mercoledì 6 febbraio 2008

Può esistere uno Stato imprenditore?

Silvio Berlusconi andò al governo promettendo che, se fosse stato eletto, avrebbe gestito il Paese "come un'impresa". Ha senso questa frase? Può lo Stato essere paragonato ad un'impresa, oppure c'è qualche differenza sostanziale nel funzionamento delle due cose?

Fa luce su questo l'economista Murray Rothbard ("Per una nuova libertà").

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Il governo, negli Stati Uniti e altrove, da secoli - a quanto pare da tempo immemorabile - ci fornisce determinati servizi essenziali e necessari, servizi quasi all'unanimità riconosciuti importanti: la difesa (compresi esercito, polizia, leggi e tribunali), la protezione dagli incendi, la manutenzione delle strade, i servizi idrici, le fognature, la nettezza urbana, il servizio postale, etc. Per l'opinione pubblica lo Stato si identifica così tanto con l'erogazione di tali servizi che un attacco al finanziamento dello Stato sembra a molti un attacco al servizio stesso. Ne consegue che se si afferma che lo Stato non dovrebbe fornire i servizi giudiziari e che un'impresa privata potrebbe fornire tale servizio in modo più efficiente e morale, la gente considera questa opinione una negazione dell'importanza dei servizi giudiziari in sé.

Il libertario che vuole sostituire allo Stato le imprese private in questi settori verrebbe dunque trattato alla stessa maniera in cui lo sarebbe se il governo fornisse calzature in regime di monopolio finanziato dalle tasse. Se lo Stato, e solo esso, avesse il monopolio della produzione e distribuzione al minuto delle calzature, quale sarebbe l'atteggiamento della gente nei confronti del libertario che chiede al governo di abbandonare il commercio calzaturiero e di consegnarlo alle imprese private? La gente esclamerebbe: «Come ti permetti? Sei contrario al fatto che la gente, e i poveri, abbiano la possibilità di indossare scarpe! E chi fornirebbe le calzature se il governo si ritirasse da tale commercio? Rispondi! Sii costruttivo! È molto facile criticare e fare il saccente sulle questioni riguardanti il governo; ma dicci chi potrà fornire le calzature! Chi potrà farlo? Quanti negozi di scarpe vi sarebbero in ogni città e paese? Come verrebbero capitalizzate le ditte calzaturiere? Quante marche vi sarebbero? Quali materiali utilizzerebbero? Quali sarebbero più durevoli? Come fissarne i prezzi? Non occorrerebbe una regolamentazione dell'industria calzaturiera per assicurare la qualità dei prodotti? E chi fornirebbe le scarpe ai poveri? E se un povero non avesse i soldi per acquistarne un paio ?»

Tali domande, che sembrano e sono ridicole per quanto riguarda l'industria calzaturiera, sono altrettanto assurde se rivolte al libertario che rivendica un libero mercato per i servizi antincendio, di polizia e postali o per qualsiasi altra attività statale. Il punto è che il sostenitore del libero mercato per qualsiasi settore non può fornire a priori un progetto "costruttivo" di tale mercato. L'essenza e la gloria del libero mercato consistono proprio nel fatto che le ditte e le imprese individuali che competono sul mercato offrono una gamma in costante trasformazione di beni e servizi efficienti: migliorano continuamente i prodotti e i mercati, ottimizzano le tecnologie, tagliano i costi, e rispondono alle domande dei consumatori nel modo più rapido ed efficiente possibile.

L'economista libertario può tentare di suggerire alcune idee su come i mercati potrebbero svilupparsi in quei settori in cui ora non possono farlo a causa di restrizioni o impedimenti; ma può soprattutto indicare la strada verso la libertà, chiedere che il governo cessi di essere d'intralcio alle energie produttive e ingegnose della gente espresse sotto forma di attività di mercato volontaria. Nessuno può prevedere quale sarà il numero di ditte, le loro dimensioni, la politica dei prezzi, etc., di un futuro mercato di beni o servizi. Sappiamo solo --- alla luce delle teorie economiche e per esperienza storica --- che tale libero mercato eseguirebbe questi compiti sicuramente in modo di gran lunga migliore del monopolio obbligatorio di un governo burocratico.
Alla domanda su come i poveri potranno pagare per la difesa, i vigili del fuoco, il servizio postale, etc., si potrà rispondere con un'altra domanda: come fanno i poveri a pagare per qualsiasi cosa che ora ottengono sul mercato? La realtà è che sappiamo che il libero mercato fornirà tali beni e servizi a un costo minore, in quantità maggiori, e di qualità superiore rispetto al monopolio governativo odierno. Tutta la società ne trarrebbe beneficio, soprattutto i poveri. Sappiamo anche che l'onere di dimensioni sproporzionate del finanziamento di queste e altre attività non graverebbe più sulle spalle di nessuno dei componenti della società, inclusi gli indigenti.

Abbiamo visto che i problemi urgenti della nostra società, universalmente riconosciuti come tali, hanno a che fare con le attività governative. Abbiamo anche visto che gli enormi conflitti sociali intrinsecamente legati al sistema scolastico pubblico sparirebbero se a ogni gruppo di genitori venisse permesso di finanziare e sostenere l'educazione preferita per i propri figli. Le gravi inefficienze e gli intensi conflitti sono imputabili all'azione dello Stato. Se lo Stato, per esempio, fornisce servizi monopolistici (per esempio nel campo dell'istruzione o dell'erogazione dell'acqua), allora qualsiasi decisione il governo prende viene imposta con coercizione alle minoranze inermi --- che si tratti di politiche educative per le scuole (l'integrazione o la segregazione, la religiosità o la laicità, etc.), o del tipo di acqua da vendere (per esempio, con o senza l'aggiunta di fluoro). Dovrebbe essere chiaro che non vi sarebbero simili aspri contrasti se ogni gruppo di consumatori potesse acquistare i beni o i servizi che desidera. Non vi sono battaglie fra i consumatori, per esempio, per ciò che riguarda il tipo di giornali da pubblicare, le chiese da edificare, i libri da stampare, i dischi da vendere, o le automobili da produrre. Qualsiasi bene venga prodotto sul mercato riflette la diversità e anche la forza della domanda dei consumatori.

Sul libero mercato, in poche parole, il consumatore è re, e qualsiasi impresa che desidera ottenere profitti ed evitare perdite fa del proprio meglio per servire il consumatore nella maniera più efficiente e meno costosa. Nell'azione dello Stato, al contrario, tutto cambia. Insito in ogni azione dello Stato vi è un grave e fatale divario tra la fornitura di un servizio e il pagamento per riceverlo. I dipartimenti dello Stato non ricevono le proprie entrate come fanno le imprese private, con un buon servizio al consumatore e con i guadagni relativi alle vendite. No, lo Stato ottiene le entrate attraverso la pesante tassazione degli sfortunati contribuenti. Le sue attività diventano quindi inefficienti, e i costi sempre più alti, dal momento che i dipartimenti dello Stato non debbono preoccuparsi delle perdite e della bancarotta; possono tranquillamente sopperire alle proprie perdite con ulteriori prelievi dalle tasche del pubblico. Inoltre, il consumatore, invece di essere corteggiato per conquistarne il favore, è considerato solo una noia per il governo, uno che sta "consumando" le scarse risorse dello Stato. Nelle attività del governo, il consumatore è trattato come un intruso non invitato, un'interferenza nel tranquillo godimento da parte del burocrate del proprio stipendio fisso.

Quindi, se la domanda dei consumatori per i beni o servizi di una qualche impresa privata cresce, l'impresa privata ne gioisce; corteggia e accoglie con felicità i nuovi affari e incrementa la propria attività per poter evadere i nuovi ordini. Lo Stato, al contrario, di solito reagisce a una tale situazione invitando acidamente i consumatori a "comprare" meno, e non fa nulla per evitare la scarsità di beni, lasciando anche che la qualità dei servizi si deteriori. La risposta all'incremento dell'utilizzo da parte dei consumatori delle strade statali è dunque un aggravamento della congestione del traffico e un fioccare di multe e minacce nei confronti degli automobilisti. L'Amministrazione della città di New York, ad esempio, minaccia in continuazione di abolire l'uso di auto private a Mannhattan, dove la congestione è un grosso problema. Solamente lo Stato, ovviamente, può pensare di bistrattare così i consumatori; solo lo Stato è così audace da voler "risolvere" la congestione del traffico costringendo le auto private (o i camion, o i taxi, o altro) a non circolare sulle strade. In base a questo principio, è ovvio, la soluzione "ideale" della congestione del traffico è semplicemente quella di dichiarare fuorilegge tutti i veicoli!

Tale atteggiamento nei confronti dei consumatori non riguarda solo il traffico stradale. La città di New York, ad esempio, ha dovuto sopportare periodicamente la "scarsità" di acqua; al proposito, bisogna ricordare che, per molti anni, il governo della città ha avuto il monopolio dell'erogazione di acqua ai propri cittadini. Non riuscendo a fornire abbastanza acqua, e non sapendone determinare correttamente il prezzo, così da recuperare i costi, e incapace di far corrispondere l'offerta alla domanda (cosa che un'impresa privata fa automaticamente), è andato sempre incolpando non se stesso ma il consumatore, la cui colpa era di usare "troppa" acqua. L'Amministrazione della città ha saputo reagire solo attraverso la proibizione dell'annaffiatura dei prati, la restrizione dell'utilizzo dell'acqua, e l'ordine di berne meno. Così, il governo ha trasferito i suoi fallimenti sul proprio capro espiatorio, l'utente, il quale viene minacciato e intimidito invece di essere servito bene ed efficientemente.

Vi è stata una risposta simile da parte del governo al problema sempre più grave della criminalità nella città di New York. Invece di offrire un efficiente servizio di protezione di polizia, la reazione degli amministratori è stata quella di costringere i cittadini a star lontani dalle zone pericolose. Quindi, dopo che il Central Park a Manhattan è diventato tristemente noto per le aggressioni e altri crimini che avvengono di notte, la "soluzione" è stata quella di imporre il coprifuoco, e quindi proibire l'uso del parco in quelle ore pericolose. In sintesi, se un cittadino innocente vuole andare di notte al Central Park, è lui che viene arrestato per non aver rispettato il coprifuoco: è certamente più facile arrestare lui che eliminare il crimine dal parco. In conclusione, mentre il motto che da sempre caratterizza l'impresa privata è "il cliente ha sempre ragione", la massima implicita nell'attività statale è "i consumatori hanno sempre torto".

Ovviamente, i burocrati politici danno la solita risposta alle lamentele sempre più numerose riguardanti il servizio inefficiente e insufficiente: «I contribuenti debbono darci più soldi!» Non basta il fatto che il "settore pubblico" e il suo corollario, la tassazione, siano cresciuti molto più rapidamente in questo secolo rispetto al reddito nazionale. Non basta che i difetti e le preoccupazioni dell'attività statale si siano moltiplicati come l'accresciuto carico sul bilancio dello Stato. Dobbiamo comunque e ancora versare sempre più denaro nel pozzo senza fondo dello Stato!

La contro-risposta corretta alla richiesta politica di ulteriore denaro sotto forma di tasse è: «Come mai le imprese private non hanno questi problemi?» Come mai le ditte produttrici di impianti hi-fi o di fotocopiatrici o di computer non hanno difficoltà a trovare il capitale con cui espandere la propria produzione? Perché costoro non fanno affiggere manifesti per denunciare gli investitori per non aver dato loro più soldi con cui soddisfare i bisogni dei consumatori? La risposta è che i consumatori pagano per gli impianti hi-fi, per le fotocopiatrici e per i computer, e che gli investitori, di conseguenza, sanno di poter guadagnare se investono in tali imprese. Nel mercato privato, le imprese che servono con successo i clienti riescono con molta facilità a trovare i capitali necessari per l'espansione; le imprese inefficienti no, e alla fine vengono costrette a chiudere la propria attività. Non esiste però nelle attività statali un meccanismo di profitti e perdite che induca a investire in servizi efficienti e costringa quelli obsoleti o inefficienti a chiudere. Non esistono né profitti né perdite che portano all'espansione o alla contrazione delle attività. Nello Stato, quindi, nessuno davvero "investe": e nessuno può far sì che i servizi riusciti possano espandersi e che quelli falliti scompaiano. Al contrario, lo Stato deve aumentare il proprio "capitale" attraverso il meccanismo coercitivo della tassazione.

Molti, compresi alcuni funzionari statali, ritengono che tali problemi possano essere risolti solo se "il governo viene gestito come un'impresa". Lo Stato, poi, allestisce un monopolio pseudoaziendale, gestito da esso stesso, che dovrebbe in teoria fare affari con uno "stile imprenditoriale": ciò è accaduto nel caso delle poste --- ora denominate "Postal Service" --- e nel caso della decadente e disastrata New York City Transit Authority.' Alle "società per azioni" viene imposto di sanare i propri deficit cronici ed è permesso emettere obbligazioni. È vero che gli utenti diretti toglierebbero così una parte dell'onere dalle spalle della massa dei contribuenti, che comprendono sia gli utenti sia i non-utenti. Ci sono però gravi difetti alla base di ogni azione governativa, che non possono essere evitati da questo meccanismo pseudoimprenditoriale. In primo luogo, il servizio statale è sempre un monopolio o un semi-monopolio. Spesso, come nel caso del servizio postale, o dei trasporti, si tratta di un monopolio mantenuto con la violenza --- tutta o quasi tutta la concorrenza privata viene proibita. Il monopolio significa che il servizio statale sarà molto più oneroso e costoso e di qualità molto inferiore rispetto a ciò che accadrebbe in un libero mercato. L'impresa privata ottiene dei profitti con più tagli possibile ai costi. Il governo, che in nessun caso può andare in bancarotta o subire perdite, non ha bisogno di operare tagli; salvaguardato dalla concorrenza come anche dalle perdite, esso deve solo semplicemente tagliare i servizi o aumentare i prezzi. Un secondo grave difetto è che, per quanto si sforzi, un'impresa statale non potrà mai essere gestita come impresa perché il suo capitale continua a essere prelevato coattivamente dalle tasche dei contribuenti. Non vi è alcun modo per evitare questo; la possibilità che ha l'impresa statale di emettere obbligazioni sul mercato è dovuta al fatto che essa può contare, per rimborsarle, sul potere della tassazione.

Infine, vi è un altro grave problema insito in qualsiasi attività statale di affari. Uno dei motivi per cui le imprese private rappresentano dei modelli di efficienza è che il libero mercato stabilisce dei prezzi che permettono di calcolare, di prevedere quali saranno i costi e quindi cosa dovrà essere fatto per ottenere profitti ed evitare perdite. È attraverso tale sistema dei prezzi, e anche mediante la motivazione ad aumentare i profitti ed evitare perdite, che beni e servizi vengono distribuiti in maniera intelligente nel mercato tra tutti gli altri settori della produzione che compongono la moderna economia "capitalista". È il calcolo economico a rendere possibile tale meraviglia; al contrario, la pianificazione centrale, come quella tentata dal socialismo, viene privata della determinazione accurata dei prezzi, e quindi non può calcolare costi e prezzi. Questo è il motivo principale per cui la pianificazione centrale socialista si è rivelata sempre più un fallimento man mano che i paesi comunisti si sono industrializzati. È proprio perché la pianificazione centrale non riesce in nessun modo a determinare prezzi e costi, che i paesi comunisti dell'Europa dell'Est si stanno allontanando rapidamente dalla pianificazione socialista per avvicinarsi ad una economia di libero mercato.

Se la pianificazione centrale, dunque, getta l'economia in un caos di calcoli irrisolvibili, e in operazioni irrazionali di distribuzione e produzione, lo sviluppo di attività governative introduce inesorabilmente nell'economia isole sempre più estese di tale caos, e rende i calcoli dei costi e la distribuzione razionale delle risorse di produzione sempre più difficili. Man mano che le attività dello Stato si espandono e l'economia di mercato traballa, il caos dei calcoli diventa sempre più distrutttivo e l'economia sempre più difficile da gestire.

In definitiva, il programma libertario può essere riassunto in una frase: abolizione del settore pubblico, conversione di tutte le attività statali in attività eseguite volontariamente dall'economia dell'impresa privata.
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