Abbiamo già parlato di questo libro: Richard Dawkins gli ha dedicato una intera sezione del libro "L'illusione di Dio", sezione da me tradotta e leggibile qui.
La parola a Marc Hauser. Siamo nel prologo del libro.
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Il nucleo di questo libro è un ripensamento radicale delle nostre idee sulla morale, basato sull'analogia con il linguaggio e supportato da una vera e propria esplosione di prove scientifiche recenti. I nostri istinti morali sono immuni ai comandamenti espliciti trasmessi dalle religioni e dalle autorità. A volte le nostre intuizioni morali convergono con quelle dettate dalla cultura, a volte ne divergono. Il tentativo di comprendere i nostri istinti morali ha una lunga storia.
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Per mostrare i processi interni dei nostri istinti morali, consideriamo un esempio. Uno zio avido può guadagnare una somma considerevole se il suo giovane nipote muore. In una versione della storia, lo zio si dirige verso il bagno con l'intenzione di annegare il nipote nella vasca, e lo fa. In una seconda versione, lo zio si dirige verso il bagno con l'intenzione di annegare il nipote, ma lo trova che galleggia a faccia in giù nell'acqua: sta già annegando. Lo zio chiude la porta e lascia che il nipote anneghi. Entrambe le versioni della storia hanno lo stesso triste finale: il nipote muore. Lo zio è mosso dalla stessa intenzione, ma nella prima versione la attua direttamente, nella seconda no. Vi riterreste soddisfatti se una giuria dichiarasse lo zio colpevole nella prima storia, ma non nella seconda? In qualche modo questo giudizio suona falso, contrario alle nostre intuizioni morali. Lo zio sembra ugualmente responsabile per le sue azioni e per le sue omissioni, e per le loro conseguenze negative. Se questa intuizione vale per lo zio, perché non deve valere per qualsiasi conflitto morale che implichi una distinzione tra un'azione con conseguenze negative e un'omissione con le stesse connseguenze negative?
Consideriamo l'eutanasia e l'indirizzo politico dell'American Medical Association (Ama):
L'interruzione intenzionale della vita di un essere umano a opera di un altro essere umano --- eutanasia attiva --- è contraria a quello che la professsione medica rappresenta, ed è contraria ai principi dell'American Medical Association. La cessazione dell'utilizzo di mezzi straordinari per prolungare la vita corporea quando vi è una prova irrefutabile che la morte biologica è imminente, è una decisione che spetta al paziente e/o ai suoi parenti più·prossimi.In pratica, è proibito per un medico mettere fine alla vita di un paziente, ma gli è permesso far cessare il supporto esterno alla vita. Le azioni vengono trattate in un modo, le omissioni in un altro. Questa distinzione chiaramente argomentata, sostenuta dalla maggior parte degli stati che adottano principi analoghi, concorda con le nostre intuizioni morali? Per quanto riguarda la mia intuizione, la risposta è «no».
Questi due casi portano alla luce tre questioni: le politiche giuridiche spesso ignorano o mettono in ombra distinzioni psicologiche essenziali, come le nostre difficoltà intrinseche a trattare le azioni in un modo e le omissioni in un altro; quando le distinzioni vengono chiarite, spesso confliggono con le nostre intuizioni morali; quando le linee di condotta ufficiali e le intuizioni entrano in conflitto, le linee di condotta incontrano difficoltà. Uno dei segreti meglio custoditi dalla comunità medica è il fatto che l'eutanasia attiva negli Stati Uniti e in Europa è cresciuta forrtemente negli ultimi dieci anni, anche se i principi ufficialmente adottati non sono cambiati. I dottori seguono le loro intuizioni contro le linee guida e il rischio di essere accusati di negligenza professionale.