mercoledì 16 gennaio 2008

Mettere in vendita i bambini


Nell'articolo precedente, Steven Pinker nota che la stragrande maggioranza delle persone prova un senso di oltraggio e disgusto all'idea che le agenzie di adozione vendano i bambini al migliore offerente. D'altra parte, nel finale, Pinker nota anche che è sbagliato e pericoloso dare ascolto al proprio senso istintivo di disgusto.

Vediamo in che modo l'analisi economica, secondo David Friedman, può far luce sulla questione. L'analisi è sorprendentemente simile a quella della liberalizzazione della droga. Nel finale, Friedman parla anche di eugenetica e bioignegneria.

La parola a David Friedman, dal libro "L'ordine del diritto".

Il commercio dei bambini

Alcuni anni fa il «Wall Street Journal» riportava un articolo impressionante per il grado di ignoranza economica mostrato dagli autori, dai quali ci si poteva attendere ben di meglio. Tema dell'articolo era il «mercato delle adozioni». Quell'articolo ospitava alcune riflessioni le quali discettavano su come l'offerta, in questo mercato, avesse oscillato tra eccesso e scarsità, tra periodi in cui i bambini non riuscivano a trovare un genitore adottivo e periodi in cui i potenziali genitori adottivi non erano in grado di trovare dei bambini adottabili. Gli autori concludevano quindi che questa era la dimostrazione di un fallimento del libero mercato.

Si ometteva, nell' articolo, un piccolo particolare. Nell'ordinamento statunitense è fatto divieto al futuro genitore adottivo di pagare una madre per ottenerne in cambio il consenso ad adottare il neonato: il «mercato delle adozioni» è così poco libero che il prezzo è fissato, ex lege, a zero. Osservare che il controllo dei prezzi porta alla scarsità nell'offerta dei beni quando il prezzo controllato è inferiore a quello di mercato, e ad un eccesso di offerta quando tale soglia viene superata, non è sorprendente e non sta certo a testimoniare un insuccesso del libero mercato.

Ci sono almeno tre modi in cui è possibile porre rimedio alla mancanza di beni causata dal controllo dei prezzi. Il più semplice è costringere gli interessati a mettersi in coda.

Allorché gli Stati Uniti, durante la presidenza Nixon, sperimentarono il controllo dei prezzi sui carburanti, il primo risultato fu la comparsa di lunghe code ai distributori di benzina. Aspettare in coda rappresenta un costo; quando le file si allungarono a sufficienza, il costo monetario del carburante, sommato al costo rappresentato dal tempo trascorso in coda, divenne abbastanza rilevante da contrarre la quantità richiesta sino a livelli pari alla quantità offerta. In quello che abbiamo chiamato mercato delle adozioni, gli aspiranti genitori devono spesso attendere anni prima di poter adottare un bambino.

Un secondo modo per affrontare il problema è il razionamento. Un'autorità stabilisce a quali tra gli aspiranti compratori e in quale quantità debba essere assegnata la limitata offerta disponibile. Nel caso delle adozioni, il razionamento è praticato intenzionalmente da specifiche istituzioni autorizzate a controllare le adozioni legittime. Tali autorità elaborano criteri atti a eliminare un sufficiente numero di aspiranti genitori, per poi poter garantire il buon esito della richiesta a quelli considerati idonei. Alcuni dei principi che regolano questo processo di selezione sono del tutto condivisibili, in quanto si sforzano di individuare i migliori aspiranti genitori. Altri, come ad esempio il requisito che richiede la comunanza di religione tra genitori naturali ed adottivi, sembrano trovare come unica giustificazione l'intento di contenere il numero delle domande di adozione. [Notate che lo Stato ratifica l'idea insensata che un bambino piccolo possa avere una "religione", NdM]

Una terza possibilità, in un regime di controllo dei prezzi, è rappresentata dal mercato nero. Non è in contrasto con il diritto vigente il fatto che gli aspiranti genitori adottivi paghino degli avvocati per organizzare le adozioni, nonché la madre biologica del bambino a copertura delle spese sanitarie. Attualmente, il costo per ottenere l'adozione di un bambino al di fuori dei canali previsti dall'ordinamento ammonta a decine di migliaia di euro, molto più del costo che abitualmente sopportano i genitori naturali. Presumibilmente, una parte di questa cifra è corrisposta alla vera madre per ottenerne il consenso, sotto forma di pagamento illegale (ovviamente mascherato con varie giustificazioni), mentre un'altra frazione di questo importo retribuisce gli avvocati che organizzano la transazione.

Su questo mercato, come su altri, il problema potrebbe esser risolto eliminando il controllo dei prezzi, permettendo cioè agli aspiranti genitori adottivi di contrattare con la madre naturale per giungere a termini reciprocamente accettabili. Questa soluzione è stata proposta, tra gli altri, da Posner. È convinzione diffusa, tra i colleghi giuristi, che questa sua presa di posizione renda quasi impossibile la sua nomina alla Corte Suprema degli Stati Uniti, nonostante sia uno dei più capaci studiosi di diritto della sua generazione. Quale senatore darebbe il proprio voto ad un candidato che ha pubblicamente sostenuto l'opportunità di consentire la vendita di bambini?

Perché questa proposta suscita una reazione così fortemente negativa? La risposta più ovvia è che essa comporta il commercio di esseri umani, e ripugna l'idea che sia possibile acquistare un uomo. In realtà, ciò che un genitore adottivo ottiene non è la proprietà di un figlio, ma quella dei diritti (e degli obblighi) parentali su quel bambino. Se questo particolare «possesso» di un figlio è criticabile, perché non è egualmente criticabile la medesima situazione che si instaura con il genitore naturale o con il genitore adottivo (nel caso quest'ultimo sia così riconosciuto dal vigente ordinamento)?

Un argomento più efficace per contrastare l'idea di un libero mercato delle adozioni può far leva sull'osservazione che, mentre esso massimizza il comune beneficio delle parti coinvolte nella transazione, i genitori adottivi e la madre naturale, potrebbe ignorare del tutto i costi ed i benefici del bambino. È comunque difficile capire se tale ultima considerazione corrisponda a verità, poiché, anche sulla base del diritto vigente, il minore, se in tenera età, non ha la possibilità di esprimere alcuna preferenza. Solitamente, le persone disponibili a sborsare del denaro per ottenere un bambino in adozione desiderano fortemente diventare genitori, il che rappresenta, dopo tutto, la principale qualifica per il compito che li attende. Perché il fatto di essere disponibili ad attendere tre anni e a compilare una quantità di moduli dovrebbe rappresentare una migliore prova delle attitudini genitoriali rispetto all'abilità di reperire e di pagare un avvocato con i contatti giusti? Gli organi competenti a disciplinare il meccanismo dell'adozione di minori sostengono la bontà delle restrizioni da loro imposte poiché sono poste a garanzia del benessere del bambino; ma perché dovremmo aspettarci che i soggetti preposti a tale compito siano più preoccupati del benessere di un bambino di quanto non sia la madre naturale o la coppia che intende adottarlo? I bambini possono esplicare una notevole dose di influenza sui loro genitori, naturali o adottivi; pochissima invece nei confronti delle procedure stabilite dall'ordinamento per regolare la loro adozione.

Un ragionamento più interessante, con un ambito di applicazione decisamente più ampio, ruota attorno al concetto di materializzazione di «beni» molto particolari. Con ciò ci si riferisce ad una transazione tra due parti che coinvolge anche terzi, non direttamente secondo le modalità che gli economisti abitualmente considerano nelle loro analisi sulle esternalità, ma in una maniera più sottile, influenzando il modo di pensare della collettività. Se consentissimo lo scambio di una somma di denaro con un bambino -- anche in cambio dei soli diritti e doveri parentali sugli stessi minori -- saremmo indotti a trattare i bambini alla stregua di oggetti materiali, quali automobili, gioielli e altri beni suscettibili di valutazione patrimoniale; non come esseri umani. Se considerassimo pienamente legittima la dazione di una somma di denaro dal cliente alla prostituta, cominceremmo a pensare al sesso come ad un servizio che viene messo in vendita dalla donna, e non come ad uno degli elementi costitutivi una relazione amorosa. Per questa ragione Margaret Radin, in un articolo pubblicato su una rivista giuridica e in seguito ampiamente citato, ha sostenuto che, seppure permettere la prostituzione può assicurare un beneficio sia alle prostitute sia ai loro clienti, potrebbe essere comunque ragionevole proibirla poiché altrimenti si trasformerebbe il sesso in un bene materiale, scambiabile sul mercato; e ciò, nel complesso, è in grado di arrecare più danni che benefici, tanto agli uomini quanto alle donne. Sulla base di analoghe considerazioni, appare quindi opportuno proibire un libero mercato delle adozioni.

Questo ragionamento, nonostante l'indubbia perspicacia, non è però convincente. La prostituzione è sì molto comune, ma solo poche persone -- le prostitute, i loro clienti e pochi altri -- la prendono a modello dei rapporti intimi fra due persone. In generale, si può ritenere che gli uomini intrattengano relazioni sessuali con le prostitute non perché preferiscono i rapporti mercenari a quelli affettivi, ma perché non sono in grado di reperire donne con cui sviluppare un'intesa che comprenda l'aspetto sessuale non meno che quello sentimentale.

Tale ricostruzione dà per scontato che ciò che conta realmente siano i precetti giuridici piuttosto che il reale comportamento dei soggetti a cui tali precetti si rivolgono. [Molti politici, anche italiani, sostengono che non bisogna fare certe leggi perché "con questa legge, che messaggio daremmo ai giovani?", NdM.] La prostituzione, ammette la Radin, è attualmente diffusa in tutti gli Stati Uniti, anche se è stata legalizzata solamente in due contee rurali dello stato del Nevada. Molti genitori adottivi hanno corrisposto una somma di denaro per l'adozione di un minore, e questa somma è probabilmente ben maggiore di quanto sarebbero stati costretti a pagare ove fosse stato loro consentito un «pagamento» diretto, dal momento che il costo effettivo dei beni a prezzo controllato, se vi comprendiamo anche i tempi di attesa, i pagamenti sommersi e così via, è solitamente più alto del costo che questi beni avrebbero nell'ambito di mercati privi di quel controllo. Non è possibile sostenere che la legalizzazione di queste transazioni le legittimerebbe anche nella coscienza collettiva, senza premettere due considerazioni, entrambe poco plausibili. La prima considera che ciò che è giuridicamente lecito sia sempre condivisibile e auspicabile, e ci suggerisce una visione della società coerente con le linee generali del formicaio di T.H. White, nel quale ogni azione era o proibita o obbligatoria. In uno stato in cui il gioco d'azzardo privato è considerato illegale, e spetta a specifici organi pubblici gestire le lotterie, è difficile sostituire perfettamente l'alternativa bene/male con quella giuridicamente lecito/giuridicamente illecito. La seconda premessa stabilisce che, per l'opinione popolare, il governo sia un'alta sorgente di precetti morali. Recenti sondaggi sembrano piuttosto dimostrare il contrario. William Godwin, quasi duecento anni fa, nel controbattere la tesi che per insegnare i principi morali sarebbe stata necessaria la creazione di una scuola pubblica di orientamento governativo, rispose piuttosto risolutamente che «l'umanità non potrà mai imparare una lezione così importante attraverso un canale così corrotto».

Anche se a prima vista potrebbe apparire il contrario, ricondurre a beni suscettibili di valutazione patrimoniale le situazioni giuridiche non disponibili di cui sono titolari i soggetti di diritto -- per quanto possa apparire uno stratagemma ingegnoso -- non corrisponde ad un'idea molto originale. E' semplicemente la versione aggiornata del noto ragionamento, spesso proposto in chiave reazionaria, contrario ai comportamenti immorali e alla libertà di parola: le cattive idee, o, comunque, la loro predicazione e attuazione, inducono gli altri consociati ad assumere comportamenti disdicevoli.

In questo senso, si può osservare una curiosa convergenza tra l'analisi della Radin, che cerca di giustificare le vigenti norme in tema di prostituzione, e la giurisprudenza relativa al primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. I tribunali statunitensi ritengono che alcuni atti -- i quali, di per sé, sono antigiuridici (come quello di dare alle fiamme la bandiera) --, qualora si pongano quali esercizi del diritto di manifestazione del pensiero, sono non solo giuridicamente leciti ma, addirittura, meritevoli di tutela. Il meccanismo dell'oggettificazione delle situazioni giuridiche soggettive fa sì che particolari comportamenti -- che di per sé potrebbero essere considerati del tutto leciti (come lo scambio di denaro contro prestazione sessuale, che avviene tra una prostituta e il suo cliente) -- siano anche delle espressioni di pensiero che, in quanto contrarie al senso del pudore e alla pubblica decenza, dovrebbero essere bandite. Sul piano logico, tale ricostruzione potrebbe anche reggere; ma, una volta accettata, si apre un grande varco, nell'attuale sistema dei diritti civili, che rischia di travolgere la stessa libertà di espressione.

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L'ampio spazio dedicato a queste riflessioni può spiegarsi, oltre che in ragione della loro intrinseca importanza, anche in virtù di un cruciale coacervo di problematiche giuridiche sollevate dalla moderna tecnologia relativa alla riproduzione assistita. Una di queste tecniche, la fecondazione in vitro, è diventata comune ed è ora largamente accettata. Una seconda pratica, più semplice della precedente, ovvero l'uso di madri surrogate, è tuttora ampiamente controversa; i tribunali americani sono generalmente molto riluttanti ad imporre il rispetto dei contratti nei quali una donna accetta di essere fecondata artificialmente con il seme di un uomo, la cui moglie è sterile, per poi dare in adozione alla coppia il proprio figlio. Una terza tecnica, quella consistente nel far nascere un bambino dopo aver clonato una cellula prelevata da un soggetto adulto, non è stata finora realizzata, ma appare già ora praticabile. Il futuro prossimo fornirà ai genitori la possibilità di un certo controllo sul patrimonio genetico dei propri figli, consentendo di scegliere nell'ambito delle opzioni che la natura avrebbe potuto casualmente selezionare; forse, in un futuro un poco più lontano, si potranno attribuire ai propri figli caratteristiche che non sarebbero in alcun modo trasmissibili con i metodi tradizionali di concepimento.

Si stanno poi sviluppando altre tecniche di bioingegneria, alcune delle quali già utilizzate nelle cavie, che potrebbero consentire ad una coppia di lesbiche di generare un figlio dotato di patrimonio genetico proveniente da entrambe.

Tutte queste procedure sono state, o saranno, criticate utilizzando argomenti simili a quelli che attualmente vengono rivolti contro le ipotesi di legalizzazione del mercato delle adozioni; la volontarietà di tali transazioni non toglie che alcune delle parti ne traggano vantaggio patrimoniale. Le critiche faranno poi leva sul presunto interesse dei minori, assumendo implicitamente che i genitori che si sono rivolti alla genetica per avere un figlio saranno meno dediicati di quanto non lo siano i genitori che sono ricorsi ai metodi tradizionali. Tutte queste obiezioni, e altre ancora, deriveranno molta della loro forza dal convincimento, profondamente radicato, che tali tecniche siano contrarie alla natura, e finiscano per togliere valore alla specificità di ogni essere umano. Le novità, si sa, generano timori:

Quello che questa nuova tecnica, insieme a molte altre simili, ci conferma è che non vi è nulla di speciale nella riproduzione umana, né in ogni altro aspetto dell'umana biologia, se non per una singolare particolarità: la peculiarità dell'umanità si trova compresa tra le nostre due orecchie. Se la cerchiamo altrove, rimarremo certamente delusi. (Lee Silver, genetista murino, mentre rispondeva ad un esperto di bioetica preoccupato che la tecnica che avrebbbe reso possibile la produzione di spermatozoi umani mediante l'impianto di cellule umane nei testicoli di un animale sfidasse la «peculiarità dell'umanità».)

Anche se i principi, a cui solitamente ci si richiama per avversare i negozi giuridici aventi ad oggetto l'utilizzo della genetica a fini riproduttivi, finiranno probabilmente per prevalere nei tribunali, ciò non potrà che avere un effetto estremamente limitato sull'ambito di diffusione di queste tecnologie. Prendiamo in esame il caso dei cosiddetti uteri in affitto. Questi contratti sono considerati contrari al diritto in almeno uno stato americano; il loro adempimento non è minimamente tutelato nella maggior parte dei restanti. La realtà ordinamentale ha però un limitatissimo impatto sulll'effettivo comportamento dei soggetti interessati a concludere tali contratti, dal momento che esiste, per essi, la scelta di stipulare tali accordi nelle giurisdizioni che consentono tali pratiche. Anche dove contratti di questo tipo, pur leciti, non sono assistiti da alcuna protezione giuridica, le società che svolgono la funzione di reperire le donne disponibili a portare a termine le gravidanze per conto terzi sono in grado di identificare le madri che, con maggiore probabiliità, rinnegheranno l'accordo dopo la nascita del figlio.
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