martedì 15 aprile 2008

Marx e lo sfruttamento del lavoratore

La teoria di Marx era giusta o sbagliata? Se si sbagliò, dov'è esattamente l'errore?

In occasione della scomparsa dei comunisti dal Parlamento, inauguro una piccola serie sulla teoria di Marx. In questo episodio ci occupiamo della teoria dello sfruttamento del lavoratore.

Tratto dal libro "L'ingranaggio della libertà" di David D. Friedman (economista della scuola di Chicago).

8. Sfruttamento e interesse

La parola "sfruttamento" viene usata molto spesso, ma di rado si prova a darne una definizione. Nel senso letterale della parola, io "sfrutto" te se in qualche modo traggo vantaggio dalla tua esistenza --- e questa è la ragione per cui si è venuta a creare la società umana. Ciascuno di noi beneficia dell'altro e tutti ci sfruttiamo a vicenda, ed è per questo che viviamo in società. Ma il significato generalmente attribuito al termine racchiude in sé l'implicazione che una persona tragga vantaggio da un'altra danneggiandola, o agendo a sue spese. L'attribuire questo significato alla parola deriva forse dalla teoria marxista sullo sfruttamento della forza-lavoro. Qualunque sia l'origine esatta, io sono in grado, confutando la teoria di Marx, di ribattere a una delle più frequenti accuse di "sfruttamento" fatte al capitalismo e ai capitalisti.

Marx sosteneva che i beni vengono prodotti dai lavoratori che usano i mezzi di produzione (macchinari, fabbriche, etc.) che sono stati costruiti, a loro volta, da altri lavoratori. Tutta la produzione viene effettuata dai lavoratori, sia da quelli di oggi che da quelli di ieri. Ma il capitalista pretende un guadagno dalla produzione. La sua giustificazione è di aver fornito i mezzi di produzione; il che è sbagliato, visto che gli stessi in realtà sono stati prodotti da precedenti lavoratori. Il capitalista che si appropria di una parte del profitto, pur non avendo contribuito affatto alla produzione, sta ovviamente derubando --- sfruttando --- i veri produttori, ossia i lavoratori.

Il problema di una simile argomentazione è il non tener conto che pagare oggi per i mezzi di produzione e aspettare anni per recuperare il denaro investito è in sé una attività produttiva, e che l'interesse guadagnato sul capitale rappresenta la relativa ricompensa.

Esaminiamo una specifica situazione. Un'impresa, costruita nel 1849, produce dal 1850 al 1900. A fronte di un costo di 1 milione di dollari per realizzarla, essa genera un'entrata per il proprietario di 100.000 dollari l'anno. Il che rappresenta, secondo Marx, la ricchezza prodotta dai lavoratori che hanno costruito la fabbrica, ai quali in effetti spetterebbe, ovvero la ricchezza sottratta agli operai che lavorano nell'azienda, che vengono retribuiti meno di quanto in realtà producono.

Supponiamo che i lavoratori che hanno costruito l'impianto siano stati pagati 1 milione di dollari, costo totale della struttura. (Per semplicità ignorerò le altre spese di costruzione. Secondo Marx, questi costi possono essere fatti risalire al sacrificio lavorativo di precedente forza-lavoro). L'investimento effettuato dal capitalista verrà completamente recuperato durante i primi dieci anni. Dopo di che il guadagno diviene, secondo il punto di vista marxista, puro sfruttamento.

Questa affermazione deriva dal considerare il milione di dollari investito nel 1849, quando fu iniziato il lavoro, come "equivalente" al milione di dollari ricevuto nel decennio successivo. Ma gli stessi lavoratori non sarebbero d'accordo con un'affermazione del genere. Non avrebbero certamente svolto il lavoro, se avessero dovuto aspettare dieci anni per essere pagati. Se avessero voluto, o avessero avuto la possibilità di lavorare in questi termini, il capitalista sarebbe effettivamente risultato superfluo: i lavoratori avrebbero potuto costruire la fabbrica da soli, lavorando gratis, ricevendo il loro stipendio durante i dieci anni successivi, e continuando a riceverlo per altri quarant'anni. La funzione del capitalista è quella di pagare gli stipendi in anticipo. Se non avesse questa possibilità, la fabbrica non verrebbe costruita e la merce non sarebbe prodotta. Il capitalista sostiene un costo, poiché anche lui preferirebbe spendere i soldi a suo piacimento nel 1850, invece di averli vincolati e vederseli restituiti lentamente nel corso di un determinato periodo. È perfettamente ragionevole che egli riceva qualcosa in cambio del suo contributo.

Un altro modo di affrontare la questione è dire che il denaro fornisce diverse alternative. Se io in questo momento ho 10 dollari, li posso spendere in molti modi, ad esempio per portare al ristorante la mia fidanzata, o per comprare un biglietto dell'autobus, e così via. Avere molte possibilità è sempre una cosa desiderabile, poiché si può scegliere l'alternativa più appetibile. Il denaro può ben essere messo da parte, pertanto non sono obbligato a spenderlo nel momento in cui lo ricevo; posso risparmiare i 10 dollari di oggi fino a domani, oppure potrei spenderli oggi se vedo un'alternativa che ritengo più attraente di qualsiasi altra che potrei desiderare un altro giorno. Quindi 10 dollari oggi valgono più di 10 dollari domani. Questa è la ragione che giustifica l'esistenza dei tassi di interesse, e il perché, se ti chiedo in prestito 10 dollari oggi, domani ti devo ridare un po' più di 10 dollari.

Il vantaggio di possedere 10 dollari oggi anziché domani non è molto grande, come non è molto l'interesse accumulato da 10 dollari in un giorno. Quando però il tempo interessato è una porzione consistente della vita di un individuo, anche la differenza nel valore è considerevole. Per me non è la stessa cosa il fatto di poter comprare una casa per la mia famiglia oggi oppure fra dieci anni. I dieci anni non sono insignificanti neanche per colui che mi presta il denaro adesso e si aspetta di ricevere qualcosa in cambio. La teoria marxista sbaglia quando considera l'interesse ricevuto dal capitalista, o quello pagato da un debitore a un creditore, come denaro rubato. Questo, in realtà, è il corrispettivo per un servizio ricevuto.

Lo stesso errore viene compiuto da chi considera le eredità un'ingiustizia. Costui crede che, se il padre guadagna del denaro e lo lascia al figlio, che vive dell'interesse prodotto, questi stia vivendo a spese della società. Ma il mercato finanziario --- le azioni, i titoli, i conti correnti, e così via --- non è altro che simboli o aspetti esteriori. Si deve guardare oltre l'apparenza per capire che cosa stia succedenndo agli oggetti reali. La realtà è che qualcuno non produce, e tuttavia consuma, e che quindi ci deve essere chi sta pagando per questo.

È il padre che paga per lui. Se il figlio vivesse letteralmente del cibo prodotto e conservato da suo padre, ciò sarebbe ovvio e pochi potrebbero obiettare. Ma la situazione è in realtà la stessa quando il padre sceglie di investire ricchezza invece di consumarla o di trasformarla in magazzini pieni di cibo. Comprando un'azienda invece di uno yacht, egli sta aumentando la produttività della società. I lavoratori, usando quell'azienda, sono in grado di produrre più di quanto riuscirebbeero a fare senza di essa. Ed è proprio la produzione aggiuntiva a nutrire suo figlio.

Per un vero egualitario, che considera l'eguaglianza di per sé come il sommo fine, questa non è una valida difesa. L'eredità costituisce ineguaglianza, ed è quindi ingiusta. Non ho simpatia per questo punto di vista. Non vedo altra ragione che l'avidità per pretendere di "meritare" parte della ricchezza di qualcun altro al momento della sua morte, ricchezza che non ho contribuito a produrre. Non vedo ragione, oltre l'invidia, per condannare la buona sorte di qualcuno che riceve in eredità una fortuna "non guadagnata".
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