domenica 27 gennaio 2008

Legalizzare la droga


Proseguo la traduzione del capitolo di "Hidden order", di David Friedman, dedicato all'economia del crimine. In questo episodio, Friedman applica l'analisi economica alla questione della legalizzazione delle droghe. L'episodio precedente è qui.

La parola all'economista, giurista e fisico David Friedman.

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C'è la convinzione diffusa che le droghe illegali siano responsabili della maggior parte della violenza nelle città degli Stati Uniti. Questo solleva una questione interessante: un'applicazione più rigida delle leggi contro la droga aumenta o diminuisce tale violenza?

Un aumento dell'applicazione della legge fa aumentare il prezzo della droga. Se i tossicodipendenti commettono crimini per pagarsi la droga, e se la domanda per la droga è "inelastica", come suggerisce il ritratto usuale del tossicodipendente, il risultato dovrebbe essere un aumento delle loro spese in droga, finanziato da un aumento del crimine legato alla droga. [Nota: la domanda si dice "inelastica" se non diminuisce all'aumentare del prezzo, o se diminuisce in modo meno che proporzionale, NdM.] L'alto prezzo attuale della droga illegale è dovuto quasi interamente al fatto che è illegale. Un eroinomane che mantenesse costanti le sue spese in eroina, mentre il prezzo diminuisce 20 o 30 volte, non durerebbe a lungo.

Una seconda spiegazione per la violenza è che sia una forma di "ricerca di rendita" [rent seeking]. Secondo questa spiegazione, le società criminali hanno monopoli locali che devono difendere dalla concorrenza di società rivali. Maggiore è il profitto da monopolio, più esse spenderanno cercando di difendere il territorio o conquistarlo. Un aumento nell'applicazione della legge aumenta il costo di fare affari, diminuendo il profitto da monopolio; quindi un aumento dell'applicazione diminuirebbe la violenza.

Una terza possibilità è che la violenza sia semplicemente una conseguenza della mancata tutela di certi diritti di proprietà. I venditori di droga possiedono molta ricchezza trasportabile nella forma di denaro e droga, e non hanno la possibilità di chiamare la polizia se qualcuno glieli ruba. Il risultato è violenza da parte di spacciatori di droga che difendono la propria proprietà, e da parte di altre persone che cercano di rubarla. Questo calza con il racconto che si trova in "The cocaine kids", scritto da un sociologo con contatti nel mercato della droga. Un meccanismo simile compare nelle descrizioni dell'era del proibizionismo, in cui i contrabbandieri facevano esplodere camion pieni di alcolici che appartenevano ai loro concorrenti.


Questo tipo di violenza dovrebbe essere all'incirca proporzionale alla quantità di ricchezza che si può rubare o difendere, la quale dipende a sua volta dal valore totale della droga venduta. Se la domanda è inelastica, un aumento del prezzo, dovuto a un aumento dell'applicazione della legge, produrrà una diminuzione meno che proporzionale della quantità domandata; quindi il profitto totale aumenterà, risultando in un aumento della violenza. Se invece la domanda è elastica, un aumento dell'applicazione della legge dovrebbe produrre meno profitto e meno violenza.

Abbiamo quindi tre diverse spiegazioni per la violenza legata alla droga. Una implica che un aumento [marginale] nell'applicazione della legge diminuirà la violenza; due implicano che aumenterà la violenza se la domanda è inelastica, e la diminuirà se la domanda è elastica. Tutte e tre implicano che legalizzare la droga eliminerebbe il crimine legato alla droga.

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Chiudo con una citazione di Milton Friedman (padre di David):
Sono sempre stato a favore della legalizzazione di tutte le droghe. Con l'enorme diminuzione dei prezzi delle droghe che ne risulterebbe, i tossicodipendenti potrebbero avere una vita perfettamente normale.

venerdì 25 gennaio 2008

Impedire ai cittadini di difendersi

Traduco la prima parte di un capitolo di "Hidden Order", di David Friedman, disponibile in inglese qui. Applichiamo l'analisi economica al divieto di portare armi da fuoco, e più in generale al crimine.

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Molti anni fa vivevo in una zona di Manhattan vicino alla Università della Columbia. Quando dovevo uscire di notte, portavo con me un lungo bastone da passeggio. Il mio amico Ernest Van Der Haag mi disse che facevo un errore pericoloso: i potenziali borseggiatori avrebbero considerato il mio comportamento come una sfida e mi avrebbero aggredito in massa. Io risposi che i borseggiatori, come altri uomini d'affari razionali, preferirebbero ottenere il loro guadagno al minor costo possibile. Portando con me un bastone, non solo stavo alzando il costo che potevo infliggere su di loro se avessi scelto di resistere, ma stavo anche annunciando la mia intenzione di resistere. Essi avrebbero razionalmente scelto una preda più facile.

Non sono mai stato borseggiato, il che è una piccola evidenza in favore del mio punto di vista. Altra evidenza deriva dall'osservare che tipo di persona viene realmente borseggiata. Se davvero i borseggiatori sentono il bisogno di mostrare il loro machismo, dovrebbero scegliere di borseggiare i giocatori di football: non c'è molta gloria del borseggiare vecchie signore. Se invece i borseggiatori sono uomini d'affari razionali, che cercano un profitto al minor costo possibile, borseggiare piccole vecchie signore ha molto più senso. Ebbene, si dà il caso che siano le piccole vecchie signore -- ed altre persone relativamente indifese -- ad essere borseggiate. I giocatori di football no. Si dice che una volta qualcuno chiese a Willie Sutton perché rapinasse banche. Lui rispose: "E' lì che sono i soldi".


L'approccio economico al crimine comincia da un'assunzione molto semplice: i criminali sono razionali. Un ladro ruba per la stessa ragione per cui io insegno economia -- perché la trova una professione più attraente di qualunque altra. La conclusione ovvia è che il modo di ridurre i furti -- sia come legislatori che come padroni di casa -- è aumentare i costi della professione di ladro oppure ridurne i benefici.


L'analisi che mi ha aiutato a decidere cosa portare con me quando passeggiavo di sera nella zona nord ovest di Manhattan si può applicare alla questione del divieto di possedere armi da fuoco. Gli oppositori sostengono che il divieto, disarmando le potenziali vittime, rende più difficile per loro proteggersi. I sostenitori del divieto ribattono che, poiché i criminali hanno più esperienza delle vittime negli atti di violenza, hanno più probabilità di vincere in un confronto armato. Questo probabilmente è vero, ma è quasi del tutto irrilevante nella questione.


Supponete che una vecchia signora su dieci porti con sé una pistola. E supponete che una su dieci tra queste, se attaccata da un borseggiatore, riesca ad ucciderlo invece di essere uccisa -- o di spararsi ad un piede. In media, il borseggiatore ha molta più probabilità di vincere lo scontro della vecchia signora. Ma -- sempre in media -- un borseggio ogni 100 produce la morte del borseggiatore. Con queste probabilità, borseggiare diventa un'attività sconveniente: hai una possibilità su 100 di finire ucciso, e non molte vecchie signore portano abbastanza soldi da giustificare un rischio simile. Il numero di borseggiatori declina quindi drasticamente, non perché siano stati tutti uccisi, ma perché si rivolgono razionalmente a professioni più sicure.


Quando da bambini apprendevamo i diversi tipi di animali, li immaginavamo come disposti in una gerarchia rigida, dove il più forte e feroce mangiava tutti quelli che erano sotto di lui. Non è così che funziona. Un leone potrebbe, senza dubbio, confidare di poter uccidere un leopardo, o un lupo di poter uccidere una volpe. Ma un leone che come abitudine desse la caccia ai leopardi non sopravviverebbe molto a lungo: una piccola probabilità di essere ucciso ed un rischio sostanziale di essere ferito sono prezzi troppo alti da pagare per un pasto. È per questo che i leoni cacciano le zebre.


Nell'analizzare i conflitti, non importa se sono tra due animali, o tra criminale e vittima, o tra imprese in concorrenza tra loro, o tra nazioni in guerra, tendiamo per natura ad immaginare una guerra aperta, in cui tutto ciò che conta è la vittoria o la sconfitta. Questo è raramente vero. Nel conflitto tra il borseggiatore e la vecchia signora, in media il borseggiatore vince. Ma il costo del conflitto -- una possibilità su cento di essere ucciso -- è abbastanza alto che il borseggiatore preferisce evitarlo. In questo caso come in molti altri, il problema che la vittima potenziale si trova davanti non è come sconfiggere l'aggressore, ma solo come rendere l'aggressione economicamente sconveniente.
Barzelletta degli economisti #3:

Due uomini si imbattono in un orso affamato. Uno comincia a correre. L'altro gli dice "non c'è speranza, non puoi correre più veloce di un orso". L'altro risponde "no, ma posso correre più veloce di te".

L'economia dei viaggi spaziali

La mia illustrazione preferita di questo punto è una storia di fantascienza di Poul Anderson. L'ambientazione è un futuro lontano in cui esiste il viaggio interstellare. C'è un percorso potenzialmente redditizio che connette due gruppi di stelle. Sfortunatamente il percorso attraversa il territorio di un piccolo e fastidioso impero interstellare. Questo impero (Borthu) ha l'abitudine di abbordare alcune delle astronavi mercantili che vi passano, confiscare il loro carico, e fare il lavaggio del cervello all'equipaggio. L'equipaggio va dunque ad arricchire la flotta dei Borthu, che ha una carenza endemica di personale qualificato.

I Borthu sono un piccolo impero: le corporazioni mercantili, se volessero, potrebbero unirsi, costruire astronavi da guerra, e sconfiggerli. Ma questo verrebbe a costare di più di quel che vale il percorso stellare in questione. Potrebbero armare le proprie astronavi mercantili, ma il costo di costruire una nave armata e riempirla di soldati annullerebbe il profitto generato dall'astronave. Insomma potrebbero vincere ma, essendo razionali massimizzatori del profitto, non lo fanno.

Il problema viene risolto da Nicholas Van Rijn, il capo di una delle corporazioni di commercianti (dopo aver fatto promettere ai suoi concorrenti di offrire una frazione dei loro profitti provenienti da quel tragitto a chiunque risolvesse il problema). La soluzione è armare una nave su quattro. Le navi da guerra portano equipaggi più grandi delle navi mercantili. Tre volte su quattro, l'impero attacca una nave mercantile e la cattura, guadagnando in questo modo una nave e un equipaggio di grandezza quattro. Ma una volta su quattro, gli aggressori scoprono che la nave mercantile è armata: l'impero perde una nave da guerra e il proprio equipaggio di grandezza venti. Un attacco su quattro costa all'impero, al netto, 8 uomini. La pirateria non è più redditizia, quindi termina.


La logica del problema, e la soluzione, sono elegantemente riassunte nella risposta di Van Rijn ad uno dei suoi colleghi, il quale aveva suggerito che convenisse combattere comunque, benché ciò costasse di più di quanto valeva per loro il rapporto commerciale:


La vendetta e la distruzione sono pensieri poco cristiani. Inoltre, non pagheranno molto, perché è difficile vendere qualcosa a un cadavere. Il problema è trovare un modo nelle nostre possibilità di rendere non redditizio per i Borthu assalirci. Non essendo degli idioti, smetteranno di assalirci e forse un domani potremo fare affari insieme.

("Margine di profitto", tratto da "Un-man and other novellas" di Poul Anderson)


(continua)

giovedì 24 gennaio 2008

Impedire uno scambio volontario

Traduco pezzi di questo articolo dell'economista e filosofo libertario Murray Rothbard.

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La differenza tra il capitalismo di libero mercato e il capitalismo di Stato è la stessa differenza che c'è tra uno scambio pacifico e volontario e l'espropriazione violenta. Un esempio di libero scambio è il mio acquisto di un giornale in un'edicola al prezzo di un euro: si tratta di uno scambio pacifico e volontario che dà beneficio a entrambe le parti. Io compero il giornale perché per me il giornale vale di più della moneta che do in cambio; e il giornalaio mi vende il giornale perché per lui quella moneta vale di più del giornale. Entrambe le parti dello scambio ottengono un beneficio. E ciò che in realtà stiamo facendo è scambiarci dei titoli di proprietà: io cedo la proprietà della moneta in cambio del giornale, e il giornalaio cede il titolo opposto. Questo semplice scambio è un esempio di atto unitario di libero mercato: è il modo stesso in cui funziona il mercato.

In contrasto con questo atto pacifico, c'è il metodo dell'espropriazione violenta. L'espropriazione violenta avviene quando io vado al giornalaio e mi impossesso dei suoi giornali o dei suoi soldi minacciandolo con una pistola. In questo caso, naturalmente, non c'è un beneficio mutuo: io guadagno alle spese della mia vittima. Eppure la differenza tra queste due transazioni (tra lo scambio mutuo e volontario e la resa di fronte alla pistola) è esattamente la differenza tra il capitalismo di libero mercato e il capitalismo di Stato. In entrambi i casi noi otteniamo qualcosa (che siano soldi o giornali) ma la otteniamo in due modi completamente diversi, con attributi morali e conseguenze sociali completamente diversi.

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Il libero mercato è in realtà una vasta rete di questi piccoli scambi unitari e volontari, come scambiare un soldo per un giornale. In ciascuno di questi passi ci sono due persone, o due gruppi di persone, che si scambiano due beni; in genere vengono scambiati oggetti con soldi. In ognuno di questi passi, ciascuna delle due parti ottiene un beneficio, altrimenti non accetterebbero lo scambio. Se si accorgono di aver fatto un errore nel pensare che lo scambio li avrebbe beneficiati, si fermano molto presto, e decidono di non ripetere lo scambio.

[Ovviamente non è necessario che gli oggetti scambiati siano oggetti fisici. Una persona può scambiare il proprio lavoro in cambio di soldi. L'altra parte accetterà lo scambio nel caso che quel servizio abbia per lui un valore maggiore dei soldi richiesti. NdM]

Un altro esempio di libero mercato è l'abitudine dei bambini di scambiarsi le figurine dei giocatori di baseball. ... i prezzi delle varie figurine, e gli scambi che avvenivano, erano basati sull'importanza relativa che i bambini attribuivano a ciascun giocatore. ... Un noto cliché dice che la sinistra sarebbe a favore di ogni azione volontaria da parte di "due adulti consenzienti". Eppure è curioso che, sebbene le persone di sinistra siano a favore di ogni rapporto sessuale tra due adulti consenzienti, tuttavia quando questi adulti consenzienti desiderano intraprendere uno scambio o un rapporto commerciale, la sinistra si intrometta per ostacolare, limitare, amputare, o proibire del tutto quello scambio. Eppure sia l'attività sessuale consensuale sia lo scambio volontario sono espressioni simili della libertà in azione. Un libertario coerente dovrebbe essere a favore di entrambe le attività. Ma il governo, specialmente il governo di sinistra, si intromette abitualmente per regolare e limitare questo scambio. [Basti pensare alle leggi sul salario minimo, che impediscono ai meno capaci di lavorare; o ai contratti di lavoro fissati dal governo; o al fatto che esista una cosa chiamata "lavoro dipendente"; o al fatto che è vietato vendere droga o armi, NdM.]

E' come se io decidessi di scambiare due figurine di Del Piero per una di Totti, e il governo, o qualcun altro, si intromettesse dicendo: "No, non lo puoi fare; è male; è contro l'interesse della società. Quindi rendiamo illegale lo scambio in questione. Qualunque scambio tra queste due figurine deve essere di una contro una, o di tre contro due." -- o qualunque altro termine il governo, nella sua onniscienza e saggezza, decida arbitrariamente di imporre. Con che diritto fanno questo? Secondo i libertari, senza alcun diritto.

In generale, l'intervento dello Stato si può classificare in due modi: o lo Stato proibisce totalmente o parzialmente uno scambio tra due persone (tra due adulti consenzienti, scambio che dà beneficio a entrambi), oppure costringe una persona a fare uno "scambio" con lo Stato, in cui la persona consegna qualcosa allo Stato sotto la minaccia di coercizione. Il primo caso comprende la proibizione totale di uno scambio, la regolazione dei termini dello scambio (il prezzo), o un divieto rivolto a persone specifiche di partecipare a uno scambio. Come esempio basti pensare che, nella maggior parte degli Stati, per essere fotografo, bisogna avere la licenza (cioè bisogna aver dimostrato di avere una "buona moralità" e pagare una certa quantità di soldi all'apparato dello Stato). Questo per guadagnare il diritto di scattare una foto a qualcuno! Il secondo tipo di intervento è lo "scambio" forzoso tra noi e lo Stato, uno "scambio" che dà beneficio solo allo Stato e non a noi. Naturalmente, le tasse sono un esempio ovvio ed evidente di ciò. A differenza dello scambio volontario, la tassazione consiste nell'impadronirsi forzatamente della proprietà di qualcuno senza il suo consenso.

È vero che molte persone sembrano credere che la tassazione non sia imposta senza il nostro consenso. Come disse una volta il grande economista Joseph Schumpeter, essi considerano le tasse come l'analogo della quota di iscrizione a un club, dove ogni membro paga volontariamente la sua parte delle spese del club. Se lo pensate anche voi, provate a non pagare le tasse e state a vedere cosa succede. Nessun "club" che io conosca ha il potere di venire in casa vostra e requisire i vostri averi, o mettervi in galera se non pagate il dovuto. A mio parere, quindi, le tasse sono sfruttamento -- sono un gioco a "somma zero". Se mai esiste al mondo un gioco a somma zero, è la tassazione. Lo Stato sottrae i soldi ad un gruppo di persone, li dà a un altro gruppo di persone, e nel frattempo naturalmente ne trattiene una gran parte per le sue "spese di gestione". La tassazione, quindi, è un furto puro e semplice.

Anzi, per la verità, sfido chiunque di voi a produrre una definizione di tassazione che non si applichi anche al furto. Come notò una volta il grande scrittore libertario H. L. Mencken, tra le persone comuni, anche non libertari, derubare lo Stato non è mai considerato moralmente equivalente a derubare un'altra persona. Derubare un'altra persona viene generalmente considerato deplorevole; ma se è lo Stato che viene derubato, tutto ciò che succede è che "alcuni ladri e saccheggiatori hanno meno soldi di prima".

Il grande sociologo tedesco Franz Oppenheimer, che scrisse un meraviglioso libello chiamato "Lo Stato", ha esposto brillantemente il caso. Essenzialmente, disse, ci sono solo due modi per una persona di acquisire ricchezza. Il primo è produrre un bene o un servizio e scambiarlo volontariamente con il prodotto di qualcun altro. Questo è il metodo dello scambio, il metodo del mercato libero; è un metodo creativo ed aumenta la produzione; non è un gioco a somma zero, perché la produzione si espande, ed entrambe le parti coinvolte ne traggono beneficio. Oppenheimer chiama questo metodo "il metodo economico" per l'acquisizione di ricchezza. Il secondo metodo è impadronirsi della proprietà di un'altra persona senza il suo consenso, cioè mediante la ruberia, lo sfruttamento, il saccheggio. Quando ti impadronisci della proprietà di qualcuno senza il suo consenso, allora stai ottenendo un beneficio a sue spese, alle spese del produttore; questo è quindi un gioco a somma zero -- e non è un gioco molto divertente per la vittima. Invece di espandere la produzione, questo metodo naturalmente la riduce. Così, oltre ad essere immorale, il metodo della ruberia diminuisce la produzione perché è parassitico sugli sforzi del produttore. Con grande astuzia, Oppenheimer chiama questo secondo metodo "il metodo politico".

Dawkins: non uccidete Bush



Richard Dawkins (tratto da un articolo più lungo, di qualche anno fa):
Ora che tutte le giustificazioni per la guerra [in Iraq] si sono rivelate menzogne, i guerrafondai si rifugiano in un'ultima giustificazione, ripetuta ossessivamente: il mondo è un posto migliore senza Saddam. Senza dubbio lo è. [..] Ma non è così che si comportano i Paesi civili, che seguono lo stato di diritto. Il mondo potrebbe essere migliore senza George Bush, ma questo non è una giustificazione per assassinarlo. Il modo giusto di liberarsi di questo armaiolo autocompiaciuto è mediante il voto.

Sam Harris: seguire la natura è un errore

Traduco la risposta di Sam Harris alla domanda "Su cosa avete cambiato idea quest'anno?", posta dalla rivista Edge. Originale in inglese qui.

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Come molte persone, una volta avevo fiducia nella saggezza della natura. Immaginavo che esistessero dei confini reali tra il naturale e l'artificiale, tra una specie e un'altra, e pensavo che, con l'avvento dell'ingegneria genetica, avremmo interferito con la vita producendo la nostra stessa rovina. Oggi credo che questa visione romantica della natura sia una mitologia pericolosa e incapacitante.

Ogni 100 milioni di anni circa, un asteroide o una cometa grandi quanto una montagna si schiantano sulla terra, uccidendo quasi ogni essere vivente. Se mai servisse una prova che la natura è indifferente al benessere di organismi complessi come noi, eccola. La storia della vita su questo pianeta è stata una storia di impietosa distruzione e di cieco ed improvviso rinnovamento.

I reperti fossili suggeriscono che le specie individuali sopravvivono in media da uno a 10 milioni di anni. Il concetto stesso di specie è fuorviante, comunque, e ci dà la falsa impressione di essere giunti, in qualità di homo sapiens, a qualche posizione ben definita nell'ordine naturale. Il termine "specie" indica semplicemente una popolazione di organismi in grado di accoppiarsi tra di loro producendo figli fertili; non si applica facilmente ai confini tra le specie (a quelle che sono spesso chiamate forme "intermedie" o "di transizione"). Ad esempio, non c'è mai stato un primo membro della specie umana, e non ci sono membri canonici adesso. La vita è un flusso continuo. I nostri antenati non umani avevano figli, generazione dopo generazione, e diventavano gradualmente ciò che noi oggi chiamiamo la specie "homo sapiens" -- noi stessi. Non c'è niente nella nostra linea di discendenza, o nella nostra biologia attuale, che dica come ci evolveremo in futuro. Niente nell'ordine naturale richiede che i nostri futuri discendenti ci somiglino minimamente. Nelle generazioni a venire, quasi certamente ci trasformeremo, diventando probabilmente irriconoscibili.

Sarà una cosa buona? La domanda presuppone che esista per noi un'alternativa percorribile. Ma qual è l'alternativa, se non prendere noi stessi le redini del nostro destino biologico? Potremmo forse star meglio lasciando il controllo alla saggezza della natura? Una volta lo credevo. Ma oggi sappiamo che la natura non si preoccupa minimamente degli individui o delle specie. Quelli che sopravvivono, sopravvivono malgrado l'indifferenza della Natura. Sebbene il processo di selezione naturale abbia plasmato il nostro genoma nella sua forma attuale, non ha agito per massimizzare la felicità umana; né ci ha necessariamente conferito alcun vantaggio oltre la capacità di allevare la generazione successiva fino a che è pronta ad avere figli a sua volta. Anzi per la verità potrebbe non esserci assolutamente nulla, nella vita umana dopo l'età dei quarant'anni (la durata media della vita fino al ventesimo secolo), che sia il prodotto dalla selezione evolutiva. E con poche eccezioni (ad esempio il gene della tolleranza al lattosio) probabilmente non siamo cambiati molto sin dal Pleistocene.

Ma il nostro ambiente e i nostri bisogni -- per non parlare dei nostri desideri -- sono cambiati radicalmente nel frattempo. Sotto molti aspetti non siamo adatti al compito di costruire una civiltà globale. Questo non è sorprendente. Dal punto di vista evolutivo, la maggior parte della cultura umana, assieme alla sua base cognitiva ed emotiva, deve essere un effetto collaterale [un epifenomeno]. La natura non può "vedere" quasi nulla di quel che stiamo facendo, o che speriamo di fare, e non ha fatto nulla per prepararci a molte delle sfide che oggi ci troviamo a fronteggiare.

Queste preoccupazioni non si possono liquidare con motti spiccioli come "se non è rotto, non aggiustarlo". Ci sono innumerevoli sensi in cui il nostro attuale stato di funzionamento si può descrivere adeguatamente con la parola "rotto". Personalmente, mi sembra che tutto ciò che faccio si collochi in una gradazione di handicap: sono sempre stato discretamente bravo in matematica, ad esempio, ma è come dire che sono come un grande matematico che è stato incornato in testa da un toro; la mia capacità musicale somiglia a quella di un Mozart o un Bach, ma reduci da un incidente sciistico fatale; Se Tiger Woods si svegliasse dopo un intervento chirurgico e scoprisse di possedere il mio swing golfistico (o di esserne posseduto), state sicuri che intenterebbe una causa per negligenza medica.

Considerando l'umanità nel suo complesso, non c'è niente nella selezione naturale che suggerisca l'ottimalità della nostra architettura. Probabilmente non siamo ottimizzati neppure per il paleolitico, figuriamoci per vivere nel ventunesimo secolo. Eppure, oggi stiamo acquisendo gli strumenti che ci permetteranno di tentare la nostra stessa ottimizzazione. Molti pensano che questo progetto sia costellato di rischi. Ma è più rischioso che non fare niente? Potrebbero esserci minacce attuali alla nostra civiltà che non riusciamo neppure a percepire, né tantomeno a risolvere, col nostro livello attuale di intelligenza. Potrebbe esistere una strategia razionale più pericolosa che assecondare il capriccio della Natura? Questo non significa che la nostra crescente capacità di manipolare il genoma umano non possa presentare alcuni momenti di esagerazione faustiana. Ma la nostra paura di questa possibilità deve essere temperata da una razionale comprensione di come siamo giunti in questa situazione. Madre natura non ha mai posato su di noi il suo occhio materno.

giovedì 17 gennaio 2008

Sam Harris: il mondo può finire


Traduco il discorso di Sam Harris in occasione del Festival delle Idee di Aspen 2007. Il video originale in inglese è qui.

Ritengo che questo discorso, unito al discorso del "diamante nel giardino", fornisca una panoramica piuttosto completa delle argomentazioni di Harris.

Da non perdere la parte sulla Corea del Nord, e l'agghiacciante finale.

La parola a Sam Harris.

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Tendo a cominciare ogni mio discorso su questo argomento con delle scuse, perché sto per dire delle cose piuttosto esplicite sulla religione, per cui sono destinato inevitabilmente ad offendere qualcuno di voi. Voglio assicurarvi che non è questo il mio scopo. Non è per questo che sono qui. Non è per questo che ho scritto i miei libri. Non sarò intenzionalmente provocatore. Sono semplicemente molto preoccupato per il ruolo che la religione sta giocando nel nostro mondo. Credo che la religione sia l'ideologia più pericolosa, e più capace di dividere le persone, che noi abbiamo mai prodotto. Soprattutto, è l'unica ideologia che è sistematicamente protetta dalle critiche, sia dall'interno che dall'esterno. Puoi criticare le credenze delle persone su qualunque argomento, ma rimane tabù criticare le loro credenze su Dio. E ritengo che stiamo pagando un prezzo enorme per mantenere in vita questo tabù. Per questo, romperò con entusiasmo il tabù nella prossima mezz'ora. Lascerò un po' di tempo per le domande e sarò felice di ascoltare le vostre critiche. Voglio anche dire, sin da ora, che non c'è niente che dirò che si possa interpretare come la negazione della possibilità di avere esperienze spirituali, o dell'importanza delle esperienze spirituali. Su questo argomento tornerò verso la fine.

Ecco la mia preoccupazione di fondo. La nostra capacità di fare del male a noi stessi si sta oggi diffondendo con l'efficienza propria del ventunesimo secolo. Eppure, noi stiamo ancora in gran parte derivando la nostra idea di come è meglio vivere nel mondo da alcuni brani di letteratura antica. Questo matrimonio, tra la moderna tecnologia distruttiva e una filosofia degna dell'età del ferro, è un matrimonio cattivo, per ragioni che dovrebbero essere ovvie. Eppure ho impiegato la maggior parte del mio tempo per parlare di queste ragioni, sin dall'11 settembre 2001, il giorno in cui 19 uomini pii hanno mostrato alla nostra pia nazione quanto possa essere "socialmente utile" la certezza religiosa. Avendo passato qualche anno criticando pubblicamente la religione, ormai ho familiarità con il modo in cui le persone si ergono a difesa di Dio, ed ho notato che non ci sono così tanti modi di far ciò: sembra che ce ne siano soltanto tre. O una persona sostiene che una data religione è vera, oppure sostiene che la religione è utile, così utile che potrebbe essere necessaria, oppure sostiene che l'ateismo è sostanzialmente un'altra religione (dogmatica, intollerante, o comunque degna di disprezzo). Vorrei differenziare queste tre linee argomentative perché in genere si intrecciano tra di loro, ed ogni conversazione tra un credente o non credente ha una buona probabilità di cadere in uno di questi tracciati.

Cominciamo con l'affermazione che una data religione è vera. Ci sono due problemi con questa tesi. Il primo è che, come fece notare Bertrand Russell un secolo fa, non possono essere tutte vere allo stesso tempo. Data l'enorme diversità delle religioni disponibili sul mercato, anche se sapessimo che una di esse è sicuramente vera (cioè che la vita è l'esame a crocette di Dio: A giudaismo, B cristianesimo, C islam), anche se sapessimo questo, ogni credente dovrebbe aspettarsi di finire all'inferno per una pura questione di probabilità. A me sembra che questo dovrebbe dare un attimo di esitazione alle persone religiose, quando abbracciano le loro certezze religiose. Non succede mai, ma dovrebbe. [Nota: Maometto dice che chiunque creda che Cristo ebbe natura divina brucerà all'inferno, NdM]

Il secondo problema, quando si sostiene che una data religione è vera, è che l'evidenza in favore delle dottrine religiose è pessima o inesistente. E questo vale per tutte le affermazioni circa l'esistenza di un Dio dotato di personalità, o sull'origine divina di certi libri, o sulla nascita da una vergine di certe persone, sulla veridicità di antichi miracoli, e tutto il resto. Considerate il cristianesimo. L'intera dottrina si fonda sull'idea che il resoconto evangelico dei miracoli di Gesù sia vero. È per questo che le persone credono che Gesù fosse il figlio di Dio, che avesse natura divina, eccetera. Questa affermazione è a dir poco problematica, perché tutti ammettono che i Vangeli furono scritti molti decenni dopo la vita di Gesù, e che non esiste alcun resoconto extrabiblico dei suoi miracoli. Ma la verità è ancora peggiore. La verità è che, se anche per le gesta di Gesù avessimo testimonianze multiple e contemporanee di testimoni oculari, ancora questo non fornirebbe una base sufficiente per credere che uno qualsiasi di quegli eventi sia avvenuto davvero. Perché no? Il motivo è che le testimonianze oculari di miracoli sono molto comuni anche oggi, nel ventunesimo secolo. Io ho incontrato letteralmente centinaia di persone educate in Occidente che credono che il loro guru induista o buddista preferito abbia poteri magici. I poteri che vengono attribuiti a questi guru sono tanto mirabolanti quanto quelli attribuiti a Gesù. Per la verità, io rimango aperto all'evidenza che questi poteri esistano. Ma il fatto è che le persone che raccontano queste storie desiderano disperatamente credervi. E tutte queste storie, per quanto ne so, sono prive di quel genere di evidenza corroborante che dovrebbe essere richiesta prima di credere che le leggi della natura siano state abrogate in un modo simile. E le persone che credono a queste storie mostrano una inquietante riluttanza a cercare spiegazioni non miracolose. Resta il fatto che si racconta che gli yogi e i mistici abbiano camminato sull'acqua, resuscitato i morti, volato senza l'aiuto della tecnologia, materializzato oggetti, letto il pensiero, predetto il futuro. E tutto questo viene raccontato oggi. Per esempio, tutti questi poteri sono stati attribuiti a Sathya Sai Baba, il guru dell'India del sud, da un numero enorme di testimoni oculari. Egli afferma persino di essere nato da una vergine, che non è un'affermazione così inusuale nella storia delle religioni, o nella storia in generale. Gengis Khan si dice essere nato da una vergine. Così Alessandro magno. A quanto sembra, la partenogenesi non garantisce che tu debba porgere l'altra guancia. Ma Sai Baba non è una figura marginale. Non è il David Koresh dell'induismo. Recentemente Sai Baba ha dato una festa di compleanno, e ci sono andati milioni di persone. Insomma, ci sono enormi quantità di persone che credono che egli sia un Dio vivente. Potete persino guardare alcuni suoi miracoli su youtube. Preparatevi a restare delusi. È vero che ha una capigliatura di diametro sufficiente da suggerire un distacco totale dalle altre persone, ma non sono sicuro che questa sia una ragione sufficiente per venerarlo.


In ogni caso considerate, come se fosse la prima volta, l'affermazione di fondo del cristianesimo. L'affermazione che alcune storie di miracoli, come quelle che vengono raccontate di Sai Baba, diventano particolarmente convincenti quando le collochiamo nel contesto religioso prescientifico dell'impero romano del primo secolo, decenni dopo il loro presunto verificarsi. Abbiamo storie di miracoli di Sai Baba testimoniate da migliaia e migliaia di testimoni oculari, e non meritano nemmeno un'ora sul Discovery Channel; ma metti qualche storia di miracoli in un libro antico, e la metà delle persone su questo pianeta pensano che sia un progetto legittimo intorno al quale organizzare la propria vita. Non c'è nessuno che vede un problema in tutto questo?

Parlando più in generale, il Cristianesimo, l'Ebraismo e l'Islam sono fondati sull'affermazione che la Bibbia e il Corano siano stati dettati dal creatore dell'universo. Cioè che esista un creatore dell'universo, e ogni tanto si diletti a scrivere libri. Non scrive software, non produce film... (credo che Mel Gibson, avendo scritto sotto l'influsso dello spirito Santo, sia un'eccezione...) Ma in ogni caso Dio principalmente scrive libri. E questa idea ha ottenuto credibilità perché il contenuto di questi libri viene ritenuto così profondo che non potrebbero mai essere il prodotto di una mente umana. Riflettete per favore su quanto poco plausibile sia ciò. Considerate quanto diversamente trattiamo i testi scientifici e le scoperte scientifiche. Nell'estate del 1665 Isaac Newton si rifugiò in isolamento per evitare una pestilenza che, tra parentesi, stava facendo strage delle persone pie d'Inghilterra; e quando uscì dalla sua solitudine aveva inventato il calcolo integrale e differenziale, aveva scoperto le leggi della gravitazione universale e del moto, ed aveva posto le basi per la scienza dell'ottica. Molti scienziati ritengono che questa sia la più stupefacente dimostrazione di intelligenza umana nella storia dell'intelligenza umana. Eppure nessuno è tentato di attribuire le sue conquiste a un atto divino. Sappiamo che questi risultati sono stati prodotti da un mortale --- e un mortale abbastanza sgradevole se è per questo. Eppure, letteralmente miliardi di noi ritengono che il contenuto della Bibbia e del Corano sia così profondo da escludere la possibilità che abbiano un autore terrestre. Ora, data l'ampiezza e la profondità dei risultati ottenuti dall'uomo, credo che questo sia una specie di miracolo di per sé; che sia il caso più eclatante di ammirazione data a sproposito. Sono serviti due secoli di scervellamento da parte di alcune delle persone più intelligenti mai vissute, per migliorare in modo significativo le conquiste di Newton. Ma quanto sarebbe difficile migliorare la Bibbia? Chiunque, in questo capannone, potrebbe migliorare questo testo presunto infallibile, dal punto di vista scientifico, etico, spirituale e storico, in pochi istanti. Considerate la possibilità di migliorare i dieci comandamenti. Questo potrebbe sembrare un obiettivo molto ambizioso, perché sono l'unico testo della Bibbia che Dio ha sentito il bisogno di scrivere personalmente, e sulla pietra. Considerate il secondo comandamento: "non erigere statue" [Il Vaticano l'ha abolito, perciò in Italia non è molto noto, NdM]. È davvero la seconda cosa più importante di tutte? La cosa su cui ammonire tutte le generazioni future di esseri umani? E' veramente questo il massimo che si può fare, nell'etica e nella spiritualità?

Ricordate quelle centinaia di migliaia di musulmani che si infuriarono sulle vignette? Che cosa li ha fatti arrabbiare tanto? Proprio questo. Il secondo comandamento. Tutto quel pio tumulto che è scoppiato, le ambasciate bruciate, l'uccisione delle suore... forse che tutto questo è stato una grande manifestazione di spiritualità? Oppure è stata solo un'incredibile stupidità medioevale? Beh, ora che ci penso, è stata incredibile stupidità medioevale. La verità è che, se sostituissimo quel comandamento con quasi qualunque altro precetto, miglioreremmo la saggezza della Bibbia. Che ne dite di "non maltrattare i bambini"? Oppure "non fingere di sapere cose che non sai"? E che dire di "non mangiare troppi fritti"? Potremmo davvero convivere con la proliferazione di statue che ne risulterebbe? Beh, credo che in qualche modo ci riusciremmo.

Io affermo che non c'è una persona sulla terra che abbia una buona ragione di credere che la Bibbia e il Corano siano il prodotto di un'intelligenza onnisciente. Eppure miliardi di persone affermano di sapere che sono la parola di Dio. Anzi il 78% della popolazione americana dice di sapere che la Bibbia è la parola di Dio. Il 70% dei laureati crede che la Bibbia sia la parola di Dio.

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Ora mettiamo da parte per un attimo la questione della verità delle affermazioni religiose. Il secondo modo di difendere la religione è dire che è utile, così utile che potrebbe essere necessaria. Anche questa linea di argomentazioni ha dei problemi. Il primo è che un completo non-sequitur. Anche se le credenze religiose fossero incredibilmente utili (e non dubito che in alcune circostanze lo siano)... ma anche se fossero utili in ogni situazione, tuttavia questo non sarebbe una ragione per credere che un Dio personificato esista davvero, o che la Bibbia sia la sua parola. Il fatto che alcune idee siano utili, o che ci diano delle motivazioni, o che diano significato alla vita... (come l'idea che Dio ha un progetto per me, o che tutto avviene per una ragione), o il fatto che queste idee siano consolatorie, non fornisce la minima ragione per credere che siano vere. Anzi, anche se avessimo ragioni scientifiche per credere che queste cose siano vere, il loro potere di consolarci non offrirebbe neppure una ragione ulteriore per credere che siano vere. Anche se tutti i cosmologi e i fisici si facessero avanti e dicessero "Amici, scusate il fraintendimento, ma si dà il caso che Dio esiste, e ha un progetto per te"... Ebbene, il fatto che molti di noi troverebbero tutto ciò consolatorio ci darebbe ulteriori ragioni per essere scettici, in termini scientifici. È per questo che in inglese abbiamo frasi come "autoinganno" ed "ottimismo ingiustificato" [wishful thinking]. È per questo che gli scienziati fanno studi di verifica "a due livelli di cecità", ove possibile. È per questo che sottomettono i loro dati allo scrutinio di altri colleghi. Se abbiamo mai fatto una conquista nella storia della razionalità, è capire che c'è una differenza profonda tra voler credere una cosa ed avere buone ragioni per credere una cosa.

Naturalmente, ci sono altre ragioni per dubitare dell'utilità della religione. E molte di esse sono annunciate quotidianamente dalle esplosioni di bombe. Quanto è utile che milioni di musulmani credano nella metafisica del martirio? quanto è utile che i sunniti e gli sciiti in Iraq abbiano divergenze religiose così sentite? Quanto è utile che così tanti coloni ebrei credano che il creatore dell'universo abbia promesso loro un fazzoletto di terra nel Mediterraneo? Quanto è stata utile l'ossessione cristiana verso il sesso, in queste ultime 70 generazioni?

Coloro che confondono l'utilità è la verità, nel difendere la religione, affermano di solito che la religione fornisce la fondazione più affidabile per la moralità. Di nuovo, prima che di cominciare a giudicare questa affermazione, per favore notate che è un non-sequitur. Anche se la religione rendesse morali le persone, questa non sarebbe evidenza che Dio esiste, o che Gesù sia suo figlio, né che sia vera qualsiasi dottrina specifica a cui le persone sono attaccate. Infatti, ogni religione potrebbe funzionare come un placebo: potrebbe essere estremamente utile e allo stesso tempo completamente vuota di contenuto.

Ma parliamo per un attimo del presunto collegamento tra la moralità e la religione. A me sembra che la religione dia alle persone ragioni cattive per essere buoni, mentre sono ampiamente disponibili buone ragioni per essere buoni. Chiedetevi questo: che cosa è più morale? Aiutare i poveri, sfamare gli affamati, difendere i deboli, perché siete preoccupati per loro, oppure aiutarli perché lo vuole il creatore dell'universo? La verità è che le persone non hanno bisogno della minaccia della dannazione eterna per amare i propri figli, per amare i propri amici, per collaborare con estranei, o persino per comprendere che aiutare gli estranei può essere una delle maggiori fonti di felicità.

E che razza di moralità è, quella che si fonda sul desiderio interessato di evitare la dannazione? Sembra mancare della condizione essenziale per la moralità, cioè l'empatia reale e sincera verso il benessere delle altre persone. Ma certamente è possibile insegnare ai nostri bambini a provare questa empatia, a sviluppare la compassione, senza per questo mentire a noi stessi, o a loro, circa la natura dell'universo. Senza fingere di sapere cose che non sappiamo. Puoi insegnare a tuo figlio la Regola d'Oro [non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te] come precetto etico elevatissimo, senza però fingere di sapere che Gesù è nato da una vergine.

Vale anche la pena di osservare che le società più atee del nostro pianeta, come la Svezia, la Danimarca e l'Olanda, sono anche le più morali, sotto qualunque criterio. Hanno tassi di crimini violenti molto più bassi, e sono più generosi, sia verso la loro stessa popolazione, sia verso il mondo in via di sviluppo, su una base pro-capite. Gli svedesi, che si sono opposti alla guerra in Iraq, ciononostante hanno accolto più profughi iracheni nei loro confini di qualunque altro paese, e molti di più rispetto agli Stati Uniti. Quindi se cercate un paese che sia il modello della carità cristiana, le società più atee si adattano di più a questo modello rispetto alle società più cristiane.

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Che dire dell'affermazione che noi deriviamo la nostra moralità dalle Scritture? Prima di tutto, chiaramente noi non otteniamo i nostri impulsi morali di base dalle Scritture, perché questi istinti si manifestano molto presto nella vita: gli infanti cercano spontaneamente di confortare qualcuno che sembra triste.

Inoltre, noi chiaramente non
apprendiamo che la crudeltà è sbagliata leggendo la Bibbia o il Corano; perché se voi provaste a leggere questi libri vi trovereste davanti una infinita celebrazione della crudeltà. Questi libri trasudano celebrazioni di ogni genere di crudeltà, sia da parte degli uomini che da parte di Dio. Il Dio della Bibbia odia la sodomia, e vi ucciderà se la praticate... però apprezza molto qualche occasionale sacrificio umano. Quantomeno possiamo dire che ha le idee un po' confuse sulle priorità. Nel Vecchio Testamento ci troviamo davanti al comportamento più immorale che si possa immaginare: genocidio, pulizia etnica, schiavizzazione sessuale, omicidio di bambini, rapimento. Tutte queste cose non solo sono permesse da Dio, ma addirittura sono comandate da Dio. Se non ci credete, rileggete l'Esodo, Il Levitico, il Deuteronomio, il secondo Samuele, i Numeri, il primo e secondo dei Re, e Zaccaria. In questi libri viene celebrato il comportamento più immorale. Se questi eventi avvenissero nel nostro tempo, la metà dei profeti e dei re d'Israele sarebbero ammanettati e processati per crimini contro l'umanità. Compreso Mosé per avere sterminato i Medianiti. Compreso Giosuè per avere sterminato i Malachiti; compreso Elia per aver sterminato i profeti di Baal. Questi uomini, per i nostri standard odierni, sarebbero considerati degli psicopatici totali. Come lo era Abramo (come ha recentemente notato Christopher Hitchens) per aver portato suo figlio Isacco a fare quella "passeggiata lunga e tenebrosa".

A questo punto potreste chiedervi: che dire dei dieci comandamenti? Che dire di "non uccidere"? Il problema è che i dieci comandamenti ci danno semplicemente altre ragioni per uccidere. Infatti, che cosa devi fare quando il tuo migliore amico infrange il comandamento lavorando di sabato? O quando erige un'immagine divina? O quando pronuncia il nome di Dio invano? Lo devi uccidere. E se non sei disposto a ucciderlo, i tuoi vicini devono uccidere te. E' questo che c'è scritto. E' veramente il miglior libro che abbiamo sulla moralità? E' anche soltanto un buon libro?


Fortunatamente, oggi la maggior parte degli ebrei e dei cristiani sceglie di ignorare la "moralità" che viene comandata nel vecchio testamento. E razionalizza la barbarie che troviamo in quei libri dicendo che "questo precetto era appropriato in quell'epoca. Era appropriato nel mondo antico". In altre parole, i canaaniti erano così selvaggi che fare una lista breve di ragioni per uccidere i tuoi simili, e attenersi attentamente a questa lista, era già un miglioramento rispetto alla barbarie generale dell'epoca. [Il pubblico ride.] No, non era affatto un miglioramento. Era già completamente alla portata delle persone dell'epoca il concetto che uccidere qualcuno per aver commesso adulterio è una cosa sbagliata. Budda era riuscito benissimo a capirlo. Mahavira, il patriarca dei giainisti, ci era riuscito. Numerosi filosofi greci ci erano riusciti. Quindi, gli ebrei e i cristiani stanno semplicemente mentendo a se stessi, quando raccontano dei presunti impedimenti alla morale che prevalevano nel quinto secolo a.C.

E l'altra cosa da notare è che, anche se riuscissimo a razionalizzare la barbarie che troviamo nel vecchio testamento, ciò renderebbe questi libri al massimo irrilevanti; in nessun modo li renderebbe saggi. E' davvero un complimento molto debole, se la cosa migliore che riesci a dire delle Scritture è che oggi si possono ignorare senza pericolo.

Ora, nonostante ciò che dicono i cristiani, il Nuovo Testamento non è così buono da trasformare la Bibbia in una base affidabile per la moralità. Anzi, la maggior parte del Nuovo Testamento è imbarazzante per chiunque cerchi di difenderne la moralità, e ancora di più per chi sostiene che sia un libro perfetto dal punto di vista morale. Questo è maggiormente evidente verso la questione della schiavitù. La verità è che la Bibbia nella sua totalità, compreso il Nuovo Testamento, sostiene la schiavitù. Se c'è una cosa su cui oggi siamo tutti d'accordo, in termini etici, è che la schiavitù è una cosa cattiva. Ma in nessun posto della Bibbia questo male viene riconosciuto, e men che meno ripudiato. Gli schiavisti del sud si trovavano dalla parte del giusto, teologicamente parlando. E lo sapevano. Non hanno mai smesso di dirlo. Il massimo che Dio dice nel vecchio testamento è che non dobbiamo picchiare i nostri schiavi tanto forte da ferirli agli occhi o far saltare loro i denti; o di non colpirli col bastone tanto forte da farli morire sul colpo. Se muoiono dopo un giorno o due, nessun problema. Credo sia ovvio che non è questo il genere di precetto morale che ci ha permesso di liberarci della schiavitù negli Stati Uniti.

Oppure considerate il comportamento verso le donne. Per millenni, i grandi teologi e profeti delle nostre religioni hanno riflettuto sulla questione delle donne; e il risultato, in vari luoghi e tempi, quale è stato? Vedove bruciate vive, omicidi d'onore, mutilazioni genitali, un'ossessione morbosa per la verginità, ed altre forme di abuso fisico e psicologico, così variegati e caleidoscopici che è difficile persino elencarli.

Ora, io non ho dubbi che gran parte di questa malvagità sessista sia nata prima della religione, e può essere imputata alla nostra biologia. Ma non c'è dubbio che la religione ratifica e rende sacrosante alcune attitudini verso le donne che sarebbero impensabili in una scimmia brachiale. L'uomo è stato fatto a immagine di Dio, la donna è stata fatta a immagine dell'uomo. Questo secondo il giudaismo, il cristianesimo e l'islam. Quindi l'umanità della donna è un'umanità derivata, è ersatz. Il Vecchio Testamento valuta il valore della vita di una donna tra la metà e i due terzi di quella di un uomo. Il Corano dice che occorre la testimonianza di due donne per compensare la testimonianza di un uomo. E che ogni donna ha diritto alla metà dell'eredità che spetta a suo fratello maschio. Il dio biblico è stato chiarissimo sul fatto che una donna deve vivere in uno stato di soggiogamento assoluto al proprio padre; fino al momento in cui è costretta a fornire il servizio matrimoniale ai suoi mariti. E il Nuovo Testamento non offre nessuna ritrattazione di ciò; San Paolo l'ha ribadito nella sua lettera agli Efesini: "mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come lo siete al Signore. Perché il marito è il capo della moglie come Cristo è il capo della Chiesa. Come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni situazione.".

Il Corano trasmette lo stesso messaggio. E nella maggior parte delle traduzioni dice che le mogli disobbedienti devono essere frustate o picchiate. Il saggio dell'11mo secolo, Al Ghazzali, forse il più influente musulmano dopo Maometto, descrive i doveri della donna in questo modo: deve restare a casa e adempiere alla tessitura; non deve uscire spesso di casa; non deve essere bene informata; né comunicare troppo coi propri vicini; e far loro visita solo quando assolutamente necessario; deve occuparsi di suo marito e rispettarlo in sua presenza e in sua assenza, e cercare di soddisfarlo in tutto. Non deve lasciare la casa senza il suo permesso, e se ottiene il permesso deve uscire senza farsi riconoscere: deve indossare vestiti vecchi, e camminare in strade deserte e vicoli; evitare i mercati, assicurarsi che degli stranieri non sentano la sua voce o la riconoscano; non deve parlare a un amico di suo marito neppure se ne ha bisogno. La sua sola preoccupazione dovrebbe essere la propria virtù, la propria casa, la propria preghiera e il proprio digiuno. Se un amico di suo marito chiama quando lui è assente, non deve aprire la porta, o rivolgersi a lui, allo scopo di salvaguardare se stessa e l'onore del proprio marito. Deve accettare come sufficienti le prestazioni sessuali che il marito le dà; e deve essere pulita e pronta a soddisfare il bisogno sessuale del marito in ogni momento.

Ora pensate per un attimo alla vita meravigliosa delle donne in afghanistan sotto i talebani; o ai milioni di donne che ancora oggi sono costrette a indossare il velo sotto l'islam; o che sono costrette a matrimoni forzati con uomini che non hanno mai incontrato; e vi renderete conto che questo tipo di credenze religiose hanno conseguenze reali.

L'effetto netto della religione, specialmente nella tradizione di Abramo, è stato di demonizzare la sessualità femminile, e dipingere le donne come inferiori all'uomo intellettualmente e moralmente.

Si immagina che ogni donna mantenga nelle sue mani l'onore dell'uomo, e possa rovinarlo con uno sguardo. O distruggerlo del tutto con un'indiscrezione sessuale. In questo contesto, lo stupro è in realtà un crimine commesso da un uomo contro un altro uomo. La donna è solo un veicolo della vergogna. Ed è spesso incolpata di aver adescato l'uomo, essendo tutta vezzi e ammiccamenti e inganni. Nel Vecchio Testamento, deuteronomio 22, Dio dice che se una donna non urla abbastanza forte quando viene stuprata, ella deve essere lapidata a morte, avendo contribuito alla propria vergogna.

Non si scappa alla visione, nella bibbia e corano, che le donne sono state messe sulla terra per servire l'uomo, per tenere ordinate le case dell'uomo, e per fare da incubatrici ai suoi figli. Questo è un fatto che non si può davvero mettere in discussione. Se mai raggiungeremo una civiltà globale che davvero dia valore ed onori i diritti e le capacità delle donne, non sarà perché avremo dato più attenzione ai nostri libri sacri.

Quindi, per riassumere, l'affermazione di fondo che noi deriviamo la nostra moralità dalla religione è chiaramente falsa.

L'affermazione che siamo l'unica specie ad avere impulsi morali è anch'essa falsa. Chiaramente la nostra capacità di cooperare tra di noi può essere spiegata in termini evoluzionistici. Gli scimpanzè, con cui condividiamo il 99% del nostro DNA, percepiscono le rispettive vite emotive come importanti, tanto quanto noi. Sono motivati a riconciliarsi dopo le dispute. Cercano di confortarsi l'un l'altro. Degli scimpanzè sono addirittura morti nel tentativo di salvare altri scimpanzè dall'affogare. Regiscono negativamente alle situazioni che percepiscono come ingiuste, come una distribuzione del cibo disuguale. Dato quanto sono precarie le vite di tutti i primati, non è sorprendente che l'evoluzione abbia selezionato una grande varietà di preoccupazioni morali, ed istinti sociali. Le persone religiose hanno ragione a credere che la nostra moralità non è soltanto un prodotto della cultura: è davvero profondamente radicata in noi [nella nostra storia evolutiva, NdM]. E chiaramente la moralità è molto rafforzata dalla nostra capacità di parlare e scrivere: il linguaggio ci dà la capacità di estendere il nostro orizzonte morale oltre la famiglia e i parenti, e anche oltre la nostra specie. Ma il linguaggio rafforza anche la nostra potenzialità di malvagità e stupidità: siamo l'unica specie capace di bloccare la ricerca medica che può salvare delle vite; di demonizzare gli omosessuali; e di far schiantare degli aerei contro edifici, a causa di ciò che ci raccontiamo su Dio.

La verità è che siamo noi a decidere cosa è buono e cosa è cattivo nei nostri libri sacri, dal punto di vista morale. Ad esempio, noi leggiamo la Bibbia, e vediamo che il Levitico dice che, se una donna non è vergine la notte del matrimonio, bisogna ucciderla con la lapidazione, sulla porta di casa di suo padre. Allora, noi scegliamo di rifiutare questa antica perla di saggezza. E poi scegliamo di osservare la Regola d'Oro [perché la riteniamo buona]. Ma allora il garante della nostra moralità è nel nostro cervello, non nei nostri libri.

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Finora ho parlato dei problemi nell'affermazione che la religione è vera, e nell'affermazione che la religione è utile. Il terzo modo di difendere Dio è sostenere che l'ateismo è dogmatico, intollerante, o comunque degno di disprezzo. Come ho sostenuto nel mio secondo libro, Lettera a una Nazione Cristiana, la parola "ateo" è una parola di cui non abbiamo bisogno. Per lo stesso motivo per cui non abbiamo bisogno di una parola per descrivere un non-astrologo. [Il pubblico ride.] Sapete, non abbiamo siti internet per non-astrologi. Non ci sono gruppi di discussione per non-astrologi. Nessuno si sveglia la mattina col bisogno di ricordare a se stesso di essere un non-astrologo. L'ironia è che "ateismo" è una parola completamente vuota di significato. Non è una posizione filosofica. Tutte le persone religiose sono atee, rispetto alla religione di qualcun altro. Siamo tutti atei, rispetto alle migliaia di dei morti e sepolti in quella pagliacciata che chiamiamo mitologia. Pensiamo a Thor, Iside e Zeus. Questi erano una volta dèi molto in voga tra i nostri antenati. Oggi tutti li rifiutano. (Veramente non tutti: a volte mi arrivano email astiose da persone che credono davvero in Zeus e Poseidone, ma questa è un'altra storia.) Ma soprattutto, ogni cristiano rifiuta la affermazioni dell'islam, tanto quanto le rifiuto io. I musulmani affermano di avere il mondo perfetto del Creatore dell'universo. Perché credono questo? Perché è scritto nel libro. Mi spiace, non è sufficiente. Quindi questa parola "ateismo" è veramente fuorviante. In realtà stiamo parlando di precise affermazioni sul mondo, e dell'evidenza per credere che siano vere. O meglio mancanza di evidenza.

Ora, che dire dell'accusa che l'ateismo è dogmatico? Diciamolo chiaramente: gli ebrei, i cristiani e i musulmani affermano che i loro libri sacri sono così profondi, così profetici nel prevedere i bisogni dell'umanità, che potrebbero essere stati scritti solo da un essere onnisciente. Un ateo è semplicemente una persona che ha preso in considerazione questa affermazione, ha letto quei libri, ed ha concluso che l'affermazione in questione è ridicola. Questo non è dogmatismo, perché non è necessario credere alcunché senza evidenza sufficiente, per poter rifiutare il dio biblico. Quale dogma abbiamo abbracciato, quando abbiamo deciso di non considerare Apollo e Zeus nella nostra vita? Sarebbe forse "dogmatico" dubitare che l'Iliade e l'Odissea siano state dettate dal creatore dell'universo? L'ateo sta semplicemente dicendo, come disse Carl Sagan, che "le affermazioni straordinarie richiedono evidenza straordinaria". [E' l'esatto opposto del dogmatismo.] Se c'è un antidoto per il dogmatismo, è proprio questo.

C'è un'accusa correlata che dice che gli atei, e in generale gli scienziati, sono arroganti. Questo è piuttosto ironico. La verità è che, quando uno scienziato non sa qualcosa (come perché l'universo ha avuto origine, o come si è formata la prima molecola replicatrice sulla terra), tende ad ammetterlo. Fingere di sapere cose che non sai è un disonore gravissimo in ambiente scientifico. Vieni punito se lo fai. E piuttosto in fretta. Ma fingere di sapere cose che non sai è l'essenza stessa della religione, la quale si basa sulla fede. Questa è davvero un'ironia profonda: sentiamo le persone religiose che si lodano continuamente per la propria umiltà, mentre allo stesso tempo fanno affermazioni sulla cosmologia, la chimica, la fisica, e la paleontologia, che nessuno scienziato si permetterebbe mai di fare. Chiunque consideri la Genesi come un resoconto attendibile della creazione, o anche solo minimamente informativo, sta sostanzialmente dicendo a persone come Stephen Hawking: "Stephen, sei una personcina intelligente, e vedo tante belle equazioncine sul tuo quaderno, ma non sai abbastanza di cosmologia. Vedi, qui c'è scritto che Dio ha fatto questo in sei giorni, si è riposato il settimo giorno... e non mi sembra che tu abbia afferrato le sottigliezze e le sfumature del resoconto biblico.". Tutto questo sarebbe anche divertente, se non avesse un effetto così disastroso sulla nostra politica pubblica: sta davvero ostacolando la ricerca medica e l'insegnamento della scienza in questo Paese. Il 30% degli insegnanti di biologia liceali negli Stati Uniti non menziona neppure l'evoluzione, per la paura dell'isterismo religioso che evoca nei loro studenti, e nei genitori degli studenti. Ricordiamo tutti il recente dibattito presidenziale, dove tre candidati repubblicani alla presidenza hanno solennemente alzato la mano, per affermare che non credevano nell'evoluzione. E non c'è stata alcuna domanda successiva. Questo è imbarazzante. Ed ogni tot mesi l'articolo di fondo del New York Times pubblica una difesa di questo genere di ignoranza. Non c'è dubbio che questo stia erodendo la nostra reputazione agli occhi del resto del mondo sviluppato. E non è arrogante o dogmatico farlo notare. Mi sembra che la nostra onestà intellettuale sia in una situazione in cui vive o muore.

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Gli atei vengono anche accusati di credere che non esista niente al di là della vita umana e della comprensione umana. La verità è che gli atei non hanno problemi ad ammettere che c'è una gran parte dell'universo che non comprendiamo. E' ovvio che non comprendiamo l'universo. Ma è ancora più ovvio che né la Bibbia né il Corano riflettono il nostro miglior livello di comprensione dell'universo. Potrebbe esserci vita su altri pianeti; vita complessa, civiltà tecnicamente evolute; immaginate soltanto una civiltà antica un milione di anni, anziché solo qualche migliaio. Gli atei sono liberi di immaginare questa possibilità. Sono anche liberi di ammettere che, se mai esistessero questi brillanti extraterrestri, la Bibbia e il Corano sembrerebbero loro ancora più deludenti di quanto sembrino agli atei umani.

Si immagina spesso che gli atei si oppongono per principio alle esperienze spirituali. Ma la verità è che non c'è niente che impedisca a un ateo di sperimentare un amore trascendente, o estasi, o trasporto spirituale, o stupore mistico. Non c'è niente che impedisca a un ateo di entrare in una caverna per un anno, o dieci anni, e praticare la meditazione, come un vero mistico. Quello che invece l'ateo non tende a fare, è fare affermazioni ingiustificate ed ingiustificabili sull'universo, sulla base di quelle esperienze spirituali.

Non c'è dubbio che discipline come la meditazione e la preghiera possono avere un effetto profondo sulla mente umana. Ma le esperienze spirituali dei mistici cristiani nella storia suggeriscono forse che Gesù sia il salvatore dell'umanità? Nemmeno lontanamente. Perché è vero che i cristiani hanno queste esperienze, ma le hanno anche i buddisti, i musulmani, e perfino gli atei. Quindi siamo di fronte a una realtà più profonda, che di per sé ridicolizza le denominazioni religiose. La verità è che, ogni qual volta un essere umano fa uno sforzo onesto per raggiungere la verità, regolarmente trascende i confini accidentali posti dalla propria nascita e dalla propria cultura. Ad esempio, sarebbe assurdo parlare di una "fisica cristiana", sebbene i cristiani abbiano inventato la fisica. E sarebbe assurdo parlare di "algebra musulmana", sebbene i musulmani abbiano inventato l'algebra. Ed un giorno sarà assurdo parlare di etica cristiana e musulmana, o di spiritualità cristiana o musulmana. Se c'è qualcosa di vero nelle nostre circostanze, in termini etici e spirituali, allora deve essere scopribile adesso; e si può di certo articolare senza contraddire tutto quello che siamo giunti a comprendere finora della natura dell'universo. E, di certo, questo si può fare senza fare affermazioni che causano divisioni tra le persone, come ad esempio affermare che certi libri abbiano una sacralità esclusiva; e senza sminuire queste meravigliose caratteristiche della nostra vita riconducendole a voci di antichi miracoli.

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Infine, c'è questa accusa che l'ateismo sia responsabile dei peggiori crimini del ventesimo secolo. E' un'obiezione davvero incredibile per me, ma è la più frequente. E' sorprendente quante persone pensano che i crimini di Hitler, Pol Pot, Mao, [Stalin], siano il risultato dell'ateismo. La verità è che questa è una mistificazione completa di quello che veramente accadeva in quelle società, e delle forze psicologiche e sociali che hanno permesso alle persone di seguire i loro amati leader in quel percorso. Il problema del fascismo e del comunismo non è affatto che erano troppo critici verso la religione. Il problema è che erano troppo simili a una religione. Sono due sistemi di pensiero incredibilmente dogmatici. Recentemente ho partecipato a un dibattito con Rick Warren sulle pagine del Newsweek, e lui ha suggerito che la Corea del Nord fosse il modello della società atea; e che ogni ateo con il coraggio delle proprie convinzioni dovrebbe andare a vivere là. La verità è che la Corea del Nord è organizzata esattamente come un culto basato sulla fede, centrato intorno alla venerazione di Kim Jong Il. I nord-coreani sembrano credere che le spedizioni di cibo, che noi mandiamo loro per non farli morire di fame, siano in realtà offerte votive per Kim Jong Il. Qualcuno crede ancora che il problema della nord-corea sia la troppa poca fede? Davvero qualcuno crede che il problema della Nord-Corea sia un eccesso di indagine scettica?

Auschwitz, i Gulag, e i campi di sterminio non sono il prodotto dell'ateismo. Sono il prodotto di altri dogmi, che sono andati fuori controllo. Il nazionalismo, dogma politico. Hitler non ha ideato il genocidio in Europa a causa dell'ateismo. Anzi Hitler non sembra neppure essere stato ateo: invocava regolarmente Gesù nei suoi discorsi. Ma non è questo il punto. Egli agiva sulla base di altre credenze: dogmi sul giudaismo, sulla purezza della razza germanica...

La storia della jihad musulmana, invece, ha molto a che fare con l'islam. Le atrocità dell'11 settembre hanno molto a che fare con ciò che quei 19 uomini credevano sull'aldilà, sul martirio e il paradiso.

Il fatto che noi non stiamo finanziando la ricerca sulle cellule staminali a livello federale ha molto a che fare con ciò che i cristiani credono, circa il concepimento e l'anima umana. E' molto importante saper individuare le conseguenze specifiche di certe specifiche idee.

Voglio essere molto chiaro: io non sto dicendo che la religione è responsabile per ogni cosa cattiva che una persona religiosa ha fatto nella storia, da bilanciare contro tutte le cose cattive che gli atei hanno fatto. Sto dicendo solo che la religione è responsabile per ciò che le persone hanno fatto, e continueranno a fare, per ragioni esplicitamente religiose.

[Quindi la risposta da dare a chi accusa l'ateismo delle atrocità compiute dai regimi totalitari è questa:] non c'è alcuna società nella storia dell'umanità che abbia mai sofferto perché la sua popolazione è diventata troppo ragionevole; troppo riluttante ad abbracciare un dogma; troppo esigente nel chiedere evidenza.

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In conclusione, credo che la civiltà in questo secolo stia passando attraverso una specie di collo di bottiglia, formato da un lato dalla tecnologia distruttiva del 21mo secolo, e dall'altro da una superstizione degna dell'età del ferro. E noi supereremo questo collo di bottiglia in modo più o meno doloroso, oppure ci autodistruggeremo. Forse questo timore vi sembra eccessivo, ma la verità è che le civiltà terminano. Anzi, praticamente ogni civiltà nella storia umana termina. Avviene continuamente nel corso della storia. Alcune generazioni sfortunate hanno dovuto assistere alla distruzione di tutto quello che loro, e i loro antenati, avevano costruito. Noi siamo parte della storia. Non c'è alcuna garanzia. Le cose possono andare spettacolarmente male per noi. Anzi, in molte comunità religiose c'è un articolo di fede che dice che le cose finiranno spettacolarmente male, e che ciò è bene. Di chi sto parlando? Il 79% degli americani crede che Gesù scenderà giù dalle nuvole, e risolverà tutti i nostri problemi con i suoi poteri magici, ad un certo punto nella storia. Il 20% degli americani afferma di essere sicuro che ciò avverrà nell'arco della propria vita. Questo è esattamente il tipo di mentalità che non ci aiuta. E credo sia abbastanza ovvio che le profezie che annunciano la fine del mondo potrebbero auto-avverarsi.

Nell'unicità di questa situazione, anche la crescita della tecnologia non dovrebbe essere ignorata. Non solo la tecnologia progredisce, ma aumenta anche la rapidità del progresso stesso. Alcuni futuristi come Ray Kurzweil hanno detto che la rapidità raddoppia ogni dieci anni. Quindi se prendiamo come unità di misura la frequenza con cui la tecnologia progrediva nell'anno 2000, allora il ventesimo secolo corrisponde a 20 anni di cambiamento. Ora siamo nel processo di fare altri 20 anni di cambiamenti in circa 14 anni. Poi saranno 7, poi tre e mezzo, e così via. Se questa rapidità continua, il 21mo secolo non rappresenterà 100 anni di progresso tecnologico, ma ventimila anni. Ventimila anni fa, degli esseri umani praticamente uguali a noi, con un cervello delle stesse dimensioni, e la stessa capacità biologica di pensare creativamente, erano rimasti praticamente immobili per almeno 100.000 anni. E non avevano prodotto niente di più complicato che arco e frecce. In 20.000 anni, siamo passati da arco e frecce a Internet. Immaginate un cambiamento della stessa entità in un solo secolo. Ma cerchiamo di essere più conservativi possibile: immaginiamo che in questo secolo si verifichi solo una quantità di progresso pari al secolo precedente. Persino questa prospettiva è agghiacciante, se vi rendete conto di che genere di persone avranno accesso a questo tipo di tecnologia. Guardate quanto Internet ha facilitato il movimento globale della jihad tra i musulmani. Guardate quanto si sta dimostrando difficile fermare la proliferazione di armi nucleari. Quindi, se accettiamo la premessa del tutto ragionevole che è più facile distruggere qualcosa che ripararla, o difenderla, la crescita della tecnologia è agghiacciante per il modo in cui sta interagendo con la religione. E questo vale specialmente in un mondo che si è diviso in fazioni religiose e morali in competizione tra loro. E specialmente tra comunità che credono che la morte sia un'illusione; che questo mondo esista solamente per essere consumato dalla furia di Dio; e che la distruzione di ogni bene tangibile sarà essa stessa il bene più grande, perché sarà una via di accesso all'eternità. Queste sono idee esplicitamente religiose, prive di qualunque sostegno fattuale, eppure sono incredibilmente diffuse. Credo che sia responsabilità di tutti contribuire a rompere quest'incantesimo. Grazie mille.

mercoledì 16 gennaio 2008

Mettere in vendita i bambini


Nell'articolo precedente, Steven Pinker nota che la stragrande maggioranza delle persone prova un senso di oltraggio e disgusto all'idea che le agenzie di adozione vendano i bambini al migliore offerente. D'altra parte, nel finale, Pinker nota anche che è sbagliato e pericoloso dare ascolto al proprio senso istintivo di disgusto.

Vediamo in che modo l'analisi economica, secondo David Friedman, può far luce sulla questione. L'analisi è sorprendentemente simile a quella della liberalizzazione della droga. Nel finale, Friedman parla anche di eugenetica e bioignegneria.

La parola a David Friedman, dal libro "L'ordine del diritto".

Il commercio dei bambini

Alcuni anni fa il «Wall Street Journal» riportava un articolo impressionante per il grado di ignoranza economica mostrato dagli autori, dai quali ci si poteva attendere ben di meglio. Tema dell'articolo era il «mercato delle adozioni». Quell'articolo ospitava alcune riflessioni le quali discettavano su come l'offerta, in questo mercato, avesse oscillato tra eccesso e scarsità, tra periodi in cui i bambini non riuscivano a trovare un genitore adottivo e periodi in cui i potenziali genitori adottivi non erano in grado di trovare dei bambini adottabili. Gli autori concludevano quindi che questa era la dimostrazione di un fallimento del libero mercato.

Si ometteva, nell' articolo, un piccolo particolare. Nell'ordinamento statunitense è fatto divieto al futuro genitore adottivo di pagare una madre per ottenerne in cambio il consenso ad adottare il neonato: il «mercato delle adozioni» è così poco libero che il prezzo è fissato, ex lege, a zero. Osservare che il controllo dei prezzi porta alla scarsità nell'offerta dei beni quando il prezzo controllato è inferiore a quello di mercato, e ad un eccesso di offerta quando tale soglia viene superata, non è sorprendente e non sta certo a testimoniare un insuccesso del libero mercato.

Ci sono almeno tre modi in cui è possibile porre rimedio alla mancanza di beni causata dal controllo dei prezzi. Il più semplice è costringere gli interessati a mettersi in coda.

Allorché gli Stati Uniti, durante la presidenza Nixon, sperimentarono il controllo dei prezzi sui carburanti, il primo risultato fu la comparsa di lunghe code ai distributori di benzina. Aspettare in coda rappresenta un costo; quando le file si allungarono a sufficienza, il costo monetario del carburante, sommato al costo rappresentato dal tempo trascorso in coda, divenne abbastanza rilevante da contrarre la quantità richiesta sino a livelli pari alla quantità offerta. In quello che abbiamo chiamato mercato delle adozioni, gli aspiranti genitori devono spesso attendere anni prima di poter adottare un bambino.

Un secondo modo per affrontare il problema è il razionamento. Un'autorità stabilisce a quali tra gli aspiranti compratori e in quale quantità debba essere assegnata la limitata offerta disponibile. Nel caso delle adozioni, il razionamento è praticato intenzionalmente da specifiche istituzioni autorizzate a controllare le adozioni legittime. Tali autorità elaborano criteri atti a eliminare un sufficiente numero di aspiranti genitori, per poi poter garantire il buon esito della richiesta a quelli considerati idonei. Alcuni dei principi che regolano questo processo di selezione sono del tutto condivisibili, in quanto si sforzano di individuare i migliori aspiranti genitori. Altri, come ad esempio il requisito che richiede la comunanza di religione tra genitori naturali ed adottivi, sembrano trovare come unica giustificazione l'intento di contenere il numero delle domande di adozione. [Notate che lo Stato ratifica l'idea insensata che un bambino piccolo possa avere una "religione", NdM]

Una terza possibilità, in un regime di controllo dei prezzi, è rappresentata dal mercato nero. Non è in contrasto con il diritto vigente il fatto che gli aspiranti genitori adottivi paghino degli avvocati per organizzare le adozioni, nonché la madre biologica del bambino a copertura delle spese sanitarie. Attualmente, il costo per ottenere l'adozione di un bambino al di fuori dei canali previsti dall'ordinamento ammonta a decine di migliaia di euro, molto più del costo che abitualmente sopportano i genitori naturali. Presumibilmente, una parte di questa cifra è corrisposta alla vera madre per ottenerne il consenso, sotto forma di pagamento illegale (ovviamente mascherato con varie giustificazioni), mentre un'altra frazione di questo importo retribuisce gli avvocati che organizzano la transazione.

Su questo mercato, come su altri, il problema potrebbe esser risolto eliminando il controllo dei prezzi, permettendo cioè agli aspiranti genitori adottivi di contrattare con la madre naturale per giungere a termini reciprocamente accettabili. Questa soluzione è stata proposta, tra gli altri, da Posner. È convinzione diffusa, tra i colleghi giuristi, che questa sua presa di posizione renda quasi impossibile la sua nomina alla Corte Suprema degli Stati Uniti, nonostante sia uno dei più capaci studiosi di diritto della sua generazione. Quale senatore darebbe il proprio voto ad un candidato che ha pubblicamente sostenuto l'opportunità di consentire la vendita di bambini?

Perché questa proposta suscita una reazione così fortemente negativa? La risposta più ovvia è che essa comporta il commercio di esseri umani, e ripugna l'idea che sia possibile acquistare un uomo. In realtà, ciò che un genitore adottivo ottiene non è la proprietà di un figlio, ma quella dei diritti (e degli obblighi) parentali su quel bambino. Se questo particolare «possesso» di un figlio è criticabile, perché non è egualmente criticabile la medesima situazione che si instaura con il genitore naturale o con il genitore adottivo (nel caso quest'ultimo sia così riconosciuto dal vigente ordinamento)?

Un argomento più efficace per contrastare l'idea di un libero mercato delle adozioni può far leva sull'osservazione che, mentre esso massimizza il comune beneficio delle parti coinvolte nella transazione, i genitori adottivi e la madre naturale, potrebbe ignorare del tutto i costi ed i benefici del bambino. È comunque difficile capire se tale ultima considerazione corrisponda a verità, poiché, anche sulla base del diritto vigente, il minore, se in tenera età, non ha la possibilità di esprimere alcuna preferenza. Solitamente, le persone disponibili a sborsare del denaro per ottenere un bambino in adozione desiderano fortemente diventare genitori, il che rappresenta, dopo tutto, la principale qualifica per il compito che li attende. Perché il fatto di essere disponibili ad attendere tre anni e a compilare una quantità di moduli dovrebbe rappresentare una migliore prova delle attitudini genitoriali rispetto all'abilità di reperire e di pagare un avvocato con i contatti giusti? Gli organi competenti a disciplinare il meccanismo dell'adozione di minori sostengono la bontà delle restrizioni da loro imposte poiché sono poste a garanzia del benessere del bambino; ma perché dovremmo aspettarci che i soggetti preposti a tale compito siano più preoccupati del benessere di un bambino di quanto non sia la madre naturale o la coppia che intende adottarlo? I bambini possono esplicare una notevole dose di influenza sui loro genitori, naturali o adottivi; pochissima invece nei confronti delle procedure stabilite dall'ordinamento per regolare la loro adozione.

Un ragionamento più interessante, con un ambito di applicazione decisamente più ampio, ruota attorno al concetto di materializzazione di «beni» molto particolari. Con ciò ci si riferisce ad una transazione tra due parti che coinvolge anche terzi, non direttamente secondo le modalità che gli economisti abitualmente considerano nelle loro analisi sulle esternalità, ma in una maniera più sottile, influenzando il modo di pensare della collettività. Se consentissimo lo scambio di una somma di denaro con un bambino -- anche in cambio dei soli diritti e doveri parentali sugli stessi minori -- saremmo indotti a trattare i bambini alla stregua di oggetti materiali, quali automobili, gioielli e altri beni suscettibili di valutazione patrimoniale; non come esseri umani. Se considerassimo pienamente legittima la dazione di una somma di denaro dal cliente alla prostituta, cominceremmo a pensare al sesso come ad un servizio che viene messo in vendita dalla donna, e non come ad uno degli elementi costitutivi una relazione amorosa. Per questa ragione Margaret Radin, in un articolo pubblicato su una rivista giuridica e in seguito ampiamente citato, ha sostenuto che, seppure permettere la prostituzione può assicurare un beneficio sia alle prostitute sia ai loro clienti, potrebbe essere comunque ragionevole proibirla poiché altrimenti si trasformerebbe il sesso in un bene materiale, scambiabile sul mercato; e ciò, nel complesso, è in grado di arrecare più danni che benefici, tanto agli uomini quanto alle donne. Sulla base di analoghe considerazioni, appare quindi opportuno proibire un libero mercato delle adozioni.

Questo ragionamento, nonostante l'indubbia perspicacia, non è però convincente. La prostituzione è sì molto comune, ma solo poche persone -- le prostitute, i loro clienti e pochi altri -- la prendono a modello dei rapporti intimi fra due persone. In generale, si può ritenere che gli uomini intrattengano relazioni sessuali con le prostitute non perché preferiscono i rapporti mercenari a quelli affettivi, ma perché non sono in grado di reperire donne con cui sviluppare un'intesa che comprenda l'aspetto sessuale non meno che quello sentimentale.

Tale ricostruzione dà per scontato che ciò che conta realmente siano i precetti giuridici piuttosto che il reale comportamento dei soggetti a cui tali precetti si rivolgono. [Molti politici, anche italiani, sostengono che non bisogna fare certe leggi perché "con questa legge, che messaggio daremmo ai giovani?", NdM.] La prostituzione, ammette la Radin, è attualmente diffusa in tutti gli Stati Uniti, anche se è stata legalizzata solamente in due contee rurali dello stato del Nevada. Molti genitori adottivi hanno corrisposto una somma di denaro per l'adozione di un minore, e questa somma è probabilmente ben maggiore di quanto sarebbero stati costretti a pagare ove fosse stato loro consentito un «pagamento» diretto, dal momento che il costo effettivo dei beni a prezzo controllato, se vi comprendiamo anche i tempi di attesa, i pagamenti sommersi e così via, è solitamente più alto del costo che questi beni avrebbero nell'ambito di mercati privi di quel controllo. Non è possibile sostenere che la legalizzazione di queste transazioni le legittimerebbe anche nella coscienza collettiva, senza premettere due considerazioni, entrambe poco plausibili. La prima considera che ciò che è giuridicamente lecito sia sempre condivisibile e auspicabile, e ci suggerisce una visione della società coerente con le linee generali del formicaio di T.H. White, nel quale ogni azione era o proibita o obbligatoria. In uno stato in cui il gioco d'azzardo privato è considerato illegale, e spetta a specifici organi pubblici gestire le lotterie, è difficile sostituire perfettamente l'alternativa bene/male con quella giuridicamente lecito/giuridicamente illecito. La seconda premessa stabilisce che, per l'opinione popolare, il governo sia un'alta sorgente di precetti morali. Recenti sondaggi sembrano piuttosto dimostrare il contrario. William Godwin, quasi duecento anni fa, nel controbattere la tesi che per insegnare i principi morali sarebbe stata necessaria la creazione di una scuola pubblica di orientamento governativo, rispose piuttosto risolutamente che «l'umanità non potrà mai imparare una lezione così importante attraverso un canale così corrotto».

Anche se a prima vista potrebbe apparire il contrario, ricondurre a beni suscettibili di valutazione patrimoniale le situazioni giuridiche non disponibili di cui sono titolari i soggetti di diritto -- per quanto possa apparire uno stratagemma ingegnoso -- non corrisponde ad un'idea molto originale. E' semplicemente la versione aggiornata del noto ragionamento, spesso proposto in chiave reazionaria, contrario ai comportamenti immorali e alla libertà di parola: le cattive idee, o, comunque, la loro predicazione e attuazione, inducono gli altri consociati ad assumere comportamenti disdicevoli.

In questo senso, si può osservare una curiosa convergenza tra l'analisi della Radin, che cerca di giustificare le vigenti norme in tema di prostituzione, e la giurisprudenza relativa al primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. I tribunali statunitensi ritengono che alcuni atti -- i quali, di per sé, sono antigiuridici (come quello di dare alle fiamme la bandiera) --, qualora si pongano quali esercizi del diritto di manifestazione del pensiero, sono non solo giuridicamente leciti ma, addirittura, meritevoli di tutela. Il meccanismo dell'oggettificazione delle situazioni giuridiche soggettive fa sì che particolari comportamenti -- che di per sé potrebbero essere considerati del tutto leciti (come lo scambio di denaro contro prestazione sessuale, che avviene tra una prostituta e il suo cliente) -- siano anche delle espressioni di pensiero che, in quanto contrarie al senso del pudore e alla pubblica decenza, dovrebbero essere bandite. Sul piano logico, tale ricostruzione potrebbe anche reggere; ma, una volta accettata, si apre un grande varco, nell'attuale sistema dei diritti civili, che rischia di travolgere la stessa libertà di espressione.

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L'ampio spazio dedicato a queste riflessioni può spiegarsi, oltre che in ragione della loro intrinseca importanza, anche in virtù di un cruciale coacervo di problematiche giuridiche sollevate dalla moderna tecnologia relativa alla riproduzione assistita. Una di queste tecniche, la fecondazione in vitro, è diventata comune ed è ora largamente accettata. Una seconda pratica, più semplice della precedente, ovvero l'uso di madri surrogate, è tuttora ampiamente controversa; i tribunali americani sono generalmente molto riluttanti ad imporre il rispetto dei contratti nei quali una donna accetta di essere fecondata artificialmente con il seme di un uomo, la cui moglie è sterile, per poi dare in adozione alla coppia il proprio figlio. Una terza tecnica, quella consistente nel far nascere un bambino dopo aver clonato una cellula prelevata da un soggetto adulto, non è stata finora realizzata, ma appare già ora praticabile. Il futuro prossimo fornirà ai genitori la possibilità di un certo controllo sul patrimonio genetico dei propri figli, consentendo di scegliere nell'ambito delle opzioni che la natura avrebbe potuto casualmente selezionare; forse, in un futuro un poco più lontano, si potranno attribuire ai propri figli caratteristiche che non sarebbero in alcun modo trasmissibili con i metodi tradizionali di concepimento.

Si stanno poi sviluppando altre tecniche di bioingegneria, alcune delle quali già utilizzate nelle cavie, che potrebbero consentire ad una coppia di lesbiche di generare un figlio dotato di patrimonio genetico proveniente da entrambe.

Tutte queste procedure sono state, o saranno, criticate utilizzando argomenti simili a quelli che attualmente vengono rivolti contro le ipotesi di legalizzazione del mercato delle adozioni; la volontarietà di tali transazioni non toglie che alcune delle parti ne traggano vantaggio patrimoniale. Le critiche faranno poi leva sul presunto interesse dei minori, assumendo implicitamente che i genitori che si sono rivolti alla genetica per avere un figlio saranno meno dediicati di quanto non lo siano i genitori che sono ricorsi ai metodi tradizionali. Tutte queste obiezioni, e altre ancora, deriveranno molta della loro forza dal convincimento, profondamente radicato, che tali tecniche siano contrarie alla natura, e finiscano per togliere valore alla specificità di ogni essere umano. Le novità, si sa, generano timori:

Quello che questa nuova tecnica, insieme a molte altre simili, ci conferma è che non vi è nulla di speciale nella riproduzione umana, né in ogni altro aspetto dell'umana biologia, se non per una singolare particolarità: la peculiarità dell'umanità si trova compresa tra le nostre due orecchie. Se la cerchiamo altrove, rimarremo certamente delusi. (Lee Silver, genetista murino, mentre rispondeva ad un esperto di bioetica preoccupato che la tecnica che avrebbbe reso possibile la produzione di spermatozoi umani mediante l'impianto di cellule umane nei testicoli di un animale sfidasse la «peculiarità dell'umanità».)

Anche se i principi, a cui solitamente ci si richiama per avversare i negozi giuridici aventi ad oggetto l'utilizzo della genetica a fini riproduttivi, finiranno probabilmente per prevalere nei tribunali, ciò non potrà che avere un effetto estremamente limitato sull'ambito di diffusione di queste tecnologie. Prendiamo in esame il caso dei cosiddetti uteri in affitto. Questi contratti sono considerati contrari al diritto in almeno uno stato americano; il loro adempimento non è minimamente tutelato nella maggior parte dei restanti. La realtà ordinamentale ha però un limitatissimo impatto sulll'effettivo comportamento dei soggetti interessati a concludere tali contratti, dal momento che esiste, per essi, la scelta di stipulare tali accordi nelle giurisdizioni che consentono tali pratiche. Anche dove contratti di questo tipo, pur leciti, non sono assistiti da alcuna protezione giuridica, le società che svolgono la funzione di reperire le donne disponibili a portare a termine le gravidanze per conto terzi sono in grado di identificare le madri che, con maggiore probabiliità, rinnegheranno l'accordo dopo la nascita del figlio.