giovedì 20 dicembre 2007

Coscienza e cervello

Molte persone hanno una visione della mente ingenua, secondo cui la coscienza non ha niente a che fare con la computazione effettuata dal cervello. In questo post vorrei presentarvi un po' di evidenza che non è così -- cioè evidenza che il particolare scambio di informazione tra i neuroni del nostro cervello determina le nostre sensazioni ed esperienze soggettive. Prova ad alterare la computazione che avviene nel cervello e, come risultato, alteri le sensazioni soggettive -- le percezioni, lo stato di coscienza.

Dal libro "Come funziona la mente" di Steven Pinker:
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Progettare un robot è un po' come prendere coscienza. Noi tendiamo a passar sopra con noncuranza alla nostra vita mentale. Apriamo gli occhi, e ci si presentano circostanze familiari; comandiamo alle nostre membra di muoversi, e oggetti e corpi prendono ciascuno il suo posto; ci svegliamo da un sogno, e torniamo in un mondo di confortante prevedibilità; Cupido tende l'arco, e la sua freccia scocca. Ma pensiamo al lavoro necessario perché un pezzo di materia compia tali improbabili imprese, e inizieremo a vedere attraverso il velo dell'illusione. Vista, azione, senso comune, violenza, moralità, amore non sono accidenti, né ingredienti indissolubili di un'essenza intelligente, né qualcosa di inevitabile nell'elaborazione di informazioni. Ognuno di essi è un tour de force, l'esito di una progettazione mirata d'alto livello. [Il progettista, come vedremo, è la selezione naturale, NdM]. Dietro i pannelli della coscienza deve celarsi un macchinario straordinariamente complesso: analizzatori ottici, sistemi di guida del movimento, simulazioni del mondo, database su persone e cose, programmatori di obiettivi, risolutori di conflitti e molti altri. Ogni spiegazione di come funziona la mente che faccia speranzose allusioni a qualche singola forza sovrana o a qualche elisir tipo «cultura», «apprendimento» o «auto-organizzazione», inizia a suonare vacua, non all'altezza delle domande dell'impietoso universo in cui ci aggiriamo con tanto successo.

La sfida rappresentata dal robot fa intravedere una mente dotata di una strumentazione originale; ma questa può sempre sembrare un'argomentazione da tavolino. Troviamo davvero segni di tale complessità quando volgiamo lo sguardo direttamente ai meccanismi mentali e alle loro istruzioni di montaggio? Io credo di sì, e quello che vediamo apre la mente non meno della sfida robot.

Quando le aree visive del cervello sono danneggiate, per esempio, il mondo visivo non si limita a risultare annebbiato o pieno di buchi. Vengono rimossi alcuni aspetti particolari dell'esperienza visiva, mentre altri rimangono intatti. Alcuni pazienti vedono un mondo completo, ma recepiscono solo una metà di esso.Mangiano dal lato destro del piatto, si radono solo la guancia destra, e disegnano orologi con dodici numeri schiacciati nella metà destra. Altri pazienti perdono la sensazione del colore, ma non vedono il mondo come un film «d'autore», in bianco e nero. Le superfici appaiono loro sporche, color topo, e così appetito e libido vengono meno. Altri ancora possono vedere gli oggetti cambiare posizione, ma non riescono a vederli muoversi, sindrome che, secondo un filosofo che cercò una volta di convincermi, era dal punto di vista logico impossibile! Il tè versato da una teiera non sgorga, sembra una stalattite; e la tazza non si riempie gradualmente di tè, ma è vuota e poi, di colpo, piena.

Altri pazienti non riconoscono gli oggetti che vedono: il loro mondo è come una grafia che non sanno decifrare. Eseguono un disegno fedele di un uccello, ma vi vedono un ceppo d'albero. Un accendino, finché non è acceso, è un mistero. Quando si mettono a ripulire il giardino dalle erbacce, strappano le rose. Alcuni pazienti riconoscono gli oggetti inanimati, ma non i volti. Deducono razionalmente che il volto allo specchio dev'essere il loro, ma non lo riconoscono visceralmente [cioè il volto non sembra loro minimamente familiare, NdM]. Scambiano John F. Kennedy per Martin Luther King e, se vanno a qualche festa, chiedono alla moglie di mettersi un nastro fra i capelli perché possano riconoscerla quando è ora di andar via. Ancora più strano è il paziente che riconosce i volti, ma non le persone: nella propria moglie vede un impostore molto molto convincente.

Tali sindromi sono causate da un danno, in genere un ictus, a una o più delle trenta aree cerebrali che compongono il sistema visivo dei primati. Alcune aree sono specializzate in colore e forma, altre nella localizzazione di un oggetto, altre nel suo riconoscimento, altre ancora nel suo modo di muoversi. Per costruire un robot vedente, non basta dargli il mirino a occhio di pesce dei film, e non sorprende che nemmeno gli esseri umani siano stati costruiti così. Quando guardiamo il mondo, non ci accorgiamo dei tanti strati dell'apparato sottesi alla nostra unificata esperienza visiva, finché un disturbo neurologico non ce li anatomizza.

Un'ulteriore apertura del nostro orizzonte ci viene offerta dalle sorprendenti somiglianze fra gemelli monozigotici, che condividono le ricette genetiche con le quali si costruisce la mente [hanno lo stesso DNA, NdM]. Questa nei due individui è straordinariamente simile, e non solo rispetto a grossolani metri di misura come il quoziente d'intelligenza e a tratti della personalità quali nevroticità e introversione: è simile per forme di talento tipo ortografia o matematica, per opinioni su questioni come l'apartheid, la pena di morte o le madri che lavorano, per scelte di carriera, per hobby, vizi, inclinazioni religiose, gusti riguardo all' alltro sesso. I gemelli monozigotici sono ben più simili fra loro dei gemelli dizigotici, che condividono solo metà delle loro ricette genetiche, e il particolare che colpisce di più è che sono quasi altrettanto simili quando vengono allevati separatamente e quando vengono allevati insieme. Gemelli monozigotici separati alla nascita condividono tratti come l'entrare in acqua all'indietro e solo fino alle ginocchia, il non andare a votare perché non si sentono abbastanza informati, il contare in modo ossessivo tutto ciò che hanno sotto gli occhi, il diventare capitani del corpo pompieri volontari, o il lasciare in giro per la casa messaggi d'amore indirizzati alla moglie.

Scoperte del genere vengono ritenute singolari, addirittura incredibili. Gettano il dubbio sull'«io» autonomo che tutti noi sentiamo accompagnare dall'alto il nostro corpo e compiere scelte mentre procediamo lungo la vita, influenzato soltanto dal nostro passato e dalle circostanze presenti. Certo la mente, alla nascita, non possiede anncora un equipaggiamento così minuzioso da predestinarci a far scorrere l'acqua nel water prima e dopo averlo usato o a starnutire per scherzo in ascensori affollati, per citare altri due tratti comuni a gemelli monozigotici cresciuti separatamente. Ma in apparenza è così. Gli effetti di vasta portata dei geni sono stati documentati da una quantità di studi, e compaiono in qualunque modo li si testi: comparando gemelli cresciuti lontani l'uno dall'altro e cresciuti insieme, gemelli monozigotici e dizigotici, figli adottivi e biologici. E, a dispetto di quanto pretendono certi critici, non si tratta di coincidenze, frodi o sottili somiglianze fra i contesti familiari (per esempio, agenzie preposte alle adozioni che affidano due fratelli monozigotici a due coppie che li incoraggino a entrare nell'oceano camminando all'indietro). I dati, naturalmente, sono suscettibili di cattive interpretazioni di vario genere, come immaginare che esista un gene preposto a lasciare messaggi d'amore in giro per la casa o concludere che le persone non siano toccate dalle loro esperienze. Inoltre, poiché questa ricerca può misurare soltanto i modi in cui la gente differisce, dice poco sull'organizzazione della mente che tutte le persone normali hanno in comune. Ma tali scoperte, mostrando in quanti modi la mente può variare nella struttura innata, ci aprono gli occhi su quanta struttura deve avere.
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