stupidità: siamo l'unica specie capace di bloccare la ricerca medica che può salvare delle vite; di demonizzare gli omosessuali; e di far schiantare degli aerei contro edifici, a causa di ciò che ci raccontiamo su Dio.

La verità è che siamo noi a decidere cosa è buono e cosa è cattivo nei nostri libri sacri, dal punto di vista morale. Ad esempio, noi leggiamo la Bibbia, e vediamo che il Levitico dice che, se una donna non è vergine la notte del matrimonio, bisogna ucciderla con la lapidazione, sulla porta di casa di suo padre. Allora, noi scegliamo di rifiutare questa antica perla di saggezza. E poi scegliamo di osservare la Regola d'Oro [perché la riteniamo buona]. Ma allora il garante della nostra moralità è nel nostro cervello, non nei nostri libri.

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Finora ho parlato dei problemi nell'affermazione che la religione è vera, e nell'affermazione che la religione è utile. Il terzo modo di difendere Dio è sostenere che l'ateismo è dogmatico, intollerante, o comunque degno di disprezzo. Come ho sostenuto nel mio secondo libro, Lettera a una Nazione Cristiana, la parola "ateo" è una parola di cui non abbiamo bisogno. Per lo stesso motivo per cui non abbiamo bisogno di una parola per descrivere un non-astrologo. [Il pubblico ride.] Sapete, non abbiamo siti internet per non-astrologi. Non ci sono gruppi di discussione per non-astrologi. Nessuno si sveglia la mattina col bisogno di ricordare a se stesso di essere un non-astrologo. L'ironia è che "ateismo" è una parola completamente vuota di significato. Non è una posizione filosofica. Tutte le persone religiose sono atee, rispetto alla religione di qualcun altro. Siamo tutti atei, rispetto alle migliaia di dei morti e sepolti in quella pagliacciata che chiamiamo mitologia. Pensiamo a Thor, Iside e Zeus. Questi erano una volta dèi molto in voga tra i nostri antenati. Oggi tutti li rifiutano. (Veramente non tutti: a volte mi arrivano email astiose da persone che credono davvero in Zeus e Poseidone, ma questa è un'altra storia.) Ma soprattutto, ogni cristiano rifiuta la affermazioni dell'islam, tanto quanto le rifiuto io. I musulmani affermano di avere il mondo perfetto del Creatore dell'universo. Perché credono questo? Perché è scritto nel libro. Mi spiace, non è sufficiente. Quindi questa parola "ateismo" è veramente fuorviante. In realtà stiamo parlando di precise affermazioni sul mondo, e dell'evidenza per credere che siano vere. O meglio mancanza di evidenza.

Ora, che dire dell'accusa che l'ateismo è dogmatico? Diciamolo chiaramente: gli ebrei, i cristiani e i musulmani affermano che i loro libri sacri sono così profondi, così profetici nel prevedere i bisogni dell'umanità, che potrebbero essere stati scritti solo da un essere onnisciente. Un ateo è semplicemente una persona che ha preso in considerazione questa affermazione, ha letto quei libri, ed ha concluso che l'affermazione in questione è ridicola. Questo non è dogmatismo, perché non è necessario credere alcunché senza evidenza sufficiente, per poter rifiutare il dio biblico. Quale dogma abbiamo abbracciato, quando abbiamo deciso di non considerare Apollo e Zeus nella nostra vita? Sarebbe forse "dogmatico" dubitare che l'Iliade e l'Odissea siano state dettate dal creatore dell'universo? L'ateo sta semplicemente dicendo, come disse Carl Sagan, che "le affermazioni straordinarie richiedono evidenza straordinaria". [E' l'esatto opposto del dogmatismo.] Se c'è un antidoto per il dogmatismo, è proprio questo.

C'è un'accusa correlata che dice che gli atei, e in generale gli scienziati, sono arroganti. Questo è piuttosto ironico. La verità è che, quando uno scienziato non sa qualcosa (come perché l'universo ha avuto origine, o come si è formata la prima molecola replicatrice sulla terra), tende ad ammetterlo. Fingere di sapere cose che non sai è un disonore gravissimo in ambiente scientifico. Vieni punito se lo fai. E piuttosto in fretta. Ma fingere di sapere cose che non sai è l'essenza stessa della religione, la quale si basa sulla fede. Questa è davvero un'ironia profonda: sentiamo le persone religiose che si lodano continuamente per la propria umiltà, mentre allo stesso tempo fanno affermazioni sulla cosmologia, la chimica, la fisica, e la paleontologia, che nessuno scienziato si permetterebbe mai di fare. Chiunque consideri la Genesi come un resoconto attendibile della creazione, o anche solo minimamente informativo, sta sostanzialmente dicendo a persone come Stephen Hawking: "Stephen, sei una personcina intelligente, e vedo tante belle equazioncine sul tuo quaderno, ma non sai abbastanza di cosmologia. Vedi, qui c'è scritto che Dio ha fatto questo in sei giorni, si è riposato il settimo giorno... e non mi sembra che tu abbia afferrato le sottigliezze e le sfumature del resoconto biblico.". Tutto questo sarebbe anche divertente, se non avesse un effetto così disastroso sulla nostra politica pubblica: sta davvero ostacolando la ricerca medica e l'insegnamento della scienza in questo Paese. Il 30% degli insegnanti di biologia liceali negli Stati Uniti non menziona neppure l'evoluzione, per la paura dell'isterismo religioso che evoca nei loro studenti, e nei genitori degli studenti. Ricordiamo tutti il recente dibattito presidenziale, dove tre candidati repubblicani alla presidenza hanno solennemente alzato la mano, per affermare che non credevano nell'evoluzione. E non c'è stata alcuna domanda successiva. Questo è imbarazzante. Ed ogni tot mesi l'articolo di fondo del New York Times pubblica una difesa di questo genere di ignoranza. Non c'è dubbio che questo stia erodendo la nostra reputazione agli occhi del resto del mondo sviluppato. E non è arrogante o dogmatico farlo notare. Mi sembra che la nostra onestà intellettuale sia in una situazione in cui vive o muore.

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Gli atei vengono anche accusati di credere che non esista niente al di là della vita umana e della comprensione umana. La verità è che gli atei non hanno problemi ad ammettere che c'è una gran parte dell'universo che non comprendiamo. E' ovvio che non comprendiamo l'universo. Ma è ancora più ovvio che né la Bibbia né il Corano riflettono il nostro miglior livello di comprensione dell'universo. Potrebbe esserci vita su altri pianeti; vita complessa, civiltà tecnicamente evolute; immaginate soltanto una civiltà antica un milione di anni, anziché solo qualche migliaio. Gli atei sono liberi di immaginare questa possibilità. Sono anche liberi di ammettere che, se mai esistessero questi brillanti extraterrestri, la Bibbia e il Corano sembrerebbero loro ancora più deludenti di quanto sembrino agli atei umani.

Si immagina spesso che gli atei si oppongono per principio alle esperienze spirituali. Ma la verità è che non c'è niente che impedisca a un ateo di sperimentare un amore trascendente, o estasi, o trasporto spirituale, o stupore mistico. Non c'è niente che impedisca a un ateo di entrare in una caverna per un anno, o dieci anni, e praticare la meditazione, come un vero mistico. Quello che invece l'ateo non tende a fare, è fare affermazioni ingiustificate ed ingiustificabili sull'universo, sulla base di quelle esperienze spirituali.

Non c'è dubbio che discipline come la meditazione e la preghiera possono avere un effetto profondo sulla mente umana. Ma le esperienze spirituali dei mistici cristiani nella storia suggeriscono forse che Gesù sia il salvatore dell'umanità? Nemmeno lontanamente. Perché è vero che i cristiani hanno queste esperienze, ma le hanno anche i buddisti, i musulmani, e perfino gli atei. Quindi siamo di fronte a una realtà più profonda, che di per sé ridicolizza le denominazioni religiose. La verità è che, ogni qual volta un essere umano fa uno sforzo onesto per raggiungere la verità, regolarmente trascende i confini accidentali posti dalla propria nascita e dalla propria cultura. Ad esempio, sarebbe assurdo parlare di una "fisica cristiana", sebbene i cristiani abbiano inventato la fisica. E sarebbe assurdo parlare di "algebra musulmana", sebbene i musulmani abbiano inventato l'algebra. Ed un giorno sarà assurdo parlare di etica cristiana e musulmana, o di spiritualità cristiana o musulmana. Se c'è qualcosa di vero nelle nostre circostanze, in termini etici e spirituali, allora deve essere scopribile adesso; e si può di certo articolare senza contraddire tutto quello che siamo giunti a comprendere finora della natura dell'universo. E, di certo, questo si può fare senza fare affermazioni che causano divisioni tra le persone, come ad esempio affermare che certi libri abbiano una sacralità esclusiva; e senza sminuire queste meravigliose caratteristiche della nostra vita riconducendole a voci di antichi miracoli.

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Infine, c'è questa accusa che l'ateismo sia responsabile dei peggiori crimini del ventesimo secolo. E' un'obiezione davvero incredibile per me, ma è la più frequente. E' sorprendente quante persone pensano che i crimini di Hitler, Pol Pot, Mao, [Stalin], siano il risultato dell'ateismo. La verità è che questa è una mistificazione completa di quello che veramente accadeva in quelle società, e delle forze psicologiche e sociali che hanno permesso alle persone di seguire i loro amati leader in quel percorso. Il problema del fascismo e del comunismo non è affatto che erano troppo critici verso la religione. Il problema è che erano troppo simili a una religione. Sono due sistemi di pensiero incredibilmente dogmatici. Recentemente ho partecipato a un dibattito con Rick Warren sulle pagine del Newsweek, e lui ha suggerito che la Corea del Nord fosse il modello della società atea; e che ogni ateo con il coraggio delle proprie convinzioni dovrebbe andare a vivere là. La verità è che la Corea del Nord è organizzata esattamente come un culto basato sulla fede, centrato intorno alla venerazione di Kim Jong Il. I nord-coreani sembrano credere che le spedizioni di cibo, che noi mandiamo loro per non farli morire di fame, siano in realtà offerte votive per Kim Jong Il. Qualcuno crede ancora che il problema della nord-corea sia la troppa poca fede? Davvero qualcuno crede che il problema della Nord-Corea sia un eccesso di indagine scettica?

Auschwitz, i Gulag, e i campi di sterminio non sono il prodotto dell'ateismo. Sono il prodotto di altri dogmi, che sono andati fuori controllo. Il nazionalismo, dogma politico. Hitler non ha ideato il genocidio in Europa a causa dell'ateismo. Anzi Hitler non sembra neppure essere stato ateo: invocava regolarmente Gesù nei suoi discorsi. Ma non è questo il punto. Egli agiva sulla base di altre credenze: dogmi sul giudaismo, sulla purezza della razza germanica...

La storia della jihad musulmana, invece, ha molto a che fare con l'islam. Le atrocità dell'11 settembre hanno molto a che fare con ciò che quei 19 uomini credevano sull'aldilà, sul martirio e il paradiso.

Il fatto che noi non stiamo finanziando la ricerca sulle cellule staminali a livello federale ha molto a che fare con ciò che i cristiani credono, circa il concepimento e l'anima umana. E' molto importante saper individuare le conseguenze specifiche di certe specifiche idee.

Voglio essere molto chiaro: io non sto dicendo che la religione è responsabile per ogni cosa cattiva che una persona religiosa ha fatto nella storia, da bilanciare contro tutte le cose cattive che gli atei hanno fatto. Sto dicendo solo che la religione è responsabile per ciò che le persone hanno fatto, e continueranno a fare, per ragioni esplicitamente religiose.

[Quindi la risposta da dare a chi accusa l'ateismo delle atrocità compiute dai regimi totalitari è questa:] non c'è alcuna società nella storia dell'umanità che abbia mai sofferto perché la sua popolazione è diventata troppo ragionevole; troppo riluttante ad abbracciare un dogma; troppo esigente nel chiedere evidenza.

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In conclusione, credo che la civiltà in questo secolo stia passando attraverso una specie di collo di bottiglia, formato da un lato dalla tecnologia distruttiva del 21mo secolo, e dall'altro da una superstizione degna dell'età del ferro. E noi supereremo questo collo di bottiglia in modo più o meno doloroso, oppure ci autodistruggeremo. Forse questo timore vi sembra eccessivo, ma la verità è che le civiltà terminano. Anzi, praticamente ogni civiltà nella storia umana termina. Avviene continuamente nel corso della storia. Alcune generazioni sfortunate hanno dovuto assistere alla distruzione di tutto quello che loro, e i loro antenati, avevano costruito. Noi siamo parte della storia. Non c'è alcuna garanzia. Le cose possono andare spettacolarmente male per noi. Anzi, in molte comunità religiose c'è un articolo di fede che dice che le cose finiranno spettacolarmente male, e che ciò è bene. Di chi sto parlando? Il 79% degli americani crede che Gesù scenderà giù dalle nuvole, e risolverà tutti i nostri problemi con i suoi poteri magici, ad un certo punto nella storia. Il 20% degli americani afferma di essere sicuro che ciò avverrà nell'arco della propria vita. Questo è esattamente il tipo di mentalità che non ci aiuta. E credo sia abbastanza ovvio che le profezie che annunciano la fine del mondo potrebbero auto-avverarsi.

Nell'unicità di questa situazione, anche la crescita della tecnologia non dovrebbe essere ignorata. Non solo la tecnologia progredisce, ma aumenta anche la rapidità del progresso stesso. Alcuni futuristi come Ray Kurzweil hanno detto che la rapidità raddoppia ogni dieci anni. Quindi se prendiamo come unità di misura la frequenza con cui la tecnologia progrediva nell'anno 2000, allora il ventesimo secolo corrisponde a 20 anni di cambiamento. Ora siamo nel processo di fare altri 20 anni di cambiamenti in circa 14 anni. Poi saranno 7, poi tre e mezzo, e così via. Se questa rapidità continua, il 21mo secolo non rappresenterà 100 anni di progresso tecnologico, ma ventimila anni. Ventimila anni fa, degli esseri umani praticamente uguali a noi, con un cervello delle stesse dimensioni, e la stessa capacità biologica di pensare creativamente, erano rimasti praticamente immobili per almeno 100.000 anni. E non avevano prodotto niente di più complicato che arco e frecce. In 20.000 anni, siamo passati da arco e frecce a Internet. Immaginate un cambiamento della stessa entità in un solo secolo. Ma cerchiamo di essere più conservativi possibile: immaginiamo che in questo secolo si verifichi solo una quantità di progresso pari al secolo precedente. Persino questa prospettiva è agghiacciante, se vi rendete conto di che genere di persone avranno accesso a questo tipo di tecnologia. Guardate quanto Internet ha facilitato il movimento globale della jihad tra i musulmani. Guardate quanto si sta dimostrando difficile fermare la proliferazione di armi nucleari. Quindi, se accettiamo la premessa del tutto ragionevole che è più facile distruggere qualcosa che ripararla, o difenderla, la crescita della tecnologia è agghiacciante per il modo in cui sta interagendo con la religione. E questo vale specialmente in un mondo che si è diviso in fazioni religiose e morali in competizione tra loro. E specialmente tra comunità che credono che la morte sia un'illusione; che questo mondo esista solamente per essere consumato dalla furia di Dio; e che la distruzione di ogni bene tangibile sarà essa stessa il bene più grande, perché sarà una via di accesso all'eternità. Queste sono idee esplicitamente religiose, prive di qualunque sostegno fattuale, eppure sono incredibilmente diffuse. Credo che sia responsabilità di tutti contribuire a rompere quest'incantesimo. Grazie mille.

lunedì 14 gennaio 2008

L'istinto morale, di Steven Pinker


Questa è la prima metà della traduzione dell'articolo "l'istinto morale" di Steven Pinker. L'articolo originale in inglese si trova qui. Pinker è uno scienziato linguista e cognitivista autore tra l'altro dei libri "Come funziona la mente" e "Tabula rasa".

Per chi fosse particolarmente interessato a questo argomento, vedere anche qui.


L'istinto morale

Quale delle seguenti persone considerate più degna di ammirazione: madre Teresa, Bill Gates oppure Norman Borlaug? E quale la meno degna? Per la maggior parte della gente si tratta di una domanda facile. Madre Teresa, famosa per essersi presa cura dei poveri a Calcutta, è stata beatificata dal Vaticano, ha ricevuto il premio Nobel per la pace ed è stata classificata in un sondaggio americano come la persona più ammirata del ventesimo secolo. Bill Gates, famigerato per averci donato la graffetta animata Clippy e lo schermo blu della morte, è stato decapitato graficamente nei siti Web "odio Gates" e colpito con una torta in faccia. Per quanto riguarda Norman Burlaugh... chi cavolo è Norman Borlaug?

Eppure uno sguardo più attento potrebbe portarvi a ripensare le vostre risposte. A Borlaug, il padre della "rivoluzione verde" che ha usato la scienza dell'agricoltura per ridurre la fame nel mondo, è stato riconosciuto di aver salvato un miliardo di vite, più di qualunque altra persona nella storia. Gates, nel decidere cosa fare con la sua fortuna, ha calcolato che il modo con cui poteva alleviare più sofferenza era combattere le afflizioni di tutti giorni nel mondo sottosviluppato, come malaria, diarrea e parassiti. Madre Teresa, da parte sua, esaltava la virtù della sofferenza ed amministrava le sue ben finanziate missioni in base a questo principio: ai suoi malati venivano offerte molte preghiere ma condizioni durissime, pochi analgesici e cure mediche pericolosamente primitive.

Non è difficile vedere perché la reputazione morale di questo trio debba essere così lontana dal bene che hanno fatto. Madre Teresa era la personificazione stessa della santità: vestita di bianco, con gli occhi tristi, ascetica e spesso fotografata assieme ai reietti. Gates è il secchione dei secchioni nonché l'uomo più ricco del mondo, con tante probabilità di entrare in paradiso quante il proverbiale cammello di entrare nella cruna di un ago. E Borlaug, che ora ha 93 anni, è un agronomo che ha speso la maggior parte della sua vita in laboratori e associazioni senza scopo di lucro, entrando raramente sotto i riflettori dei media, e quindi nella nostra coscienza.

Dubito che questi esempi persuaderanno chiunque a preferire Bill Gates a madre Teresa in quanto a santità. Ma mostrano che le nostre attenzioni possono essere attirate da un'aura di santità, distraendoci da un'analisi più obiettiva delle azioni che fanno soffrire o star bene le persone. Sembra che siamo vulnerabili ad illusioni morali che sono l'equivalente etico delle illusioni ottiche che si trovano nei libri di psicologia e nelle scatole di cereali, dove alcune linee sembrano incurvarsi ed ingannano l'occhio. Le illusioni sono uno strumento molto usato dagli scienziati della percezione per rivelare il funzionamento dei cinque sensi, e dai filosofi per farci abbandonare l'ingenua convinzione che la nostra mente ci offra una fotografia attendibile del mondo (poiché se i nostri occhi possono essere ingannati da un'illusione, perché dovremmo fidarci di loro in altri momenti?). Oggi un nuovo settore scientifico sta usando le illusioni per smascherare un sesto senso, il senso morale. Le intuizioni morali vengono estratte dai soggetti in laboratorio, su siti Web o con scanner cerebrali, e vengono spiegate con strumenti provenienti dalla teoria dei giochi, dalla neuroscienza e della biologia evoluzionistica.

"Due cose riempiono la mente di ammirazione e stupore, sempre più forti man mano che ci riflettiamo sopra" scrisse Immanuel Kant "il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi". Al giorno d'oggi, la legge morale viene guardata con stupore sempre maggiore, sebbene non sempre con ammirazione. Il senso morale umano si rivela essere un organo di complessità notevole, con piccole stranezze che riflettono la sua storia evolutiva e il suo fondamento neurobiologico.

Queste stranezze sono destinate ad avere implicazioni per i predicamenti umani. La moralità non è solo un argomento come un altro in psicologia ma è vicina alla nostra concezione del significato della vita. La bontà morale è ciò che ci fa sentire esseri umani degni di questo nome. La cerchiamo nei nostri amici e compagni, cerchiamo di impartirla ai nostri figli, la esponiamo nella nostra politica e la giustifichiamo con la nostra religione. La colpa dei peccati di tutti giorni e delle peggiori atrocità della storia viene attribuita a una mancanza di rispetto per la moralità. Per sopportare questo peso, il concetto di moralità dovrebbe essere più grande di ciascuno di noi e al di fuori di ciascuno di noi.

Quindi indagare sulle intuizioni morali non è una questione da poco. Se la moralità è semplicemente un'illusione del cervello, alcuni temono che possano crollare le stesse fondamenta dell'essere morali. Eppure, come vedremo, la scienza del senso morale può al contrario rafforzare queste basi, chiarendo cosa è la moralità e come dovrebbe guidare le nostre azioni.

L'interruttore della moralizzazione

Il punto di partenza per rendersi conto che la nostra psicologia morale ha qualcosa di unico è notare come i giudizi morali differiscano dagli altri tipi di opinioni che abbiamo di come le persone dovrebbero comportarsi. La moralizzazione è uno stato psicologico che si può accendere e spegnere come un interruttore, e, quando è acceso, il nostro pensiero è guidato da una mentalità molto particolare. È la mentalità che ci fa qualificare alcune azioni come immorali ("uccidere è sbagliato") piuttosto che semplicemente non condivisibili (odio i cavoletti di Bruxelles), sconvenienti (il doppio petto è fuori moda) o imprudenti ("non grattarti le punture di zanzara").

Il primo segno distintivo della moralizzazione è che le regole da essa invocate vengono percepite come universali. La proibizione dello stupro e dell'omicidio, ad esempio, vengono percepite non come questioni di costume locale ma come qualcosa che deve essere garantito universalmente e oggettivamente. Uno può facilmente dire "non mi piacciono i cavoletti di Bruxelles, ma non ho alcun problema se tu li vuoi mangiare" ma nessuno direbbe "non mi piace uccidere, ma non ho problemi se tu uccidi qualcuno".

L'altro segno distintivo è che le persone sentono che coloro che commettono atti immorali meritano di essere puniti. Non solo è lecito infliggere dolore in una persona che ha rotto una regola morale; addirittura è sbagliato non farlo, cioè "lasciare che la faccia franca". Le persone quindi non hanno alcun problema ad invocare la retribuzione divina o il potere dello Stato per infliggere un danno ad altre persone che ritengono immorali. Scrisse Bertrand Russell: "Poter infliggere dolore con la coscienza pulita è una cosa che manda in visibilio i moralisti -- ecco perché hanno inventato l'inferno".

Sappiamo tutti cosa si prova quando scatta dentro di noi l'interruttore della moralizzazione -- il senso di essere nel giusto, il bruciore dell'ingiustizia, l'impulso di reclutare altre persone nella nostra causa. Lo psicologo Paul Rozin ha studiato questo interruttore confrontando due tipi di persone che assumono lo stesso comportamento ma con diverse motivazioni per azionare l'interruttore. Quelli che sono vegetariani a scopo di salute evitano la carne per ragioni pratiche, come abbassare il colesterolo ed evitare le tossine. I vegetariani morali evitano la carne per ragioni etiche: per evitare di essere complici nella sofferenza degli animali. Investigando i loro sentimenti circa l'atto di mangiare carne, Rozin ha mostrato che l'obiettivo morale mette in azione una catena di opinioni. I vegetariani morali hanno più probabilità di trattare la carne come un contaminante -- ad esempio si rifiutano di mangiare una zuppa in cui è caduta una goccia di brodo di carne. Hanno una probabilità maggiore di pensare che gli altri dovrebbero essere vegetariani, e hanno maggior probabilità di collegare le proprie abitudini alimentari con altre virtù, come il credere che evitare la carne renda le persone meno aggressive e bestiali.

La maggior parte della nostra storia sociale recente, comprese le guerre culturali tra sinistra a destra, consiste nella moralizzazione o amoralizzazione di alcuni comportamenti. Anche quando le persone sono d'accordo che sia desiderabile un certo risultato, possono non essere d'accordo se si debba trattare come una questione di preferenza e prudenza oppure come una questione di peccato e virtù. Ad esempio, Rozin nota che l'atto di fumare è stato recentemente moralizzato. Fino a poco tempo fa, si capiva che alcune persone non amavano fumare o lo evitavano perché era un danno per la loro salute. Ma con la scoperta degli effetti nocivi nel fumo passivo, fumare è oggi divenuto immorale. I fumatori sono ostracizzati; le immagini delle persone che fumano vengono censurate; e gli oggetti toccati dal fumo vengono percepiti come contaminati (per cui gli hotel hanno non solo camere per non fumatori ma piani per non fumatori). La sete di retribuzione è stata indirizzata verso le compagnie del tabacco, a cui sono stati inflitti enormi "danni punitivi".

Allo stesso tempo, molti comportamenti sono stati amoralizzati, passando da errori morali a scelte di vita. Includono il divorzio, l'illegittimità, l'essere una madre che lavora, il fare uso di marijuana e l'essere omosessuali. Molte condizioni di sofferenza che una volta erano considerate un pagamento per aver fatto cattive scelte ora vengono considerate il frutto della sfortuna. Una volta c'erano persone che venivano chiamate "barboni" ["bums" e "trams"], mentre ora sono "senzatetto". La tossicodipendenza è una "malattia"; la sifilide una volta era il pagamento per un comportamento libertino, poi è diventata una "malattia sessualmente trasmessa" e più recentemente è diventata una "infezione sessualmente trasmessa".

Questa ondata di amoralizzazione ha portato la destra culturale a dire che la moralità stessa è sotto assalto [..]. Al contrario sembra esistere una Legge della Conservazione della Moralità, tale che, man mano che alcuni vecchi comportamenti vengono rimossi dall'elenco di quelli moralizzati, ne vengono aggiunti dei nuovi. Molte cose che le generazioni passate trattavano come faccende pratiche ora sono diventate questioni etiche, e comprendono i pannolini che si possono gettare nell'immondizia, i test di intelligenza, le fattorie dove si allevano polli, le bambole Barbie e la ricerca sul cancro al seno. Il cibo è diventato un campo minato, in cui molti critici si profondono in sermoni riguardanti la dimensione delle lattine, la chimica dei grassi, la libertà dei polli, il prezzo dei chicchi di caffè, le specie di pesci, e oggi la distanza che è stata percorsa dal cibo per giungere dalla fattoria al nostro piatto.

Molte di queste moralizzazioni, come l'assalto al fumo, si possono spiegare come tattiche pratiche per ridurre alcuni danni recentemente identificati. Ma non è sempre così: se un'attività fa scattare o meno il nostro interruttore morale non è soltanto una faccenda di quanto danno fa. Noi non mostriamo disprezzo verso un uomo che per negligenza non cambia la batteria nei suoi allarmi antifumo, o che porta la sua famiglia in vacanza in automobile, entrambi cose che moltiplicano il rischio di morire in un incidente. Guidare una Hummer che consuma moltissimo è considerato riprovevole, ma guidare una vecchia Volvo che consuma moltissimo non lo è; mangiare un Big Mac è un atto non coscienzioso, ma mangiare del formaggio importato o la creme brulee non lo è. La ragione di questo doppio standard è ovvia: la gente tende ad allineare la propria moralizzazione con il proprio stile di vita.

Ragionare e razionalizzare

Non è solo il contenuto dei nostri giudizi morali ad essere spesso discutibile, ma il modo in cui ci arriviamo. Ci piace pensare che, quando abbiamo una convinzione, ci sono buone ragioni che ci hanno portato a maturarla. Ecco perché un approccio meno recente alla psicologia morale, condotto da Jean Piaget e Lawrence Kohlberg, ha cercato di documentare il modo di ragionare che guidava le persone verso conclusioni morali. Ma considerate queste situazioni, ideate dallo psicologo Jonathan Haidt:

Julie, una ragazza che frequenta il college, si trova in viaggio in Francia, in vacanza estiva, con suo fratello Mark. Una notte decidono che sarebbe interessante e divertente se provassero a fare l'amore. Julie stava già prendendo pillole anticoncezionali, ma Mark decide di indossare anche il preservativo, per maggiore sicurezza. Il rapporto sessuale risulta piacevole per entrambi, ma decidono di non ripeterlo. Conservano quella notte come un segreto speciale, che li rende più vicini l'uno con l'altra. Che cosa ne pensate? E' stato ok per loro fare l'amore?

Una donna sta pulendo l'armadio e trova una sua vecchia bandiera americana. Non la vuole più, quindi la fa a pezzi e la usa come straccio per pulire il bagno.

Il cane di una famiglia viene investito e ucciso da una macchina davanti a casa loro. I membri della famiglia avevano sentito dire che la carne di cane è deliziosa, quindi fanno a pezzi il corpo del cane, lo cucinano e lo mangiano per cena.

La maggior parte delle persone dichiara immediatamente che questi atti sono sbagliati, ma poi ha problemi a giustificare perché sono sbagliati. Non è così facile. Nel caso di Julie e Mark, le persone tirano in ballo la possibilità di generare figli con difetti di nascita, ma poi si ricordano della coppia è stata attenta alla contraccezione. Suggeriscono che i due fratelli avranno un danno emotivo, ma la storia chiarisce che non è stato così. Provano a dire che l'atto offenderebbe la comunità, ma poi si ricordano che l'atto è stato mantenuto segreto. Alla fine molte persone ammettono "non lo so, non riesco a spiegarlo, semplicemente so che è sbagliato". Le persone in genere non fanno un ragionamento morale, dice Haidt, ma una razionalizzazione morale [a posteriori]: partono dalla conclusione, che è stata generata da un'emozione inconscia, e poi ragionano all'indietro per cercare una giustificazione plausibile. [Notare l'affinità con questo esperimento, in cui la decisione non è stata presa da te, ma tu ti autoconvinci che sei stato tu, NdM].

La lacuna tra le convinzioni delle persone e le loro giustificazioni è anche molto evidente in un esperimento mentale oggi molto in voga tra gli psicologi morali, inventato dai filosofi Pjilippa Foot e Judith Jarvis Thomson, chiamato il problema del carrello ferroviario. [L'abbiamo già visto qui, NdM]. Stai camminando di mattina e vedi un carrello ferroviario che corre impazzito lungo la rotaia, perché il suo conducente è svenuto al comando. Sul percorso del carrello ci sono cinque uomini che lavorano alla rotaia, ignari del pericolo. Tu ti trovi a una biforcazione nella rotaia e hai la possibilità di tirare la leva che dirotterà il carrello su un binario laterale, salvando i cinque uomini. Sfortunatamente, il carrello in quel caso investirà il singolo operaio che sta lavorando in quel punto. È lecito azionare lo scambio, uccidendo un uomo per salvarne cinque? quasi tutti rispondono di sì.

Considerate ora una scena diversa. Siete su un ponte da cui si vedono le rotaie sottostanti, e avete visto il carrello impazzito che sta per investire i 5 operai. Ora l'unico modo di fermare il carrello è lanciare un oggetto pesante sul suo percorso. E l'unico oggetto pesante nei paraggi è un uomo grasso che si trova vicino a te. Dovresti lanciare l'uomo giù dal ponte? Entrambi i dilemmi ti offrono l'opzione di sacrificare una vita per salvarne cinque, e quindi, secondo gli standard utilitaristici di ciò che produrrebbe il bene maggiore per il maggior numero di persone, i due dilemmi sono moralmente equivalenti. Eppure la maggior parte delle persone non la vedono così: azionerebbero il cambio nel primo dilemma, ma non spingerebbero l'uomo grasso nel secondo. Quando si chiede loro la ragione, non riescono a dire nulla di coerente, sebbene anche i filosofi morali abbiano avuto difficoltà a trovare una differenza rilevante.

[..] Questa differenza tra la liceità di azionare il cambio nei due casi, e l'incapacità di giustificare la scelta, è stata riscontrata negli abitanti dell'Europa, Asia, Nord America e Sud America; tra uomini e donne, bianchi e neri, teenager e ottuagenari, induisti, musulmani, buddisti, cristiani, ebrei ed atei; persone con la licenza di scuola elementare e persone con un dottorato. [E anche tra tribù completamente isolate dal mondo civile, dove i concetti di ferrovia e carrello sono stati tradotti con concetti corrispondenti a loro comprensibili, come alligatore e canoa, NdM]

Joshua Greene, filosofo e neuroscienziato cognitivista, suggerisce che l'evoluzione abbia dotato le persone di una repulsione verso l'atto di usare la forza verso una persona innocente. [Dawkins sostiene che la legge morale, creata dall'evoluzione, è che non è lecito usare un tuo simile come mezzo non consenziente per uno scopo: nel primo caso l'uomo sacrificato sul binario laterale non sta venendo usato da me come mezzo, ma è una "vittima collaterale", NdM.] Questo istinto, suggerisce Greene, tende a prevalere su qualunque calcolo utilitaristico che tenga conto del numero di vite salvate e perdute. [Nota: questo stesso argomento è usato anche dai libertari per sostenere che non è moralmente lecito sottrarre con la forza un centesimo a un ricco per salvare la vita a un povero, NdM. ] La repulsione verso l'atto di usare la forza verso un proprio simile spiegherebbe altri esempi in cui le persone non ritengono lecito uccidere una persona per salvarne tante, come il caso di uccidere in modo indolore un paziente di un ospedale allo scopo di salvare la vita di cinque pazienti che hanno bisogno di un trapianto, o il caso di gettare qualcuno da una barca affollata per evitare che affondi.

Di per sé questa non sarebbe molto più che una storia plausibile, ma Greene si è associato al neuroscienziato cognitivista Jonathan Cohen e numerosi altri colleghi di Princeton per spiare all'interno del cervello delle persone per mezzo dell'M.R.I. funzionale. Hanno cercato segni di un conflitto tra le aree del cervello associate alle emozioni (quelle che si attivano quando si fa del male a qualcuno) e le aree adibite all'analisi razionale (quelle che calcolano le vite salvate e perdute).

Quando le persone ponderavano i dilemmi che richiedevano di uccidere qualcuno a mani nude, si accendevano diverse aree del cervello. Una di esse, che comprende le parti mediali (rivolte verso l'interno) dei lobi frontali, è implicata nelle emozioni verso le altre persone. Un'altra area, quella dorsolaterale (rivolta verso l'alto e l'esterno), è implicata nella computazione mentale (il che comprende il ragionamento nonmorale, come decidere se prendere il treno o l'aereo per andare da qualche parte). E una terza regione, la corteccia cingolata anteriore (una striscia evolutivamente antica che si trova alla base della superficie interna di ciascun emisfero del cervello) registra un conflitto tra un impulso proveniente da una parte del cervello e un precetto che proviene da un altro.

Ma quando le persone stavano ponderando un dilemma dove non è necessario mettere le mani addosso a nessuno, come quello di azionare il cambio ferroviario, il cervello reagiva in modo diverso: si attivava solo l'area di cervello associata al calcolo razionale.

Altri studi hanno mostrato che i pazienti neurologici che subiscono una menomazione alle emozioni, a causa di danni ai lobi frontali, si trasformano in utilitaristi: essi ritengono che abbia perfettamente senso gettare l'uomo grasso giù dal ponte. Tutte queste scoperte messe assieme corroborano la teoria di Greene che le nostre intuizioni non-utilitaristiche derivano dal fatto che un impulso emotivo prevale sull'analisi razionale costi-benefici.



Una moralità universale?

Le scoperte della carrellologia -- intuizioni morali complesse, istintive e comuni in ogni parte del mondo -- hanno portato Hauser e John Mikhail (uno studioso di legge) a ripescare un'analogia del filosofo John Rawls tra il senso morale e il linguaggio. Secondo Noam Chomsky, veniamo al mondo dotati di una "grammatica universale" che ci costringe ad analizzare la lingua parlata in termini della sua struttura grammaticale, senza avere alcuna consapevolezza conscia delle regole del linguaggio. Per analogia, veniamo al mondo con una grammatica morale universale che ci costringe ad analizzare l'azione umana in termini della sua struttura morale, anche qui senza consapevolezza di ciò che avviene nel nostro cervello.

L'idea che il senso morale sia una parte innata della natura umana non è un'esagerazione. L'antropologo Donald E. Brown ha riempito un elenco di caratteristiche universali umane, che comprende molti concetti ed emozioni morali, tra cui la distinzione tra giusto e sbagliato; l'empatia; l'equità; l'ammirazione della generosità; i diritti e gli obblighi; la proscrizione di omicidio, stupro ed altre forme di violenza; la compensazione dei torti; le sanzioni per i torti contro la comunità; la vergogna; i tabù.

Gli impulsi della moralità si manifestano presto nell'infanzia. I bambini offrono spontaneamente giocattoli ed aiuto ad altri, e cercano di confortare le persone che vedono in pena. E secondo gli psicologi Elliot Turel e Judith Smetana, i bambini dell'asilo conoscono già in parte la differenza tra le convenzioni sociali e i principi morali. I bambini di quattro anni dicono che non è lecito indossare il pigiama a scuola (una convenzione) e anche che non è lecito colpire una bambina senza ragione (un principio morale). Ma quando si chiede loro se queste azioni sarebbero lecite se il maestro le permettesse, la maggior parte dei bambini dicono che indossare il pigiama sarebbe ora lecito, ma colpire una bambina non lo sarebbe.

Sebbene nessuno abbia identificato i geni della moralità, c'è evidenza circostanziale della loro esistenza. Quei tratti del carattere chiamati "coscienziosità" e "condivisibilità" sono molto più correlati nei gemelli identici separati alla nascita (i quali condividono i geni ma non l'ambiente) che in fratelli adottivi allevati insieme (i quali condividono l'ambiente ma non i geni). Le persone a cui viene diagnosticato il "disordine antisociale della personalità" o la "psicopatia" mostrano segni di cecità morale sin da bambini. Fanno bullismo sui bambini più piccoli, torturano gli animali, mentono abitualmente e sembrano incapaci di empatia o rimorso, spesso pur avendo una famiglia normale. Alcuni di questi bambini crescendo diventano dei mostri che derubano gli anziani di tutti i loro risparmi, stuprano molte donne in successione o sparano ai commessi nei negozi di alimentari sdraiati al suolo durante una rapina.

Sebbene la psicopatia derivi probabilmente da una predisposizione genetica, in una versione più debole può essere causata da un danno alle regioni frontali del cervello (comprese le aree che impediscono alle persone normali di spingere l'ipotetico uomo grasso giù dal ponte). I neuroscienziati Hanna ed Antonio Damasio e i loro colleghi hanno scoperto che alcuni bambini che subiscono gravi danni ai lobi frontali possono diventare crudeli e irresponsabili da adulti, pur avendo un'intelligenza normale. Essi mentono, rubano, ignorano le punizioni, mettono in pericolo i propri figli e non riescono a venire a capo neppure del più semplice dilemma morale, come che cosa devono fare due persone se non sono d'accordo su quale canale tv guardare, o se un uomo possa rubare un farmaco per salvare sua moglie che sta morendo.

Il senso morale, dunque, potrebbe essere radicato nell'architettura del cervello umano normale. Eppure [...] questa idea è nel caso migliore incompleta. Considerate questo dilemma morale: un carrello impazzito sta per uccidere una maestra di scuola. Potete dirottare il carrello su un binario laterale, ma il carrello attiverebbe un interruttore che manda un segnale ad una classe di bambini di sei anni, dando loro il permesso di dare il nome Maometto ad un orsetto di peluche. È lecito spingere la leva?

Questo non è uno scherzo. Il mese scorso una donna britannica che insegnava in una scuola privata in Sudan ha permesso alla sua classe di dare a un orsetto il nome del bambino più popolare della classe, che aveva il nome del fondatore dell'Islam. È stata incarcerata per blasfemia e minacciata di flagellazione pubblica, mentre una folla fuori della prigione pretendeva la sua morte. Per queste persone, la vita della donna chiaramente valeva meno che massimizzare la dignità della loro religione, e il loro giudizio sulla domanda se sia giusto deviare l'ipotetico carrello sarebbe stato diverso dal nostro. Qualunque grammatica guidi i giudizi morali delle persone non può essere troppo universale. Chiunque abbia seguito un corso introduttivo di antropologia senza dormire potrebbe offrire molti altri esempi.

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