mercoledì 12 settembre 2007

Con Grillo e Travaglio la democrazia trema

(Nota: questo articolo non rispecchia più le mie opinioni. Non sono più un sostenitore della democrazia. 30 gennaio 2008.)

Beppe Grillo e Marco Travaglio si fanno sostenitori di idee che non esito a definire pericolose e sovversive della democrazia.

Essi sostengono, ripetutamente e più o meno esplicitamente, che gli inquisiti non dovrebbero potersi candidare in Parlamento. Citando ad esempio questo articolo di Travaglio:
È antipolitica difendere la dignità del Parlamento infangata dalla presenza di 24 pregiudicati e un’ottantina di indagati, imputati, condannati provvisori e prescritti?
Ma Travaglio dimentica che, se ci fosse una legge che vietasse la candidatura agli indagati, la Procura della Repubblica avrebbe di fatto il potere di decidere chi può essere eletto e chi no. Se un magistrato volesse impedire a qualcuno di candidarsi, ad esempio perché non ne condivide le idee politiche, gli basterebbe spiccare un avviso di garanzia. Insomma, l'Italia diventerebbe una dittatura indiretta della magistratura. Una cosa del genere oggi esiste forse solo in Iran, in cui un comitato decide chi si può candidare e chi no. (E il fatto che i processi in Italia durino così a lungo rende la cosa solo un po' più grave.)

Anche Fausto Bertinotti, terza carica dello Stato, auspica questo tipo di legge in una intervista di oggi su La Repubblica.

Poi c'è l'altra idea: l'idea che i condannati in via definitiva non debbano poter essere eletti in parlamento. Avete capito bene: non importa se ho scontato la mia pena, non potrò mai essere eletto. Questo va, ovviamente, contro il principio della funzione riabilitativa della pena, che è a fondamento dello Stato di Diritto.

Questo non significa che il problema dell'onestà dei parlamentari, denunciato da Grillo e Travaglio, sia un falso problema. E' un problema reale. Ma questo problema non si risolve aumentando il potere di alcuni funzionari di Stato (i magistrati) a scapito del potere di altri funzionari (i parlamentari). Questo sposterebbe soltanto il centro della corruzione da una parte all'altra. Non è poi così difficile da immaginare.

L'unica soluzione è diminuire il potere complessivo dello Stato. Cominciamo col diminuire il potere dei politici di gestire i nostri soldi: dopo tutto, è proprio su questo che si fonda il loro potere. Il motivo per cui la politica oggi attrae così tante persone disoneste è che i politici hanno un enorme potere economico -- il potere di gestire denaro non loro. Se i politici non avessero più il potere di decidere come vanno spesi i soldi delle tasse (quanto va a Tizio e quanto a Caio, quanto alle scuole pubbliche e quanto agli ospedali, quanto ai partiti e quanto al Vaticano, quanto alle pensioni e quanto ad Alitalia...) la loro corruzione sarebbe praticamente azzerata. Le decisioni economiche dovrebbero essere delegate, quanto più possibile, a privati che rischiano in prima persona il proprio capitale.

L'unico modo di risolvere il problema della corruzione è diminuire il potere dei politici di influenzare -- in bene ed in male -- le nostre vite.
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