domenica 15 marzo 2009
L'errore nella teoria marxista dello sfruttamento; una teoria dello sfruttamento corretta.
(aggiornato il 3 aprile 2009)
In questo articolo il filosofo Hoppe abbraccia in parte l'apparato analitico del marxismo sostenendo che molte delle tesi centrali del marxismo sono corrette, ma che la teoria dello sfruttamento marxista ha un errore di fondo che compromette la validità dell'intero sistema, portandolo a conclusioni del tutto errate circa le cause di certi fenomeni, e a proporre soluzioni errate. Hoppe corregge l'errore e mostra come una teoria dello sfruttamento corretta fornisca spiegazioni, diagnosi e soluzioni del tutto diverse.
Avvertimento: questo articolo è destinato a cambiare la visione del mondo di chi lo legge. :)
L'articolo costituisce un capitolo del libro "The Economics and Ethics of Private Property", scaricabile in inglese qui. La traduzione è mia. Buona lettura.
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Cosa farò in questo capitolo: per prima cosa presenterò una serie di tesi che costituiscono il cuore della teoria marxista della storia. Affermo che tutte queste tesi sono essenzialmente corrette. Poi mostrerò come, nel marxismo, queste tesi vere vengono derivate da un punto di partenza falso. Infine voglio dimostrare come la teoria austriaca può dare una spiegazione corretta ma categoricamente differente della loro validità.
Inizierò esponendo il nocciolo del sistema di credenze marxista:
1. La storia dell'umanità è una storia di lotte di classe. Per la precisione è una storia di lotte tra una classe relativamente piccola di regnanti e una classe più grande di sfruttati. La principale forma di sfruttamento è economica: la classe regnante espropria una parte dei beni prodotti dagli sfruttati o, come dicono i marxisti, "si appropria del plusvalore sociale e lo usa a scopo di consumo personale".
2. La classe regnante è tenuta assieme dal fatto che i membri hanno un interesse comune a mantenere la propria posizione di sfruttatori e massimizzare la quantità di plusvalore di cui si appropriano con atti di sfruttamento. Questa classe non cede mai volontariamente una parte del potere o del reddito che ha ottenuto mediante sfruttamento. Al contrario, qualunque perdita di potere o reddito deve essere sottratta loro mediante una lotta, il cui esito dipende in ultima analisi da quanto è forte la coscienza di classe degli sfruttati, cioè da fino a che punto essi sono consapevoli di essere sfruttati e da fino a che punto si uniscono consapevolmente ad altri membri della classe per opporsi insieme allo sfruttamento.
3. il governo di classe si manifesta principalmente sotto forma di specifiche disposizioni che riguardano le assegnazioni dei diritti di proprietà o, nella terminologia marxista, sotto forma di specifiche "relazioni di produzione". Per proteggere e conservare queste disposizioni o relazioni di produzione, la classe regnante crea un apparato di coercizione, che si chiama Stato, e ne assume il comando. Lo Stato fa applicare una data struttura di classe e la propaga nel tempo mediante l'amministrazione di un sistema di "giustizia di classe"; lo Stato favorisce inoltre la creazione e il mantenimento di un apparato ideologico finalizzato a dare legittimità all'esistenza della classe regnante.
4. internamente, il processo di concorrenza all'interno della classe regnante genera la tendenza ad aumentare la concentrazione e la centralizzazione del potere. Un sistema di sfruttamento inizialmente multipolare viene gradualmente soppiantato da un sistema oligarchico o monopolistico. Rimane operativo un numero sempre minore di centri di potere, e quelli che restano operativi vengono sempre più integrati in una struttura gerarchica. Esternamente (cioè nei confronti del sistema internazionale) questo processo di centralizzazione condurrà a guerre imperialiste tra i vari stati (sempre più intense quanto più è avanzato il processo di centralizzazione) e all'espansione territoriale del regno sfruttatore in questione.
5. Infine, quando la centralizzazione e l'espansione del regno sfruttatore si avvicina gradualmente al suo limite ultimo di dominazione totale del mondo, il regno della classe regnante diventa sempre più incompatibile con un ulteriore sviluppo e miglioramento delle "forze produttive". La stagnazione economica e le crisi diventano sempre più caratteristiche e creano le "condizioni oggettive" per la nascita di una coscienza di classe rivoluzionaria tra gli sfruttati. Questa è una situazione matura per l'affermazione di una società senza classi, in cui lo Stato "retroceda e svanisca", cioè per la sostituzione del governo di un uomo su un altro uomo con l'amministrazione delle cose e, come risultato, una prosperità economica senza precedenti.
Tutte queste tesi ammettono una giustificazione perfettamente valida, come mostrerò. Sfortunatamente, però, il marxismo, pur abbracciando tutte queste tesi, ha screditato la loro stessa validità pretendendo di derivarle da una teoria dello sfruttamento palesemente assurda.
Che cos'è la teoria marxista dello sfruttamento? Secondo Marx, sistemi sociali pre-capitalisti come la schiavitù e il feudalesimo sono caratterizzati dallo sfruttamento. Su questo non c'è alcuna disputa. Infatti, dopotutto, lo schiavo non è un lavoratore libero, e non si può dire che egli ottenga un guadagno dal fatto di essere schiavo. Al contrario, essendo schiavo, egli subisce una perdita di utilità [un danno] mentre il suo padrone schiavista ottiene un vantaggio sotto forma di incremento di ricchezza. In questo caso l'interesse dello schiavo e quello del suo padrone sono essenzialmente opposti. Lo stesso vale per gli interessi del signore feudale, il quale pretende e riscuote un affitto dal contadino che coltiva una terra, terra che però è di proprietà del contadino stesso, in quanto il contadino aveva effettuato su di essa la "prima messa a frutto" o "homesteading". [Cioè il contadino aveva trovato una terra priva di proprietario e l'aveva trasformata con il suo lavoro, mettendola a frutto. In questo modo egli era divenuto il giusto proprietario di quella terra; quindi il signore feudale non aveva alcun diritto sulla terra in questione, quindi non aveva alcun diritto di pretendere un affitto dal contadino. NdM]. In questo caso il signore feudale ottiene un guadagno alle spese del contadino, il quale ottiene una perdita.
Non è neppure in discussione il fatto che la schiavitù e il feudalesimo abbiano realmente impedito e rallentato lo sviluppo di forze produttive. Né lo schiavo né il servo saranno mai produttivi quanto lo sarebbero in assenza di schiavitù o servitù.
L'idea marxista davvero nuova è che sotto il capitalismo non cambia sostanzialmente nulla dal punto di vista dello sfruttamento. (Cioè non cambia nulla se lo schiavo diventa un lavoratore libero, o se il contadino decide di coltivare una terra di cui qualcun altro è proprietario e di pagare un affitto al proprietario in cambio del permesso di coltivarla). Per avvalorare questa tesi Marx, nel famoso capitolo 24 del primo volume del suo "Il Capitale", intitolato "la cosiddetta accumulazione originale", offre un resoconto storico della nascita del capitalismo in cui afferma che una gran parte, o persino la maggior parte, della proprietà iniziale dei capitalisti è il risultato di saccheggi, espropriazioni e conquiste. Similmente, nel capitolo 25, nella "moderna teoria del colonialismo", viene molto enfatizzato il ruolo dell'uso della forza e della violenza nell'esportare il capitalismo in quello che oggi si chiamerebbe Terzo Mondo. Tutto questo è generalmente corretto, e per questo motivo non può esistere alcun dissenso nel dire che questo tipo di capitalismo è basato sullo sfruttamento. D'altra parte non bisogna farsi sfuggire che qui Marx ha usato un trucco. Mentre porta avanti la sua investigazione storica e suscita l'indignazione del lettore verso le brutalità che sono alla base della formazione di molte fortune dei capitalisti, in realtà Marx sta aggirando l'argomento in questione. Sta distraendo il lettore dal fatto che la sua tesi in realtà è diversa: la sua tesi è che, anche se avessimo un capitalismo per così dire "pulito", cioè un capitalismo in cui l'appropriazione originaria del capitale avvenisse in modo onesto, cioè fosse il risultato soltanto dell' "homesteading" [l'atto di trasformare e mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], del lavoro e del risparmio, anche in questo caso il capitalista che affittasse il lavoro di impiegati pagandoli con questo capitale li starebbe ancora sfruttando. Anzi, Marx considerava la dimostrazione di questa tesi come il suo maggior contributo all'analisi economica.
Qual è dunque la sua dimostrazione della natura sfruttatrice del capitalismo pulito?
Consiste nell'osservare che i prezzi dei fattori della produzione, e in particolare i salari pagati ai lavoratori dal capitalista, sono più bassi dei prezzi del prodotto finale. Ad esempio, il lavoratore viene pagato con un salario che rappresenta beni di consumo che si possono produrre in tre giorni, ma in realtà lavora cinque giorni per avere questo salario e produce una quantità di beni di consumo maggiore di ciò che riceve come compenso. Il capitalista si è quindi impossessato di ciò che l'impiegato ha prodotto in quei due giorni di differenza (che nella terminologia marxista si chiama plusvalore). Quindi, secondo Marx, c'è sfruttamento.
[Nota: quindi per Marx lo sfruttamento è un vero e proprio furto, da parte del capitalista, di un bene che in realtà è di proprietà del lavoratore, in quanto è il lavoratore ad averlo prodotto. Questo significa che Marx ha il senso dei diritti di proprietà: per lui lo sfruttamento è tale in quanto è un furto di proprietà privata. E Marx ha anche il senso di "giusto proprietario": per lui il proprietario legittimo di un bene è colui che lo ha prodotto. Questo sembra identico alla teoria libertaria. NdM].
Dov'è l'errore in questa analisi? La risposta diventa ovvia non appena ci chiediamo perché mai il lavoratore dovrebbe voler acconsentire a un simile accordo! Egli acconsente perché il suo salario rappresenta beni presenti, mentre il suo lavoro rappresenta soltanto beni futuri, e per lui i beni presenti hanno maggior valore dei beni futuri. Dopo tutto, egli potrebbe anche decidere di non vendere il suo lavoro al capitalista e di tenere per sé l'intero valore di ciò che produce. Ma in questo caso dovrebbe attendere più tempo prima di poter avere tra le mani dei beni da consumare [o vendere].
[Nota: Uno dei motivi per cui il lavoratore, in assenza del capitalista, dovrebbe attendere più tempo è che, prima di produrre i beni, dovrebbe costruirsi da solo i macchinari necessari per produrli (cioè il capitale). Questa costruzione richiede anni di studio e lavoro. Quindi le sue prime entrate arriverebbero solo dopo molti anni. Può il lavoratore permettersi di restare senza entrate per molti anni, mentre studia e lavora per costruire le macchine necessarie alla produzione? No. Ma allora, ciò che il capitalista gli offre è davvero qualcosa di valore: gli offre la possibilità di prendere in affitto i suoi macchinari, anziché costruirli da zero; e quindi di aspettare meno tempo prima di avere entrate. La parte che il capitalista trattiene ("plusvalore") non è altro che il compenso per questo servizio fornito. (Più il compenso derivante dal fatto che il capitalista si sobbarca interamente il rischio di non vendere abbastanza da recuperare le spese). Per una spiegazione più dettagliata, vedere i commenti a questo post. NdM.]
Il fatto che il lavoratore sceglie di vendere i suoi servizi dimostra che preferisce una quantità minore di beni di consumo adesso ad una quantità probabilmente maggiore in un momento futuro.
D'altra parte, perché il capitalista desidera fare un accordo con il lavoratore? Perché dovrebbe voler anticipare al lavoratore beni presenti (denaro) in cambio di servizi che daranno i loro frutti soltanto più tardi? Ovviamente, il capitalista non desidererebbe mai pagare, ad esempio, $100 adesso, se dopo un anno dovesse ricevere la stessa quantità. Infatti, in tal caso, perché non tenere semplicemente in cassaforte quei soldi per un anno, ricevendo così il beneficio aggiuntivo di poterli usare in quel periodo? Al contrario, il capitalista deve aspettarsi di ricevere in futuro una cifra maggiore di $100, per decidere di cedere $100 oggi sotto forma di salario al lavoratore. Deve aspettarsi di riuscire ad ottenere un profitto o, più correttamente, un interesse. Infatti, anche il capitalista è soggetto ai vincoli della preferenza temporale, cioè il fatto che un essere umano invariabilmente preferisce ottenere un bene prima piuttosto che poi [a parità di altri fattori]. Se così non fosse, dato che è possibile ottenere una somma più grande in futuro sacrificandone una più piccola nel presente, perché il capitalista non risparmia ancora di più per il futuro di quanto fa adesso? Perché non affitta ancora più lavoratori di quanto fa adesso, se ognuno di loro gli promette un ritorno aggiuntivo sotto forma di interessi? Ancora una volta la risposta dovrebbe essere ovvia: perché il capitalista è anche un consumatore, e non può fare a meno di esserlo. La quantità dei suoi risparmi e investimenti è limitata dalla necessità: anche lui come il lavoratore ha bisogno di una quantità di beni presenti "abbastanza grande da assicurargli la soddisfazione di tutti quei desideri che egli considera più importanti dei vantaggi che gli deriverebbero dall'allungare ancora di più il periodo di produzione". [citazione di Ludwig Von Mises]
Quindi l'errore nella teoria dello sfruttamento marxista è che Marx non comprende il fenomeno della preferenza temporale come categoria universale dell'azione umana. Il fatto che il lavoratore non riceve "l'intero valore" di ciò che produce non ha niente a che fare con lo sfruttamento, ma riflette semplicemente il fatto che è impossibile per un essere umano scambiare un bene futuro con un bene presente se non a un prezzo minore.
A differenza del caso dello schiavo e del padrone, in cui il padrone ottiene un beneficio alle spese dello schiavo, la relazione tra un lavoratore libero e un capitalista è una relazione di beneficio reciproco. Il lavoratore sceglie di entrare nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, preferisce una quantità minore di beni oggi ad una quantità maggiore domani; e il capitalista entra nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, ha un ordine di preferenze opposto, e preferisce una quantità maggiore di beni domani ad una quantità più piccola oggi. I loro interessi non sono antagonistici ma sono in armonia. [E' proprio il fatto che essi desiderano cose diverse a rendere possibile la collaborazione mutuamente benefica, NdM]. Infatti, se il capitalista non si aspettasse un ritorno sotto forma di interesse, il lavoratore starebbe peggio, in quanto dovrebbe attendere più a lungo di quanto non desideri fare [perché dovrebbe prima costruirsi da sé il capitale, NdM]; e, se il lavoratore non preferisse beni presenti rispetto ai beni futuri, il capitalista starebbe peggio, perché dovrebbe ricorrere a metodi di produzione meno efficienti, e dotati di minore estensione temporale, rispetto a quelli che vorrebbe adottare.
Né si può considerare il sistema di salari capitalistico come un impedimento allo sviluppo delle forze di produzione, come sostiene Marx. Se al lavoratore non fosse permesso vendere il proprio lavoro e al capitalista non fosse permesso comprarlo, la produzione non sarebbe maggiore bensì minore, perché dovrebbe avvenire con un capitale complessivo minore [per motivi spiegati più avanti]. Quindi, contrariamente alle affermazioni di Marx, sotto un sistema di produzione socializzato lo sviluppo di forze produttive non raggiungerebbe nuove vette ma sprofonderebbe disastrosamente. [Vediamo ora perché il capitale complessivo sarà minore laddove sia vietato al capitalista comprare lavoro e al lavoratore venderlo:] L'accumulazione di capitale deve necessariamente essere compiuta da qualcuno (da individui precisi in momenti precisi di spazio e di tempo) mediante l'homesteading [=l'atto di mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], la produzione e/o il risparmio. In ciascun caso, colui che effettua tale accumulazione di capitale lo fa perché si aspetta che ciò condurrà ad un aumento di produzione di beni in futuro. Il valore che una persona attribuisce al suo capitale riflette il valore che egli attribuisce a tutti i redditi futuri derivanti dal suo utilizzo, scontato in base al suo tasso di preferenza temporale. Se, come nel caso in cui i fattori di produzione sono di proprietà collettiva, a una persona viene negato il controllo esclusivo sul capitale che ha accumulato, e quindi sul reddito futuro che deriva dal suo utilizzo, ma al contrario viene assegnato un controllo parziale del capitale a persone non-proprietarie, non-produttrici e non-risparmiatrici, il valore per lui del suo reddito atteso si riduce, e quindi si riduce il valore del capitale in questione. [Quindi egli produrrà meno capitale. NdM] Il suo tasso di preferenza temporale si alzerà [cioè desidererà più i beni presenti e meno i beni futuri] ed avverranno meno operazioni di homesteading [vedi sopra] e meno risparmio per il mantenimento di risorse esistenti e per la produzione di nuovo capitale. L'estensione temporale della struttura di produzione si accorcerà e ne risulterà un impoverimento [una diminuzione della produzione].
Se la teoria di Marx dello sfruttamento e le sue idee su come porre fine allo sfruttamento e ottenere una prosperità universale sono false fino al ridicolo, è chiaro che qualunque teoria storica che si faccia derivare da esse deve essere anch'essa falsa. Oppure, se è corretta, deve essere stata derivata in modo errato. [Nota mia: a voler essere pignoli, da ipotesi false si può derivare tanto il vero quanto il falso, in modo egualmente corretto. NdM] Anziché addentrarmi nel lungo compito di illustrare tutti gli errori nell'argomento di Marx, che comincia dalla teoria dello sfruttamento capitalistico e termina con la teoria storica che ho presentato prima, prenderò una scorciatoia: descriverò nel modo più breve possibile una teoria dello sfruttamento corretta, la teoria austriaca Mises-Rothbard; illustrerò come questa teoria renda sensata la teoria storica di classe; ed evidenzierò alcune differenze cruciali tra questa teoria di classe e quella marxista, evidenziando alcune affinità intellettuali tra il marxismo e la teoria austriaca, affinità che nascono dalla loro convinzione condivisa che esista realmente una forma di sfruttamento ed una classe regnante.
Il punto di partenza della teoria austriaca dello sfruttamento è chiaro e semplice, come dovrebbe essere. Abbiamo notato in precedenza che la relazione tra lo schiavo e il padrone, o tra il servo e il signore feudale, era una relazione di sfruttamento. Ma non abbiamo trovato alcuno sfruttamento possibile sotto il capitalismo pulito. Qual è differenza principale tra questi due casi? La risposta è: il riconoscimento o il non riconoscimento del principio di homesteading [il principio secondo cui chi mette a frutto per primo una risorsa naturale ne diventa il legittimo proprietario, NdM]. Il motivo per cui nel feudalesimo il contadino è sfruttato è che egli non ha il controllo esclusivo su una terra su cui ha fatto homesteading [cioè è stato il primo a metterla a frutto, divenendone il legittimo proprietario, NdM]; ed il motivo per cui lo schiavo è sfruttato è che non ha il controllo esclusivo sul proprio corpo, di cui ha fatto homesteading [al momento della nascita, NdM]. Se, al contrario, ognuno possiede il controllo esclusivo sul proprio corpo (cioè è un lavoratore libero) ed agisce nel rispetto del principio dell'homesteading [cioè non compie atti invasivi della proprietà altrui, NdM], allora non può esistere alcuno sfruttamento. Se una persona mette a frutto un bene privo di proprietario (=effettua homesteading) e impiega tale bene per la produzione di beni futuri, è logicamente assurdo affermare che questa persona stia sfruttando qualcuno. Infatti in questo processo niente è stato sottratto ad alcuno, e inoltre sono stati creati dei beni aggiuntivi. E sarebbe ugualmente assurdo affermare che un accordo tra legittimi proprietari di risorse, risparmiatori e produttori, che riguarda i loro beni e servizi ottenuti senza sfruttare nessuno, possa costituire un atto disonesto.
Al contrario, lo sfruttamento ha luogo ogni volta che avviene una deviazione dai principi dell'homesteading. È sfruttamento ogni volta che una persona pretende e riesce ad ottenere un controllo parziale o totale su una risorsa scarsa di cui lui non ha fatto homesteading [cioè non è stato il primo a metterla a frutto], né l'ha risparmiata o prodotta, né l'ha ottenuta mediante un contratto dal precedente proprietario-produttore. Lo sfruttamento è l'espropriazione di coloro che hanno effettuato la prima messa a frutto, prodotto e risparmiato, da parte di individui che sono arrivati dopo, non-produttori, non-risparmiatori, non-stipulatori-di-contratti; lo sfruttamento è l'espropriazione di persone i cui diritti di proprietà sono fondati sul lavoro e sul contratto, effettuata da persone le cui pretese sono campate in aria e che non riconoscono la legittimità del lavoro altrui e dei contratti altrui.
Inutile dirlo, lo sfruttamento così definito è parte integrante della storia umana. Si può acquisire ed aumentare la propria ricchezza in due modi: o mediante l'homesteading, la produzione, il risparmio, la partecipazione a contratti; oppure espropriando gli homesteader [=i legittimi proprietari], produttori, risparmiatori e stipulatori di contratti. Non esistono altri modi. Entrambi i metodi sono naturali per l'umanità. Oltre all'appropriazione legittima, la produzione e il contratto, sono sempre esistite acquisizioni di proprietà non produttive e non contrattuali. E nel corso dello sviluppo economico, proprio come i produttori e gli stipulatori di contratti possono associarsi in compagnie, imprese e corporazioni, anche gli sfruttatori possono unirsi in società di sfruttamento su grande scala, governi e Stati. La classe regnante (che può essere internamente divisa in vari strati) è inizialmente composta dai membri di tale compagnia di sfruttamento. Con una classe regnante saldamente al potere su un dato territorio ed impegnata nell'espropriazione di risorse economiche di una classe di produttori sfruttati, la lotta di classe tra gli sfruttatori e gli sfruttati diventa realmente l'aspetto centrale della storia umana. Quindi la storia, raccontata correttamente, è sostanzialmente la storia delle vittorie e delle sconfitte dei regnanti nel loro tentativo di massimizzare il proprio reddito ottenuto con lo sfruttamento, e dei sudditi nei loro tentativi di resistere e di invertire questa tendenza. È su questa lettura della storia che i marxisti e gli austriaci sono d'accordo, ed è per questo che esiste una notevole affinità intellettuale tra le indagini storiche marxiste e austriache. Entrambe le scuole si oppongono ad una storiografia che riconosce soltanto un'azione o un'interazione che è tutta sullo stesso piano economicamente e moralmente; ed entrambe si oppongono ad una storiografia che, anziché essere neutrale dal punto di vista dei valori, ritiene che i propri giudizi di valore, introdotti arbitrariamente, debbano fornire la linea guida per la propria narrazione storica. Al contrario, la storia deve essere raccontata in termini di libertà e di sfruttamento, di parassitismo e di impoverimento economico, di proprietà privata e della sua distruzione; altrimenti è raccontata in modo falso.
Mentre le imprese private nascono a causa del sostegno volontario della gente e muoiono a causa della sua assenza di sostegno, la classe regnante non entra mai al potere a causa della domanda della popolazione, e non abdica quando la popolazione desidera evidentemente che lo faccia. Né, per quanto sforziamo l'immaginazione, possiamo dire che i legittimi proprietari, produttori, risparmiatori e contraenti abbiano mai domandato volontariamente di essere espropriati. Al contrario è necessario costringerli ad accettare l'espropriazione, e questo dimostra in modo conclusivo che non c'è domanda per la compagnia di sfruttamento. Per far morire un'impresa privata produttiva è sufficiente astenersi dal fare transazioni con essa, cioè effettuare un boicottaggio; ma per la classe regnante questo non è possibile. Infatti, la classe regnante acquisisce il suo reddito mediante transazioni non contrattuali [= scambi forzati sotto minaccia di atti invasivi], quindi non è vulnerabile al boicottaggio. Al contrario, ciò che rende possibile la nascita di una compagnia di sfruttamento, e l'unica cosa che può distruggerla, è un preciso stato dell'opinione pubblica, o, nella terminologia marxista, un preciso stato di coscienza di classe.
Uno sfruttatore crea delle vittime, e una vittima è un potenziale nemico. Se il gruppo degli sfruttatori ha più o meno la stessa dimensione del gruppo degli sfruttati, potrebbe riuscire a mettere a tacere questa resistenza mediante la forza. Ma occorre più della semplice forza affinché un gruppo piccolo possa espandere lo sfruttamento su una popolazione molto più numerosa. Affinché questo possa avvenire, una compagnia di sfruttamento deve anche avere il sostegno del pubblico. Una maggioranza della popolazione deve accettare le azioni di sfruttamento come legittime. Questa accettazione può consistere tanto nell'entusiasmo attivo quanto in una rassegnazione passiva. Ma deve essere accettazione, nel senso che una maggioranza deve avere abbandonato l'idea di resistere attivamente o passivamente a qualunque tentativo di attuare acquisizioni di proprietà non-contrattuali e non-produttive. La coscienza di classe deve essere bassa, vaga e confusa. Solo fino a che dura questo stato di cose, una società di sfruttamento può prosperare anche se non c'è domanda per essa. La classe regnante può essere spodestata solo se gli sfruttati e gli espropriati si rendono conto chiaramente della loro condizione e si uniscono tra loro in un movimento ideologico che dia espressione all'idea di una società senza classi, dove ogni sfruttamento sia abolito. Il potere della classe regnante può crollare solo se una maggioranza del pubblico sfruttato si integra consapevolmente in questo movimento e di comune accordo manifesta indignazione verso ogni acquisizione di proprietà non contrattuale e non produttiva, mostra disprezzo per chiunque prenda parte a tali atti, e deliberatamente non fa nulla per aiutarli ad avere successo (per non parlare di cercare di ostacolarli attivamente).
L'abolizione graduale del regno feudale ed assolutista e la nascita di società sempre più capitaliste nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti, e la conseguente crescita economica senza precedenti ed incremento di popolazione ineguagliato, sono stati il risultato di una maggiore coscienza di classe nella categoria degli sfruttati. Il motivo per cui gli sfruttati sono riusciti in quel periodo ad acquisire una coscienza di classe così forte è che erano ideologicamente tenuti assieme dalla dottrina del liberalismo e dei diritti naturali. La scuola marxista e quella austriaca sono concordi su questo. La scuola marxista non è d'accordo, invece, sulla seguente affermazione: l'inversione di questo processo di liberalizzazione ed il regolare aumento del livello di sfruttamento in queste società, avvenuti a partire dall'ultimo terzo del diciannovesimo secolo e particolarmente accentuato dopo la prima guerra mondiale, sono il risultato di una perdita di coscienza di classe. In realtà, secondo gli austriaci, il marxismo ha gran parte della colpa di ciò, perché ha deviato l'attenzione della popolazione dal modello corretto di sfruttamento (che contrappone la figura dell'homesteader-produttore-risparmiatore-contraente alla figura del nonhomesteader-nonproduttore-nonrisparmiatore-noncontraente) verso il modello fallace che contrappone il lavoratore salariato al capitalista, in tal modo confondendo le idee.
L'ascesa al potere di una classe regnante sopra una classe sfruttata molto più numerosa, mediante ... la manipolazione dell'opinione pubblica ... , trova la sua espressione più elementare a livello istituzionale nella creazione del sistema del diritto pubblico, che venne sovrapposto al diritto privato. La classe regnante si separa e protegge la sua posizione di classe regnante adottando una costituzione che regoli il modo di funzionare della compagnia di sfruttamento. Da una parte, formalizzando le operazioni interne all'apparato, e il modo in cui lo Stato si relaziona alla popolazione sfruttata, una costituzione crea un certo grado di stabilità legale. Più le nozioni di diritto privato, familiari e popolari, vengono incorporate nel diritto pubblico e costituzionale, più ciò condurrà alla creazione di un'opinione pubblica favorevole. D'altra parte, qualunque costituzione di diritto pubblico deve necessariamente formalizzare lo status eccezionale della classe regnante nei confronti del principio dell'homesteading [cioè deve formalizzare il fatto che la classe regnante è l'unica che può compiere atti invasivi della proprietà altrui, onestamente guadagnata]. Formalizza cioè il diritto del rappresentante dello Stato di prender parte ad un'acquisizione di proprietà non-contrattuale e non-produttiva, e formalizza in tal modo la definitiva subordinazione del diritto privato al diritto pubblico.
In questo dualismo tra diritto pubblico e diritto privato, in questo infiltrarsi del diritto pubblico all'interno del diritto privato, nasce la giustizia di classe, cioè una situazione in cui un certo insieme di leggi si applica ai regnanti e un altro insieme di leggi si applica ai sudditi. Il motivo per cui nasce la giustizia di classe non è, come pensano i marxisti, che la legge riconosce i diritti di proprietà privata. Al contrario, la giustizia di classe nasce precisamente ogni volta che esiste una distinzione legale tra una classe di persone, che agisce sotto il diritto pubblico ed è tutelata da esso, e un'altra classe che agisce sotto un qualche diritto privato subordinato. Quindi, più precisamente, è falsa l'affermazione di fondo della teoria marxista dello Stato: il motivo per cui lo Stato è sfruttatore non è che protegge i diritti di proprietà dei capitalisti, ma che esso stesso è esente dal vincolo di dover ottenere la propria proprietà in modo contrattuale e produttivo. [Ricordiamo che lo Stato non ottiene le proprie entrate mediante l'homesteading e lo scambio volontario, come un onesto uomo d'affari, bensì mediante la minaccia di violenza. NdM.]
Nonostante questo fraintendimento di fondo, il marxismo fornisce tuttavia delle osservazioni corrette e importanti circa la logica del comportamento dello Stato, proprio in quanto interpreta correttamente lo stato come un ente sfruttatore (a differenza, ad esempio, della scuola della Scelta Pubblica [fondata dagli economisti Buchanan e Tullock, NdM], che considera lo Stato una compagnia come tutte le altre).
Uno dei meriti del marxismo è che riconosce la funzione strategica delle politiche di redistribuzione operate dallo Stato. Lo Stato, come compagnia sfruttatrice, ha sempre interesse a che la coscienza di classe tra gli sfruttati sia bassa. La redistribuzione della proprietà e del reddito (una politica di tipo divide et impera) è il mezzo con cui lo Stato crea divisioni all'interno del pubblico e distrugge la formazione di una coscienza di classe unificante tra gli sfruttati. Inoltre, lo Stato effettua anche un altro tipo di redistribuzione: la ridistribuzione del potere stesso dello Stato. Attraverso la democratizzazione della costituzione dello Stato, a tutti viene data la possibilità di assumere una posizione di regnante e il diritto di partecipare alla determinazione del personale e delle politiche dello Stato. Questo è un mezzo per ridurre la resistenza del pubblico contro lo sfruttamento.
Un secondo merito del marxismo è che considera correttamente lo Stato come il grande centro di propaganda e mistificazione ideologica: lo sfruttamento e la schiavitù sono in realtà libertà; le tasse sono in realtà contributi volontari [questa affermazione può sembrarvi grottesca ma è contenuta nella costituzione degli Stati Uniti, NdM]; le relazioni non contrattuali sono in realtà "concettualmente" contrattuali; " lo Stato siamo noi"; nessuno regna su nessuno, ma siamo "noi" a governarci da soli; senza lo Stato non esisterebbe né legge né diritto né sicurezza; i poveri morirebbero; ecc. Tutto questo è parte dell'apparato ideologico progettato per dare legittimità ad una base sottostante di sfruttamento economico.
In terzo luogo, i marxisti hanno ragione anche nel notare la stretta associazione tra lo Stato e il mondo degli affari, specialmente l'elite dei banchieri --- anche se la loro spiegazione di questo fenomeno è sbagliata. La ragione di questa collusione non è che l'establishment borghese percepisce e sostiene lo Stato come garante dei diritti di proprietà privata e del contrattualismo. Al contrario, l'establishment percepisce correttamente lo Stato come l'antitesi stessa della proprietà privata, ed è proprio per questo che si interessa ad esso molto da vicino. Più un'impresa ha successo, più corre il rischio di essere sfruttata dal governo; ma aumenta anche il potenziale guadagno che l'impresa può ottenere se riesce ad ottenere la protezione speciale del governo e ad essere esentata dal peso della concorrenza che è propria del capitalismo e della proprietà privata. È questo il motivo per cui l'establishment del mondo degli affari si interessa allo Stato e si infiltra nello Stato. L'elite di regnanti a sua volta è interessata a cooperare da vicino con il mondo delle imprese a causa del suo potere finanziario. In particolare, l'elite dei banchieri attrae particolarmente l'interesse dello Stato poiché lo Stato, come compagnia sfruttatrice, mira ad ottenere il monopolio della contraffazione della moneta.
Lo Stato offre ai banchieri l'opportunità di diventare complici delle sue macchinazioni di contraffazione, e di aggiungere un secondo tipo di contraffazione (la riserva frazionaria) ad una moneta che è già contraffatta in partenza. [Per approfondimenti vedere il libro "Lo Stato Falsario", scaricabile qui e ordinabile qui in italiano. NdM]. In questo modo lo Stato può facilmente raggiungere il suo obiettivo: ottenere un monopolio della produzione del denaro e un sistema di cartelli bancari controllati dalla Banca centrale dello Stato. Attraverso questa connessione diretta con il sistema bancario e, per estensione, con i maggiori clienti delle banche, la classe regnante riesce di fatto a estendersi ben oltre l'apparato dello Stato, fino ai centri nervosi della società civile; ciò non è molto diverso dallo scenario dipinto dai marxisti della cooperazione tra le banche, le elite imprenditoriali e lo Stato.
La concorrenza all'interno della classe regnante e attraverso le diverse classi di regnanti produce una tendenza verso una concentrazione sempre maggiore [tendenza verso il monopolio, NdM]. Il marxismo è corretto anche in questo. Ma, ancora una volta, la sua fallace teoria dello sfruttamento lo porta a fraintendere la causa di questa tendenza. Il marxismo considera questa tendenza all'accentramento come un aspetto intrinseco alla competizione capitalistica. Al contrario, è esattamente fino a che esiste un capitalismo pulito che la concorrenza non è un gioco a somma zero. Colui che si appropria legittimamente di risorse prive di proprietario, che produce, che risparmia e che stringe contratti con altri, non ottiene mai un guadagno alle spese di qualcun altro. Il suo guadagno lascia gli averi altrui completamente intatti o addirittura implica un guadagno reciproco (come nel caso di tutti gli scambi volontari mediante contratto). In questo modo il capitalismo riesce ad aumentare la quantità complessiva di ricchezza. Ma sotto il capitalismo non si può dire che esista alcuna tendenza verso una concentrazione relativa. (Si veda a tale proposito il capitolo 10 di Man, Economy and State di Rothbard, sezione intitolata "il problema di un unico grande cartello"; ed anche "Socialismo" di Mises, capitoli 22-26.) Al contrario, un gioco a somma zero è ciò che caratterizza non solo la relazione tra il regnante e il suddito, ma anche tra regnanti in competizione tra loro. Lo sfruttamento, definito come un'acquisizione di proprietà non contrattuale e non produttiva, è possibile solo fino a che esiste qualcosa di cui appropriarsi. Eppure, se ci fosse competizione libera nel mercato dello sfruttamento, naturalmente non ci sarebbe più nulla da espropriare. Quindi lo sfruttamento richiede un monopolio su un dato territorio e una data popolazione; e la competizione tra gli sfruttatori è per sua stessa natura di tipo eliminativo e deve produrre una tendenza alla concentrazione relativa di compagnie di sfruttamento così come una tendenza verso la centralizzazione all'interno di ciascuna compagnia di sfruttamento. Lo sviluppo degli Stati, anziché delle compagnie capitaliste, fornisce l'illustrazione più evidente di questa tendenza: rispetto ai secoli scorsi, oggi c'è un numero minore di stati, che hanno controllo su territori molto più vasti. E all'interno di ogni apparato statale c'è stata in realtà una tendenza costante verso l'aumento del potere del governo centrale alle spese delle divisioni regionali e locali. Eppure anche al di fuori dell'apparato dello Stato è divenuta evidente una tendenza verso una concentrazione relativa, per la stessa ragione. Il motivo, come ora dovrebbe essere chiaro, non è un tratto inerente al capitalismo, ma è che la classe regnante ha espanso il suo dominio fino al cuore della società civile attraverso la creazione di alleanze tra banche, imprese e Stato, e in particolare ha stabilito un sistema di banche centralizzato. Se avviene una concentrazione e centralizzazione del potere dello Stato, è del tutto naturale che questa sia accompagnata da un processo parallelo di concentrazione relativa e di cartellizzazione del settore bancario e dell'industria. Assieme ad un aumento del potere dello Stato, aumenta il potere dell'establishment bancario e affaristico di eliminare i concorrenti o di renderli pesantemente svantaggiati mediante espropriazioni non contrattuali e non produttive. L'aumento di concentrazione nel mondo degli affari è il prodotto della statalizzazione della vita economica.
Il mezzo primario con cui lo Stato espande il proprio potere ed elimina i suoi rivali nel business dello sfruttamento è costituito dalla guerra e dalla dominazione militare. Le competizioni tra gli Stati implicano una tendenza verso la guerra e l'imperialismo. In quanto compagnie di sfruttamento, gli Stati hanno interessi per loro natura antagonistici. Inoltre, dato che ogni classe regnante è al comando degli strumenti di tassazione ed ha poteri assoluti di contraffazione del denaro, le classi regnanti riescono a far pagare ad altri i costi delle loro guerre. Naturalmente, se io non devo pagare in prima persona per i rischi che corro, ma posso scaricare questi costi sugli altri, costringendo altri a pagare, tenderò ad assumermi più rischi, e ad avere il grilletto più facile di quanto avrei altrimenti. Il marxismo, a differenza di molte delle cosiddette scienze sociali borghesi, è corretto nel suo resoconto dei fatti: esiste realmente una tendenza verso l'imperialismo nella storia; e le principali forze imperialiste sono davvero i paesi capitalisti più avanzati. Eppure la spiegazione marxista per questo fenomeno è ancora una volta errata. Ciò che è per natura aggressivo è lo Stato, in quanto è un'istituzione esente dalle regole capitaliste di acquisizione di proprietà. [Ricordiamo che il capitalismo è un sistema in cui la proprietà si può acquisire solo in due modi: o mediante lo scambio volontario, o mediante la messa a frutto di risorse prive di proprietario (homesteading); non è ammesso alcun atto invasivo della proprietà altrui. NdM]. Ciò è solo apparentemente contraddetto dall'evidenza storica di una stretta correlazione tra capitalismo e imperialismo. Questa correlazione si può spiegare abbastanza facilmente come segue: uno Stato, per poter trionfare in una guerra tra Stati, deve controllare una quantità sufficiente di risorse economiche (rispetto agli altri Stati). A parità di altri fattori, lo Stato con risorse più ampie trionferà. In quanto compagnia di sfruttamento, uno Stato è per natura un ente distruttore di ricchezza e di capitale accumulato. La ricchezza può venire prodotta esclusivamente da una società civile; e più è debole il potere di sfruttamento dello Stato, più ricchezza e capitale vengono accumulati dalla società. Quindi, per quanto ciò possa sembrare paradossale, più uno Stato è internamente debole e liberale, più è sviluppato il suo capitalismo; ma il fatto di avere un'economia capitalista da depredare rende lo Stato più ricco; e uno Stato più ricco può fare più guerre espansionistiche e con maggior successo. È questo il motivo per cui le maggiori potenze imperialiste furono inizialmente gli Stati dell'Europa occidentale, in particolare la Gran Bretagna, e poi nel ventesimo secolo questo ruolo è stato assunto dagli Stati Uniti.
Ed esiste una spiegazione semplice, ed ancora una volta interamente non-marxista, per l'osservazione, fatta sempre dai marxisti, che il mondo bancario e il mondo degli affari sono solitamente i più forti sostenitori del potere militare e dell'espansionismo militaristico. Il motivo non è che l'espansione del mercato capitalista richiede lo sfruttamento, bensì che l'espansione di imprese protette e privilegiate dallo Stato richiede che questa protezione venga estesa anche nei paesi stranieri, e che i concorrenti stranieri siano ostacolati mediante acquisizioni di proprietà non contrattuali e non produttive, proprio come avviene nella concorrenza interna o in misura ancora maggiore. In particolare, l'establishment degli affari e delle banche sostiene l'imperialismo se questo promette allo Stato loro alleato di ottenere una posizione di dominio militare su un altro Stato. Infatti, in tal caso, da una posizione di potere militare, diviene possibile stabilire un sistema che possiamo chiamare "imperialismo monetario". Lo Stato dominante userà la sua superiore forza per applicare una politica di inflazione coordinata internazionalmente. La sua banca centrale stabilirà la rapidità del processo di contraffazione, e ordinerà alle banche centrali dello Stato dominato di usare la moneta dello Stato dominatore come propria riserva e di produrre inflazione su di essa. In questo modo l'establishment bancario e affaristico, essendo tra i primi a ricevere e spendere la moneta contraffatta [quando i prezzi non sono ancora saliti e il potere d'acquisto di quella moneta non è ancora diminuito, NdM], riesce ad effettuare un'espropriazione quasi a costo zero dei proprietari e dei produttori stranieri. Nel territorio dominato viene imposto alla classe sfruttata un doppio strato di sfruttamento: un'elite straniera sfrutta l'elite nazionale, che a sua volta sfrutta la popolazione. Questo causa una prolungata dipendenza economica ed una relativa stagnazione economica rispetto alla nazione dominatrice. È questa situazione -- l'antitesi stessa del capitalismo -- a caratterizzare lo stato degli Stati Uniti e del dollaro, e a produrre l'accusa (corretta) di sfruttamento economico da parte degli Stati Uniti e di imperialismo del dollaro.
Infine, l'aumento di concentrazione e centralizzazione del potere di sfruttamento conduce alla stagnazione economica e quindi causa le condizioni oggettive per il crollo definitivo di tale potere, e per la nascita di una società senza classi capace di produrre prosperità economica senza precedenti.
Contrariamente alle affermazioni marxiste, ciò non è il risultato di alcuna legge storica. Anzi, non esiste alcuna legge storica inesorabile nel senso marxista. Né è il risultato di una tendenza del tasso di profitto a diminuire man mano che aumenta la composizione organica del capitale (cioè man mano che aumenta la proporzione tra capitale costante e capitale variabile) come pensa Marx. Proprio come la teoria marxista che il valore derivi dal lavoro è falsa oltre ogni possibile riparazione, così è falsa la legge che il tasso di profitto tende a diminuire, che si basa sulla prima. La fonte del valore, dell'interesse e del profitto, non è l'atto di lavorare [se io scavo buche per terra e le ricopro, il mio lavoro non ha alcun valore, NdM], ma è l'agire, cioè l'impiegare risorse scarse verso il raggiungimento di obiettivi da parte di agenti che sono soggetti a vincoli di preferenza temporale e di incertezza (conoscenza imperfetta). Quindi non c'è motivo di credere che un cambiamento nella composizione organica del capitale abbia alcuna relazione sistematica con il cambiamento nel tasso di interesse e di profitto.
Al contrario, la probabilità che si verifichi una crisi che stimoli lo sviluppo di una maggiore coscienza di classe (cioè la condizione soggettiva per spodestare la classe regnante) aumenta a causa della dialettica dello sfruttamento (per usare uno dei termini preferiti da Marx) che ho già discusso prima: lo sfruttamento è un atto che distrugge la formazione di ricchezza. Quindi, in una competizione tra compagnie di sfruttamento (Stati), quelle meno sfruttatrici o più liberali tenderanno ad avere un maggior successo rispetto a quelle più sfruttatrici, in quanto avranno il controllo di una quantità maggiore di risorse. Il processo di imperialismo ha inizialmente un effetto relativamente positivo e liberatorio sulle società che entrano sotto il controllo degli imperialisti. Infatti viene esportato un modello sociale relativamente più capitalistico verso società relativamente meno capitalistiche (cioè più basate sullo sfruttamento). Lo sviluppo di forze produttive viene stimolato: l'integrazione economica migliora, la divisione del lavoro aumenta, e viene stabilito un genuino mercato mondiale. In risposta a ciò avviene un'espansione demografica, e ad aumentano moltissimo le aspettative sul futuro economico. Ma poi, quando inizia la fase di sfruttamento, e la concorrenza tra gli Stati si riduce o viene persino eliminata nel processo di espansionismo imperialista, allora scompaiono gradualmente i vincoli esterni che impediscono allo Stato dominante di effettuare espropriazione e sfruttamento interno. Quindi lo sfruttamento interno, la tassazione e le regolamentazioni cominciano ad aumentare, man mano che la classe regnante si avvicina al suo obiettivo finale di dominazione del mondo. Comincia la stagnazione economica e vengono disattese le suddette aspettative ottimistiche. E tutto ciò (alte aspettative e una realtà economica che scende molto al di sotto di queste aspettative) è il classico scenario fertile per la nascita di un potenziale rivoluzionario. Nasce un bisogno disperato di soluzioni ideologiche alle crisi emergenti, assieme ad un riconoscimento più diffuso del fatto che il regno dello Stato, la tassazione e la regolamentazione di Stato, ben lungi dall'offrire una soluzione, costituiscono il problema stesso che deve essere superato. Se, in questa situazione di stagnazione economica, di crisi economiche, e di disillusione ideologica, verrà offerta una soluzione positiva nella forma di una filosofia libertaria sistematica e comprensiva, associata ad una controparte economica, l'economia austriaca; e se questa ideologia verrà propagata da un movimento attivista, allora la prospettiva di accendere il potenziale rivoluzionario diventa promettente. Nasceranno pressioni anti-statiste che produrranno una tendenza irresistibile a smantellare il potere della classe regnante e lo Stato come strumento di sfruttamento utilizzato dalla classe regnante.
Ma, se ciò avverrà, non significherà la socializzazione dei mezzi di produzione, contrariamente a quanto predetto dal modello marxista. Infatti, la proprietà comune non solo è economicamente inefficiente, come è già stato spiegato in capitoli precedenti, ma è anche incompatibile con l'idea che lo Stato possa "farsi da parte e svanire". Infatti, se i mezzi di produzione saranno posseduti dalla collettività, e se assumiamo realisticamente che non tutti saranno d'accordo (come per miracolo) su come questi mezzi di produzione debbano essere usati, allora la proprietà comune dei fattori di produzione sarà esattamente ciò che richiederà l'esistenza continuativa dello Stato, cioè di un'istituzione che impone coercitivamente la volontà di una persona su un'altra persona che non è d'accordo. Al contrario, se mai lo Stato svanirà davvero, e assieme ad esso svanirà lo sfruttamento e nasceranno una libertà e prosperità economica senza precedenti, ciò significherà che sarà nata una società basata sulla pura proprietà privata e regolata da niente altro che il diritto privato.
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