venerdì 22 febbraio 2008

Come l'intelligenza nasce dalla stupidità

Questo articolo divulgativo introduce quella che è secondo me una delle più grandi conquiste del pensiero umano. Fornisce inoltre un esempio in cui la scienza risolve problemi filosofici su cui la "ragione pura" fallisce.

Cos'è l'intelligenza? Da dove nasce? Molti filosofi del passato, come Cartesio, Locke, Leibniz, fallirono nel rispondere alla domanda perché non riuscivano a immaginare come l'intelligenza potesse nascere dall'interazione tra le parti di una macchina, le quali, prese singolarmente, non sono intelligenti. Essi postularono quindi che l'intelligenza sia insita nella sostanza che compone il cervello umano; cioè che l'intelligenza sia una proprietà fisica della materia. Questa è però una non-spiegazione sul piano logico (come fa quella sostanza magica a produrre intelligenza?), ed ha implicazioni incompatibili con l'evidenza scientifica (ad es. implica che un singolo neurone sia intelligente, mentre è noto che il neurone non capisce alcunché).

Il pensiero filosofico si è quindi arenato per secoli, fino a che il progresso scientifico, e in particolare la nascita dei computer, hanno finalmente demistificato l'intelligenza, rivelando che essa nasce dall'interazione di automi non intelligenti. Un filosofo che ha il merito di aver chiarito la cosa (già nota ai pionieri dell'informatica) è Daniel Dennett. Dennett risolve l'apparente paradosso notando che una macchina intelligente si può scomporre in automi (o moduli) sempre meno intelligenti, e così via ripetutamente, fino ad arrivare ad automi così stupidi da poter essere letteralmente sostituiti con una macchina. Nel caso del cervello umano, questi automi stupidi sono i neuroni. Nel caso del computer, sono le CPU o i transistor. Ma il materiale di cui è fatto l'automa non ha nulla di speciale: l'intelligenza non risiede nella sostanza (carbonio o silicio) di cui è fatta la macchina, ma nell'interazione tra le sue parti. Risiede nel modo in cui le parti si scambiano informazione. "Una mente", come disse qualcuno, "potrebbe essere fatta di formaggio svizzero".

Tutto ciò è compatibile con la nostra conoscenza dell'evoluzione, la quale ha costruito il nostro cervello e la nostra mente. L'architettura del nostro cervello (distribuita, parallela e ad alta ridondanza) rivela che esso non è stato progettato a tavolino da un creatore intelligente, ma è nato mediante un processo evolutivo di aggiunta incrementale e graduale di piccoli elementi. Ma l'evoluzione, per sua stessa natura, non può far altro che combinare a caso piccoli automi "stupidi" (i neuroni), e poi selezionare i cervelli risultanti in base al loro funzionamento. E' così che funziona l'evoluzione. E' chiaro che, se la mente non potesse nascere gradualmente con questo processo, avremmo un problema. Invece, ora i pezzi del puzzle cadono al loro posto: l'evoluzione assembla i cervelli in modo incrementale, combinando automi stupidi; la macchina risultante diviene sempre più intelligente, fino a saper effettuare ragionamenti e risolvere problemi complessi come quelli che risolviamo quotidianamente. Ma l'intelligenza non risiede nei singoli automi, bensì nel modo in cui essi sono disposti (connessi), che è dato dalla selezione naturale. La selezione naturale è il programmatore del nostro cervello. In tutto questo scenario, il materiale di cui è fatto il cervello non ha importanza. Il neurone è solo un accidente storico: l'evoluzione, per costruire la mente, ha usato materiale cellulare semplicemente perché quello era il materiale già disponibile, che era stato prodotto per altri motivi. Ma non sembra esserci motivo per cui una mente debba essere realizzata con materiale biologico. L'intelligenza e la vita sembrano del tutto separabili e non hanno a che fare l'una con l'altra.

Ma mi sto dilungando troppo e sto anticipando troppe cose. La parola a Steven Pinker ("Come funziona la mente").

__

La spiegazione tradizionale dell'intelligenza vede il corpo umano pervaso da un'entità immateriale, l'anima, concepita in genere come una sorta di spettro o spirito. Ma va incontro a un problema insormontabile: com'è che il fantasma interagisce con la solida materia? Com'è che un etereo nulla reagisce a lampi di luce, urti, colpi di clacson e fa muovere braccia e gambe? Un altro problema è la schiacciante evidenza che la mente è l'attività del cervello. La presunta anima immateriale, come oggi sappiamo, può essere tagliata a metà con un coltello, alterata da sostanze chimiche, avviata o fermata per via elettrica e spenta per sempre da un colpo violento o da mancanza di ossigeno. Al microscopio il cervello mostra una complessità di struttura chimica che lascia a bocca aperta, e che corrisponde perfettamente alla ricchezza della mente.

Un'altra spiegazione è che la mente viene da una qualche straordinaria forma di materia. Pinocchio prende vita da un magico pezzo di legno trovato da Geppetto, un pezzo di legno capace di parlare, ridere e muoversi. Purtroppo, una meraviglia del genere nessuno l'ha mai scoperta. A prima vista si potrebbe pensare che la sostanza meravigliosa sia il tessuto cerebrale. Darwin scrive che il cervello «secerne» la mente, e recentemente il filosofo John Searle ha sostenuto che le proprietà fisico-chimiche del tessuto cerebrale producono in qualche modo la mente, così come il tessuto mammario produce latte e il tessuto vegetale zucchero. Ma non dimentichiamo che gli stessi tipi di membrane, pori e sostanze chimiche si trovano nel tessuto cerebrale di tutto il regno animale, per non parlare dei tumori cerebrali e delle colture sotto vetro. Questi grumi di tessuto neurale hanno tutti le stesse proprietà fisico-chimiche, ma non tutti giungono all'intelligenza umana. Certo, qualcosa del tessuto del cervello umano è necessario alla nostra intelligenza, ma le proprietà fisiche non bastano, come le proprietà fisiche dei mattoni non bastano a spiegare l'architettura e quelle delle particelle di ossido la musica. Cruciale è qualcosa nella strutturazione del tessuto neurale.

L'intelligenza è stata spesso attribuita a qualche sorta di flusso di energia o di campo di forza. Globi, vapori luminosi, aure, vibrazioni, campi magnetici e linee di forza hanno un posto di primo piano nello spiritismo, nella pseudoscienza e nel kitsch fantascientifico. La psicologia della Gestalt ha cercato di spiegare le illusioni visive in termini di campi di forza elettromagnetici sulla superficie del cervello, ma questi campi non sono mai stati trovati. A volte la superficie del cervello è stata descritta come un medium in continua vibrazione che supporta ologrammi o altri tipi di interferenze di onde, ma anche quest'idea non ha avuto buon esito. Il modello idraulico, con la pressione psichica che aumenta, esplode o si scarica lungo canali alternativi, è al centro della teoria freudiana e di decine di metafore d'uso quotidiano: la rabbia trabocca, la si scarica o la si soffoca, sotto pressione si esplode, i nervi saltano, i sentimenti li si sfoga. Ma nemmeno le emozioni più intense corrispondono letteralmente a un accumulo e a una scarica di energia (in senso fisico) da qualche parte del cervello. Nel capitolo VI cercherò di persuadervi che il cervello non opera tramite pressioni interne, ma le produce apposta in una tattica negoziale, come un terrorista con l'esplosivo legato alla cintura.

Un problema di tutte queste idee è che, se anche scoprissimo una qualche gelatina, o vortice, o vibrazione, o globo che parla e combina pasticci come il pezzo di legno di Geppetto, o che, più in generale, prende decisioni basate su regole razionali e persegue obiettivi al di là di ostacoli, ci troveremmo ancora di fronte al mistero di come compie simili imprese. [E saremmo ancora costretti a spiegarlo in termini di interazione tra le sue parti, NdM.]

No, l'intelligenza non viene da uno speciale tipo di spirito, o di materia, o di energia, ma da un articolo diverso: l'informazione. L'informazione è una correlazione fra due cose che nasce da un processo regolare (e non per puro caso). Noi diciamo che gli anelli di un tronco danno informazioni sull'età dell'albero perché il loro numero è correlato con quest'età (più l'albero è vecchio, più anelli ha), e tale correlazione non è una coincidenza, ma frutto del modo in cui l'albero cresce. Quello di correlazione è un concetto logico e matematico; a definire una correlazione non è la sostanza di cui sono fatte le entità correlate.

L'informazione in sé non ha niente di speciale; se ne trova ovunque ci siano cause che portano a effetti. Speciale è l'elaborazione dell'informazione. Possiamo guardare a un pezzo di materia che porta informazione su una qualche situazione come a un simbolo; esso può «stare per» quella situazione. Ma, in quanto pezzo di materia, può fare anche altre cose, cose fisiche, tutte quelle che quel tipo di materia in quel tipo di situazione può fare secondo le leggi della fisiica e della chimica. Gli anelli danno informazioni sull'età dell' albero, ma non cessano per questo di riflettere la luce e assorbire materie coloranti. Le orme danno informazioni sui movimenti degli animali, ma risucchiano anche l'acqua e creano mulinelli nel vento.

Ecco, qui c'è un'idea. Supponiamo di fabbricare una macchina con parti sensibili alle proprietà fisiche di qualche simbolo. Una leva o una cellula fotoelettrica o una trappola o un magnete viene messo in funzione dal pigmento assorbito dall'anello di un albero, o dall'acqua risucchiata da un'orma, o dalla luce riflessa da un segno fatto con il gesso, o dalla carica magnetica di un pezzettino di ossido. E supponiamo che la macchina, a quel punto, faccia succedere qualcosa in qualche altro pezzo di materia. Imprime nuovi segni su un pezzo di legno, modella tracce nel fango, carica qualche altra particella di ossido. Finora non è accaduto nulla di speciale; non ho descritto altro che una catena di eventi fisici prodotti da uno stupido marchingegno.

Lo speciale viene ora: immaginiamo di cercare di interpretare il pezzo di materia modificato usando lo schema secondo il quale quello originale portava informazione. Contiamo, per esempio, i nuovi anelli nel legno e interpretiamoli come l'età di un dato albero in un dato momento, anche se non sono stati prodotti dalla crescita di un albero. E ammettiamo che la macchina sia stata accuratamente progettata affinché l'interpretazione dei suoi nuovi segni abbia un senso, affinché cioè essi diano informazioni su qualcosa nel mondo.

Immaginiamo per esempio una macchina che passa allo scanner gli anelli di un pezzo di tronco, imprime un segno su una tavola vicina per ognuno di essi, passa a un pezzo di tronco più piccolo proveniente da un albero tagliato nello stesso momento, ne passa allo scanner gli anelli, e cancella un segno sulla tavola per ognuno di essi. A contare i segni sulla tavola abbiamo l'età del primo albero nel momento in cui è stato piantato il secondo. La nostra macchina sarebbe una sorta di macchina razionale, che da premesse vere giunge a conclusioni vere, non grazie a qualche speciale tipo di materia o di energia, o perché qualche sua parte sia in sé intelligente o razionale. Non ci troviamo di fronte ad altro che a una catena ingegnosamente prodotta di normali eventi fisici, il cui primo anello è una configurazione di materia che porta informazione. La nostra macchina razionale deve la sua razionalità a due proprietà indissolubilmente fuse nell'entità che chiamiamo simbolo: un simbolo fornisce informazione e allo stesso tempo fa accadere cose (gli anelli da un lato sono in correlazione con l'età dell'albero e dall'altro possono assorbire il raggio di luce di uno scanner). Quando le cose che vengono fatte accadere forniscono a loro volta informazione, chiamiamo l'intero sistema un elaboratore di informazioni, o computer.

Tutto questo progetto potrebbe apparire una speranza irrealizzabile. Che garanzia c'è che qualunque ammasso di cose possa essere configurato in modo tale da cadere, o oscillare, o brillare nella maniera giusta affinché, quando ne interpretiamo gli effetti, l'interpretazione abbia senso? (Più precisamente, affinché abbia senso rispetto a qualche legge o rapporto preesistente che giudichiamo degno d'interesse; a qualunque ammasso di cose si può dare, a posteriori, un'interpretazione artificiosa.) Come possiamo confidare che una macchina traccerà segni effettivamente corrispondenti a qualche situazione del mondo dotata di significato, come l'età di un albero al momento in cui ne è stato piantato un altro, o l'età media dei rampolli dell'albero, o qualunque altra, invece che segni privi di significato, che non corrispondono a niente? [La risposta, per quanto riguarda i nostri cervelli, è che i cervelli i cui simboli non corrispondono a niente tendono ad essere scartati dalla selezione naturale. Per quanto riguarda i computer programmati dall'uomo, la garanzia risiede nella bravura del programmatore. NdM. ]

La garanzia sta nell'opera del matematico Alan Turing, ...

[Salto a malincuore molte pagine. Veniamo a un punto importante.]

...


Poi sono venuti i computer: mucchi di metallo senza nessuna fata, senza magia, del tutto esorcizzati, che è impossibile spiegare facendo a meno del repertorio dei termini mentalistici tabù. «Perché il mio computer non stampa?» «Perché il programma non sa che hai sostituito la tua stampante ad aghi con una laser. Continua a pensare di stare parlando con quella ad aghi, e tenta di stampare il documento chiedendole di riconoscere il suo messaggio. Ma il messaggio la stampante non lo capisce; e lo ignora, perché si aspetta che l'input inizi con "%!". Il programma si rifiuta di cedere il controllo mentre sonda la stampante, quindi devi attirare l'attenzione del monitor affinché possa strapparglielo. Una volta che il programma avrà imparato che stampante gli è connessa, potranno comunicare.» Più il sistema è complesso e più chi lo usa è esperto, più la loro conversazione tecnica assomiglia alla trama di una telenovela.

Gli psicologi behavioristi obietterebbero che si tratta semplicemente di un uso a dir poco libero del linguaggio. Le macchine, in realtà, non capiscono né tentano niente, e quei due parlano senza far caso a quello che dicono, rischiando così di incappare in gravi errori concettuali. Che cosa c'è che non va, in questo discorso? I filosofi accusano gli scienziati del computer di pensare in modo confuso? Ma, in materia di precisione e completezza, un computer è quanto di più implacabilmente esigente, formalistico, pedante, caparbio vi sia nell'universo. A giudicare da quell'accusa, verrebbe da pensare che siano i confusi informatici a chiamare un filosofo quando il loro computer va in tilt, e non viceversa. Una spiegazione migliore è che la computazione ha finalmente demistificato i termini mentalistici. Le credenze e le convinzioni sono iscrizioni in memoria, i desideri sono iscrizioni negli obiettivi, il pensiero è computazione, le percezioni sono iscrizioni prodotte da sensori, tentare è eseguire operazioni messe in moto da un obiettivo.

(Ma, state per obiettarmi, noi esseri umani sentiamo qualcosa quando abbiamo una convinzione, o un desiderio, o una percezione, mentre una mera iscrizione non ha il potere di creare sensazioni del genere. Giusto. Cerchiamo però di tener distinto il problema di spiegare l'intelligenza da quello di spiegare le sensazioni consce. Per ora cerco di spiegare l'intelligenza, alla coscienza ci arriveremo dopo, in questo stesso capitolo.)

La teoria computazionale della mente riabilita inoltre una volta per sempre il famigerato omuncolo. Un'obiezione classica all'idea che i pensieri siano rappresentazioni interne (obiezione diffusa fra gli scienziati che cercano di dimostrare quanto sono realistici) è che una rappresentazione richiederebbe un omino nella testa che la guardasse, e l'omino richiederebbe un omino ancora più piccolo che guardasse le rappresentazioni dentro di lui, e così via, all'infinito. Ma ancora una volta siamo di fronte alla scenetta del teorico che insiste con l'ingegnere elettrico che, se l'ingegnere ha ragione, nel suo impianto devono esserci sciami di folletti. Parlare di omuncoli è indispensabile in informatica. Le strutture di dati vengono continuamente lette, interpretate, esaminate, riconosciute, rivedute, e i sottoprogrammi che lo fanno sono impudicamente chiamati «agenti», «demoni», «supervisori», «monitor», «interpreti» e «esecutivi». Perché tutto questo parlare di omuncoli non porta a una regressione all'infinito? La risposta è che una rappresentazione interna non è una fotografia completa del mondo, e l'omuncolo che «la guarda» non è una copia in miniatura dell'intero sistema, che ne richiede l'intera intelligenza. Questo sì, non spiegherebbe niente. Una rappresentazione è piuttosto una serie di simboli corrispondenti ad aspetti del mondo, e a ogni omuncolo è richiesto soltanto di reagire in pochi modi circoscritti ad alcuni dei simboli, impresa ben più semplice di quella che compie il sistema nel suo insieme. L'intelligenza del sistema emerge dalle attività dei non tanto intelligenti demoni meccanici dentro di esso. Il punto, messo per la prima volta in chiaro da Jerry Fodor nel 1968, è stato succintamente espresso da Daniel Dennett:
Gli "homunculi" sono una non-spiegazione solo se possiedono per intero i talenti che sono chiamati a spiegare ... Ma se si riesce a fare in modo che una squadra o un comitato di homunculi relativamente ignoranti, limitati, ciechi, produca il comportamento intelligente dell'intero sistema, si è fatto un progresso. Ad esempio, un "grafo di flusso" viene usato comunemente per rappresentare la suddivisione del lavoro di un comitato di homunculi (investigatori, bibliotecari, ragionieri, dirigenti); ogni blocco indica un homunculus assegnando una funzione, senza dire come debba essere realizzata (si dice soltanto: colloca qui un ometto che esegua questo compito). Se poi diamo un'occhiata più attenta ai singoli blocchi, vediamo che la funzione di ognuno viene realizzata suddividendola, tramite un altro grafo di flusso, tra altri homunculi ancora più piccoli, ancora più stupidi. Alla fine, seguitando a inserire blocchi nei blocchi, raggiungeremo homunculi così stupidi (non dovranno far altro che rispondere sì o no, se interrogati) da poter essere, come si usa dire, «sostituiti da una macchina». Dallo schema si eliminano gli homunculi raffinati organizzando eserciti di tali idioti che fanno il lavoro.


__

[Ripensiamo ora alla frase "Diecimila scimmie, messe insieme, non riusciranno mai a scrivere un dramma di Shakespeare". Chi metterebbe mai in discussione questa ovvietà? Poi arriva la scienza, e rivela che il cervello di Shakespeare è una squadra di "scimmie" -- miliardi di scimmie, ben organizzate. Riflettiamo su quanto sia vano usare il ragionamento non guidato dall'evidenza, e sperare che le conclusioni così ottenute siano vere. NdM]

giovedì 21 febbraio 2008

La mente è un programma

Proseguo l'estratto del libro "Come funziona la mente" di Steven Pinker (episodio precedente qui).

Ci troviamo ancora in una parte introduttiva in cui Pinker espone rapidamente le tesi centrali del libro. Alcune tesi salienti sono: la mente è un programma, e il programmatore è la selezione naturale; le nostre credenze sono informazioni scritte fisicamente nel cervello mediante simboli; il pensiero è manipolazione di quei simboli, e in quanto tale è riproducibile su una macchina non biologica, come un computer. Viene introdotto il concetto di "psicologia evoluzionistica" e di "teoria computazionale della mente". E' notevole la soluzione offerta da Pinker del paradosso mente-corpo: come può una mente "incorporea" causare le azioni di corpi materiali?

__

Un'ingegneria inversa della psiche

Argomento di questo libro è appunto la complessa struttura della mente. La sua idea chiave può essere espressa in una frase: la mente è un sistema di organi di computazione designato per selezione naturale a risolvere i problemi posti ai nostri antenati dalla loro condizione di cacciatori-raccoglitori, in particolare come capire e sfruttare oggetti, animali, piante e altre persone. Tale sintesi è scomponibile in più affermazioni. La mente è ciò che il cervello fa; in particolare, il cervello elabora informazione, e pensare è un tipo particolare di computazione. La mente è organizzata in moduli, o organi mentali, dotati ognuno di una specializzazione che ne fa un esperto in un singolo terreno d'interazione con il mondo. La logica base dei moduli è specificata dal nostro programma genetico. Il loro funzionamento si è modellato per selezione naturale in modo da risolvere i problemi della vita di cacciatori e raccoglitori condotta dai nostri antenati durante la maggior parte della nostra storia evoluzionistica. I vari problemi dei nostri antenati erano sottocompiti di un unico grande problema dei loro geni: massimizzare il numero di copie capaci di giungere alla generazione successiva.

In quest'ottica, la psicologia è ingegneria inversa. Nell'ingegneria normale si costruisce una macchina per un certo scopo; nell'ingegneria inversa si cerca di capire per quale scopo una macchina è stata costruita. Ingegneria inversa è quello che fanno segretamente gli scienziati della Sony quando la Panasonic annuncia un nuovo proodotto, o viceversa: lo comprano, lo portano in laboratorio, prendono un cacciavite e cercano di capire a che serve ognuno dei suoi elementi e come sono stati messi insieme per farlo funzionare. Tutti noi facciamo ingegneria inversa quando ci troviamo di fronte a un nuovo interessante aggeggio. Rovistando in un negozio di antiquariato, può capitarci di scoprire un oggetto che, finché non realizziamo a quale fine è stato fabbricato, resta impenetrabIle. Ma quando ci renndiamo conto che si tratta di uno snocciola-olive, all'improvviso comprendiamo che l'anello di metallo serve a deporvi l'oliva, e la leva fa calare una lama a X che spinge fuori il nocciolo dall'altra parte. In un lampo d'intuito forma e disposizione di molle, perni, lame, leve e anelli acquistano, con nostra soddisfazione, senso. Arriviamo persino a capire perché le olive in scatola hanno a un'estremità un'incisione a X.

Nel XVII secolo William Harvey scoprì che le vene sono munite di valvole, e ne dedusse che dovevano servire a far circolare il sangue. Da allora siamo giunti a intendere il corpo come una macchina di mirabile complessità, un assemblaggio di puntoni, cavi, molle, pulegge, leve, giunti, perni, incassature, serbatoi, tubi, valvole, guaine, pompe, scambiatori, filtri. Possiamo tuttora provare una deliziosa sorpresa scoprendo a che cosa servano certe sue misteriose parti. Perché abbiamo queste nostre tortuose e asimmetriche orecchie? Perché filtrano onde sonore provenienti da direzioni diverse in modi diversi. Le sfumature dei riflessi sonori dicono al cervello se la fonte del suono è sopra o sotto, di fronte o dietro di noi. La strategia dell'ingegneria inversa del corpo ha continuato a essere praticata nella seconda metà del nostro secolo, quando si è esplorata la nanotecnologia della cellula e delle molecole della vita. La sostanza vitale si è rivelata non un vibrante, ardente, portentoso gel, bensì un marchingegno fatto di minuscole guide, molle, perni, aste, lamine, magneti, cerniere, botole, assemblati da un nastro dati le cui informazioni sono copiate, scaricate e analizzate.

La legittimazione dell'ingegneria inversa degli esseri viventi viene, è naturale, da Charles Darwin. Fu lui a indicare come «organi di estrema perfezione e complessità, che giustamente suscitano la nostra ammirazione» provengano non dalla preveggenza di Dio, ma dall'evoluzione di replicatori lungo immensi periodi di tempo. Mentre i replicatori replicano, si verificano a volte casuali errori di copiatura, e quelle modifiche a cui accade di accrescere la probabilità di sopravvivenza e riproduzione del replicatore tendono ad accumularsi lungo le generazioni. Piante e animali sono replicatori, e il loro complicato macchinario sembra quindi essere stato progettato e prodotto per permettere loro di sopravvivere e riprodursi.

Darwin sottonineò che la sua teoria spiegava non solo la complessità del corpo di un animale, ma anche quella della sua mente. «La psicologia si baserà su nuove fondamenta» è la famosa predizione con cui terminò L'origine delle specie. Ma la sua profezia non si è ancora realizzata. Oltre un secolo dopo quelle parole, lo studio della mente per lo più fa ancora a meno di Darwin, e spesso lo fa con intenzioni provocatorie. L'evoluzione, si dice, è irrilevante, peccaminosa o, al massimo, buona per un'elucubrazione serale davanti a un boccali di birra. Nelle scienze sociali e cognitive l'allergia per l'evoluzionismo e stata, a mio parere, una barriera alla comprensione. La mente è un sistema stupendamente organizzato, e compie grandi imprese che nessun ingegnere sa replicare. Com'è possibile che le forze che hanno modellato questo sistema, e gli scopi per i quali esso è stato progettato, siano irrilevanti per comprenderlo? Il pensiero evoluzionistico è indispensabile, non nella forma in cui molti lo intendono, tipo fantasticare di anelli mancanti o raccontare storie sugli stadi dell'uomo, ma nella forma di una rigorosa ingegneria inversa. Senza ingegneria inversa siamo come il cantante di The Marvelous Toy, di Tom Paxton, quando ricorda un regalo ricevuto da bambino: «Quando si muoveva faceva ZIP!, e quando si fermava, POP! e se restava immobile, WHIRR!; che cosa fosse non l'ho mai saputo, né credo che mai lo saprò». .

È solo negli ultimissimi anni che la sfida di Darwin è stata raccolta da un nuovo approccio, battezzato dall'antropologo John Tooby e dalla psicologa Leda Cosmides «psicologia evoluzionistica». La psicologia evoluzionistica fonde due rivoluzioni scientifiche. Una è la rivoluzione cognitivista degli anni Cinquanta e Sessanta, che spiega la meccanica di pensiero ed emozione in termini di informazione e computazione. L'altra è la rivoluzione nella biologia evoluzionistica degli anni Sessanta e Settanta, che spiega il complesso schema di adattamento degli esseri viventi in termini di selezione fra replicatori. Le due idee costituiscono una combinazione potente. La scienza cognitiva ci aiuta a capire come sia possibile una mente e che tipo di mente abbiamo; la biologia evoluzionistica ci aiuta a capire perché abbiamo il tipo di mente che abbiamo.

La psicologia evoluzionistica di questo libro è, per un verso, una chiara e semplice estensione della biologia che si concentra su un unico organo, la mente, di un'unica specie, l'Homo sapiens. Ma, per un altro verso, è una tesi radicale che taglia i ponti con il modo in cui i problemi riguardanti la mente sono impostati da quasi un secolo. Le premesse di questo libro non sono probabilmente quelle che pensate. Il pensiero è computazione, sostengo, ma questo non significa che il computer sia una buona metafora della mente. La mente è una serie di moduli, ma i moduli non sono scatole incapsulate o macchie circoscritte sulla superficie del cervello. L'organizzazione dei nostri moduli mentali ha origine nel nostro programma genetico, ma questo non vuol dire che esista un gene per ogni elemento o che l'apprendimento sia meno importante di quanto pensassimo. La mente è un adattamento frutto di selezione naturale, ma ciò non vuol dire che tutto ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo sia il risultato di un adattamento biologico. Ci siamo evoluti dalle scimmie, ma non per questo la nostra mente è uguale alla loro. E, se il fine ultimo della selezione naturale è la propagazione dei geni, ciò non vuol dire che questo sia il fine ultimo anche per le persone. Io vi dirò perché no.

Questo libro si occupa del cervello, e tuttavia non parlerò granché di neuroni, ormoni e neurotrasmettitori. E questo perché la mente non è il cervello, bensì le sue funzioni, e nemmeno tutte: non, per esempio, il metabolismo dei grassi o l'emanazione di calore. Gli anni Novanta sono stati chiamati il «decennio del cervello», ma non ci sarà mai un «decennio del pancreas». Lo speciale status del cervello deriva dalla sua speciale funzione, che ci permette di vedere, pensare, provare sensazioni, scegliere e agire. Questa funzione speciale è l'elaborazione di informazioni, o computazione.

Informazione e computazione risiedono in pattern, o configurazioni, di dati e in rapporti di logica che sono indipendenti dal medium fisico che li trasporta. Quando telefono a mia madre in un'altra città, il messaggio rimane lo stesso che va dalle mie labbra alle sue orecchie, anche se cambia forma fisica: da aria in vibrazione a elettricità in un filo, a cariche nel silicio, a luce guizzante in un cavo a fibre ottiche, a onde elettromagnetiche, e ritorno seguendo il percorso inverso. Analogamente, il messaggio rimane lo stesso quando, dopo aver cambiato forma nella sua testa diventando una cascata di neuroni che si attivano e di sostanze chimiche che si diffondono atttraverso sinapsi, lei lo ripete a mio padre seduto sul lato opposto del divano. Allo stesso modo, un dato programma può correre su computer fatti di tubi a vuoto, commutatori elettromagnetici, transistor, circuiti integrati, o piccioni viaggiatori ben addestrati, e ottiene gli stessi risultati per le stesse ragioni.

Tale intuizione, espressa per la prima volta dal matematico Alan Turing, dagli informatici Alan Newell, Herbert Simon e Marvin Minsky e dai filosofi Hilary Putnam e Jerry Fodor, è ora detta teoria computazionale della mente. È una delle grandi idee della storia della cultura, perché risolve uno degli enigmi che costituiscono il «problema mente-corpo»: come connettere il mondo immateriale di significato e intenzione, l'essenza della nostra vita mentale, con un grumo di materia come il cervello. Perché Bill è salito sull'autobus? Perché voleva andare a trovare sua nonna e sapeva che l'autobus ve lo avrebbe portato. Nessun'altra risposta funziona. Se Bill detestasse vedere sua nonna, o sapesse che l'autobus ha cambiato percorso, il suo corpo non ci sarebbe salito. Per millenni questo è stato un paradosso. Entità quali «volere far visita alla nonna» e «sapere che l'autobus porta a casa della nonna» sono incolori, inodori e insapori. Eppure, nello stesso tempo, sono cause di eventi fisici, potenti come una palla di biliardo che ne colpisce un'altra.

La teoria computazionale della mente risolve il paradosso. Essa afferma che credenze e desideri sono informazioni, incarnate come configurazioni di simboli. I simboli sono gli stati fisici di pezzetti di materia, quali i chips di un computer o i neuroni del cervello. Essi simboleggiano cose esistenti nel mondo perché sono attivati da quelle cose tramite i nostri organi di senso e per via di ciò che fanno una volta attivati. Se i pezzetti di materia che costituiscono un simbolo sono disposti in modo da collidere nella maniera corretta con i pezzetti di materia che costituiscono un altro simbolo, i simboli corrispondenti a una credenza possono dare origine a nuovi simboli corrispondenti a un'altra credenza logicamente connessa, il che può dare origine a simboli corrispondenti ad altre credenze e così via. A un certo punto, i pezzetti di materia che costituiscono un simbolo collidono con pezzetti di materia connessi ai muscoli, e si produce il comportamento. [E cosa garantisce che, nel nostro cervello, i pezzetti di materia siano disposti esattamente nel modo giusto, così da "collidere" nel modo giusto, e far quindi muovere il corpo in modo coerente? La domanda equivale a domandare cosa garantisce che il cervello sia ben programmato. La risposta, come vedremo, è "la selezione naturale". Essa garantisce che i simboli nel nostro cervello tendano a riflettere correttamente la logica del mondo esterno, NdM.] La teoria computazionale della mente ci consente insomma di mantenere credenze e desideri nelle nostre spiegazioni del comportamento, pur radicandoli nell'universo fisico. Permette al significato di causare ed essere causato.

[...]

Senza la teoria computazionale è impossibile capire l'evoluzione della mente. La maggior parte degli intellettuali pensano che la mente umana debba essere in qualche modo sfuggita al processo evoluzionistico. L'evoluzione, ritengono, può fabbricare solo istinti stupidi e modelli d'azione fissi: una pulsione sessuale, un impulso aggressivo, un imperativo territoriale, galline che siedono sulle uova, anatroccoli che seguono le barche. Il comportamento umano è troppo sottile e flessibile, pensano, per essere frutto dell'evoluzione; deve venire da qualche altra parte, dalla «cultura», per esempio. Ma se l'evoluzione non ci ha dotati di impulsi irresistibili e riflessi rigidi, bensì di un computer neurale, tutto cambia. Un programma è una complessa ricetta di operazioni logiche e statistiche che procedono per comparazioni, test, rami, raccordi e sottoprogrammi inscritti in sottoprogrammmi. I programmi artificiali per computer, dall'interfaccia utente del Macintosh alle simulazioni meteorologiche, ai programmi che riconoscono la voce e rispondono a domande in inglese, danno un'idea della raffinatezza e della potenza di cui la computazione è capace. Il pensiero e il comportamento umani, per quanto sottili e flessibili, potrebbero essere il frutto di un programma estremamente complicato, programma che potremmo avere in dotazione per selezione naturale. L'imperativo tipico che viene dalla biologia non è «Dovrete ... », ma «Se ... allora ... altrimenti».

mercoledì 20 febbraio 2008

Uccidere un individuo potenziale

(Aggiornato il 25 febbraio 2008)

Perché la distruzione di un embrione umano (blastocita, un organismo di circa 150 cellule) è immorale?

Forse perché esso è vivo, in senso biologico? Questo è vero, ma anche le piante lo sono.

Forse perché esso è vivo ed umano? E' vero, ma anche un capello umano, o qualunque cellula del nostro corpo, soddisfa questa definizione.

Forse perché l'embrione è una persona (individuo)? Ma l'embrione non possiede le proprietà che comunemente vengono attribuite alla persona: non è senziente (in quanto non possiede un sistema nervoso), non è in grado di amare, soffrire, pensare; non è cosciente, non possiede un "io"; non è intelligente, non è in grado di capire alcunché, o di fare alcunché di significativo. Insomma non sembra che l'embrione possa soddisfare alcuna definizione difendibile di 'persona' ('individuo').

Come ulteriore argomentazione, considerate un "individuo" in stato di morte cerebrale. Egli è perfettamente vivo, ed è perfettamente appartenente alla specie umana; tuttavia il suo cervello ha irreparabilmente cessato la sua attività. Può la distruzione di questo "individuo" (ad esempio per prenderne gli organi) essere immorale? Pochi sarebbero disposti a sostenere una cosa simile. Lo stesso vale per un bambino nato privo di cervello. Tutto ciò è evidenza che ciò che conta, dal punto di vista morale, non è la vita, né l'appartenenza alla specie umana, bensì altre proprietà (la capacità di sentire, pensare, capire; la presenza di un "io", ecc.). L'embrione umano è ugualmente privo di queste proprietà. Quindi la sua natura non appare tale da poterlo definire "individuo" o "persona".

Una obiezione tipica è quella che afferma che l'embrione non è una persona, ma lo diventerà (o potrebbe diventarlo). Non è un individuo, ma è un individuo potenziale. Quando distruggi l'embrione, stai impedendo a qualcosa (che non è un individuo) di diventare individuo.

Ma lo fai anche quando rifiuti una proposta di rapporto sessuale, o quando usi il preservativo. Stai infatti impedendo ad uno spermatozoo e a un ovulo (che non sono individui) di fondersi e dar luce a un individuo. Che differenza morale c'è? (Persino l'atto di resistere a uno stupro potrebbe essere considerato come l'omicidio di un individuo potenziale.)

Una risposta istintiva è che l'ovulo e lo spermatozoo sono entità separate, non ancora combinate, quindi non costituiscono ancora un individuo. Ma questa risposta è contraddittoria: poco prima, si era ammesso che neppure la loro unione, l'embrione, fosse un individuo. Proprio per questa ragione si era passati a sostenere l'argomento dell'individuo potenziale. Insomma, tracciare una distinzione tra il sistema "spermatozoo e ovulo separati" e il sistema "spermatozoo e ovulo uniti dopo il crossing-over", è contraddittorio: nessuno dei due sistemi possiede le proprietà che definiscono la persona, ed entrambi sono in grado di svilupparle.


Esiste anche un altro importante motivo per cui è difficile considerare il concepito come identico a "una vita umana" (potenziale o meno). Come fa notare Sam Harris (Lettera a una Nazione Cristiana):
Supponiamo per un attimo che ogni embrione umano di tre giorni [sia degno] di diventare oggetto delle nostre preoccupazioni morali. In questa fase, a volte, capita che gli embrioni si dividano, diventando due individui distinti (i gemelli monozigoti). In questo caso abbiamo forse un'anima che si divide a metà? A volte due embrioni si fondono in un unico individuo, che prende il nome di chimera. Tu o qualcuno dei tuoi conoscenti forse vi siete sviluppati proprio in questo modo.


Una argomentazione simile produce un altro assurdo. Se sostieni che l'embrione sia "una vita umana completa", o "un individuo unico e irripetibile", in quanto (a differenza dell'ovulo e dello spermatozoo separati) esso ha un genoma umano completo, stai affermando che il genoma è tutto ciò che conta per identificare una persona o un individuo. Ne segue che due gemelli identici sono la stessa persona. Ciò è ovviamente assurdo. (I gemelli identici sono due persone diverse perché, pur avendo lo stesso DNA, differiscono per il contenuto del loro cervello: le loro idee, le loro opinioni, i loro sentimenti, le loro esperienze di vita sono differenti.)

Continua Harris sugli embrioni chimera, i quali, come abbiamo detto, si fondono tra loro diventando un unico embrione:
I teologi sanno ancora dibattendo per stabilire dove finisce, in questo caso, l'anima in eccesso. Non è forse ora di ammettere che questa "aritmetica delle anime" non ha alcun senso? L'idea ingenua che ci siano anime [o persone, NdM] su un vetrino o in una piastra di Petri è indifendibile sul piano intellettuale. È lo è anche sul piano morale, considerato che sta mettendo i bastoni tra le ruote a una delle ricerche più promettenti della storia della medicina. In questo preciso momento, le tue credenze sull'anima umana [o sul fatto che l'embrione sia "una vita umana", NdM] stanno prolungando un'infelicità insostenibile, vissuta da decine di milioni di esseri umani.
__

Va anche notato che l'affermazione "l'embrione non è persona ma lo diventerà", detta così, è falsa. In realtà l'embrione ha solo una certa probabilità di diventare persona. Il 50% dei concepimenti termina con un aborto spontaneo, in genere senza che la donna si renda minimamente conto di essere incinta. Il 20% di tutte le gravidanze accertate termina naturalmente con l'aborto [fonte: P.Griebel et al, "Management of spontaneous abortion", American Family Physician, Vol. 72, n. 7, 1 ottobre 2005, pp 1243-50]. Un cinico potrebbe domandare agli oppositori della ricerca sugli embrioni, o dell'aborto nei primi tre mesi di vita, perché non si preoccupino o non si adoperino per limitare questo "olocausto" di vite umane.

Chiudo citando ancora Sam Harris:
Secondo i recenti progessi dell'ingegneria genetica, quasi ogni cellula del tuo corpo costituisce potenzialmente un essere umano. Quindi, ogni volta che ti gratti il naso, ti macchi dell'olocausto di potenziali esseri umani.

venerdì 15 febbraio 2008

Quiz. Devi pagare i danni ?

Qualcuno sa rispondere a queste domande?

1.

Sei in vacanza in montagna. Vedi un uomo fermo in piedi, sul percorso di un enorme macigno che sta rotolando e lo sta per schiacciare. L'uomo sembra completamente inconsapevole di ciò che gli sta per succedere. Il tempo è pochissimo. Agisci d'istinto. Ti getti su di lui e, con uno spintone, lo allontani dal macigno che lo sta investendo, salvandogli la vita. Il problema è che, per effetto della tua spinta, lui cade male e si rompe un braccio. Egli (alla faccia della gratitudine) ti denuncia per danni. Come dovrebbe deliberare il giudice? Deve condannarti a risarcire il danno, oppure assolverti?

(Se, invece di rompergli un braccio, causi all'uomo solo un leggero graffio, cambia qualcosa? E se invece gli causi una paralisi permanente, costringendolo a vita su una sedia a rotelle?)

(Nota: non sto chiedendo come deve deliberare secondo la legge italiana vigente, ma come deve deliberare secondo il vostro senso intuitivo di giustizia.)

2.

Come prima, salvi la vita all'uomo. Questa volta egli non riporta nessun danno fisico. Però, ti denuncia per danni morali: egli si era messo di proposito sulla strada del macigno, per suicidarsi. Salvandolo, hai peggiorato la sua condizione: essere vivo è per lui una situazione molto peggiore che essere morto. (Se non ti sembra realistico, supponi che abbia un cancro terminale.) A suo giudizio, quindi, gli hai causato un danno (sofferenza psichica).

Come dovrebbe deliberare il giudice? Devi essere obbligato a risarcire l'uomo o no?


2 bis.

Una persona a te cara tenta di suicidarsi in preda a incapacità mentale temporanea (ad es. sotto l'effetto di droga). Glielo impedisci con la forza, sicuro che, una volta tornata in sé, ti ringrazierà. Lei torna in sé e non ti ringrazia, anzi è ancora convinta di voler morire e ti denuncia per aggressione e/o danni psichici. Il giudice deve condannarti a risarcirla?

__

In generale: ogni azione umana comporta dei rischi. Ogni volta che aggredisci qualcuno per il suo bene, rischi di peggiorare la sua condizione. Il fine buono ti permette di "scrollarti di dosso" questo rischio, e di non pagare nel caso in cui l'altra persona ritenga a posteriori di essere stata danneggiata?

__

3.

Un testimone di geova preferisce morire anziché subire una trasfusione di sangue. Il medico lo costringe con la violenza a fare la trasfusione e, di conseguenza, gli salva la vita. Il testimone, una volta guarito, non è affatto riconoscente, ma denuncia il medico per danni morali. La situazione in cui è vivo con sangue altrui nelle vene è per lui peggiore della situazione in cui è morto. Come deve deliberare il giudice? Deve condannare il medico a un risarcimento?

(Cambia qualcosa se, anziché fargli una trasfusione, il medico amputa una gamba al paziente, sempre per salvargli la vita?)

4.

Una persona di poca cultura si offre volontaria per essere sacrificata al Dio Sole. Tu le chiedi di ascoltare una lezione di scienze naturali. Lei rifiuta. Tu insisti. Lei si tappa le orecchie. A questo punto, la afferri con la forza e la trascini in casa tua, dove la tieni rinchiusa per una settimana contro la sua volontà, costringendola ad ascoltarti. Le insegni forzosamente una parte della scienza moderna. Le spieghi che il Sole non è un dio ma una palla di idrogeno che si converte in elio mediante fissione nucleare. I tuoi argomenti, supportati da evidenza, sono incredibilmente persuasivi. La persona smette di credere nel Dio Sole e rinuncia ad essere immolata. Però, una volta libera, ti denuncia per danni perché la hai costretta con la violenza a studiare scienze naturali. Come deve deliberare il giudice? Devi risarcire il danno psichico o no?


5.

Stai morendo di fame in una foresta. Arrivi finalmente ad una casa sperduta, ma il proprietario è assente. Forzi la serratura ed entri. Mangi tutto quello che c'è nel frigo. In questo modo riesci a sopravvivere. Il proprietario torna a casa e ti denuncia per danni e per lo spavento. Il giudice deve condannarti a risarcire i danni?

(Cambia qualcosa se rubi per salvare non te, ma un'altra persona che sta morendo di fame? Questo ti esime dal dover risarcire la vittima?)


6.

Se il proprietario fosse stato in casa e ti avesse impedito di entrare, e tu avessi finito per morire di fame, il proprietario sarebbe stato punibile? E se il proprietario è una donna sola, appena reduce da uno stupro, e temeva che il tuo fosse un pretesto per un'aggressione?

__

(Questo non è un vero quiz. Non so la risposta, anche se nei commenti offro la mia opinione.)

giovedì 14 febbraio 2008

"Non esistono necessità, solo desideri"

Continuo la traduzione di "Hidden order" di David Friedman. Riprendiamo dal capitolo 2.

Scelte e valori

Gli economisti sono spesso accusati di credere che tutto (la salute, la felicità, la vita stessa) si possa misurare in denaro. In realtà ciò che noi crediamo è ancora più strano. Crediamo che ogni cosa si possa misurare in ogni cosa. La mia vita ha un valore molto maggiore di un cono gelato, proprio come una montagna è molto più alta di un granello di sabbia, ma la vita e il gelato, come la montagna e il granello di sabbia, si misurano sulla stessa scala.

Questo sembra plausibile quando consideriamo diversi beni di consumo: automobili, biciclette, forni a microonde. Ma come può il valore di una vita umana, il valore dell'accesso a una macchina per dialisi o di un intervento chirurgico vitale al cuore, essere valutato sulla stessa scala del piacere di mangiare una caramella o di guardare un programma televisivo?

La risposta è che i valori, almeno per come gli economisti usano il termine, vengono osservati nella scelte. Se osserviamo come le persone reali si comportano verso la loro stessa vita, scopriamo che effettuano delle scelte di compromesso tra la vita e altri valori ben minori. Molti fumano anche se credono che fumare riduca l'aspettativa di vita. Io sono disposto ad accettare un (leggero) aumento della probabilità di infarto in cambio di un gelato al cioccolato.

Se da una parte decido di cedere abitualmente piccoli pezzi della mia vita in cambio di altre cose, d'altra parte è molto meno probabile che io ceda la mia intera vita, anche per una grande quantità di soldi. C'è una buona ragione per questo: una volta morto, non potrò spendere quei soldi. Questo non suggerisce che la vita abbia un valore infinito, ma solo che il denaro non ha alcun valore per un morto.

Anche se non fumi e non eccedi nel cibo, cedi abitualmente parte della tua vita in cambio di altri valori. Ogni volta che attraversi la strada stai aumentando (leggermente) la probabilità di essere investito. Ogni volta che spendi soldi per un libro o un film anziché per un controllo medico in più, o per un equipaggiamento di sicurezza aggiuntivo nella tua auto, e ogni volta che mangi una cosa che un nutrizionista non raccomanderebbe, stai scegliendo di rinunciare, in senso probabilistico, a un po' di vita in cambio di qualcos'altro.

Una possibile risposta è che (come fanno le persone sagge) le persone dovrebbero prima comperare "abbastanza" sanità medica, poi dedicare il resto delle proprie risorse ad altri obiettivi di valore infinitamente minore. L'economista risponde che, visto che le spese aggiuntive in sanità medica possono produrre benefici fino a farti consumare tutti i tuoi soldi, e oltre, il concetto di "abbastanza" (come se fosse una quantità assoluta determinata dalla scienza medica) è privo di senso. Cosa è "abbastanza" dipende da quanto vale e da quanto costa. Stai comperando troppa sanità medica nel momento in cui potresti avere una vita migliore spendendo meno per i medici e di più per qualche altra cosa. Stai comperando la giusta quantità di sicurezza quando il piacere che ottieni dall'attraversare la strada per parlare con un amico controbilancia esattamente il costo per te del rischio di essere investito da un'auto.

Il non-economista (o forse l'anti-economista) potrebbe rispondere che, anche se oggi non abbiamo abbastanza di ogni cosa, potremmo e dovremmo avere abbastanza. Se avessi abbastanza film e abbastanza gelati e abbastanza di ogni altra cosa, non avresti più bisogno di scegliere meno cure mediche per avere di più di qualche altra cosa (sebbene combinare una buona nutrizione con una quantità sufficiente di gelati potrebbe rivelarsi un problema per alcuni di noi). Se, con una adeguata applicazione delle meraviglie della tecnologia moderna, aumentassimo enormemente la produzione totale del paese, e se allo stesso tempo eliminassimo le spese per quelle cose che non vale la pena di avere, perché non dovremmo riuscire a dare a ogni americano tutto ciò che dovrebbe volere? Per poter consumare ancora di più, ognuno di noi dovrebbe guidare tre macchine e mangiare sei pasti al giorno.

Questo argomento confonde il valore con la quantità. Non so che farmene di quattro automobili, ma vorrei un'auto quattro volte più veloce e quattro volte più sicura di quella che ho adesso (e mi aspetto che costerebbe più del quadruplo). Il mio desiderio di avere molto cibo è già soddisfatto, e il mio desiderio di avere più auto potrebbe essere soddisfatto da un piccolo aumento nel mio reddito; ma il mio desiderio per la qualità del cibo o la qualità dell'automobile resterebbe anche se avessi un reddito molto maggiore, e il mio desiderio di avere di più di qualche altra cosa resterebbe fino a che io fossi vivo e cosciente, sotto qualunque circostanza che io riesca a immaginare.

La maggior parte di noi sente che tutto ciò di cui abbiamo davvero bisogno (tutto ciò di cui una persona ragionevole ha bisogno) è solo un po' più di quel che abbiamo adesso. Questa credenza è sbagliata, ma è il risultato di un comportamento razionale. Che tu sia un contadino indiano che vive con $ 500 l'anno o un avvocato americano che vive con $ 200.000 l'anno, le decisioni di consumo che prendi, i beni che consideri di comprare, sono quelli adeguati al tuo reddito. Il paradiso è un posto dove tu possiedi tutte le cose che hai considerato di comprare e hai deciso di non comprare. La maggior parte di noi potrebbe riuscire a farlo con il doppio del suo reddito attuale, e gli avanzerebbe ancora qualcosa.

Non esistono i bisogni, solo i desideri. Niente, neppure la vita, ha un valore infinito. Non possiamo mai avere abbastanza di ogni cosa, e così dobbiamo accettare dei compromessi tra le diverse cose a cui diamo valore -- compresi la vita, l'amore, e i piaceri più banali.

I valori

Nel parlare dei valori, ho implicitamente introdotto una definizione importante: il valore è il valore per noi, rivelato non dalle parole ma dalle azioni. Gli economisti chiamano questo il "principio della preferenza rivelata".

Alcuni potrebbero respingere questo principio perché credono che il valore debba essere basato su qualche criterio esterno -- non ciò che vogliamo ma cosa dovremmo volere. Altri potrebbero dire "in realtà io do un grande valore alla salute e alla vita, ma non riesco a resistere alla tentazione di una sigaretta". Ma l'economia esiste per spiegare e predire i comportamenti. L'affermazione di un fumatore di dare un valore infinito alla propria vita è meno utile per predire il suo futuro comportamento di quanto lo sia l'informazione rivelata ogni volta che accende una sigaretta.

Se vi crea problemi l'idea di usare la parola "valore" per riferirvi indifferentemente a un tozzo di pane nelle mani di un uomo che muore di fame e a una siringa di eroina nelle mani di un tossicodipendente, usate piuttosto il termine "valore economico". Ma ricordate che l'aggiunta di "economico" non significa "dotato di valore monetario", "materiale", "in grado di produrre profitto per qualcuno", né niente di simile. Il valore economico è semplicemente il valore per gli individui così come viene giudicato da loro e rivelato dalle loro azioni.

La preferenza rivelata è parte della nostra definizione di valore, ma ha anche immediati usi pratici. Supponi di voler sapere se un tuo nuovo collega è venuto qui per rimanere, o se considera la sua posizione attuale come temporanea in attesa di qualcosa di meglio. Potresti chiederglielo, ma lui potrebbe essere riluttante a dirti la verità. Invece, chiedigli se ha comprato una casa o è in affitto. Le azioni rivelano la preferenza.

Barzelletta per economisti #1.

Due economisti, camminando, passano di fronte a un'esposizione di Porsche. Uno di essi indica una macchina lucente e dice "la voglio". L'altro risponde "evidentemente no".

Scelta o necessità?

Gli economisti insistono che virtualmente tutto il comportamento umano è scelta. Per molti non economisti, questo non sembra realistico. Uno non può scegliere quello che non si può permettere. Che ruolo gioca la scelta nella vita delle persone che hanno a malapena abbastanza per vivere?

La risposta è che la scelta gioca un ruolo molto importante nella loro vita -- più importante che nella nostra. Scegliere tra la vita e la morte è più importante che scegliere tra il cioccolato e la vaniglia.

I poveri, si dice, non scelgono davvero di non andare dal medico: semplicemente non possono permetterselo. Quindi, un governo benevolo dovrebbe fornire ai poveri i servizi medici di cui hanno bisogno -- anche se, come è tipico nei paesi poveri, le persone che ricevono i servizi medici sono anche quelle che li pagano con le tasse.

Provate a tradurre tutto questo nel linguaggio della scelta. I poveri scelgono di non andare dal medico perché, per farlo, dovrebbero rinunciare a cose ancora più importanti per loro -- il cibo, forse, o il riscaldamento. Sembra spietato dire che una persona in quella situazione sceglie di non comprare sanità medica, ma almeno ci ricorda che costringerli a comprare sanità medica significa costringerli a morire di fame o di freddo. Ridurre forzosamente le alternative di una persona non è un buon modo di migliorare la sua condizione.

Lo stesso contrasto tra la visione economistica dell'azione come scelta e la visione non economistica dell'azione costretta dalle circostanze ricompare in larga scala nelle discussioni su quanto è flessibile l'economia nel suo complesso. Quando i prezzi del petrolio aumentarono di colpo all'inizio degli anni 70, molti sostennero che gli americani avrebbero continuato ad usare la stessa quantità di gasolio di prima, a qualunque prezzo. Dopotutto, quanti cittadini sono disposti a fare 3 km a piedi per andare dal fruttivendolo?

Ci sono molti modi di risparmiare il gasolio. Quelli più ovvi sono guidare lentamente e sfruttare veicoli condivisi [carpooling]. Un modo meno ovvio è comprare macchine più leggere. Lavoratori che si trasferiscono più vicino al loro posto di lavoro, o fabbriche si spostano più vicino ai lavoratori, sono modi ancora meno ovvi. Un altro modo di risparmiare benzina è usare meno riscaldamento, il che permette di raffinare una parte maggiore del petrolio per farne benzina. L'isolamento termico, le case più piccole, e trasferirsi più a sud, sono tutti modi di risparmiare benzina. I pareri degli economisti hanno sovrastimato regolarmente, e a volte enormemente, l'aumento del prezzo che sarebbe stato necessario per ridurre i consumi. Cambia i vincoli, dai alle persone un po' di tempo per adattarsi, e gli schemi cambiano.

(continua)

mercoledì 13 febbraio 2008

Essere giustiziati per blasfemia


Traduco un articolo del filosofo Daniel Dennett.
__

L'occidente ha fatto un grave errore quando non ha condannato in modo unanime la fatwa verso Salman Rushdie. (Non dimenticherò mai l'indegno silenzio di alcuni scrittori che declinarono l'invito ad unirsi in una critica decisa ma non ostile.) L'occidente ha sbagliato di nuovo a non ristampare ovunque le vignette danesi. Quello che molti non capirono è che le sommosse inscenate in risposta alle vignette erano un attacco politico ai musulmani moderati, non ai non-musulmani. La "tolleranza" invocata da molte voci fuori dal mondo musulmano ha fatto il gioco degli islamici radicali.

Ora abbiamo una terza possibilità di venire in aiuto ai musulmani moderati in tutto il mondo ma, finora, non ho sentito molto rumore. Qualche giorno fa ho mandato la seguente lettera al Boston Globe, che non ha ancora manifestato l'intenzione di pubblicarla:
La condanna e la prossima esecuzione per blasfemia di uno studente afgano, Sayed Parwiz Kambakhsh, sono circostanze terribili, ma offrono un'opportunità che noi tutti dovremmo raccogliere. E' giunto il momento che i musulmani si assumano una responsabilità e dimostrino che l'islam è una grande fede che non ha bisogno della violenza o dell'intimidazione per non perdere i suoi fedeli. E noi che siamo all'esterno dell'islam dobbiamo proclamare con la massima chiarezza che non possiamo rispettare né onorare una religione che considera la blasfemia un reato capitale, non importa quanto sia antica la tradizione da cui deriva questa decisione. Dobbiamo far sì che i musulmani che sostengono (o si astengono dal condannare) la condanna e la sentenza di Kambakhsh capiscano di essere responsabili del disonore della loro amata eredita' culturale; e se noi non musulmani non diciamo tutto ciò con chiarezza, abbiamo una parte della colpa. Una persona non lascia che i propri amici commettano, o ignorino, un male che viene perpetrato. Il modo migliore di mostrare la nostra buona volontà verso l'Islam è aiutarlo a liberarsi di un aspetto indifendibile della sua eredita' culturale. Ogni religione ha molte colpe da espiare, ma questo non è un motivo per restare in silenzio e chiudere gli occhi di fronte a colpe più recenti.

Non e' ancora il caso di perdere le staffe. Ricordiamo solamente ai musulmani di ogni parte del mondo ciò che devono certamente sapere: la blasfemia non può essere un reato capitale in alcuna società degna di rispetto. Ora sta ai musulmani impedire ad alcuni dei loro membri di infamare la loro stessa cultura.

martedì 12 febbraio 2008

La democrazia può funzionare? Il mercato politico

Continuo la traduzione di "L'ordine nascosto: l'economia della vita di tutti i giorni", di David Friedman.

Questo capitolo è dedicato al mercato politico e ai problemi della democrazia, i quali risiedono nella teoria dei giochi. Non perdete la parte finale, "il mercato della legge", in cui si spiega perché la democrazia può produrre leggi che danneggiano la società ma favoriscono gruppi di interesse concentrato.

Prima di proseguire è bene definire cosa è un "bene pubblico". Friedman lo definisce così nel capitolo precedente:
Una forma di fallimento del mercato è il "problema dei beni pubblici": come pagare per produrre un bene quando il produttore non può controllare chi lo utilizza. Un esempio è una trasmissione radiofonica. Chiunque abbia un ricevitore può ascoltarla, con o senza il permesso dell'emittente, quindi come può l'emittente riuscire ad avere un compenso per produrre la trasmissione?

Friedman spiega che il mercato privato tende a produrre beni pubblici in maniera "insufficiente" (cioè, alcuni beni pubblici che varrebbero più di ciò che costano non vengono prodotti). Veniamo ora al capitolo 19.

19. Leggi e salsicce
" Le leggi sono come le salsicce. È meglio non vederle quando vengono prodotte"
(attribuito a Bismarck)


Il governo non esiste. Non esiste alcun vecchio signore saggio e benevolo che ci osserva dall'alto. Ciò che chiamiamo "azione governativa" non è l'atto di una persona ma il risultato di un mercato politico. In questo mercato come in altri, individui razionali agiscono per perseguire i propri fini -- sotto un sistema di regole piuttosto diverso da quello che governa il mercato privato. Questo capitolo è un'esplorazione del mercato politico.

Comincio con una questione, i dazi, che da molto tempo fa sospettare che lo Stato non sia un attore neutrale che serve l'interesse pubblico. Da più di 150 anni, il punto di vista dominante tra gli economisti è che la maggior parte dei dazi danneggia il paese che li impone tanto quanto il paese contro cui vengono imposti; e che la maggior parte dei paesi, per la maggior parte del tempo, farebbero bene ad abolire tutti i dazi e ad abbracciare completamente il libero scambio -- non importa se gli altri paesi ricambiano questa politica. Eppure, per tutto questo secolo e mezzo, la maggior parte del mondo, con la notevole eccezione dell'Inghilterra nel diciannovesimo secolo e Hong Kong nel ventesimo, ha mantenuto i dazi. Quando la riduzione dei dazi è avvenuta, è stato grazie alla negoziazione: noi ridurremo i nostri dazi se voi ridurrete i vostri. Dal punto di vista dell'economista, questo equivale a dire che io smetterò di darmi martellate sulla testa se anche tu smetterai di martellare la tua.

Il primo passo è capire perché l'economista crede che i dazi siano una cattiva idea. Il secondo è spiegare perché è tuttavia nell'interesse di legislatori razionali imporre dazi.

[Salto per adesso la prima parte dell'argomento, che Friedman presenta sia in modo matematico che a parole. NdM.]

...

L'economia della politica

La versione della democrazia che impariamo a scuola è molto semplice. I politici vogliono voti. I votanti vogliono che il governo faccia cose belle. Quindi i politici, per poter essere eletti e rieletti, devono governare nell'interesse generale. La logica è questa, e tutto il resto (cioè la maggior parte di ciò che il governo fa in realtà) è un errore sperimentale.

Un motivo per cui questa teoria è sbagliata è che, mentre assume correttamente che i politici siano razionali, assume erroneamente che i votanti non lo siano. Capire quali politiche siano davvero nell'interesse generale, e quindi quali politici è meglio votare, ha un costo. Sono pochi i politici il cui lo slogan dice "io sono il cattivo". Un individuo razionale, che sia un votante o un consumatore, acquisisce informazione solo se il beneficio di acquisire l'informazione vale il costo di acquisirla. Se l'informazione non vale il suo prezzo, l'individuo rimane razionalmente ignorante.

Supponi che il valore per te di far eleggere a presidente la persona giusta sia 100.000 dollari -- una cifra alta per la maggior parte di noi. Supponi inoltre di avere una probabilità su un milione che il tuo voto possa influenzare l'esito dell'elezione -- di nuovo, una stima ottimistica. Questo significa che il voto ti dà un tornaconto atteso di 10 centesimi. Questo non giustifica che tu investa più di un minuto a capire per quale candidato votare.

Abbiamo spiegato perché la maggior parte dei votanti sono ignoranti, ma ci rimane un altro enigma: perché si prendono la briga di votare?

Il mercato della tifoseria

Le grosse squadre sportive, negli Stati Uniti e altrove, sono quasi sempre associate a una città o a un'università. ... eppure questo schema si incontra raramente nelle altre industrie. ...

La spiegazione è che ciò che le squadre sportive vendono è in parte la partigianeria. Gli appassionati non vanno semplicemente a guardare una partita ma per tifare per la loro squadra. Un tifoso che creda che il suo tifo possa far giocare meglio la sua squadra può persino avere l'impressione di essere parte del gioco -- anche se solo una piccola parte. Identificare te stesso con una città o un'università è un modo economico di accaparrarti una quantità di partigiani.

Ogni quattro anni, la televisione nazionale trasmette un gioco dove è in ballo il destino del mondo. La notte delle elezioni, si rivelano i risultati: una squadra vince, l'altra perde. Non solo puoi tifare, puoi persino giocare. Il prezzo di ammissione è un'ora del tuo tempo. Come modo di influenzare il destino del mondo, è un pessimo affare: un'ora del tuo tempo in cambio di una probabilità su un milione di influenzare l'esito. Ma come modo di avere una serata eccitante, vale il suo prezzo.

Per migliorare lo stato del mondo, devi non solo votare, ma votare il candidato giusto -- il che richiede alcune ore aggiuntive per considerare le questioni e i candidati. I tifosi sportivi non hanno bisogno di sapere quale squadra merita di più il loro supporto. E neppure i tifosi politici. La maggior parte dei votanti non conosce il nome del proprio rappresentante al Congresso [Parlamento], e solo una piccola minoranza è in grado di descrivere accuratamente le posizioni politiche dei candidati.

Una risposta tipica a questo argomento è "stai dicendo che dovremmo essere tutti politicamente ignoranti; ma se lo facessimo, la democrazia non funzionerebbe". È corretto: proposizioni vere non hanno necessariamente conseguenze desiderabili. Alcune persone acquisiscono informazioni politiche per divertimento, o per avere la meglio nelle discussioni a un aperitivo con gli amici; alcune leggono persino libri di economia -- se sono abbastanza divertenti. Per queste persone, l'informazione necessaria per essere votanti informati non è costosa: la ottengono come sottoprodotto di altre attività. Altre persone acquisiscono l'informazione come sottoprodotto della lettura di un quotidiano per divertimento. Il risultato delle elezioni democratiche è guidato dall'informazione libera -- e riflette la qualità di ciò che ottieni a quel prezzo.

Se il modello di democrazia che viene insegnato a scuola fallisce a causa dell'ignoranza razionale, dovremmo cercare un altro modello. Come il nostro modello del mercato normale, dovrebbe cominciare ipotizzando individui razionali, ognuno dei quali trova il modo migliore di raggiungere i suoi obiettivi, e proseguire il ragionamento da lì, producendo predizioni e spiegazioni di quello che osserviamo nel mondo reale.

Il mercato della legge

Considerate il mercato della produzione della legge. Gli individui offrono pagamenti ai politici perché sostengano o si oppongano a una legge. Il pagamento in questione può consistere nella promessa di votare quel politico, in un pagamento in denaro da usare per finanziare future campagne elettorali, o in contributi (segreti) al conto in banca del politico. Il politico cerca di massimizzare il proprio utile, tenendo conto del vincolo che egli potrà continuare a vendere la legislazione in quel modo solo fino a che riuscirà ad essere eletto.

È un sistema efficiente? Considerate una semplice transazione su questo mercato. Un legislatore propone una legge che impone su 1000 individui un costo di $ 10 ciascuno (costo totale $ 10.000) e accorda un beneficio di $ 500 ciascuno a 10 individui (beneficio totale $ 5.000). [Quindi la società ottiene un danno netto da quella legge, NdM] Quali saranno le offerte a favore e contro quella legge?

Il costo totale per i perdenti è $ 10.000, ma la quantità che saranno disposti ad offrire ad un politico per opporsi alla legge è molto minore. Un individuo che contribuisca a una campagna di finanziamento per sconfiggere la legge sta fornendo un bene pubblico a tutte le migliaia di membri del gruppo. Gli argomenti usati nel capitolo 18 per mostrare che i beni pubblici saranno prodotti in quantità insufficiente vale anche in questo caso. Più il pubblico è grande, minore è la frazione del valore del bene che il pubblico riuscirà a mettere insieme per pagare il bene. [Notate che questo risultato è controintuitivo: uno potrebbe pensare che un pubblico grande riuscirà a sconfiggere un pubblico piccolo. Non è così, perché ciascuna persona del pubblico grande viene danneggiata in modo infinitesimale dalla legge e quindi sarà disposta a offrire pochissimo, NdM.]

Anche il beneficio fornito ai vincitori è un bene pubblico, ma va a beneficio di un pubblico molto più piccolo -- 10 individui invece di 1000. Un pubblico più piccolo riesce a organizzarsi più facilmente per finanziare un bene pubblico. Anche se il beneficio per il gruppo piccolo è minore del costo per il gruppo grande, la quantità che il gruppo piccolo è in grado di offrire ai politici per sostenere la legge sarà maggiore della quantità che il gruppo grande è in grado di offrire per opporsi ad essa.

La conclusione è rafforzata da una seconda considerazione -- il costo delle informazioni. Per l'individuo che sospetta che la legge lo danneggerà di $ 10, non vale la pena di verificare se quel sospetto è vero. Il danno possibile per lui è piccolo, quindi è piccola la probabilità che egli sia disposto a fare qualcosa che possa influenzare l'esito. Il membro del "gruppo di interesse disperso" sceglie (razionalmente) di essere peggio informato rispetto al membro del "gruppo di interesse concentrato".

Pensate a "concentrato" e "disperso" come a un'abbreviazione per tutto l'insieme di caratteristiche che determina quanto facilmente un gruppo è in grado di finanziare un bene pubblico: il numero di individui che compongono il gruppo è solo una di queste caratteristiche. Considerate, per esempio, un dazio sulle automobili. Esso dà beneficio a centinaia di migliaia di persone: gli azionisti delle compagnie automobilistiche, i dipendenti, i proprietari delle fabbriche a Detroit. Ma la General Motors, la Ford, la Chrysler, la UAW, e la città di Detroit, sono organizzazioni che già esistono per fare l'interesse di una gran parte di quel grande gruppo di persone. Per molti scopi, possiamo considerare tutti gli azionisti e la maggior parte dei lavoratori come cinque individui -- un gruppo abbastanza piccolo da sapersi organizzare efficacemente. I beneficiari dei dazi sono un gruppo di interesse molto più concentrato di quanto suggerirebbe un semplice conto del loro numero.

Il problema dei beni pubblici porta all'inefficienza nei mercati privati perché alcuni beni pubblici, che valgono più di quanto costerebbe produrli, non vengono prodotti. Porta all'inefficienza nei mercati pubblici perché ciò che viene offerto ai politici per approvare una data legge riflette solo in minima parte i veri costi e benefici di quella legge. Se i potenziali beneficiari e i potenziali danneggiati non offrono la stessa frazione dei loro rispettivi benefici e danni, allora, come avviene di solito, possono essere approvate leggi che impongono un costo netto alla società, e possono essere respinte leggi che darebbero un beneficio netto.


(continua)

(Update: vedi qui per un articolo debolmente correlato.)

sabato 9 febbraio 2008

Evoluzione, economia e... file al supermercato

Continuo la traduzione di "Hidden order" di David Friedman. Questo episodio contiene altre curiose applicazioni dell'analisi economica alla vita di tutti i giorni, e si chiude con un collegamento tra economia e teoria dell'evoluzione.

__

Al supermercato, hai le braccia piene di spesa e devi recarti alla cassa per pagare. Le casse sono disposte in fila, e tu ti trovi vicino ad una delle casse più esterne. Ti conviene spostarti tra tutte le file per trovare la più breve, oppure ti conviene entrare direttamente nella fila più vicina?

La prima e più semplice risposta è che tutte le file avranno all'incirca la stessa lunghezza, quindi non vale la pena di cercarne una più corta. Perché?

Quei clienti che sono nella posizione di vedere due file diverse andranno in quella che sembra loro più corta. Così facendo, ne aumentano la lunghezza. Questo processo continua fino a che le due file hanno la stessa lunghezza. E questo avviene per ogni coppia di file adiacenti, quindi tutte le file avranno all'incirca la stessa lunghezza. Non vale la pena di fare fatica per cercare la più breve.

Questo ragionamento dà per scontato che tutti possano dire facilmente quale fila è più breve. Ma la lunghezza che conta non è nello spazio ma nel tempo: è meglio trovarsi in fila dietro dieci clienti che hanno pochi oggetti ciascuno, piuttosto che trovarsi dietro otto clienti che hanno il carrello pieno. Stimare quale fila ti farà uscire prima dal negozio richiede una certa quantità di sforzo mentale. Se il sistema funzionasse così bene da rendere tutte le file esattamente uguali (in senso temporale), non varrebbe mai la pena di fare questo sforzo, e quindi non ci sarebbe nulla a mantenere uguali le file. In media, la lunghezza (temporale) di due file differirà di una quantità appena sufficiente a ripagare lo sforzo che serve per capire quale fila è più breve. Se la differenza fosse un po' maggiore di così, tutti ricercherebbero la fila più breve, rendendo tutte le file di pari lunghezza. Se fosse minore di così, nessuno lo farebbe.

Supponete ora che i clienti non siano tutti uguali: alcuni sanno che la cassiera della cassa 3 è il doppio più veloce delle altre. Questi "esperti" vanno nella fila 3. La fila 3 adesso è più lunga delle altre file -- ma è ancora la più rapida. I non esperti evitano la fila 3 fino a che non si accorcia di nuovo fino ad avere la stessa lunghezza delle altre. Gli esperti (e alcuni non-esperti fortunati nella fila 3) terminano il doppio più velocemente di tutti gli altri.

Si sparge la voce, e il numero di "esperti" aumenta. Prima o poi diventano abbastanza numerosi da riempire la fila. Quando il numero di esperti aumenta ulteriormente, la fila 3 comincia ad allungarsi. Quando ci sono abbastanza esperti da rendere la fila 3 il doppio più lunga delle altre, il vantaggio di essere esperti scompare e la fila smette di crescere.

Un'altra assunzione nascosta nel mio esempio è che i clienti vogliano uscire prima possibile. Supponete che il fruttivendolo sia in realtà un centro sociale locale: le persone ci vanno per fare file lunghe e spettegolare o cercare di farsi nuovi amici. Visto che non vogliono uscire al più presto possibile, non cercano di andare nella fila più corta, quindi l'argomento crolla.

Il traffico

Quando il traffico diviene congestionato, la tua corsia è sempre la più lenta. Passi a un'altra corsia. Dopo qualche minuto, scopri che il furgone blu, che nella corsia che hai lasciato era dietro di te, ti ha superato.

Per capire perché è così difficile seguire una strategia di successo nel cambiare corsia, considerate che anche le altre persone stanno cercando una corsia più rapida -- e le auto che si spostano in una corsia rapida la rallentano, proprio come i clienti che si spostano in una fila breve al supermercato la allungano. In equilibrio, tutte le corsie sono ugualmente lente.

Un'analisi più elaborata terrebbe conto dei costi di cambiare continuamente corsia, in termini di ammaccature all'automobile ed esaurimenti nervosi. In media, se tutti sono razionali, cambiare corsia deve dare un piccolo guadagno in velocità -- se così non fosse, nessuno lo farebbe e il meccanismo descritto sopra non funzionerebbe. Il beneficio deve essere uguale al costo del guidatore "marginale" che cambia corsia -- quel guidatore per cui cambiare corsia vale a malapena la fatica. Se il beneficio fosse minore di quella quantità, egli non cambierebbe corsia; se fosse di più, la cambierebbe anche qualcun altro.

Applicazioni più importanti

I medici guadagnano un sacco di soldi. Diventare medico richiede molti anni di duro lavoro come studente di medicina e come assistente interno. Questi due fatti non sono scollegati. I salari nelle diverse professioni sono controllati dallo stesso tipo di processo che rende uguali le corsie e le file. Nello scegliere la tua professione, non è sufficiente chiederti quale di esse paga di più: il fatto che una professione sia più pagata è evidenza che essa è meno attraente per altri motivi -- è più rischiosa, è più sgradevole, o ha un maggiore costo di ingresso. Se così non fosse, tutti farebbero quella professione -- rendendo i salari bassissimi. Quindi la domanda giusta da fare è per quale professione sei particolarmente portato in confronto ad altre persone che fanno scelte simili. È come se tu decidessi se seguire o non seguire una strategia di cambio di corsia in base a quanto è vecchia la tua automobile, o decidessi se cercare o non cercare una fila più corta in base a quanti oggetti hai in mano.

L'analogo delle file e corsie nel mercato azionario è l' "ipotesi dei mercati efficienti": i prezzi delle azioni riflettono tutte le informazioni pubbliche sulle compagnie (se comprare è ovviamente un buon affare, chi venderebbe mai?), quindi faresti bene a risparmiare i costi di un analista finanziario e scegliere le azioni lanciando freccette sul Wall Street Journal.

Ora sapete sia perché l'ipotesi è vera sia perché è falsa. Se fosse interamente vera, gli investitori ignorerebbero le informazioni sulle compagnie -- e non ci sarebbe nulla a mantenere il mercato efficiente. I prezzi reali delle azioni devono quindi differire dal loro vero valore di una quantità appena sufficiente a ripagare il tempo speso per capire quanto valgono, e agire in modo corrispondente.

La persona che dovrebbe cambiare corsia in autostrada è quella che possiede un'auto ammaccata. La persona che dovrebbe mantenere il mercato efficiente è quella che ha informazioni preferenziali, o quella che ha molta esperienza nel commercio su larga scala. Se non sei tu, tira fuori le freccette.

La struttura logica di questi esempi -- l'equilibrio economico -- comparirà ripetutamente per tutto il libro. Una volta che avrai capito bene quando e perché le file del supermercato hanno tutte la stessa lunghezza e perché le corsie in autostrada sono ugualmente veloci, e quando non lo sono, avrai aggiunto ai tuoi strumenti intellettuali uno dei concetti più utili dell'economia. Se ti sembra tutto ovvio la prima volta che lo leggi (o anche la seconda) allora dovresti prendere in seria considerazione la carriera di economista.

Razionalità senza mente: una digressione biologica

Gli inventori della teoria dell'evoluzione basarono in parte il loro lavoro sulle idee degli economisti classici. Questo non è stato solo un accidente storico: sebbene l'economia e la biologia evoluzionistica si concentrino su cose diverse, la struttura logica dei due campi è molto simile. L'economista si aspetta che la gente capisca come ottenere i propri obiettivi ma non si interessa di come lo fa. Il biologo evoluzionista si aspetta che i geni (le unità fondamentali di eredità che controllano la costruzione del nostro corpo) costruiscano animali la cui struttura e comportamento massimizzino il successo riproduttivo, ma non si occupa molto dei meccanismi biochimici dettagliati con cui i geni controllano l'organismo. Questioni simili compaiano in entrambi i campi: il conflitto tra l'interesse dell'individuo e l'interesse del gruppo è analogo al conflitto tra l'interesse del gene e l'interesse della specie.

Il mio esempio preferito è la spiegazione di Sir R.A. Fisher della proporzione osservata tra il sesso maschile e femminile. In molte specie, compresa la nostra, i maschi e le femmine nascono in numero più o meno uguale. Non c'è alcuna ragione ovvia cui questo debba essere nell'interesse della specie: basta un maschio per fertilizzare molte femmine. Eppure il rapporto tra i due sessi rimane quasi 1:1, anche nelle specie come il cervo, in cui solo una piccola frazione dei maschi riesce a riprodursi. Perché?

Immaginate che, contrariamente ai fatti, due terzi dei membri di ogni generazione siano femmine. Visto che le madri sono il doppio dei padri ma ogni figlio ha un padre e una madre, il maschio in media fa il doppio dei figli della femmina. Ne segue che una coppia che fa un figlio maschio avrà il media il doppio dei nipoti rispetto a una coppia che fa una figlia femmina. Visto che le coppie che fanno figli maschi hanno più discendenti, i loro geni si diffondono nella popolazione -- compresi i geni per avere figli maschi. Il processo continua fino a che il numero di figli maschi e figlie femmine diventa uguale. Se in partenza avevamo un rapporto maggiore o minore di quello, la situazione deve ritornare a un rapporto pari.

Ho omesso una quantità di dettagli, come il diverso costo di produrre e allevare un maschio e una femmina, che possono complicare l'argomento. Eppure anche questa semplice versione riesce sorprendentemente a spiegare una regolarità osservata nel mondo mediante il comportamento razionale di entità microscopiche. I geni non possono pensare; eppure, in questo caso e in molti altri, si comportano come se avessero attentamente calcolato come massimizzare la propria sopravvivenza nelle generazioni future.

Una cosa su cui riflettere

In una conversazione con un preside, io notai di essere piuttosto distratto (avevo dimenticato di andare a due o tre riunioni di facoltà quell'anno) e gli chiesi di ricordarmi quando dovevo andare da qualche parte. Egli rispose di aver già risolto il problema, per quanto riguardava le riunioni all'ora di pranzo, di cui era responsabile: aveva provveduto ad ordinare per ogni riunione un lussuoso dolce al cioccolato. Il suo metodo funzionò. Ne segue che io scelgo se dimenticare di andare alle riunioni?

(fine capitolo 1)

venerdì 8 febbraio 2008

L'ordine nascosto: economia e teoria dei giochi nella vita di tutti i giorni

In genere, quando trovo un libro o un articolo che credo aumenti la mia comprensione del mondo, lo traduco e lo posto sul blog. Ebbene, ora ne ho trovato uno davvero appassionante, per cui sospetto che il blog diverrà piuttosto monotematico, almeno finché non lo finisco. :)

Il libro è "L'ordine nascosto: l'economia nella vita di tutti i giorni", di David Friedman. Ne abbiamo già visto due pezzi (qui e qui).

Traduco qui il primo capitolo, in cui l'autore spiega in cosa consiste l'assunzione degli economisti che le persone siano razionali; poi applica l'analisi economica a varie questioni interessanti, riguardanti la guerra, la politica, i voti, le lobby, ecc. Alla fine di questo capitolo c'è un quiz, che io non sono riuscito a risolvere. Se qualcuno ha qualche idea... :)

__

Le persone sono razionali

Per la maggior parte della gente, l'economia è una scienza noiosa piena di statistica e tecnicismi, che riguarda principalmente il denaro e che serve a rispondere a un insieme limitato (ma importante) di domande. Per gli economisti, l'economia è uno strumento potente per capire perché gli eserciti si ritirano, perché i votanti sono ignoranti, perché salgono i tassi di divorzio, oltre a risolvere problemi pratici come il modo per non essere rapinati. Il suo oggetto non è il denaro ma la ragione -- le implicazioni, specialmente le implicazioni non ovvie, del fatto che gli umani agiscono razionalmente. O per dirlo in modo più formale:

L'economia è quel modo di comprendere il comportamento che parte dall'assunzione che gli individui hanno degli obiettivi e tendono a scegliere il modo corretto per raggiungerli.

"Razionalità economica" fa pensare a un individuo freddo e calcolatore -- forse il signor Spock. Ma l'economia non è solo una cosa per Vulcaniani: l'assunzione di razionalità si riferisce alle nostre azioni, non ai nostri pensieri. Se fosse necessario capire intellettualmente una cosa prima di poterla fare, nessuno di noi riuscirebbe neppure a camminare -- come abbiamo subito compreso quando abbiamo cominciato a programmare robot in grado di camminare. Il nostro apprendimento non avviene mediante la semplice logica, ma mediante un processo complicato di sentimenti, segnali di ritorno [feedback] ed intuizioni.

Ci sono molti modi di comportarsi razionalmente senza effettuare dei ragionamenti [consci, NdM]. Non importa se hai dedotto logicamente che devi mangiare per vivere: se non mangi non durerai abbastanza lungo perché il tuo comportamento venga analizzato dagli economisti. Quindi, l'evoluzione è una prima fonte di comportamento razionale. Un'altra fonte è la tecnica chiamata "tentativi ed errori". Non ho mai esaminato al computer la mappa della Contea di Santa Clara, ma credo di conoscere la strada più breve da casa mia all'ufficio.

Per avere un esempio familiare di comportamento razionale che non richiede il ragionamento, considerate la situazione di un infante -- il quale ha solo uno strumento per raggiungere i suoi obiettivi. Quando ha fame o è bagnato, emette rumori forti e fastidiosi -- dando a qualunque adulto nei paraggi un incentivo a occuparsi del problema. Dubito che i bambini facciano ragionamenti logici sulla situazione; ciononostante effettuano l'azione che ha più probabilità di raggiungere i loro obiettivi.

I bambini quindi sono razionali. Anche i gatti lo sono. Se ti ostini a leggere il giornale quando dovresti invece accarezzare il gatto, il gatto risolve il problema sdraiandosi sul giornale. Non so se questa tattica sia il prodotto di un calcolo oppure di tentativi ed errori, ma funziona.

Per ottenere qualche risultato in economia, bisogna assumere non solo che le persone abbiano degli obiettivi, ma che quegli obiettivi siano ragionevolmente semplici. Senza questa assunzione, l'economia diventa una teoria vuota: ogni comportamento, per quanto particolare, si può spiegare mediante l'assunzione che l'obiettivo fosse il comportamento stesso. (Perché sono rimasto a testa in giù sul tavolo mantenendo tra le dita dei piedi un biglietto da $ 1000 in fiamme? Perché volevo starmene con la testa sul tavolo mantenendo tra i piedi un biglietto da $ 1000 in fiamme.)

Perché l'economia potrebbe funzionare

L'economia si basa sull'assunzione che le persone abbiano obiettivi ragionevolmente semplici e che scelgano i modi corretti di raggiungerli. Entrambe le assunzioni sono false -- ma utili.

Supponete che una persona sia razionale solo la metà del tempo. Visto che in generale c'è un solo modo giusto di fare le cose, ma molti modi sbagliati, il comportamento razionale si può predire, quello irrazionale no. Se assumiamo che egli sia razionale, riusciamo a predire correttamente il suo comportamento all'incirca la metà delle volte -- tutt'altro che perfetto, ma molto meglio di niente. Se io riuscissi a fare una cosa del genere nelle corse dei cavalli sarei molto ricco.

Un'estate, un collega mi chiese perché non avessi comprato un permesso per parcheggiare l'auto. Risposi che non avere un posto comodo per parcheggiare aumentava le mie probabilità di prendere la bici. Egli mi accusò di incoerenza: se credo nella razionalità, dovrei riuscire a fare la scelta corretta tra la pigrizia e l'esercizio senza truccare il gioco. La mia risposta fu che la razionalità è un'assunzione che faccio sulle altre persone. Conosco me stesso abbastanza bene da gestire e prevedere la mia stessa irrazionalità. Ma per la stragrande maggioranza dei miei simili, che conosco molto poco, la razionalità è la migliore assunzione di cui disponiamo per fare predizioni.

Una ragione per assumere la razionalità delle persone è che predice il comportamento meglio di qualunque assunzione alternativa. Un'altra è che, quando facciamo predizioni su un mercato o una folla disordinata, ciò che conta non è il comportamento di un singolo individuo, ma il comportamento sommato di molti individui. Se il comportamento irrazionale è casuale, i suoi effetti in media si cancellano.

Una terza ragione è che spesso non abbiamo a che fare con un insieme casuale di persone, ma con persone selezionate per fare ciò che fanno. Se le compagnie scegliessero a caso i loro manager, Bill Gates sarebbe ancora un programmatore e la Microsoft non sarebbe riuscita così bene a massimizzare il suo profitto. Ma le persone che non vogliono massimizzare i profitti, o non sanno come farlo, hanno poca probabilità di ottenere quell'incarico. Se lo ottengono, magari grazie a un'eredità, è improbabile che riescano a mantenerlo. E se lo mantengono, è probabile che le loro compagnie imbocchino la via del declino. Quindi si può assumere senza timore che le persone che gestiscono le compagnie sappiano cosa stanno facendo -- generalmente e in media. E visto che le imprese che perdono soldi prima o poi falliscono, assumere una massimizzazione razionale dei profitti si rivela un ottimo modo per predire e spiegare il comportamento delle compagnie.

Un argomento simile si applica al mercato azionario. Gli investitori che regolarmente scommettono male avranno molto presto ben poco da scommettere. Gli investitori che regolarmente scommettono bene hanno una quantità sempre crescente di soldi da rischiare -- e spesso anche soldi altrui. Quindi gli investitori ben informati hanno nel mercato un'influenza non proporzionale al loro numero.

Alcuni esempi di pensiero economico

Stai progettando un parco, e devi decidere come disporre alcune mattonelle in un enorme prato. Uno degli obiettivi di molte persone è andare nel posto in cui vogliono andare col minor sforzo possibile -- e la distanza più breve tra due punti è una linea retta. Faresti bene quindi a prendere precauzioni: staccionate, passerelle diagonali, una protezione resistente per l'erba, o mettere del cemento verde al posto dell'erba.

Un approccio meno efficace è mettere dei cartelli che illustrano l'effetto di camminare sull'erba --le persone nel parco lo sanno già. La razionalità è un'assunzione sul comportamento individuale, non sul comportamento di gruppo. Anche se mi piace molto l'erba verde, la mia decisione di prendere una scorciatoia calpestando l'erba mi dà un beneficio maggiore (tempo risparmiato) di ciò che mi costa (danneggiare leggermente l'erba). La mia scorciatoia impone anche un costo su tutte le altre persone, il che può rendere il costo totale della mia azione più grande del beneficio totale; ma sono solo i costi per me e i benefici per me a determinare la mia azione.

Un secondo semplice esempio di ragionamento economico è la Legge di Friedman per Trovare il Bagno degli Uomini: "Il bagno degli uomini è adiacente, in una delle tre dimensioni, al bagno delle donne". Uno degli obiettivi del costruttore è minimizzare i costi di costruzione. Costa di più costruire due tubi di scarico piccoli che uno grande. Quindi costa meno posizionare i bagni usati da persone diverse vicini tra di loro, per poterli collegare allo stesso scarico. La legge non vale per gli edifici costruiti con contratti governativi, al loro costo più il 10%.

Come terzo esempio, considerate una persona, Tizio, che deve prendere due decisioni: quale macchina comperare e quale politico votare. Può migliorare ciascuna di queste decisioni investendo tempo e fatica per studiare le alternative. Nel caso dell'automobile, la sua decisione determina con certezza quale automobile egli ottiene. Nel caso del politico, la decisione di Tizio aumenta solo di un decimilionesimo la probabilità che il suo candidato vinca. Se la situazione è tale che il candidato vincerebbe anche senza il suo voto, Tizio sta sprecando il suo tempo. Se è tale che il candidato perderebbe anche col suo voto, anche in questo caso Tizio sta gettando il suo tempo. Tizio sceglierà razionalmente di investire molto più tempo nella decisione di quale macchina comprare; il tornaconto per lui è enormemente maggiore. Ci aspettiamo quindi che le votazioni saranno caratterizzate da una ignoranza razionale --- è razionale essere ignoranti quando l'informazione costa più di quanto vale.

D'altra parte, se tu o la tua compagnia ricevete quasi tutti i benefici di una certa legge, sarete disposti a investire molti soldi e molti sforzi per far approvare quella legge. E se il costo di quella legge viene scaricato su molte persone, [ciascuna di queste persone riceverà individualmente un danno piccolissimo, e quindi] nessuna di esse avrà interesse a capire davvero cosa le stanno facendo, ed opporsi all'approvazione della legge. Questa è la ragione per cui i gruppi di interessi speciali, le lobby, riescono così bene a ottenere benefici per se stessi alle spese di tutti noi -- anche se noi siamo mille volte più numerosi di loro. Torneremo su quest'argomento nel capitolo 19, dove esploreremo l'economia della politica.

In questo esempio, ho cambiato leggermente la mia definizione di razionalità. Prima significava prendere la decisione giusta su cosa fare (ad esempio votare per il politico giusto). Ora significa prendere la decisione giusta su come decidere cosa fare (raccogliere informazioni su chi votare solo se l'informazione vale più di quel che costa ottenerla). Per molti scopi, la prima definizione è sufficiente. La seconda diventa necessaria laddove il costo di ottenere ed usare l'informazione sia una parte essenziale del problema.

Un ultimo esempio è il problema di vincere una battaglia. Nella guerra moderna, molti soldati non sparano affatto, e molti di quelli che sparano non prendono la mira. Questo non è un comportamento irrazionale -- al contrario. In molte situazioni, il soldato si rende conto che nulla di ciò che lui può fare avrà un grosso effetto nel decidere il vincitore; e se spara, specialmente se perde tempo a mirare, ha una maggiore probabilità di essere colpito lui stesso.

Il generale e il soldato hanno due obiettivi in comune. Entrambi vogliono che il loro esercito vinca. Ed entrambi vogliono che il soldato sopravviva alla battaglia. Ma l'importanza relativa della vita del soldato è molto maggiore per il soldato che per il generale. Quindi il soldato razionalmente non fa ciò che il generale razionalmente vuole che lui faccia.

Alcuni studi sui soldati degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale hanno rivelato che il soldato con maggiore probabilità di sparare era il membro della squadra che portava con sé il fucile automatico Browning. Egli era in una situazione analoga a quella della lobby di interesse speciale: visto che la sua arma era molto più potente di un'arma ordinaria (un'arma automatica, come una mitragliatrice, continua a sparare finché tieni il dito premuto sul grilletto), le sue azioni avevano molta più probabilità di determinare il vincitore (e quindi anche di determinare se lui stesso veniva ucciso) rispetto alle azioni di un fuciliere normale.

Il problema non è limitato alla guerra moderna. Torniamo indietro di 1000 anni. Sei armato di lancia, e fai parte di una fila di uomini armati di lancia. Venite tutti caricati da una massa di uomini a cavallo, anch'essi armati di lancia. Se tutti voi nella fila rimanete fermi, molto probabilmente infrangerete la loro carica, e solo pochi di voi moriranno. Se invece vi date alla fuga, la maggior parte di voi sarà calpestata dai cavalli e uccisa. Naturalmente la cosa più conveniente per te è restare fermo.

Sbagliato. Tu puoi controllare solo te stesso, non l'intera fila. Se tutti gli altri restano fermi e tu sei l'unico a fuggire, non corri quasi nessun rischio di essere ucciso -- almeno non dal nemico. Se invece tutti gli altri fuggono, la tua unica possibilità è cominciare a fuggire per primo. Quindi, qualunque cosa gli altri decidano di fare, per te è meglio fuggire. Tutti se ne rendono conto, tutti fuggono, e quasi tutti morite. Benvenuti nel lato oscuro della razionalità. [Notate che questo è un esempio di "dilemma del prigioniero", NdM.]

La lealtà di gruppo, il patriottismo, l'esprit de corps, e la fede in un Dio che premia gli eroi e punisce i codardi, sono tutti modi di cercare di risolvere questo problema. Un altro approccio è quello di far marciare il tuo esercito oltre un ponte, farlo allineare sulla riva del fiume opposta alla tua, e poi bruciare il ponte. Poi fai notare ai tuoi soldati che non hanno più un posto dove fuggire. Visto che le tue truppe non fuggono e le truppe nemiche (si spera) fuggiranno, vinci la battaglia. Questa è una strategia ad alto rischio.

I libri di storia del liceo, nel capitolo sulla rivoluzione americana, raccontano di come gli inglesi abbiano stupidamente vestito le loro truppe con uniformi rosso brillante, e di come le facessero marciare in formazioni geometriche ordinate, divenendo così un facile bersaglio per gli eroici soldati americani. La mia congettura è che gli inglesi sapevano benissimo quel che facevano. Fu quello stesso esercito inglese, qualche decennio dopo, a sconfiggere il più grande generale dell'epoca a Waterloo.

Le formazioni geometriche ordinate rendono difficile ai soldati scivolare di nascosto nelle retrovie. Le uniformi appariscenti con molti bottoni brillanti rendono difficile ai soldati nascondersi dopo che il loro esercito è stato sconfitto. L'errore dei libri di storia consiste nel non capire che queste politiche furono ideate dai generali britannici per controllare i propri soldati.

Il conflitto di interessi tra il soldato come individuo e il soldato come gruppo è illustrato bene nel resoconto della battaglia di Clontarf che compare nella Saga di Nijal. Clontarf fu una battaglia del dodicesimo secolo tra un esercito irlandese da una parte e un esercito misto irlandese-vichingo dall'altra. Il leader dei Vichinghi era Sigurd, lo "Jarl" delle isole Orkney. Sigurd aveva una bandiera di battaglia, raffigurante un corvo, della quale si narrava che fino a che la bandiera sventolava, il suo esercito avrebbe sempre avanzato, ma chiunque portasse la bandiera sarebbe morto.

L'esercito di Sigurd stava avanzando; due uomini erano stati uccisi nel portare la bandiera. Lo Jarl disse a un terzo uomo di prendere la bandiera. Il terzo uomo rifiutò. Dopo aver tentato senza successo di trovare qualcuno disposto a farlo, Sigurd disse "E' opportuno che il mendicante porti di persona il suo fagotto", tagliò via la bandiera dall'asta, se la avvolse attorno al torace, e condusse l'esercito in avanti. Fu ucciso e il suo esercito fu sconfitto. Se uno o due uomini in più avessero voluto portare la bandiera, l'esercito di Sigurd avrebbe potuto vincere -- ma i portatori della bandiera non sarebbero sopravvissuti per trarre beneficio dalla vittoria.

E voi che pensavate che l'economia avesse a che fare con le azioni e il tasso di disoccupazione.

Quiz.

Sei un eroe con la spada rotta (Conan, Boromir, o il tuo personaggio preferito di Dungeons & Dragons) e sei inseguito da una truppa di cattivi (banditi, orchi...). Fortunatamente sei a cavallo e gli altri no. Sfortunatamente il tuo cavallo è stanco, e prima o poi tutti ti raggiungeranno. Fortunatamente hai un arco. Sfortunatamente hai solo 10 frecce. Fortunatamente, essendo un eroe, non sbagli mai un colpo. Sfortunatamente ci sono 40 cattivi. I cattivi sono disposti in fila dietro di te, con il più veloce di essi davanti. Sono abbastanza vicini a te da poter contare le tue frecce.

Problema: utilizza l'economia per salvarti.