giovedì 24 gennaio 2008

Sam Harris: seguire la natura è un errore

Traduco la risposta di Sam Harris alla domanda "Su cosa avete cambiato idea quest'anno?", posta dalla rivista Edge. Originale in inglese qui.

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Come molte persone, una volta avevo fiducia nella saggezza della natura. Immaginavo che esistessero dei confini reali tra il naturale e l'artificiale, tra una specie e un'altra, e pensavo che, con l'avvento dell'ingegneria genetica, avremmo interferito con la vita producendo la nostra stessa rovina. Oggi credo che questa visione romantica della natura sia una mitologia pericolosa e incapacitante.

Ogni 100 milioni di anni circa, un asteroide o una cometa grandi quanto una montagna si schiantano sulla terra, uccidendo quasi ogni essere vivente. Se mai servisse una prova che la natura è indifferente al benessere di organismi complessi come noi, eccola. La storia della vita su questo pianeta è stata una storia di impietosa distruzione e di cieco ed improvviso rinnovamento.

I reperti fossili suggeriscono che le specie individuali sopravvivono in media da uno a 10 milioni di anni. Il concetto stesso di specie è fuorviante, comunque, e ci dà la falsa impressione di essere giunti, in qualità di homo sapiens, a qualche posizione ben definita nell'ordine naturale. Il termine "specie" indica semplicemente una popolazione di organismi in grado di accoppiarsi tra di loro producendo figli fertili; non si applica facilmente ai confini tra le specie (a quelle che sono spesso chiamate forme "intermedie" o "di transizione"). Ad esempio, non c'è mai stato un primo membro della specie umana, e non ci sono membri canonici adesso. La vita è un flusso continuo. I nostri antenati non umani avevano figli, generazione dopo generazione, e diventavano gradualmente ciò che noi oggi chiamiamo la specie "homo sapiens" -- noi stessi. Non c'è niente nella nostra linea di discendenza, o nella nostra biologia attuale, che dica come ci evolveremo in futuro. Niente nell'ordine naturale richiede che i nostri futuri discendenti ci somiglino minimamente. Nelle generazioni a venire, quasi certamente ci trasformeremo, diventando probabilmente irriconoscibili.

Sarà una cosa buona? La domanda presuppone che esista per noi un'alternativa percorribile. Ma qual è l'alternativa, se non prendere noi stessi le redini del nostro destino biologico? Potremmo forse star meglio lasciando il controllo alla saggezza della natura? Una volta lo credevo. Ma oggi sappiamo che la natura non si preoccupa minimamente degli individui o delle specie. Quelli che sopravvivono, sopravvivono malgrado l'indifferenza della Natura. Sebbene il processo di selezione naturale abbia plasmato il nostro genoma nella sua forma attuale, non ha agito per massimizzare la felicità umana; né ci ha necessariamente conferito alcun vantaggio oltre la capacità di allevare la generazione successiva fino a che è pronta ad avere figli a sua volta. Anzi per la verità potrebbe non esserci assolutamente nulla, nella vita umana dopo l'età dei quarant'anni (la durata media della vita fino al ventesimo secolo), che sia il prodotto dalla selezione evolutiva. E con poche eccezioni (ad esempio il gene della tolleranza al lattosio) probabilmente non siamo cambiati molto sin dal Pleistocene.

Ma il nostro ambiente e i nostri bisogni -- per non parlare dei nostri desideri -- sono cambiati radicalmente nel frattempo. Sotto molti aspetti non siamo adatti al compito di costruire una civiltà globale. Questo non è sorprendente. Dal punto di vista evolutivo, la maggior parte della cultura umana, assieme alla sua base cognitiva ed emotiva, deve essere un effetto collaterale [un epifenomeno]. La natura non può "vedere" quasi nulla di quel che stiamo facendo, o che speriamo di fare, e non ha fatto nulla per prepararci a molte delle sfide che oggi ci troviamo a fronteggiare.

Queste preoccupazioni non si possono liquidare con motti spiccioli come "se non è rotto, non aggiustarlo". Ci sono innumerevoli sensi in cui il nostro attuale stato di funzionamento si può descrivere adeguatamente con la parola "rotto". Personalmente, mi sembra che tutto ciò che faccio si collochi in una gradazione di handicap: sono sempre stato discretamente bravo in matematica, ad esempio, ma è come dire che sono come un grande matematico che è stato incornato in testa da un toro; la mia capacità musicale somiglia a quella di un Mozart o un Bach, ma reduci da un incidente sciistico fatale; Se Tiger Woods si svegliasse dopo un intervento chirurgico e scoprisse di possedere il mio swing golfistico (o di esserne posseduto), state sicuri che intenterebbe una causa per negligenza medica.

Considerando l'umanità nel suo complesso, non c'è niente nella selezione naturale che suggerisca l'ottimalità della nostra architettura. Probabilmente non siamo ottimizzati neppure per il paleolitico, figuriamoci per vivere nel ventunesimo secolo. Eppure, oggi stiamo acquisendo gli strumenti che ci permetteranno di tentare la nostra stessa ottimizzazione. Molti pensano che questo progetto sia costellato di rischi. Ma è più rischioso che non fare niente? Potrebbero esserci minacce attuali alla nostra civiltà che non riusciamo neppure a percepire, né tantomeno a risolvere, col nostro livello attuale di intelligenza. Potrebbe esistere una strategia razionale più pericolosa che assecondare il capriccio della Natura? Questo non significa che la nostra crescente capacità di manipolare il genoma umano non possa presentare alcuni momenti di esagerazione faustiana. Ma la nostra paura di questa possibilità deve essere temperata da una razionale comprensione di come siamo giunti in questa situazione. Madre natura non ha mai posato su di noi il suo occhio materno.
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