martedì 24 luglio 2007

Astrologia e paranormale



Questo post è il primo di una serie dedicata alla superstizione e al libro di Richard Dawkins "L'arcobaleno della vita" [Unweaving the rainbow: a darwinian view of life"].

In questo episodio introduttivo Dawkins elenca casi notevoli di credulità umana. Particolarmente interessante è il racconto di un episodio di telepatia trasmesso in televisione. Uno degli argomenti centrali è che è possibile dimostrare che gli astrologi, ed altre categorie di sedicenti "veggenti", sono ciarlatani. Allora perché costoro non vengono perseguiti e condannati per frode? Un altro concetto importante è che, per un uomo del secolo scorso, molte nostre tecnologie odierne sarebbero apparse come magia. Allora come distinguere tra scienza e pseudoscienza?

Capitolo 6. Ingannati da chimere


La credulità è la debolezza dell'uomo, ma la forza del fanciullo.
CHARLES LAMB, Saggi di Elia, 18231

Abbiamo sete di meraviglia. Abbiamo una poetica sete di meraviglia che la vera scienza sarebbe qualificata a placare, ma che spesso viene intercettata, a scopo di lucro, dagli astrologi, dai «sensitivi» e dalle loro ciarlatanerie. Espressioni magniloquenti come «la quarta casa in Acquario» o «Nettuno retrogrado sta entrando in Sagittario» sono circondate da un alone pseudoromantico che all'orecchio degli ingenui e dei suggestionabili possono suonare simili a terminologie e frasi realmente scientifiche, come: «L'universo è inconcepibilmente prodigo» o (a proposito del sistema solare, condensatosi da un disco di materia' stellare che ruotava su se stesso) «Il disco brulica di futuri possibili», tratte da Shadows of Forgotten Ancestors (1992), di Carl Sagan e Ann Druyan. In un altro volume, Sagan osservava:

Come mai nessuna delle principali religioni ha mai concluso, dopo aver preso in considerazione la scienza: «È meglio di quanto sembrava. L'universo è assai più vasto di quanto dicevano i nostri profeti, e assai più maestoso, sottile e affascinante». Perché, invece, ognuna dice: «No, no, no, il mio è un dio piccolo e voglio che così resti»? Una religione - vecchia o nuova - che esaltasse la magnificenza dell'universo quale c'è stata rivelata dalla scienza moderna susciterebbe un senso di reverenza ben superiore a quello suscitato finora dalle religioni tradizionali.
Pale Blue Dot, 1995

Da quando, in Occidente, le religioni tradizionali hanno cominciato a declinare, esse sembrano aver ceduto il posto non tanto alla scienza e alla sua visione chiara e onnicomprensiva del cosmo, quanto all'astrologia e al paranormale. Dopo un secolo come il Novecento, nel quale si sono registrati i più strepitosi successi scientifici di tutti i tempi, ci si aspetterebbe che la scienza fosse divenuta parte integrante della cultura generale e che l'estetica umana ne comprendesse la poesia. Pur senza voler essere pessimista come lo fu C.P. Snow quando, negli anni Cinquanta, pubblicò Le due culture, devo riconoscere che all'alba del Duemila questa speranza d'integrazione è andata delusa. I libri di astrologia vendono più dei libri di astronomia, e la televisione spalanca le porte a maghi d'accatto che vengono spacciati per medium e chiaroveggenti. In questo sesto capitolo analizzerò la superstizione e la credulità, cercando di capire la loro origine e di spiegare perché si possa far leva tanto facilmente su di esse; nel settimo, invece, spiegherò in che modo si può usare il ragionamento statistico per difendersi dal «morbo del paranormale». Iniziamo dunque dall'astrologia.

Il 27 dicembre 1997 il «Daily Mail», uno dei quotidiani più diffusi in Gran Bretagna, dedicò la prima pagina all'argomento, intitolando l'articolo di apertura: 1998: l'alba dell'Acquario. Si era quasi grati quando, procedendo nella lettura, ci si rendeva conto che la cometa Hale-Bopp non era considerata la causa diretta della morte della principessa Diana. Lo strapagato astrologo del quotidiano avvertiva che "il lento, ma potente Nettuno" stava per «congiungersi» all'altrettanto potente Urano nel segno dell'Acquario. Le conseguenze, spiegava, sarebbero state rimarchevoli:

il Sole sta sorgendo. E la cometa è venuta a ricordarci che questo Sole non è fisico, ma psichico, spirituale, interiore, sicché non è costretto a seguire la legge di gravitazione. Esso può levarsi più rapido sopra l'orizzonte se un numero abbastanza grande di persone lo saluterà e incoraggerà. E, apparendo, sarà in grado di scacciare le tenebre.


Come può la gente trovare affascinanti simili balordaggini e preferirle alla bellezza dell'universo reale che ci viene svelata dall'astronomia?

In una notte senza luna in cui "le stelle appaiono gelide" e le uniche nubi visibili sono le macchie luminose della Via Lattea, provate ad andare in un posto lontano dall'inquinamento luminoso dei lampioni, a sdraiarvi sull'erba e a guardare il cielo. Lì per lì noterete le costellazioni, ma il loro «disegno» è del tutto casuale, come una macchia d'umidità sul soffitto del bagno. Riflettete dunque su quanto poco significhi affermare che «Nettuno è entrato nell'Acquario» . L' Acquario è composto da stelle eterogenee che si trovano a distanze diverse da noi e che non sono connesse in nessun modo se non per il fatto di apparire in un certo (insignificante) modo quando vengono viste da un (insignificante) posto della galassia come il nostro pianeta. Le costellazioni non sono entità, quindi non sono cose nelle quali si possa sensatamente dire che Nettuno, o qualsiasi altro oggetto, «entra».

Inoltre, la loro forma cambia. Un milione d'anni fa, L'homo herectus (quando l'inquinamento luminoso non esisteva, a meno che non ardesse il fuoco del bivacco, brillante invenzione di questo nostro antenato) contemplava di notte costellazioni assai diverse da quelle che vediamo noi. Tra un milione d'anni, i nostri discendenti ammireranno in cielo altre «figure» di cui conosciamo già l'aspetto. È questo il tipo di previsione che gli astronomi, non gli astrologi, sono in grado di fare. E, diversamente dagli oroscopi, sarà esatta.

Poiché la luce ha una velocità finita, quando si guarda la grande galassia di Andromeda, nella costellazione omonima, si vede come era 2,3 milioni di anni fa, all'epoca in cui l'Australopithecus vagava per l'erba alta della savana. In altre parole, si guarda indietro nel tempo. Se poi spostiamo lo sguardo di qualche grado, verso la stella più vicina della medesima costellazione, noteremo Mirach, che è assai più vicina nel tempo: la vediamo infatti com'era quando da noi ci fu il crac di Wall Street. Il sole, il disco giallo intorno a cui la terra gira, è a soli otto minuti da noi. Ma se puntiamo un grande telescopio sulla galassia Sombrero vediamo un miliardo di miliardi di stelle, che sono com'era il sole quando i nostri antenati con la coda guardavano il cielo intimoriti e quando l'India entrò in collisione con l'Asia dando origine alla catena dell'Himalaya. Osserviamo una collisione più spettacolare, tra due galassie nel quintetto di Stephan, quale avvennne all'epoca in cui sulla terra stavano apparendo i dinosauri e le trilobiti si erano appena estinte.

Qualunque avvenimento storico ci venga voglia di nominare ha la sua traccia in cielo, ossia una stella la cui luce brilla da quel particolare anno. Tutti, tranne i bambini in fasce, hanno nella volta celeste una «stella di natività», il bagliore termonucleare che segnò l'anno della loro nascita. Anzi, di queste stelle se ne possono trovare parecchie (40 se si hanno quarant'anni, 70 se se ne hanno cinquanta, 175 se se ne hanno 80). Quando guardiamo una «stella di natività», il telescopio diventa una macchina del tempo che ci permette di contemplare eventi termonucleari verificatisi nell'anno in cui venimmo al mondo. È senza dubbio un'idea piacevole, ma niente di più. La stella del nostro anno di nascita non si degna certo di parlarci della nostra personalità, del nostro futuro o dei partner sessuali a noi più adatti: ha un carnet di impegni di dimensioni ben più vaste, dal quale sono escluse le insignificanti vicende umane.

Naturalmente la stella della nostra nascita è nostra solo per l'anno in corso; l'anno successivo bisogna prendere in considerazione una «sfera» più grande, più lontana di un anno luce. Proviamo a pensare a questa sfera in espansione come al raggio sempre più lungo della buona notizia (la notizia della nostra nascita). In teoria, nell'universo einsteiniano nel quale, secondo i fisici, viviamo, niente viaggia più veloce della luce; così, se abbiamo 50 anni, la "sfera della notizia" ha un raggio di 50 anni luce. All'interno di tale sfera (comprendente poco più di mille stelle) è, sempre in teoria (anche se ovviamente non in pratica), possibile che si sia diffusa la notizia della nostra nascita; all'esterno di essa potremmo benissimo non esistere e, anzi, in senso einsteiniano non esistiamo affatto. Gli anziani hanno più ampie «sfere di esistenza» dei giovani, ma in nessun caso la vita copre più di una minuscola frazione d'universo. La nascita di Gesù potrà sembrarci un avvenimento molto importante e anche molto antico, visto che risale a duemila anni fa, ma su scala cosmica è così recente che, pur ipotizzando circostanze ottimali, la notizia, sempre in linea di principio, potrebbe aver raggiunto meno di un duecentomiliardesimo degli astri dell'universo. Intorno a molte stelle, se non alla maggior parte, orbiteranno pianeti. I numeri, in cielo, sono così grandi che probabilmente alcuni di quei pianeti ospiteranno forme di vita e altri saranno popolati da specie intelligenti, dotate di una loro tecnologia. Tuttavia la distanza e il tempo che ci dividono sono talmente giganteschi che migliaia di forme di vita potrebbero evolversi in modo indipendente ed estinguersi senza mai venire a sapere dell'esistenza le une delle altre.

Per fare il calcolo del numero di stelle di natività, sono partito dall'assunto che la distanza media fra le stelle sia di 7,6 anni luce, cioè più o meno la distanza osservabile nella particolare regione della Via Lattea in cui ci troviamo. Sembra una densità bassissima (circa 440 anni luce cubici per stella), ma in realtà è alta in confronto a quella delle stelle dell'universo nel suo complesso, dove lo spazio tra le galassie è vuoto. Isaac Asimov ha fatto un esempio molto efficace: è come se tutta la materia dell'universo fosse, ha detto, un unico granello di sabbia posto al centro di una stanza vuota lunga 32 chilometri e alta e larga altrettanto. Nel contempo, è come se il singolo granello fosse polverizzato in mille milioni di milioni di milioni di frammenti, perché è all'incirca quello il numero delle stelle nell'universo. Sono questi alcuni dei dati concreti dell'astronomia, che, se da un lato ci tolgono l'illusione di essere protagonisti, dall'altro ci colpiscono per la loro bellezza.

Sotto il profilo estetico, invece, l'astrologia è un insulto. I suoi deliri precopernicani sviliscono e offendono l'astronomia, come certi pezzi di Beethoven usati per messaggi commerciali sviliscono e offendono il grande musicista. È un insulto alla psicologia e alla straordinaria ricchezza della personalità umana catalogare semplicisticamente tutti gli individui in dodici categorie. Gli Scorpioni sono allegri ed estroversi, mentre i Leoni, con il loro carattere metodico, vanno d'accordo con le Bilance (o chi per loro). Mia moglie, Lalla Ward, si ricorda che una volta, mentre stava girando un film, una sua collega, un'attricetta americana cui era stata assegnata una particina, si avvicinò al regista Otto Preminger e gli chiese: «Mr. Preminger, di che segno è lei?». Al che, con forte accento austriaco, Preminger diede una risposta memorabile: «Del segno Non Scocciare».

La personalità è una realtà, e gli psicologi sono riusciti a elaborare modelli multidimensionali che ne misurano in certo grado le variazioni. Il numero molto elevato di dimensioni può essere ridotto matematicamente a un numero inferiore con una perdita quantificabile, e in parte quantificata, di capacità predittiva. Queste dimensioni derivate corrispondono a volte a quelle che pensiamo di riconoscere in maniera intuitiva: aggressività, ostinazione, affettuosità e così via. Rappresentare la personalità di un individuo come un punto in uno spazio multidimensionale è un'approssimazione utile di cui si possono determinare i confini. È un metodo ben diverso dalle categorizzazioni assolute e mutualmente incompatibili, e certo ben diverso dalle stupide farneticazioni dell'astrologia dei giornali: si basa infatti su dati realmente pertinenti alle persone, non sui «pianeti» del giorno della nascita. Il modello psicologico multidimensionale può permettere di capire se un individuo è adatto a una certa carriera o se due fidanzati hanno buone prospettive di un matrimonio felice. I dodici segni zodiacali sono, nella migliore delle ipotesi, un costoso quanto inutile trastullo.

Inoltre mal si accordano con le leggi antidiscriminatorie e con le nostre forti obiezioni verso tutto ciò che è politicamente scorretto. Si abituano i lettori di quotidiani a considerare se stessi e i loro amici e colleghi «Scorpioni», «Bilance», «Leoni» e via dicendo. A ben pensarci, non è un modo di etichettare e discriminare la gente, insomma di applicare quegli stereotipi culturali che oggi molti di noi trovano deplorevoli? Mi immagino i Monty Python ideare una scenetta in cui qualcuno legge questo genere di rubrica sul quotidiano:

Tedeschi. Siete per natura molto laboriosi e metodici, e questo oggi vi tornerà utile in ufficio. Quanto alle relazioni personali, stasera cercate di reprimere la vostra innata tendenza a obbedire agli ordini.

Spagnoli. Vi lascerete prendere dal vostro sangue caldo latino: attenti a non fare qualcosa di cui potreste pentirvi! E, per favore, non mangiate aglio a pranzo se avete progetti romantici per la sera ...

Cinesi. L'imperscrutabilità presenta molti vantaggi, ma oggi potrebbe segnare la vostra débacle.

Inglesi. Impassibili come siete, sarete avvantaggiati nelle trattative d'affari. Ma perché non provate per una volta a rilassarvi e a lasciarvi andare nella vita sociale?

Si possono facilmente immaginare gli altri stereotipi nazional-zodiacali. Certo, le rubriche di astrologia sono meno offensive degli esempi di discriminazione sopra riportati, ma proviamo a chiederci dove sta la differenza. Le une e gli altri dividono ingiustamente l'umanità in gruppi definiti da caratteristiche arbitrarie. Se anche vi fosse qualche piccola indicazione statistica a favore di determinate tipologie, entrambe le rubriche sopra citate favorirebbero il pregiudizio, incoraggiando la gente a trattare gli altri come tipi anziché come individui. Già adesso, nelle sezioni dei giornali dedicate ai «cuori solitari» si leggono frasi come: «Scorpioni esclusi» o: «Tori, risparmiatevi di scrivere». Certo, non si arriva alla gravità dei cartelli su cui era scritto: «Vietato l'ingresso ai neri» o: «Vietato l'ingresso agli irlandesi», perché i pregiudizi astrologici non sono rivolti sempre e soltanto verso determinati segni, ma resta il fatto che creare stereotipi e discriminare in base a essi impedisce di accettare la gente nella sua individualità.

Le conseguenze potrebbero essere tristi sotto il profilo umano. La piccola pubblicità dei cuori solitari serve ad ampliare il raggio dei possibili partner sessuali (in effetti le occasioni che si presentano sul lavoro o nella cerchia delle conoscenze sono spesso scarse e la necessità di incrementarle è assai concreta): se le persone sole, che potrebbero trarre grande vantaggio dall'incontro con l'agognato partner, vengono indotte a scartare per motivi assurdi e gratuiti fino a undici dodicesimi della popolazione, il danno è evidente. Al mondo ci sono creature vulnerabili che vanno compatite, non deliberatamente fuorviate.

Mi è stato raccontato che, alcuni anni fa, un pennivendolo che aveva avuto la sfortuna di dover curare l'oroscopo per il proprio quotidiano alleviò la noia scrivendo sotto uno dei dodici segni zodiacali la funesta frase: «Tutti i dispiaceri di ieri sono niente in confronto a quello che vi capiterà oggi». Fu licenziato perché il centralino del giornale venne sommerso da telefonate di lettori impauriti; il che dimostra, ahimé, fino a che punto la gente riponga ingenuamennte fiducia nell'astrologia.

Oltre ad avere leggi contro la discriminazione, abbiamo leggi atte a difenderci dai produttori che dichiarano il falso circa il loro prodotto. Non c'è invece alcuna norma che ci salvaguardi dalle false dichiarazioni riguardo al mondo naturale. Se ci fosse, gli astrologi sarebbero sicuramente condannati per falso. Affermano di prevedere il futuro e di saper indovinare il carattere delle persone, e vengono pagati sia per redigere un profilo della personalità sia per dare consigli professionali riguardo a decisioni importanti. Se una casa farmaceutica mettesse in commercio una pillola antifecondativa che non avesse il minimo effetto sulla fertilità, sarebbe citata in giudizio in base al Trade Descriptions Act, e denunciata dalle clienti rimaste incinte; invece nel caso di questi «professionisti» non succede niente. Le mie critiche potranno sembrare ancora una volta eccessive, ma francamente non capisco perché gli astrologi non vengano arrestati per frode, oltre che per istigazione al comportamento discriminante. Il 18 novembre 1997, il «Daily Telegraph» di Londra scrisse che il giorno prima, 17 novembre, un sedicente esorcista era stato condannato a diciotto mesi di carcere perché, con il pretesto di liberarla dagli spiriti maligni, aveva indotto un'adolescente molto ingenua ad avere rapporti sessuali con lui. L'uomo aveva mostrato alla ragazza alcuni libri di chiromanzia e magia, le aveva detto che qualcuno le aveva «gettato il malocchio e fatto una fattura», e spiegato che per esorcizzarla avrebbe dovuto ungerle l'intero corpo con oli speciali. Lei aveva acconsentito a spogliarsi completamente e, saputo dal mago che l'atto sessuale era necessario per «scacciare gli spiriti maligni», aveva copulato con lui. Ebbene, io credo che la società non possa dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Se è giusto incarcerare un sedicente esorcista che approfitta di una giovane ingenua (la ragazza aveva raggiunto, ai termini di legge, l'età della maturità sessuale), è anche giusto condannare gli astrologi che spillano quattrini a persone altrettanto ingenue, o i «sensitivi» che, dietro lauti compensi pagati dagli azionisti, offrono le loro preziose consulenze alle compagnie petrolifere per la ricerca di nuovi giacimenti. Viceversa, se si accetta la tesi che gli sciocchi siano liberi di regalare quattrini ai ciarlatani, l'«esorcista» marpione andava assolto, visto che la giovane donna era libera di compiere un «rito» sessuale che riteneva utile a guarirla.

Nessuna legge fisica nota induce a pensare che la posizione di lontani corpi celesti al momento della nostra nascita abbia un'influenza sul nostro carattere o sul nostro destino. Ciò non esclude la possibilità che vi sia un rapporto causale sconosciuto, ma per mettersi ad analizzarlo occorrerebbe almeno che qualcuno ne dimostrasse gli effetti. Nessun tentativo di dimostrazione ha mai portato a risultati concreti. La stragrande maggioranza degli studi scientifici sull'astrologia non ha dato esito positivo. Alcune analisi (pochissime, per la verità) lasciano pensare (molto alla lontana) che vi sia una correlazione statistica tra segno zodiacale di nascita e carattere, ma simili conclusioni positive sono poi spiegate in altro modo: molte persone conoscono così bene l'astrologia che sanno quali caratteristiche gli altri si aspettano di trovare in loro e tendono ad adeguarsi al modello. Certo, non è una tendenza molto spiccata, ma basta a produrre i lievissimi effetti statistici osservati.

Come minimo, qualsiasi metodo rispettabile di diagnosi o divinazione dovrebbe superare quella che in statistica è chiamata «prova di attendibilità». Il test non si propone di stabilire se il metodo funzioni davvero, ma solo se professionisti diversi posti di fronte agli stessi dati (o il medesimo professionista chiamato ad affrontare due volte gli stessi dati) diano lo stesso responso. Pur essendo convinto della poca serietà dell'astrologia, credevo che l'attendibilità fosse alta sotto il profilo appena illustrato, perché ero convinto che astrologi diversi attingessero agli stessi libri. In poche parole, credevo che i verdetti fossero sbagliati, ma che i metodi fossero abbastanza sistematici da produrre se non altro le stesse sentenze errate. Invece, leggendo l'analisi di G. Dean e dei suoi colleghi, ho constatato che gli astrologi non superano nemmeno questa prova facile ed elementare. Quando esaminatori diversi giudicavano il rendimento delle persone in colloqui strutturati che non c'entravano nulla con l'astrologia, il coefficiente di correlazione superava lo 0,8 (un coefficiente di correlazione 1,0 rappresenta l'accordo perfetto, -1,0 il disaccordo completo, 0,0 la totale casualità o mancanza di associazione: un indice 0,8 è ottimo). Quando invece si veniva al campo dell'astrologia, il coefficiente di attendibilità scendeva a un pietoso 0,1, che si poteva confrontare solo con quello della chiromanzia (0,11) e che sfiorava la totale casualità. Per quanto assurda sia l'astrologia, si penserebbe che gli astrologi si accordassero sulle loro interpretazioni almeno quel tanto da apparire coerenti, ma a quanto sembra non è così. La grafologia, che come ho detto è l'analisi della scrittura, e il test di Rorschach (quello delle macchie d'inchiostro) non sono molto meglio.

I responsi astrologici richiedono così poco studio e così poca abilità che nei quotidiani vengono spesso affidati ai giovani con poca esperienza alle spalle e abbastanza tempo a disposizione. Sul «Guardian» del 6 ottobre 1994, il giornalista Jan Moir scrisse: «Il mio primo lavoro fu di redigere gli oroscopi per una catena di riviste femminili. Era il compito che veniva sempre assegnato agli ultimi assunti, perché era così stupido e facile che perfino un pivellino era in grado di assolverlo». Da giovane anche James Randi, un mago che poi, da persona lucida e razionale qual era, si mise a smascherare i finti sensitivi, stese gli oroscopi per un quotidiano di Montreal usando lo pseudonimo di Zo-ran. Procedeva così: prendeva delle vecchie riviste di astrologia, ritagliava gli oroscopi con le forbici, mescolava i ritagli in un cappello, li incollava a caso sotto i dodici segni e poi li pubblicava spacciandoli per previsioni personali. Una volta, durante l'intervallo di pranzo, sentì per caso due impiegate leggere avidamente a voce alta la rubrica di Zo-ran sul giornale.

Strillavano di gioia davanti a quei responsi così esatti sul loro immediato futuro e quando chiesi loro il motivo di tanto entusiasmo dissero che Zo-ran «ci aveva preso in pieno» la settimana prima. Non confessai che Zo-ran ero io ... Anche nelle lettere inviate al quotidiano la gente aveva mostrato di reagire con entusiasmo ai miei oroscopi, tanto da indurmi a pensare che molti, una volta accettato qualcuno come autorità dotata di poteri occulti, credano a qualunque cosa dica. A quel punto Zo-ran infilò nel cassetto le forbici e il vasetto della colla, e chiuse bottega.

Flim-Flam, 1992

Dai sondaggi svolti con i questionari risulta che molti lettori abituali dell'oroscopo in realtà non ci credono. Lo leggono, dicono, solo per «divertimento» (quanto a letteratura d'intrattenimento, hanno evidentemente gusti diversi dai miei). Parecchi però credono all'astrologia e ne seguono le dritte; e tra questi -- la notizia è ancor più inquietante in quanto è attendibile -- c'era Ronald Reagan all'epoca del mandato presidenziale. Ma come mai l'oroscopo ha tanto successo?

In primo luogo le previsioni o le «letture» del carattere sono così vaghe, sfumate e generiche che si adattano praticamente a qualsiasi persona e circostanza (di norma ognuno legge solo il suo oroscopo; se desse un'occhiata agli altri undici, il suo gli parrebbe molto meno azzeccato). In secondo luogo, siamo portati a ricordare la previsione indovinata e a dimenticare quella sbagliata. Se in un oroscopo di una decina di righe leggiamo una frase che ci sembra azzeccata, notiamo quella e sorvoliamo su tutte le altre. Ma anche quando si imbattono in una previsione clamorosamente errata, alcuni tendono a giudicarla un'anomalia o una curiosa eccezione anziché un indice della totale inaffidabilità dell'astrologia. Mi viene in mente quando David Bellamy, molto noto in Inghilterra per le sue trasmissioni televisive scientifiche (e molto stimato per le sue battaglie ambientalistiche), confidò a Radio Times (programma un tempo autorevole della Bbc) di avere in certe cose «la circospezione del Capricorno zodiacale», ma di essere perlopiù incline a caricare a testa bassa come un capricorno vero. Che fantastica puntualizzazione! Questo, a mio avviso, dimostra ciò che sostengo sempre: è l'eccezione a confermare la regola. Probabilmente Bellamy non credeva affatto a quel che diceva, ma aveva deciso di assecondare la comune tendenza delle persone colte a considerare l'astrologia un innocuo trastullo. lo non la reputo innocua, e mi chiedo se chi la definisce divertente ne sia mai stato realmente divertito.

"Donna partorisce gattino di tre chili e mezzo" è un tipico titolo del "Sunday Sport", che, come il suo equivalente americano «National Enquirer» (quattro milioni di copie vendute) pubblica notizie completamente assurde spacciandole per vere. Una volta conobbi una ragazza che era stata assunta a tempo pieno da una rivista americana di questo tipo e che passava il tempo a inventare facezie. Lei e i suoi colleghi, mi disse, facevano a gara a chi scriveva impunemente le peggiori cavolate. La gara risultò poi vana, perché sembra non ci sia limite alle fandonie che la gente è disposta a credere quando le legge sulla carta stampata. Nella pagina successiva a quella del parto felino, il «Sunday Sport» pubblicava un articolo su un mago che, non sopportando più la moglie bisbetica, l'aveva trasformata in un coniglio. Oltre ad assecondare il cliché maschilista della Santippe, la rivista mostrava un certo istinto xenofobo in un altro pezzo, intitolato: Greco pazzo trasforma ragazzo in kebab. Per citare qualche altro artiicolo esilarante, ricorderò: Marilyn Monroe rivive in un cuore di lattuga (corredato della foto verde di un cespo d'insalata al cui centro campeggiava il volto dell'attrice) e: Statua di Elvis rinvenuta su Marte.

Come è noto, molta gente ha visto Elvis Presley ubiquo e redivivo. Il culto di Elvis, che induce certi fan a conservare le unghie dei suoi piedi e altre consimili reliquie, a custodire le sue foto come santini e ad andare in pellegrinaggio a Memphis, ha buone probabilità di diventare una vera e propria religione, ma dovrà curare parecchio le pubbliche relazioni se vorrà evitare di essere superato dal culto più recente della principessa Diana. Quando, nel 1997, Lady Spencer morì, molte delle innumerevoli persone che fecero la fila per firmare il libro delle condoglianze dissero ai giornalisti di avere visto distintamente la principessa staccarsi da un vecchio ritratto appeso al muro e guardare dalla finestra del palazzo la folla ossequiante. Come nel caso dell' «angelo di Mons» che apparve ai soldati nei giorni più neri della prima guerra mondiale, numerosi testimoni oculari «scorsero» lo spettro di Diana, e la notizia si diffuse come un lampo tra la gente che, già "caricata" a dovere dalla stampa popolare, piangeva calde lacrime.

La televisione è un medium ancora più potente dei giornali e, ahimè, ci propina una quantità inusitata di paranormale. In Gran Bretagna, uno degli esempi più scandalosi degli ultimi anni è quello del santone che durante un programma affermò di essere la reincarnazione di tale Paolo di Giudea, un «dottore della legge morto duemila anni prima»; senza condurre la minima analisi critica, la BBC dedicò un servizio di ben mezz'ora all'argomento, spacciando questa ridicola fantasia per un fatto vero. In seguito, al festival televisivo di Edimburgo del 1996, nel corso di un dibattito pubblico sul tema «La resa al soprannaturale», mi scontrai con il direttore esecutivo di quel programma. Il funzionario si difese ripetendo che il santone era una brava persona, perché i pazienti li guariva sul serio. Sembrava in buona fede: non gli importava affatto se il «dottore» fosse o non fosse un reincarnato, l'unico dato rilevante era il conforto che dava ai pazienti. Ma il colmo dei colmi era il «promo» con cui la Bbc aveva accompagnato il servizio: si ringraziavano i consulenti che avevano vagliato il contenuto della trasmissione, e fra loro c'era pure lui, Paolo di Giudea! Per carità, non contesto che si possa chiedere a uno psicotico o a un imbroglione di comparire in tivù per illustrare i propri strani deliri: forse è divertente o addirittura comico (benché io lo trovi di cattivo gusto, come ridere dei fenomeni da baraccone o appassionarsi alle violente liti coniugali che gli americani «riproducono» in televisione); ma trovo inconcepibile che un'istituzione autorevole come la Bbc metta a repentaglio la credibiilità conquistata in tanti anni mostrando pubblicamente di credere al delirio di uno psicotico.

La televisione del paranormale usa spesso una formula assai volgare, ma efficace: ingaggia comuni prestigiatori e dice al pubblico che sono veri sensitivi dotati di poteri paranormali. Con cinico disprezzo per l'intelligenza dei telespettatori, a costoro non si richiede di fornire nessun riscontro, nessuna dimostrazione di credibilità. I prestigiatori, se sono dei professionisti, fanno se non altro vedere al pubblico che non si sono infilati niente su per le maniche e che non hanno collocato fili sotto il tavolo. Ai cosiddetti «sensitivi», invece, non si chiede nemmeno questa formale testimonianza di buonafede.

Permettetemi di descrivere una vera e propria esibizione: una dimostrazione di telepatia che si poteva guardare non molto tempo fa a Beyond Belief, un programma della Carlton Television prodotto e presentato da David Frost, un veterano della televisione britannica a cui il governo ha ritenuto opportuno conferire il titolo di baronetto e il cui parere, quindi, suona autorevole ai telespettatori. I «sensitivi» erano due israeliani, un padre che trasmetteva messaggi telepatici e un figlio che, bendato, vedeva «con gli occhi del padre». Si girava anzitutto una ruota finché veniva fuori un numero: il padre guardava fisso il numero stringendo i pugni per la tensione, poi, con un sofferto rantolo, chiedeva al figlio se ritenesse di poter captare il suo pensiero. «Sì, credo di sì» gracchiava di rimando il figliolo; e naturalmente indovinava il numero ed era salutato da un fragoroso applauso. Veramente incredibile! Tanto più che i telespettatori sapevano di trovarsi di fronte alla tivù-verità, a un programma di fatti veri, non di fiction come X-Files.

In realtà, babbo e figlio avevano proposto un vecchio, banale gioco di prestigio, uno dei numeri più in auge negli antichi teatri di varietà del XVIII secolo, quando, negli anni Ottanta del Settecento, si esibiva il celebre Luigi Pinetti. Sono molti e semplici i codici con i quali il padre potrebbe aver «trasmesso» il numero al suo ben addestrato marmocchio; per esempio il conteggio delle parole nella domanda apparentemente innocente: «Credi di potercela fare, figlio mio?» Invece di sgranare gli occhi per lo stupore, David Frost avrebbe dovuto imbavagliare il padre, oltre che bendare il figlio. Qual è il problema? Solo questo: una: rete televisiva dì tutto rispetto ha spacciato un gioco di prestigio per un fenomeno «paranormale».

Pochi di noi conoscono i trucchi dei prestigiatori. lo rimango spesso sbalordito di fronte a questi spettacoli: non capisco come si faccia a tirar fuori conigli dai cappelli o a segare in due delle scatole senza ferire le signore che vi sono state infilate dentro. Ma tutti sappiamo che c'è una spiegazione perfettamente razionale, che il mago potrebbe fornire se volesse e che però, com'è comprensibile, non rivela. Perché allora dovremmo chiamare «miracolo» lo stesso trucco quando ci viene spacciato per potere soprannaturale da una rete televisiva?

Vi sono poi quei «maghi» ai quali sembra di «sentire» che qualcuno tra il pubblico voleva bene a una persona il cui nome cominciava per M, che aveva un cane pechinese e che era morta per una malattia di petto; vi sono, cioè, dei «medium» e dei «chiaroveggenti» capaci di intuire cose «impossibili da percepire con i cinque sensi normali».

Non ho lo spazio per scendere in dettaglio, ma i prestigiatori chiamano questo trucco «lettura a freddo». Consiste nello sfruttare fenomeni molto comuni (tante persone, per esempio, muoiono di insufficienza cardiaca o cancro dei polmoni) e nel cercare indizi in giro, aiutati dalla tendenza della gente a ricordare le previsioni indovinate e a dimenticare quelle sbagliate (il pubblico involontariamente si tradisce quando il prestigiatore indovina). Inoltre i «lettori a freddo» usano spesso degli informatori, che origliano ciò che dicono gli spettatori quando entrano a teatro, a volte addirittura li interrogano e poi vanno nel camerino del mago prima dello spettacolo e gli raccontano tutto.

Se un «sensitivo» desse davvero un esempio scientificamente dimostrato di facoltà telepatiche (precognizione, psicocinesi, reincarnazione, moto perpetuo e quant'altro), risulterebbe lo scopritore di leggi fisiche sconosciute e straordinarie. Chi individuasse un nuovo campo di energia capace di collegare tra loro le menti nella telepatia, o una forza fondamentale nuova capace di spostare gli oggetti da un punto all'altro di un tavolo, meriterebbe il premio Nobel, e forse lo vincerebbe. Se custodisse davvero un così rivoluzionario segreto scientifico, perché mai dovrebbe buttar via il suo tempo facendo il mago in tivù? Non sarebbe logico che dimostrasse i suoi poteri in maniera scientifica, per poter essere salutato come il nuovo Newton? In realtà sappiamo la risposta: il nostro amico non può perché è fasullo. Ma, grazie a produttori televisivi creduloni o cinici, i suoi volgari trucchi di prestidigitazione troverebbero credito presso il pubblico.

Ciò premesso, va detto che alcuni «sensitivi» sono così abili da ingannare la maggior parte dei ricercatori, e le persone più qualificate a smascherarli non sono scienziati, ma altri prestigiatori. Ecco perché i più famosi di loro si rifiutano sempre, con qualche pretesto, di salire sul palcoscenico se vengono a sapere che nelle prime file della platea siedono prestigiatori professionisti. Diversi abili maghi, come James Randi in America e Ian Rowland in Gran Bretagna, organizzano spettacoli nei quali ripetono davanti al pubblico i «miracoli» di famosi sensitivi e poi spiegano che si tratta appunto di trucchi. Ci sono persone razionali e laiche anche in India, dove alcuni giovani e seri prestigiatori girano per i villaggi smascherando i santoni e ripetendo i loro «miracoli». Purtroppo qualcuno continua a credere nel soprannaturale anche dopo che è stato svelato l'inganno. Qualcun altro, messo con le spalle al muro, non vuole rassegnarsi e dice: «Be', forse quello di Randi è un trucco, ma non significa che altri non facciano davvero miracoli». A un'obiezione del genere Ian Rowland diede una volta una caustica risposta: «Be', si sono esercitati di più!».

Si possono guadagnare tanti soldi ingannando gli ingenui. Il comune prestigiatore sbarca il lunario alle feste dei bambini e mai penserebbe di poter andare in onda sulla televisione nazionale. Ma se spacciasse i suoi trucchi per fenomeni soprannaturali, forse avrebbe migliori prospettive. Le reti televisive non vedono l'ora di mandare in onda imbrogli. L'imbroglio ha sempre ottimi indici di ascolto. Invece di applaudire educatamente dinanzi a un abile gioco di prestigio, i conduttori televisivi simulano gigionesco stupore per indurre i telespettatori a credere di aver visto un fenomeno in contrasto con le leggi della fisica. Persone psichicamente disturbate raccontano i loro dei di fantasmi e poltergeist, ma invece di mandarle da un bravo psichiatra i produttori televisivi acquistano l'esclusiva, imbastiscono ricostruzioni filmate con attori di professione e ottengono gli effetti desiderati sullo sprovveduto pubblico di massa.

Corro il rischio di essere frainteso, e farò bene quindi a chiarire la mia posizione. Sarebbe semplicistico sostenere compiaciuti che le attuali conoscenze scientifiche sono assolutamente complete, e che l'astrologia e i fantasmi sono sciocchezze di cui non vale la pena parlare perché la scienza attuale non è in grado di spiegarli. È proprio così lapalissiano che l'astrologia sia un cumulo di sciocchezze? Come posso essere sicuro che una donna non abbia realmente partorito un gattino di tre chili e mezzo? Siamo davvero certi che Elvis Presley non sia risorto e salito al cielo, lasciando una tomba vuota? Sono accadute cose più strane di queste. O meglio, cose che noi diamo per scontate, come la radio, sarebbero parse ai nostri antenati non meno improbabili della visita di uno spettro. Per noi il telefono cellulare è quell'oggetto che squilla sempre inopportuno, ma agli uomini e alle donne dell'Ottocento, che sì e no avevano visto un treno, sarebbe sembrato pura magia. Come ha osservato Arthur C. Clarke, l'illustre scrittore di fantascienza e convinto assertore del potere illimitato della scienza e delle tecnologia: «Qualsiasi tecnica abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia». È chiamata, questa, la «terza leggge di Clarke», e vi ritornerò sopra.

William Thomson, primo Lord Kelvin, fu uno dei più illustri e influenti fisici britannici del XIX secolo; tuttavia fu una spina nel fianco per Darwin, perché «dimostrò», in modo tanto autorevole quanto errato, come oggi sappiamo, che la terra era troppo giovane perché vi avesse avuto luogo l'evoluzione. Gli si attribuiscono inoltre le tre sentenze categoriche: «La radio non ha futuro»; «Macchine più pesanti dell'aria non possono volare»; «I raggi X si riveleranno una beffa». Insomma Lord Kelvin spinse così all'estremo il proprio scetticismo da esporsi al ludibrio delle generazioni future. In "Le nuove frontiere del possibile" (1962), Arthur C. Clarke citò a mo' di avvertimento casi analoghi e mise in guardia il pubblico dai rischi di chiusure dogmatiche. Quando, nel 1878, Edison annunciò di stare lavorando alla lampada a incandescenza, in Gran Bretagna fu istituita una commissione parlamentare incaricata di verificare se la luce elettrica fosse una cosa seria o una burla. La commissione di esperti concluse che l'idea bizzarra di Edison (quella che noi oggi chiamiamo lampadina) «poteva soddisfare gli amici d'oltreoceano ... ma non meritava l'attenzione di uomini di scienza o di buon senso».

Perché l'elenco non suonasse troppo antibritannico, Clarke riportò anche le affermazioni di due illustri scienziati americani in merito agli aeroplani. L'astronomo Simon Newcomb ebbe l'infelice idea di fare quest'osservazione poco prima del famoso volo dei fratelli Wright nel 1903:

La dimostrazione che le combinazioni possibili di sostanze e congegni e forze conosciute non sono capaci di concorrere alla costruzione d'una macchina con cui l'uomo possa volare per lunghi tratti, sembra all'autore tanto completa quanto lo può essere la dimostrazione di un fatto fisico.

William Henry Pickering, un altro autorevole astronomo americano, affermò categoricamente che gli aeroplani più pesanti dell'aria, pur essendo realizzabili (dovette ammetterlo perché ormai i fratelli Wright avevano già volato), non avrebbero mai potuto rappresentare un mezzo di trasporto concreto e affidabile:

Spesso la mentalità popolare si raffigura gigantesche macchine volanti che attraversano velocemente l'Atlantico trasportando una moltitudine di passeggeri, in modo analogo ai nostri moderni piroscafi ... Mi sembra di poter affermare che tali idee sono da considerarsi del tutto fantastiche. Anche se un apparecchio potesse arrivare oltreoceano con uno o due passeggeri, la spesa sarebbe proibitiva per chiunque non fosse un capitalista ... Altra illuusione comune è che si possa ottenere una straordinaria velocità.

Pickering proseguiva «dimostrando», con seri calcoli sugli effetti della resistenza dell'aria, che un aeroplano non avrebbe mai potuto viaggiare più veloce dei treni espressi dell'epoca. [...]

Questi autorevoli scienziati che scivolano su bucce di banana ci mostrano quanto sia pericoloso trincerarsi nel già noto. Non credere a niente di ciò che appare bizzarro o inspiegabile non è una virtù. Qual è allora la differenza tra la chiusura dogmatica e il mio rifiuto dichiarato nei riguardi dell'astrologia, della reincarnazione e della resurrezione di Elvis Presley? Come facciamo a distinguere lo scetticismo giusto da quello miope, intollerante e dogmatico?

(continua)

martedì 17 luglio 2007

Progettazione non intelligente



Questo post è il quinto di una serie, cominciata su "Novissimo blog", dedicata alla teoria dell'evoluzione e al libro di Richard Dawkins "L'orologiaio cieco". Episodi precedenti: primo, secondo, terzo , quarto.

Questo episodio è meno importante degli altri: non contiene nuovi concetti chiave, ma solo una sequenza di curiosità sul mondo animale, con cui Dawkins argomenta il discorso precedente. Sconsiglio di leggere questo episodio senza aver letto i precedenti. L'episodio è comunque importante perché fornisce fortissima evidenza che non esiste un progettista consapevole per gli esseri viventi.

Scorribande nel mondo animale (seguito)

Alcuni animali unicellulari hanno una macchia sensibile alla luce con un piccolo schermo di pigmento dietro di essa. Lo schermo protegge la macchia dalla luce proveniente da una certa direzione, fornendo così all'animale un'indicazione sulla direzione da cui viene la luce. Fra gli animali pluricellulari, vari tipi di vermi e qualche mollusco presentano una soluzione simile, con la differenza però che le cellule sensibili alla luce sono contenute in una invaginazione epiteliale o fossetta. Questo fatto fornisce una migliore capacità di individuare la direzione, poiché ogni cellula è protetta selettivamente dai raggi di luce che entrano nella fossetta dalla sua parte. In una serie continua che va da strati piani di cellule fotosensibili a fossette poco profonde, ogni passo nella serie, per quanto piccolo (o grande), sarebbe un perfezionamento ottico. Ora, nel caso di una fossetta molto profonda, i cui lati siano rivoltati in modo da ottenere una chiusura progressivamente più completa, si ottiene infine una camera stenopeica, ossia una camera oscura senza lente in cui la luce entra attraverso un forellino grande quanto la punta di uno spillo. Esiste una serie di gradazioni continue da una fossetta poco profonda a una camera stenopeica (...).

Una camera stenopeica forma un'immagine definita, la quale è tanto più nitida (ma anche meno luminosa) quanto più piccolo è il forellino, e tanto più luminosa (ma confusa) quanto più il foro è grande. Il nautilo, un mollusco capace di nuotare - strana creatura di aspetto simile ai calamari che vive in una conchiglia, come le ammoniti oggi estinte (vedi il «cefalopodo con conchiglia» della figura 5) - ha per occhi un paio di camere stenopeiche. L'occhio ha fondamentalmente la stessa forma del nostro, ma è privo di lente e la pupilla è solo un foro che lascia entrare l'acqua di mare nella cavità interna dell'occhio. In realtà il nautilo rappresenta un vero enigma. Perché, in tutte le centinaia di milioni di anni a partire da quando i suoi progeniilori svilupparono per la prima volta una camera oscura senza lente, esso non scoprì mai il principio della lente? Il vantaggio di una lente è quello di consentire all'immagine di essere nitida e luminosa al tempo stesso. Quel che nel nautilo dà da pensare è il fatto che la qualità della sua retina è tale che esso potrebbe trarre davvero un beneficio grandissimo e immediato da una lente. Questo mollusco è come un sistema di alta fedeltà con un eccellente amplificatore ma con un grammofono dalla puntina consumata. Il sistema sembrerebbe esigere a gran voce un mutamento particolare semplice. Nell'iperspazio genetico il nautilo sembra trovarsi immediatamente accanto a un miglioramento ovvio e immediato, eppure non compie questo piccolo passo necessario. Perché no? Michael Land dell'Università del Sussex, la più grande autorità nel Regno Unito sugli occhi degli invertebrati, non riesce a darsi ragione di questo fatto, e neppure io. Forse le mutazioni necessarie non possono verificarsi dato il modo in cui si sviluppano gli embrioni del nautilo? Questa spiegazione non mi soddisfa, ma non ho una spiegazione migliore da offrire. Almeno il nautilo dimostra in modo efficace che un occhio senza lente è una soluzione di gran lunga preferibile all'assenza di occhi.

Quando si ha per occhio una fossetta quasi chiusa, una vescicola, la sovrapposizione alla sua apertura di un qualsiasi materiale vagamente convesso, vagamente trasparente o addirittura semi trasparente, costituirà un miglioramento potendo esso fungere da lente, per quanto modesta. La lente raccoglie luce al di sopra della sua superficie e la concentra su un'area più ristretta della retina. Una volta realizzato un tale rozzo protocristallino, si verifica una serie di perfezionamenti graduata in modo continuo che lo ispessiscono, ne aumentano la trasparenza e ne riducono la distorsione, tendenza che culmina in quella che noi tutti riconosciamo come una vera lente, il cristallino. I parenti del nautilo, i calamari e i polpi, posseggono una vera lente, molto simile alla nostra, benché i loro pro genitori abbiano senza dubbio evoluto l'intero principio dell'occhio a camera stenopeica in modo completamente indipendente da noi. Per inciso, Michael Land calcola che esistano nove principi fondamentali per la formazione di immagini per mezzo di occhi, e che la maggior parte di essi siano stati evoluti molte volte autonomamente. Per esempio il principio del disco riflettore incurvato è radicalmente diverso dal nostro occhio a camera oscura (noi lo usiamo nei radiotelescopi, e anche nei nostri telescopi ottici di maggiori diimensioni poiché è più facile costruire un grande specchio che non una grande lente), ed è stato «inventato» indipendentemennte da vari molluschi e crostacei. Altri crostacei hanno un occhio composito come gli insetti (in realtà una grande aggregazione di minuscoli occhi), mentre altri molluschi, come abbiamo visto, hanno un occhio a camera stenopeica dotato di lente come il nostro, oppure un occhio a camera stenopeica senza lente. Per ciascuno di questi tipi di occhio esistono in altri animali moderni stadi corrispondenti a forme evolutive intermedie perfettamente funzionanti.

La letteratura di propaganda contro l'evoluzione abbonda di presunti esempi di sistemi complessi che «non potrebbero» essere passati attraverso una serie graduale di forme intermedie. Questo è spesso solo un altro caso dell'atteggiamento piuttosto patetico dell'«incredulità personale» in cui ci siamo imbattuti nel capitolo Il. Subito dopo la sezione sull'occhio, per esempio, il libro The Neck of the Giraffe di Hitching continua discutendo il caso del brachino bombardiere, un coleottero che

schizza in faccia ai suoi nemici un miscuglio letale di idrochinoone e di acqua ossigenata. Queste due sostanze chimiche, quando vengono mescolate assieme, esplodono letteralmente. Per poterle conservare senza danno dentro il suo corpo, il brachino bombardiere ha sviluppato perciò un inibitore chimico che le rende innoocue. Nel momento in cui il coleottero spruzza il liquido dalla parte posteriore del suo addome, al miscuglio viene aggiunto un anti-inibitore per renderlo di nuovo esplosivo. La catena di eventi che hanno potuto condurre a un processo così complesso, coordiinato e sottile sfida qualsiasi spiegazione biologica sulla base di una sequenza di passi semplici. La minima alterazione nell'equiilibrio chimico condurrebbe immediatamente a una strage di massa di brachini bombardieri suicidi.

Un mio collega biochimico mi ha fornito gentilmente una bottiglia d'acqua ossigenata e abbastanza idrochinone per 50 brachini bombardieri. Ora mi accingo a mescolare assieme le due sostanze. Secondo le affermazioni di Hitching, esse mi esploderanno in faccia. Vediamo ...

Be', sono ancora qui. Ho versato l'acqua ossigenata nell'idrochinone, e non è accaduto assolutamente nulla. La miscela non si è neppure riscaldata. Ovviamente lo sapevo: non sono poi tanto temerario! L'affermazione che «queste due sostanze chimiche, quando vengono mescolate assieme, esplodono letteralmente» è semplicemente falsa, anche se viene ripetuta regolarmente nella letteratura creazionistica. Se il lettore è curioso di sapere che cosa accada realmente nel brachino bombardiere eccolo accontentato. È vero che il brachino schizza sui suoi nemici un miscuglio caldissimo di acqua ossigenata e di idrochinone, ma le due sostanze non reagiscono violentemente fra loro a meno che non si aggiunga un catalizzatore. E questo è appunto ciò che fa il brachino bombardiere. Quanto ai precursori di questo sistema nell'evoluzione, sia l'acqua ossigenata sia vari tipi di chinoni sono usati per altri scopi nella chimica del corpo. I progenitori del brachino bombardiere usarono semplicemente a un fine diverso delle sostanze di cui già disponevano. È questo il modo in cui spesso funziona l'evoluzione.

Nella stessa pagina del libro di Hitching in cui si tratta del brachino bombardiere c'è la domanda: «Di quale utilità sarebbe [...] mezzo polmone? La selezione naturale eliminerebbe senza dubbio creature così strane, non le conserverebbe». In un essere umano adulto sano, ognuno dei due polmoni è diviso in circa trecento milioni di minuscole camere, gli alveoli, alle punte di un sistema ramificato di condotti. L'architettura di questi condotti - i bronchi, i bronchioli e i condotti alveolari - assomiglia all'albero biomorfo nella figura 2 in basso, nel capitolo precedente [Noi l'abbiamo saltato, NdM]. In quell'albero il numero delle successive ramificazioni, determinate dal «gene 9», è otto, e il numero delle punte di ramoscelli è 2 elevato all'ottava potenza, cioè 256. Man mano che, nella figura 2, si scende verso il basso, in ogni albero il numero delle punte dei ramoscelli si raddoppia. Per arrivare al numero di 300 milioni di punte di ramoscelli si richiederebbero solo 29 raddoppiamenti successivi. Si noti che qui c'è una gradazione continua da un singolo alveolo a 300 milioni di alveoli, ogni passo in questa gradazione essendo fornito da un'altra ramificazione in due. Questa transizione può essere compiuta in 29 ramificazioni successive, cosa che possiamo immaginarci nel modo più semplice come una solenne passeggiata di 29 passi attraverso lo spazio genetico.

Nei polmoni, il risultato di tutta questa ramificazione è che l'area della superficie funzionale all'interno di ciascun polmone è di circa 60 metri quadrati. L'area è la variabile importante per un polmone, determinando la rapidità con cui può essere assunto l'ossigeno, ed espulsa l'anidride carbonica, che è il prodotto di rifiuto. Ora, la cosa importante sull'area è che è una variabile continua: l'area non è una di quelle cose che si hanno o non si hanno. È una cosa che si può avere in quantità maggiore o minore. Più della maggior parte delle altre cose, l'area dei polmoni si presta a un mutamento graduale, un passo dopo l'altro, a partire da 0 metri quadrati sino a 60 metri quadrati.

Ci sono numerosi pazienti chirurgici che se ne vanno in giro con un solo polmone, e alcuni di loro dispongono solo di un terzo dell'area polmonare normale. Essi possono camminare, ma non fanno molta strada e non camminano con passo molto svelto. Questo è il punto. Una riduzione graduale dell'area dei polmoni non ha un effetto assoluto, del tipo tutto o nulla, sulla sopravvivenza. Ha invece un effetto graduale, esercitando una variazione continua su quanto un individuo riesce a camminare, e quanto velocemente. Variazione che si riflette, in modo altrettanto continuo, sulla speranza di vita dell'individuo. La morte non arriva bruscamente al di sotto di un particolare valore di soglia della superficie dei polmoni! Essa diventa gradualmente più probabile man mano che l'area dei polmoni diminuisce al di sotto di un optimum (e man mano che cresce al di sopra di quello stesso optimum, per ragioni diverse connesse al dispendio di energia).

I primi fra i nostri progenitori a sviluppare polmoni vissero quasi certamente nell'acqua. Possiamo farci un'idea di come probabilmente respiravano osservando i pesci moderni. La maggior parte dei pesci moderni respirano in acqua con le branchie, ma molte specie che vivono in acquitrini, poveri di osssigeno, integrano la respirazione branchiale inghiottendo aria in superficie. Essi usano come una sorta di rozzo protopolmone la camera interna della bocca, la quale è talvolta ingrandita in un sacco respiratorio riccamente vascolarizzato. Come abbiamo visto, non c'è alcuna difficoltà nell'immaginare una serie continua di forme intermedie che connettano un singolo sacco respiratorio a un insieme ramificato di 300 milioni di alveoli, come in un polmone umano moderno.

Fatto interessante, molti pesci moderni hanno conservato il loro singolo sacco e lo usano per uno scopo completamente diverso. Pur avendo avuto probabilmente in origine una funzione respiratoria, esso si è trasformato nel corso dell'evoluzione in una vescica natatoria o pneumatocisti, un dispositivo ingegnoso per mezzo del quale il pesce si mantiene in costante equilibrio idrostatico nell'acqua. Un animale privo di vescica natatoria è normalmente un po' più pesante dell'acqua, cosicché affonda. Ecco perché gli squali devono nuotare di continuo per non affondare. Un animale che possegga al suo interno grandi sacche d'aria, come i nostri grandi polmoni, tende a salire in superficie. In una posizione intermedia in quest'ambito continuo di variazione, un animale con una vescica d'aria che abbia esattamente le dimensioni giuste non affonda né sale in superficie, ma si mantiene senza sforzo in equilibrio col mezzo ambiente. È questo il dispositivo che è stato sviluppato dai pesci moderni con l'eccezione degli squali. A differenza di questi ultimi, essi non sprecano energia per evitare di affondare. Le loro pinne e la loro coda sono libere per la guida e la propulsione rapida. I pesci moderni non fanno più ricorso all'aria esterna per riempire la vescica natatoria, ma hanno sviluppato speciali ghiandole per la produzione di gas. Usando queste ghiandole e altri mezzi, essi regolano con precisione il volume del gas nella vescica, e riescono quindi a mantenersi in un preciso equilibrio idrostatico.

Varie specie di pesci moderni possono uscire dall'acqua. Un estremo è costituito dall'anabate indiano (Anabas scandens), un pesce che solo di rado entra in acqua. Esso ha sviluppato indipendentemente un tipo di polmone del tutto diverso da quello dei nostri antenati: una camera d'aria che circonda le branchie. Altri pesci vivono per lo più in acqua, avventurandosi talvolta per breve tempo sulla terraferma. Questo fu probabilmente annche ciò che fecero i nostri antenati. Queste scorrerie fuori dall'acqua possono presentare una variazione di durata continua da zero in su. Se tu sei un pesce che vive e respira fondamentalmente in acqua, avventurandosi però occasionalmente sulla terrraferma, per esempio per passare da un acquitrino fangoso a un altro, sopravvivendo in tal modo a lunghi periodi di siccità, potresti trarre vantaggio non solo dal possesso di mezzo polmone ma anche di un centesimo di polmone. Per quanto piccolo sia il polmone primordiale, esso ti permetterà di sopravvivere per un po' di tempo fuori dell'acqua, tempo che dev'essere almeno un po' più lungo del tempo che riusciresti a sopravvivere senza tale polmone. Questa durata è una variabile continua. Non c'è una divisione netta fra animali che respirano nell'acqua e animali che respirano nell'aria. Animali diversi possono spendere in acqua il 99 per cento del loro tempo, o il 98 per cento, o il 97 per cento e così via sino allo O per cento. A ogni passo lungo questa via un qualsiasi aumento frazionario nell'aria dei polmoni rappresenterà un vantaggio. C'è continuità, gradualismo lungo l'intero ambito di variazione.

Quale utilità può avere mezza ala? In che modo le ali cominciarono a esistere? Molti animali saltano da un ramo all'altro, e a volte cadono al suolo. Specialmente in un animale di piccole dimensioni, l'intera superficie del corpo cattura l'aria e dà un aiuto nel salto, o interrompe la caduta, svolgendo l'azione di un rozzo piano a profilo aerodinamico. Ogni tendenza ad accrescere il rapporto della superficie al peso può offrire qualche vantaggio, per esempio membrane di pelle che crescessero negli angoli delle articolazioni. Da questo punto iniziale c'è una serie continua di gradazioni sino ad ali per il volo planato, e di qui alle ali battenti. È chiaro che ci sono distanze che non avrebbero potuto essere superate d'un balzo dai più antichi animali dotati di proto-ali. Fatto altrettanto ovvio, per ogni struttura alare, per quanto primitiva, dev'esserci una qualche distanza, per quanto breve, che può essere superata in un balzo grazie a tale superficie di sostentamento e che non può essere superata senza di essa.

Ora, se le prime superfici di sostentamento servivano per rallentare la caduta dell'animale, non si può dire che membrane alari di superficie inferiore a una superficie data non sarebbero state di alcuna utilità. Ancora una volta, non ha alcuna importanza se tali superfici di sostentamento erano piccole e molto diverse da vere ali. Dev'esserci una certa altezza, diciamo h, tale che un animale, cadendo da essa, si romperebbe l'osso del collo, mentre sopravviverebbe cadendo da un'altezza leggermente minore. In questa zona critica, qualsiasi perfezionamento della capacità della superficie del corpo di catturare aria e costringerla a sostenere il corpo diminuendo in tal modo la velocità di caduta, può fare la differenza fra la vita e la morte. La selezione naturale favorirà quindi gli animali in possesso di una superficie di sostentamento alare per quanto modesta. Una volta che questo prototipo di ala sia diventato la norma, l'altezza critica h diventerà leggermente maggiore. Ora la differenza fra la vita e la morte sarà fatta da un ulteriore lieve aumento della superficie alare. E così via, fino a sviluppare ali vere e proprie.

Ci sono animali vivi oggi che illustrano magnificamente ogni stadio in questo continuum. Ci sono raganelle che volano come alianti grazie a grandi membrane interdigitali, serpenti volanti dal corpo appiattito come un nastro, capaci di aumentare la portanza accorciando in volo il loro corpo con una serie di spire a S, sauri - come il drago volante - che volano distendendo una membrana cutanea sostenuta da prolungamenti delle costole; e varie specie diverse di mammiferi che volano come alianti con membrane distese fra i loro arti, mostrandoci come deve avere avuto inizio il volo fra i pipistrelli. A dispetto della letteratura creazionistica, non solo sono comuni animali con «mezza ala», ma anche animali con un quarto di ala, con tre quarti di ala e così via. L'idea di un continuo nell'evoluzione dell'ala diventa ancora più convincente quando ricordiamo che gli animali molto piccoli tendono a librarsi dolcemente in aria, quale che sia la loro forma. La ragione per cui quest'argomentazione è persuasiva è che esiste un continuo con infinite gradazioni fra piccolo e grande.

L'idea di piccoli mutamenti cumulati nel corso di molti stadi è un'idea immensamente efficace, capace di spiegare una gamma enorme di cose che altrimenti sarebbero inspiegabili. Come ebbero origine i serpenti velenosi? Molti animali mordono, e la saliva di qualche animale contiene proteine che, entrando in una ferita, possono causare una reazione allergica. Persino i cosiddetti serpenti non velenosi possono infliggere morsi che causano in alcune persone una reazione dolorosa. C'è una serie continua graduata fra la saliva comune e un veleno mortale.

Come ebbero origine le orecchie? Qualsiasi pezzo di epidermide può scoprire vibrazioni se entra in contatto con oggetti vibranti. Questo è uno sviluppo naturale del senso del tatto. La selezione naturale potrebbe aver perfezionato facilmente questa facoltà per mezzo di passaggi graduali fino a raggiungere una sensibilità sufficiente per captare vibrazioni per contatto molto lievi. A questo punto un organismo sarebbe stato automaticamente abbastanza sensibile da captare vibrazioni (stati di rarefazione e compressione) dell'aria di sufficiente energia e/o originate da una sorgente abbastanza vicina. La selezione naturale avrebbe favorito a questo punto l'evoluzione di speciali organi -le orecchie - per captare vibrazioni dell'aria provenienti da sorgenti a distanze sempre maggiori. È facile vedere che dovette esserci una sequenza continua di piccoli perfezionamenti graduali, dalla percezione di vibrazioni meccaniche a un udito perfetto. Come ebbe inizio l'ecolocazione? Qualsiasi animale dotato di un udito può percepire un'eco. Spesso gli esseri umani ciechi imparano a servirsi di questi echi per orientarsi. Una versione rudimentale di tale abilità in mammiferi ancestrali dovette fornire alla selezione naturale un'abbondante materia prima su cui costruire, conducendo per gradi all'alta perfezione dei pipistrelli.

Una vista al cinque per cento è preferibile all'assenza totale della vista. Un udito al cinque per cento è preferibile a un'assenza totale dell'udito. Una capacità di volare al cinque per cento è sempre meglio che non possedere alcuna attitudine al volo. È perfettamente credibile che ogni organo o apparato che vediamo nella realtà sia il prodotto di una traiettoria regolare attraverso lo spazio animale, una traiettoria in cui ogni stadio intermedio diede un contributo alla sopravvivenza e alla riproduzione. Ogni volta che in un animale vivente abbiamo un X, dove X è un qualche organo troppo complesso per poter avere avuto origine per caso in un singolo passo, allora, secondo la teoria dell'evoluzione per selezione naturale, dev'essersi verificato il caso in cui una frazione di X era meglio dell'assenza totale di X, che due frazioni di X dovevano essere meglio di una e che un intero X doveva essere meglio di nove decimi l un X. lo non ho alcuna difficoltà ad accettare che queste affermazioni valgano per gli occhi, per le orecchie, comprese le orecchie di pipistrelli, per le ali, per il mimetismo animale, per le mascelle dei serpenti, per i pungiglioni, per le abitudini dei cuculi e per tutti gli altri esempi presentati nella propaganda contro l'evoluzione. Senza dubbio ci sono numerosi X concepibili per i quali queste affermazioni non sarebbero vere, numerose vie evolutive concepibili per le quali le forme intermedie non sarebbero miglioramenti rispetto alle forme presenti in organismi anteriori. Ma questi X non si trovano nel mondo reale. Darwin scrisse (nell'Origine delle specie, capitolo VI):

Se si potesse dimostrare l'esistenza di un qualche organo complesso che non avrebbe potuto formarsi per numerose lievi modificazioni successive, la mia teoria cadrebbe assolutamente.


Centoventicinque anni dopo, noi sappiamo sugli animali e sulle piante molte cose di più di ciò che sapeva Darwin, e nondimeno non mi è noto un singolo caso di un organo complesso che non avrebbe potuto formarsi per numerose lievi modificazioni successive. lo non credo che un caso del genere si troverà mai. Se lo si troverà - dovrà essere un organo realmente complesso e, come vedremo in capitoli successivi, noi dovremo mettere la massima cura nel definire che cosa intendiamo per «lievi» modificazioni - io smetterò di credere nel darwinismo.

A volte la storia di stadi intermedi graduali è scritta in modo chiaro nella forma di animali moderni, assumendo addirittura la forma di autentiche imperfezioni nel disegno finale. Stephen Jay Gould, nel suo eccellente saggio sul Pollice del panda, ha sostenuto che l'evoluzione potrebbe essere supportata in modo più convincente dalle prove di evidenti imperfezioni che non dalla prova della perfezione. lo mi limiterò a citare solo due esempi.

I pesci che vivono sul fondo del mare traggono beneficio dal I fatto di essere piatti e di poter nascondere la loro silhouette. Ci sono due tipi molto diversi di pesci piatti che vivono sul fondo del mare, i quali hanno sviluppato la loro forma piatta in modi del tutto differenti. Razze, pastinache e torpedini, parenti degli squali, sono diventate piatte in quello che potrebbe essere considerato un modo ovvio. Il loro corpo è cresciuto lateralmente a formare grandi «ali». Esse sono come squali passati sotto un rullo compressore, ma rimangono simmetriche e presentano la divisione usuale fra «sopra e sotto». Sogliole, platesse, passere di mare e simili si sono appiattite in un modo diverso. Esse sono pesci ossei (con vescica natatoria) imparentati con le aringhe, le trote e via dicendo, e non hanno niente a che fare con gli squali. A differenza degli squali, i pesci ossei hanno una spiccata tendenza ad appiattirsi in senso verticale. Un'aringa, per esempio, è molto più «alta» che larga. Essa usa il suo corpo appiattito verticalmente come una superficie per il nuoto, ondulandolo nell'acqua mentre nuota. Era perciò naturale, quando gli antenati della passera di mare e della sogliola andarono a vivere sul fondo del mare, che si coricassero su un fianco anziché sul ventre, come i progenitori delle razze e delle pastinache. Questo fatto pose però il problema che un occhio rimaneva sempre immerso nella sabbia del fondo, finendo con l'essere inutilizzato. Nell'evoluzione questo problema fu risolto per mezzo della "migrazione" dell'occhio inferiore sul fianco superiore.

Noi vediamo questa migrazione dell'occhio ripetersi nello sviluppo di ogni pesce osseo appiattito. Un pesce piatto giovane comincia la sua vita nuotando in prossimità della superficie, ed è simmetrico e appiattito verticalmente come un'aringa. Successivamente, però, il cranio comincia a crescere in uno strano modo asimmetrico, contorto, così che un occhio, per esempio il sinistro, passa sopra il vertice della testa per terminare la sua migrazione sul fianco superiore. Il giovane pesce si stabilisce allora sul fondo con entrambi gli occhi rivolti verso l'alto, formando una bizzarra immagine picassiana. Per inciso, alcune specie di pesci si posano sul fianco destro, altre sul fianco sinistro, altre ancora su uno qualsiasi dei due.

L'intero cranio di un pesce osseo piatto conserva le tracce di torsione e distorsione che ne attestano l'origine. La sua stessa imperfezione è una testimonianza efficace della sua antica storia, una storia di mutamento graduale più che di disegno intenzionale. Nessun progettista intelligente avrebbe concepito una tale mostruosità se avesse avuto la facoltà di creare liberamente un pesce piatto su un foglio bianco. lo ho il sospetto che la maggior parte dei progettisti intelligenti riuscirebbero a escogitare qualcosa di meglio di una razza. Ma l'evoluzione non prende mai l'avvio da un foglio bianco. Essa deve partire da qualcosa che c'è già. Nel caso dei progenitori delle razze, questo qualcosa erano gli squali che non vivevano sul fondo ma nuotavano liberamente. Gli squali, in generale, non sono appiattiti verticalmente come i pesci ossei, per esempio le aringhe. Semmai, sono già leggermente appiattiti dal dorso al ventre. Ciò significa che, quando qualche antico squalo andò a vivere sul fondo marino, ci fu una progressione facile e continua verso la forma delle razzze, progressione nella quale ogni forma intermedia costituiva un lieve miglioramento, date le condizioni vigenti sul fondo, riispetto al suo predecessore lievemente meno appiattito.

D'altra parte, quando il progenitore delle razze e delle passere di mare - che come le aringhe era appiattito verticalmente ˆandò a vivere sul fondo, si trovò meglio a coricarsi su un fianco che non a bilanciarsi precariamente sulla lama di coltello del suo ventre! Anche se il suo corso evolutivo lo avrebbe infine condotto alle distorsioni complicate e probabilmente costose implicite nell'avere due occhi su un fianco, e benché il modo di essere un pesce piatto esibito dalle razze fosse forse in ultima analisi la soluzione migliore anche per i pesci ossei, le presunte forme intermedie che seguirono questo percorso evolutivo ottennero evidentemente a breve termine risultati meno brillanti rispetto ai loro rivali che giacevano su un fianco, i quali risultarono infatti molto più efficienti, in una prospettiva a breve termine, nell'occultare in tal modo il loro profilo. Nell'iperspazio genetico c'è una traiettoria continua che connette i pesci ossei ancestrali che nuotavano liberamente ai pesci piatti che si posano sul fondo su un fianco, col loro cranio deformato. Non esiste invece una tale traiettoria regolare che connetta quei lontani pesci ossei ancestrali con pesci piatti che giacciano sul ventre. Questa speculazione non può però essere tutta la verità, giacché esistono pesci ossei che sono diventati piatti in modo simmetrico, come le razze. Forse i loro antenati che nuotavano liberamente erano già appiattiti per qualche altra ragione.

Il mio secondo esempio di una progressione evolutiva che non si verificò a causa dei caratteri svantaggio si delle forme intermedie - anche se avrebbe potuto avere, verificandosi, risultati migliori di quelli raggiunti dall'evoluzione reale - concerne la retina dei nostri occhi (e di quelli di tutti i vertebrati). Come qualsiaasi altro nervo, il nervo ottico è una sorta di cavo di un circuito elettrico, un fascio di fili «isolati» separati, in questo caso in numero di circa tre milioni. Ognuno dei tre milioni di fili conduce da una cellula della retina al cervello. Possiamo concepirli come i fili che vanno da un pannello di tre milioni di fotocellule (in realtà tre milioni di stazioni ripetitrici che raccolgono informazioni da un numero ancora maggiore di fotocellule) al computer che deve elaborare l'informazione nel cervello. Questi fili, provenienti dall'intera superficie della retina, si raccolgono in un singolo fascio, che è il nervo ottico dell'occhio in oggetto.

Qualsiasi ingegnere sarebbe naturalmente indotto a supporre che le fotocellule fossero rivolte verso la luce, con i fili diretti all'indietro verso il cervello. Egli si farebbe beffe di chi gli dicesse che le fotocellule potrebbero essere puntate in direzione opposta alla luce, e che i fili potrebbero dipartirsi dal lato più vicino alla luce. Eppure questa è esattamente la situazione che si riscontra nella retina di tutti i vertebrati. Ogni fotocellula è orientata in realtà in direzione opposta a quella ottimale, con i fili che ne escono dal lato più vicino alla luce. Il filo deve percorrere la superficie della retina sino a un punto in cui si immerge in essa attraverso un foro (la cosiddetta «macchia cieca») per andare a unirsi al nervo ottico. Ciò significa che la luce, anziché poter pervenire indisturbata alle fotocellule, deve attraversare una foresta di fili di connessione, soffrendo presumibilmente almeno di una certa attenuazione e distorsione (in realtà forse non molto, ma è soprattutto il principio che urterebbe qualsiasi ingegnere rigoroso!).

lo non conosco l'esatta spiegazione di questo strano stato di cose. Il periodo dell'evoluzione che ha condotto a esso appartiene a un passato molto lontano. Sono però pronto a scommettere che esso abbia qualcosa a che fare con la traiettoria, il percorso evolutivo attraverso [lo spazio di tutti gli organismi possibili], che dovrebbe essere seguita per far ruotare la retina nella situazione più razionale, a partire dall'organo ancestrale - qualunque esso possa essere stato - che precedette l'occhio. Probabilmente una tale traiettoria esiste, ma quando quel percorso ipotetico si realizzò nel corpo reale di animali intermedi, dovette rivelarsi svantaggioso, temporaneamente svantaggioso, ma questo è appunto quanto basta. Le forme intermedie vedevano forse ancora peggio dei loro imperfetti progenitori, e non è una consolazione pensare che esse stessero costruendo una vista migliore per i loro lontani discendenti! Ciò che importa è la sopravvivenza qui e ora.

La «legge di Dollo» (dal paleontologo Louis Dollo) dice che l'evoluzione è irreversibile. Quest'asserzione viene spesso confusa con una quantità di assurdità idealistiche circa l'inevitabilità del progresso, spesso associate a tesi strampalate, come quella che l'evoluzione «viola la seconda legge della termodinamica» (le persone appartenenti alla metà della popolazione colta che, secondo il romanziere C.P. Snow, sanno che cos'è la seconda legge, si renderanno facilmente conto che questa legge non è violata dall'evoluzione più di quanto sia violata dalla 'crescita di un bambino). Non c'è alcuna ragione per cui certe tendenze generali nell'evoluzione non dovrebbero invertirsi. Se per un certo periodo dell'evoluzione c'è una tendenza verso corna ramificate, può esserci benissimo una tendenza successiva verso corna più corte. La legge di Dollo è in realtà solo un'affermazione sull'improbabilità statistica che una traiettoria evolutiva (o, di fatto, qualsiasi traiettoria particolare) venga seguita esattamente due volte, una volta in un senso e l'altra nel senso opposto. Una singola mutazione può essere rovesciata facilmente. Ma per quantità maggiori di mutazioni, persino nel caso dei biomorfi con i loro nove piccoli geni, lo spazio matematico di tutte le traiettorie possibili è così grande che la probabilità che due traiettorie arrivino esattamente allo stesso punto è infinitamente piccola. Ciò vale ancor più per gli animali veri, col loro numero di geni enormemente maggiore. Nella legge di Dollo non c'è niente di misterioso o di mistico, né c'è qualcosa che noi possiamo sottoporre a verifica in natura. Essa è una semplice conseguenza delle leggi elementari della probabilità.

Esattamente per la stessa ragione, è estremamente improbabile che uno stesso percorso evolutivo possa essere seguito esattamente due volte. E sembra similmente improbabile, per le stesse ragioni statistiche, che due linee evolutive debbano convergere esattamente verso lo stesso punto finale a partire da punti di partenza diversi.

È perciò una testimonianza tanto più sorprendente del potere della selezione naturale che nel mondo reale si possono trovare numerosi esempi in cui linee di evoluzione indipendenti sembrano essersi dirette, da punti di partenza molto diversi, verso quello che sembra quasi esattamente lo stesso obiettivo. Quando consideriamo le cose nei particolari troviamo - e ci sarebbe di che preoccuparsi se non fosse così - che la convergenza non è totale. Le diverse linee evolutive tradiscono le loro origini indipendenti in una varietà di particolari. Per esempio gli occhi del polpo sono molto simili ai nostri, ma i fili che escono dalle sue fotocellule non sono rivolti all'esterno verso la luce, come i nostri. Gli occhi del polpo sono, sotto questo aspetto, progettati «con più intelligenza» dei nostri. Essi sono pervenuti a un obiettivo simile prendendo l'avvio da un punto di partenza sorprendente mente diverso. E la diversità dell'origine si manifesta proprio in particolari come questi.

Tali somiglianze superficialmente convergenti sono spesso notevolissime, e dedicherò il resto del capitolo all'esame di alcune di esse. Esse forniscono dimostrazioni sorprendenti del potere della selezione naturale di concepire buoni progetti. Eppure il fatto che progetti superficialmente simili presentino anche differenze fra loro attesta l'indipendenza della loro origine e della loro storia evolutiva. La ragione di fondo è che, se un progetto è abbastanza buono da evolversi una volta, lo stesso principio di progettazione è abbastanza buono da evolversi due volte, da punti di partenza diversi, in parti differenti del regno animale. Quest'argomentazione non potrebbe trovare illustrazione migliore che nel caso da noi usato come esempio basilare del buon progetto stesso: l'ecolocazione. [Abbiamo saltato l'ecolocazione dei pipistrelli, ma Dawkins dedicava ad essa l'intero capitolo 2, NdM.]

La maggior parte di ciò che sappiamo sull'ecolocazione proviene dai pipistrelli (e da strumenti umani), ma essa è presente anche in un certo numero di altri gruppi di animali che non hanno alcun rapporto di parentela fra loro. L'ecolocazione compare in almeno due gruppi separati di uccelli ed è stata portata a un livello di complessità molto alto da delfini e balene. Essa fu inoltre «scoperta» indipendentemente da almeno due gruppi differenti di pipistrelli. Gli uccelli che la praticano sono i guaciari del Sudamerica e la salangana, un rondone dell'Estremo Oriente il cui nido viene usato per preparare il tipico brodo cinese di «nidi di rondine». Entrambi questi uccelli nidificano in caverne buie in cui penetra ben poca luce, ed entrambi navigaano nel buio servendosi dell'eco dei loro clic vocali. In entrambi i casi si tratta di suoni udibili dagli esseri umani, non di ultrasuoni come nel caso dei pipistrelli. In effetti, nessuna delle due specie di uccelli sembra avere sviluppato la tecnica dell'ecolocazione a livelli paragonabili a quella dei chirotteri. I loro clic non sono a modulazione di frequenza, né sembrano adatti alla miisurazione della velocità mediante l'effetto Doppler. È probabile, come nel caso del pipistrello frugivoro Rousettus, che essi servano semplicemente a misurare l'intervallo di silenzio che interrcorre fra ciascun clic e la sua eco.

In questo caso possiamo essere assolutamente certi che le due specie di uccelli abbiano inventato l'ecolocazione indipendentemente dai pipistrelli e in modo autonomo l'una specie dall'altra. La linea di ragionamento è di un tipo che viene usato spesso dagli evoluzionisti. Noi osserviamo tutte le migliaia di specie di uccelli e osserviamo che la grande maggioranza di essi non usano l'ecolocazione. Solo due piccoli generi isolati di uccelli la usano, e questi due generi non hanno nulla in comune fra loro oltre al fatto di nidificare in caverne. Anche se noi crediamo che tutti gli uccelli e i pipistrelli debbano avere un progenitore comune purché seguiamo a ritroso la loro linea genealogica fino a un passato sufficientemente lontano, tale progenitore comune fu anche il progenitore di tutti i mammiferi (compresi noi stessi) e di tutti gli uccelli. La grande maggioranza dei mammiferi e la grande maggioranza degli uccelli non usano l'ecolocazione, ed è molto probabile che non la usasse neppure il loro progenitore comune (il quale neppure volava: questa è un'altra tecnologia che è stata sviluppata indipendentemente numerose volte). Ne segue che la tecnologia dell'ecolocazione dev'essersi evoluta indipendentemente nei pipistrelli e negli uccelli esattamente come fu sviluppata indipendentemente da scienziati britannici, americani e tedeschi. Lo stesso tipo di ragionamento, su scala minore, conduce alla conclusione che neppure il comune antenato del guaciaro e della salangana usava l'ecolocazione e che questi due generi devono avere sviluppato la stessa tecnologia l'uno indipendentemente dall'altro.

(continua)

lunedì 16 luglio 2007

L'insufficienza della tolleranza religiosa

Questo è il primo post di una serie dedicata al libro di Sam Harris "La Fine della Fede". Per visualizzare tutti i post della serie, clicca sull'etichetta "La Fine della Fede", nella colonna laterale del blog.

L'argomento centrale di questo episodio è che il principio di tolleranza reciproca verso le credenze altrui prive di evidenza, sostenuto dai moderati religiosi, non sta funzionando.

Capitolo 1

Un giovane sale su un autobus che sta partendo dal capolinea. Indossa un soprabito, sotto il quale nasconde una bomba. Ha le tasche piene di chiodi, sfere di metallo e veleno per topi. L'autobus è affollato e si dirige verso il centro della città. Il ragazzo si siede a fianco di una coppia di mezza età. Ha deciso di aspettare che l'autobus raggiunga la fermata successiva. Sembra che la coppia seduta al suo fianco abbia intenzione di acquistare un frigorifero nuovo. La donna ha scelto il modello, ma il marito teme che sia troppo costoso e quindi ne indica un altro sul catalogo che lei tiene aperto sulle ginocchia. Si vede già la fermata successiva. Le porte dell'autobus si spalancano. La donna fa notare al marito che quel modello è troppo grande per stare nello spazio sotto i pensili. Alcuni dei passeggeri appena saliti hanno occupato gli ultimi posti liberi, gli altri iniziano ad ammassarsi nel corridoio.

Ora l'autobus è pieno. Il giovane sorride. Premendo un pulsante si fa esplodere, uccidendo la coppia seduta accanto a lui e 20 persone che si trovavano sul bus. I chiodi, le sfere di metallo e il veleno per topi fanno altre vittime tra i pedoni e gli automobilisti. Tutto è andato come previsto.

Ben presto i genitori del giovane apprendono quanto è accaduto. Pur essendo addolorati per la perdita del figlio, si sentono molto orgogliosi della sua impresa. Sanno che con la sua azione si è guadagnato il paradiso e ha aperto la strada anche a loro. Inoltre ha mandato le sue vittime all'inferno per l'eternità: si tratta di una duplice vittoria. I vicini considerano l'evento motivo di grandi festeggiamenti e rendono onore ai genitori del giovane donando loro cibo e denaro.

Questi sono i fatti. Questo è tutto ciò che sappiamo con certezza di quel giovane. Dal suo comportamento possiamo dedurre qualche altra informazione su di lui? Era conosciuto tra i ragazzi della sua scuola? Era ricco o povero? Era poco o molto intelligente? Le sue azioni non ci forniscono alcun indizio in merito. Aveva studiato al college? Aveva un futuro brillante come ingegnere meccanico? Il suo comportamento non ci dice assolutamente nulla su tali questioni, né su centinaia di altre simili. Ma allora perché è così semplice -- al punto che ci si potrebbe scommettere la vita -- indovinare la sua religione?


Un credo è una leva che, una volta azionata, influisce praticamente su tutti gli aspetti della vita di una persona. Sei uno scientista, un liberale, un razzista? Questi non sono che alcuni esempi di credenze che si traducono in azioni. E tali credenze definiscono la nostra visione del mondo, dettano il nostro comportamento, determinano le nostre reazioni emotive nel rapporto con gli altri esseri umani. Se avete qualche dubbio in merito, considerate come cambierebbe improvvisamente la vostra esperienza se iniziaste a credere in una delle seguenti affermazioni: vi restano solo due settimane di vita; avete appena vinto 100 milioni di dollari alla lotteria; gli alieni vi hanno impiantato un ricevitore nel cranio e manipolano i vostri pensieri. Non sono che parole, ma solo fino a quando non iniziate a crederci. Da quel momento entrano a far parte a tutti gli effetti delle vostre strutture mentali, determinando i vostri desideri, le vostre paure, le vostre aspettative e i comportamenti da essi derivanti.

Sembra, tuttavia, che alcune delle credenze sul mondo a cui siamo più legati presentino un problema: ci stanno portando inesorabilmente a ucciderci l'un l'altro. Un semplice sguardo alla storia, o alle pagine di un giornale qualsiasi, svela che le idee che differenziano tra loro i vari gruppi di uomini, per accomunarli nel momento in cui compiono dei massacri, generalmente sono radicate nella religione. Si ha l'impressione che, se la nostra specie arriverà a estinguersi a causa della guerra, ciò non avverrà per il fatto che la nostra sorte era già segnata, ma perché è scritto nei nostri libri. Sarà il nostro attuale approccio a concetti come "Dio", "paradiso" e "peccato" a determinare il nostro futuro.

La situazione è la seguente: gran parte degli abitanti del pianeta crede che il Creatore dell'universo abbia scritto un libro. Per nostra sfortuna abbiamo molti libri di questo genere, ognuno dei quali proclama la propria infallibilità. Le persone tendono a organizzarsi in fazioni in base alla convinzione che la dottrina abbracciata sia infallibile, piuttosto che in funzione della lingua, del colore della pelle, della provenienza geografica o di qualunque altro criterio tribale. Ciascuno di questi testi incita il lettore ad adottare una serie di specifici rituali e credenze: alcuni sono innocui, molti altri no. Tutti, comunque, concordano perversamente su un punto di importanza fondamentale: il rispetto per le altre fedi - o per il punto di vista dei non credenti - non è un atteggiamento approvato da Dio. Sebbene tutte le confessioni religiose, di tanto in tanto, siano state toccate dal concetto di ecumenismo, ogni tradizione religiosa pone al centro della sua dottrina il principio che tutte le altre non siano che ricettacoli dell'errore o, nell'ipotesi migliore, caratterizzate da pericolose lacune. L'intolleranza, peraltro, è intrinseca a ogni fede. Quando qualcuno crede veramente che determinate idee possano condurre alla felicità eterna -- o all'eterna dannazione -- non tollera l'eventualità che le persone che ama possano smarrire la retta via a causa delle lusinghe dei non credenti. Le certezze in merito all'aldilà risultano semplicemente incompatiibili con la tolleranza espressa nella vita terrena.

Tuttavia, osservazioni di questo tenore costituiscono per noi un problema immediato perché nella nostra cultura criticare la fede di un individuo rappresenta un tabù assoluto. Su questo argomento i liberali e i conservatori hanno trovato, sorprendentemente, un punto d'accordo: le credenze religiose non sono passibili di indagine né possono essere oggetto di discussione razionale. È considerato scorretto esprimere giudizi sulle convinzioni personali rispetto a Dio e all'oltretomba, mentre è lecito disapprovare le opinioni che si hanno, ad esempio, sulla fisica o sulla storia. Così accade che, quando un kamikaze musulmano si fa esplodere uccidendo decine di innocenti in una strada di Gerusalemme, l'incidenza della fede in quel gesto viene spesso sminuita. Si adducono motivazioni politiche, economiche o soltanto personali. Se non ci fosse la fede, persone disperate compirebbero ugualmente azioni terribili, ma non si può negare che il credo sia sempre e comunque assolto.

Ad ogni modo, la tecnologia riesce a creare imperativi morali sempre nuovi. I progressi tecnici nell'industria bellica ormai hanno reso le differenze tra le religioni -- e quindi i nostri credo -- antitetiche rispetto alla nostra sopravvivenza. Non possiamo più ignorare il fatto che miliardi di persone che ci vivono accanto credano nella metafisica del martirio, o nella verità letterale dell'Apocalisse, o in una qualsiasi delle altre nozioni fantasiose che da millenni si annidano nelle menti dei fedeli. Bisogna tenerne conto se non altro perché ora quelle stesse persone possiedono armi chimiche, biologiche e nucleari. Indubbiamente questi sviluppi segnano la fase terminale della nostra credulità: se non vogliamo che parole come "Dio" e "Allah" distruggano il nostro mondo, dobbiamo considerarle alla stregua di termini quali" Apollo" e "Baal". Vagando per una decina di minuti nel cimitero delle cattive idee ci si può rendere conto che simili rivoluzioni concettuali sono possibili. Prendete il caso dell'alchimia: per più di un millennio questa pratica ha affascinato l'uomo, ma se oggi qualcuno sostenesse seriamente di essere un alchimista praticante si precluderebbe automaticamente la possibilità di accedere a molti incarichi di responsabilità nella società. Anche la religione, che si fonda sulla fede, è destinata a subire lo stesso declino verso l'oblio. Qual è l'alternativa alla religione per come la conosciamo? Come si intuisce facilmente, non è questa la domanda da porsi. Non fu cercando un'alternativa che si passò dall'alchimia alla chimiica: il cambiamento si generò dal totale ribaltamento di prospettiva - all'ignorannza più lambiccata si sostituì la conoscenza autentica, la semplicità della scienza. Scopriremo che - come nel caso dell'alchimia - parlare di "alternative" alla fede religiosa significa non cogliere il nocciolo della questione.

Naturalmente gli atteggiamenti delle persone di fede sono tanto vari da coprire uno spettro ampissimo: alcune traggono sollievo e ispirazione da una particolare tradizione spirituale, ma restano pienamente aperte alla tolleranza e al rispetto della diversità; altre invece sarebbero disposte a ridurre il pianeta in cenere, se ciò servisse a sradicare per sempre l'eresia. In altre parole ci sono religiosi moderati e religiosi estremisti: le loro passioni e i loro progetti non vanno confusi. Tuttavia, una delle tesi principali di questo libro è che gli stessi religiosi moderati sono portatori di un dogma terribile: costoro ritengono che, per dare un solido fondamento alla pace, sia sufficiente che ognuno di noi impari a rispettare i credo ingiustificati degli altri. Spero di riuscire a dimostrare che l'ideale stesso della tolleranza religiosa, sorto dal concetto che ogni essere umano deve essere libero di credere ciò che vuole riguardo a Dio, è una delle forze principali che ci stanno spingendo verso l'abisso.

Abbiamo capito troppo tardi quanto la fede religiosa possa perpetuare i comportamenti disumani verso i propri simili. Ciò non è sorprendente, visto che molti di noi ritengono che la fede sia una componente essenziale della vita dell'uomo. Ancora oggi due miti (che sembrano animare tanto i religiosi moderati quanto gli estremisti) mantengono la fede al di sopra delle critiche razionali:

a. Molti di noi credono che la fede possa produrre effetti positivi (come comunità forti, comportamenti etici ed esperienze spirituali) altrimenti inesistenti.

b. Molti di noi credono anche che le azioni terribili compiute nel nome della religione derivino non dalla fede in sé, ma da pulsioni più elementari - come l'avidità, l'odio e la paura - per le quali le credenze religiose costituiscono il rimedio migliore (se non l'unico).

Considerati insieme, questi due miti sembrano averci garantito una perfetta immunità rispetto ai focolai di ragionevolezza che scoppiano di tanto in tanto nel dibattito pubblico. Molti religiosi moderati hanno imboccato la strada apparentemente lodevole del pluralismo, asserendo che tutte le fedi sono ugualmente valide, ma in questo modo hanno trascurato di sottolineare un aspetto essenziale della questione: ogni credo si fa portatore di una verità irrimediabilmente settaria.

Se un cristiano crede che solo i suoi fratelli battezzati saranno salvati nel Giorno del Giudizio, non gli è possibile "rispettare" le credenze altrui, in quanto è convinto che le fiamme dell'inferno siano state alimentate proprio da idee simili e sono ancora pronte ad accogliere coloro che le abbracciano. In genere ebrei e musulmani adottano lo stesso punto di vista arrogante dei loro oppositori e da millenni continuano a cadere appassionatamente negli errori delle altre confessioni. Dovrebbe essere superfluo osservare che questi sistemi di credenze in conflitto tra loro sono ugualmente distanti dalla realtà.

E ancora, intellettuali di varia estrazione come RG. Wells, Albert Einstein, Carl Jung, Max Planck, Freeman Dyson e Stephen Jay Gould hanno dichiarato che la guerra tra ragione e fede è destinata a durare. Secondo questo punto di vista, non è necessario che tutte le nostre credenze sull'universo siano in armonia tra loro. Un individuo può essere un cristiano timorato di Dio la domenica e uno scienziato il lunedì mattina, senza dover giustificare la frattura che sembra essersi generata nella sua mente mentre dormiva. Come mostreranno i primi capitoli di questo libro, ognuno pensa che quella frattura esista solo perché, in Occidente, la Chiesa è intervenuta nella politica. In luoghi in cui gli studiosi possono essere ancora lapidati per aver messo in dubbio la veridicità del Corano, l'idea di Gould secondo cui tra ragione e fede c'è un "amorevole concordato" risulterebbe assolutamente illusoria.

Ciò non equivale a dire che le convinzioni più profonde dei fedeli - siano essi moderati o estremisti - sono banali o scriteriate. Indubbiamente molti di noi hanno bisogni emotivi e spirituali cui ora risponde - per quanto in modo obliquo e a un costo terribile - la religione praticata dalla maggioranza. E si tratta di bisogni che non potrebbero mai essere soddisfatti da una semplice comprensione del mondo, scientifica o di altro tipo. È evidente che nella nostra esistenza c'è una dimensione sacra, e accettarla potrebbe benessere lo scopo più nobile della vita umana; ma vedremo che, per fare ciò, non è necessario credere in dogmi indimostrabili, come il fatto che Gesù sia nato da una vergine o che il Corano rappresenti la parola di Dio.

(continua)

sabato 7 luglio 2007

Hitler e Stalin non erano atei?

Le persone di fede sostengono regolarmente che l'ateismo è responsabile per alcuni dei crimini più sconcertanti del ventesimo secolo. Forse gli atei sono davvero meno morali dei credenti? E' vero che i regimi di Hitler, Stalin, Mao e Pol Pot furono irreligiosi in grado variabile. Ma il punto non è se questi regimi fossero atei. Il punto è se la causa delle loro atrocità fosse l'ateismo. E l'evidenza indica il contrario. Se andiamo ad analizzare questi regimi, ci accorgiamo che non erano particolarmente razionali. Anzi erano profondamente dogmatici (e quindi, in un senso importante, “religiosi”). I loro discorsi pubblici erano poco più che deliri allucinati ― deliri sulla razza, sull'economia, sull'identità, sul percorso della storia, sui pericoli morali dell'intellettualismo. Eppure questi regimi vengono spacciati come il prodotto di chissà quale razionalismo scientifico.

Il comunismo

Esaminiamo più da vicino il regime comunista russo. Prendiamo i dogmi della collettivizzazione dei beni e del lysenkoismo. La collettivizzazione dei beni produsse un crollo catastrofico della produttività, particolarmente grave in Ucraina. E' stato dimostrato che milioni di persone sono morte come risultato della collettivizzazione dei beni. Il lysenkoismo è una forma screditata di genetica. Nel 1928 un agronomo precedentemente sconosciuto di nome Lysenko inventò una nuova tecnica di agricoltura promettendo di triplicare o quadruplicare la produzione di grano. In realtà la tecnica non era né nuova né utile. Però, nell'ambiente intellettuale compromesso dell'unione sovietica, Lysenko vinse tutte le battaglie politiche importanti. Tra il 1934 e il 1940 convinse Stalin ad arrestare, imprigionare e giustiziare molti dei suoi colleghi. Oggi possiamo vedere chiaramente che il Lysenkoismo fu una cosa priva di senso e pericolosa. In realtà era chiaro anche allora. Ma pochi osavano affermare ciò che era ovvio, e così violare un dogma di stato. (Ci sono sgradevoli echi di questo disastro nella promozioni politica del creazionismo negli Stati Uniti.)

La collettivizzazione causò la lenta morte per fame di milioni di uomini, donne e bambini. La collettivizzazione era un'iniziativa basata sulla fede. Non c'era evidenza che avrebbe funzionato. C'era evidenza sostanziale che avrebbe prodotto dei danni. Eppure lo Stato sovietico volle procedere ugualmente con la sua attuazione. Andarono avanti per fede.

Per quanto riguarda il comunismo di Pol Pot, quando esso fu attuato l'evidenza della sua inapplicabilità era già schiacciante.

Il comunismo fu quindi un sistema fortemente dogmatico e fideistico. C'è ragione di credere che la causa delle atrocità perpetrate da questi regimi non fosse l'ateismo ma, al contrario, il loro irrazionale dogmatismo ― il credere senza evidenza nella validità di un sistema.

C'è davvero una lezione da trarre da tutto questo. La religione è solo un caso particolare di dogma. Ed è il dogma la radice di ogni male. Come scrive efficacemente Sam Harris:
Il problema che l'ateo denuncia non è altro che il problema del dogma stesso ― di cui ogni religione ha una quantità fin troppo grande. Non conosco alcuna società a memoria d'uomo che abbia mai sofferto perché il suo popolo è diventato troppo ragionevole.
L'esempio dei regimi comunisti, quindi, non indebolisce ma rafforza la posizione atea, una volta chiarito che la causa delle atrocità non fu il loro ateismo ma il loro dogmatismo, una forma di "religiosità". Al contrario, il metodo sostenuto dall'ateo è l'esatto opposto: il ragionamento basato sull'evidenza.

Il nazismo

Per quanto riguarda il nazismo, prima di tutto bisogna dire che l'evidenza che Hitler fosse ateo è molto discutibile. Ad esempio egli scrisse nel Mein Kampf “Per cui oggi ritengo di agire secondo il volere del Creatore Onnipotente: difendendo me stesso dagli ebrei, sto difendendo l'opera di Dio”. Questo fu scritto nel 1925 e ripetuto a voce nel 1938, ed egli disse cose simili per tutta la sua carriera.

Ma soprattutto, la religione fu direttamente incolpabile anche delle atrocità compiute da questo regime. Continua Sam Harris:

Considera l'Olocausto: l'antisemitismo che costruì i crematori nazisti, mattone dopo mattone, fu un'eredità diretta del cristianesimo medievale. Per secoli, gli europei cristiani avevano considerato gli ebrei come la peggior specie di eretici e avevano attribuito ogni male della società alla loro presenza continuata tra i fedeli.

Sebbene l'odio verso gli ebrei in Germania si sia espresso in un modo prevalentemente laico, le sue radici furono indubbiamente religiose ― e la demonizzazione esplicitamente religiosa degli ebrei d'Europa continuò per tutto il periodo. (Lo stesso Vaticano perpetuò le ingiurie razziste nei suoi giornali fino al 1914.) Auschwitz, i Gulag, e i campi di concentramento non sono esempi di cosa succede quando la gente diventa troppo critica verso credenze ingiustificate; al contrario, questi errori testimoniano i pericoli di non riflettere abbastanza criticamente su specifiche ideologie laiche.
Statistiche sull'ateismo

Sam Harris continua:

Secondo il rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite (2005), le società più atee ― paesi come Norvegia, Islanda, Australia, Canada, Svezia, Svizzera, Belgio, Giappone, Olanda, Danimarca e regno unito ― sono anche quelle più sane e in salute, come indicano le stime su aspettativa di vita, livello di istruzione, guadagno pro capite, uguaglianza tra i sessi, tasso di omicidi e mortalità infantile. Al contrario, le 50 nazioni oggi classificate nei posti più bassi dalle Nazioni Unite in termini di sviluppo umano sono saldamente religiose. Naturalmente, questo tipo di dati correlativi non dicono in che direzione vada il nesso di causa ― credere in Dio può produrre una disfunzione sociale, una disfunzione sociale può alimentare una credenza in Dio, ogni fattore potrebbe abilitare l'altro, o entrambi potrebbero nascere da qualche fonte più profonda di problemi. Lasciando da parte le questioni di causa ed effetto, questi fatti provano che l'ateismo è perfettamente compatibile con le aspirazioni di base di una società civile; provano anche, in modo definitivo, che la fede religiosa non fa nulla per assicurare la salute di una società.

(Il libro tratto dal blog è stato aggiornato con questo post)

venerdì 6 luglio 2007

Perché i religiosi moderati sono responsabili per le stragi

Uno degli argomenti centrali del pensiero di Sam Harris, come vedremo, è che i religiosi moderati forniscono involontariamente copertura ai fondamentalisti, proteggendo le credenze fanatiche di questi ultimi dalla pressione critica. La ragione si può illustrare per mezzo di una domanda retorica rivolta al cristiano moderato:

Se tu puoi credere, alla lettera e senza evidenza, che Gesù Cristo risorse dalla morte, perché il fondamentalista non dovrebbe credere, alla lettera e senza evidenza, a qualche altra frase delle Scritture? Ad esempio, che Dio vuole che gli eretici siano uccisi? (Dio lo comanda con chiarezza nel Deuteronomio 13:13-17.) Queste due credenze sono ugualmente prive di evidenza. Sono quindi o ugualmente legittime, o ugualmente illegittime.


Nessun moderato può rispondere in modo soddisfacente a questa domanda, perché la credenza che (ad esempio) Gesù Cristo sia risorto non è più fondata della credenza che Allah ricompensi in Paradiso con delle vergini chi uccide gli infedeli. Entrambe le credenze sono presenti nelle Scritture, ed entrambe non sono minimamente corroborate da evidenza. Restando attaccato a credenze priva di evidenza come la divinità di Gesù, automaticamente il moderato conferisce legittimità alle credenze prive di evidenza dei fondamentalisti.

In realtà l'unica risposta non violenta e logicamente sostenibile da dare ai fondamentalisti, a livello di dialogo tra le nazioni, sarebbe: “noi condanniamo con decisione le vostre credenze religiose, perché non c'è evidenza che esse siano vere. Guardate noi: noi non crediamo in niente che sia privo di evidenza. Per noi Allah, Il Dio Cristiano, Zeus, Apollo, Babbo Natale e le fate del giardino sono tutti sullo stesso piano”. I moderati si oppongono fermamente a questa logica perché, se la accettassero, dovrebbero delegittimare le loro stesse credenze che Gesù Cristo sia resuscitato, che sia nato da una vergine, ecc.

Opponendosi a questa logica, ed esigendo “rispetto” per le proprie credenze prive di evidenza, i moderati proteggono anche le credenze dei fondamentalisti dalla pressione critica, e permettono a queste credenze di tramandarsi di generazione in generazione, con tutti gli effetti catastrofici che producono.

Questo significa che i moderati sono, seppur limitatamente ed indirettamente, responsabili per le stragi provocate dai fondamentalisti.

giovedì 5 luglio 2007

La moralità delle Sacre Scritture


Questo post è il primo di una serie dedicata all'ultimo libro di Richard Dawkins, "The God Delusion" (L'illusione di Dio). La traduzione è mia. Per visualizzare tutti i post della serie, cliccate sull'etichetta "L'illusione di Dio", nella colonna laterale del blog. Questo episodio è stato ampliato rispetto a quello pubblicato su "Novissimo Blog".

La moralità delle Sacre Scritture

Le Scritture hanno due modi di produrre per noi una morale o delle regole di vita. Uno è darci delle istruzioni dirette, come ad esempio i Dieci Comandamenti [...]. L'altro è fungere da esempio: Dio, o qualche altro personaggio biblico, potrebbero fungere da modello di vita. Entrambi questi percorsi spirituali basati sulle Scritture, se seguiti religiosamente (uso questo avverbio in senso metaforico ma senza ignorarne le origini), incoraggiano un sistema morale che qualunque persona moderna e civile, religiosa o meno, troverebbe ― non so come dirlo più educatamente ― nauseante.

Ad essere equi, la maggior parte della Bibbia non è sistematicamente malvagia ma semplicemente bislacca, come ti aspetteresti da un'antologia di documenti disgiunti caoticamente raggruppati insieme, rivisti, tradotti, distorti e 'migliorati' da migliaia di autori anonimi, editori e copisti, sconosciuti a noi e che non si conoscevano tra loro, nell'arco di nove secoli. [...] Ma sfortunatamente è lo stesso strano libro che i fanatici religiosi sbandierano come la fonte infallibile della nostra morale e delle nostre regole di vita. Coloro che vogliono basare la propria morale letteralmente sulla Bibbia non l'hanno letta o non l'hanno compresa, come osserva giustamente il vescovo John Shelby Spong ne I Peccati delle Scritture.

[...]

L'Antico Testamento


Si comincia nella Genesi con l'amata storia di Noè, derivata dal mito babilonese di Uta-Napisthim e nota dalle mitologie più antiche di molte culture. La leggenda di animali che entrano a due a due nell'arca è affascinante, ma la morale della storia di Noè è sconcertante. Dio aveva una bassa opinione degli uomini e per questo (ad eccezione di una famiglia) li affogò, compresi i bambini ed anche, per buona misura, il resto degli animali (che erano presumibilmente innocenti).

Naturalmente, i teologi irritati obietteranno che non prendiamo più alla lettera il libro della Genesi. Ma è proprio questo il punto! Noi scegliamo a nostro piacimento a quali parti delle Scritture credere, e quali invece mettere da parte come simboliche o allegoriche. Questa selezione è una decisione personale, tanto quanto la decisione degli atei di seguire quel tale precetto morale o quella decisione personale, senza un fondamento assoluto. Se quella degli atei è "una moralità che si fonda solo su sé stessa", lo è anche l'altra.

In ogni caso, nonostante le buone intenzioni dei sofisticati teologi, un numero spaventosamente grande di persone prende ancora sul serio e alla lettera le Scritture, compresa la storia di Noè. Secondo la nota compagnia di sondaggi Gallup, queste persone sono più del 50% degli elettori americani. E lo stesso fanno, senza dubbio, molti di quei ministri di culto asiatici che hanno dato la colpa dello Tsunami non ad uno spostamento tettonico ma ai peccati umani, che spaziano dal bere e ballare nei bar all'infrangere qualche insensata regola del sabato. Chi può permettersi di criticarli, credendo allo stesso tempo alla storia di Noè ed ignorando tutto tranne la Bibbia? Tutta l'educazione che hanno ricevuto li ha portati a considerare i disastri naturali come collegati alle vicende umane, come vendette per le malefatte degli umani piuttosto che qualcosa di impersonale come la tettonica a zolle. Tra parentesi, che presuntuoso egocentrismo credere che eventi che scuotono la terra, della magnitudine a cui operano gli dei (o la tettonica a zolle), debbano sempre avere una connessione con l'uomo. Perché mai un essere divino, con in mente la creazione e l'eternità, dovrebbe preoccuparsi anche minimamente delle puerili malefatte umane? Noi uomini ci diamo delle arie, ingigantendo i nostri miseri peccati fino a renderli significativi a livello cosmico!

Quando intervistai per la televisione il reverendo Michael Bray, un attivista anti-abortista di fama, gli chiesi perché i cristiani evangelici fossero così ossessionati dalle inclinazioni sessuali private come l'omosessualità, inclinazioni che non interferiscono con la vita di nessun altro. La sua risposta tirò in ballo l'autodifesa. Dei cittadini innocenti rischiano di divenire vittime collaterali quando Dio deciderà di colpire la loro città con un disastro naturale perché ospita dei peccatori. Nel 2005, la bella città di New Orleans fu catastroficamente inondata come contraccolpo dell'uragano Katrina. Il reverendo Pat Robertson, uno dei più famosi tele-evangelisti d'America, diede la colpa dell'uragano ad una cabarettista lesbica che abitava a New Orleans. Verrebbe da pensare che un Dio onnipotente adotterebbe un approccio leggermente più preciso per freddare i peccatori: un giudizioso attacco di cuore, forse, piuttosto che la distruzione di un'intera città, solo perché il caso ha voluto che fosse il domicilio di una cabarettista lesbica.

Quando i cittadini di Dover, Pennsylvania, votarono contro l'insegnamento nelle loro scuole della cosiddetta "teoria del disegno intelligente", questo stesso reverendo disse:

[..] se accadrà un disastro nella vostra città, non rivolgetevi a Dio. Lo avete appena cacciato dalla vostra città [..]. Quando lo invocherete, Egli potrebbe non esserci.
[...]

Nella distruzione di Sodoma e Gomorra, Lot, nipote di Abramo, ricopre lo stesso ruolo di Noè, nel senso che viene scelto per essere risparmiato assieme alla sua famiglia in quanto individuo retto. Due angeli maschi vennero mandati a Sodoma per avvisare Lot di abbandonare la città prima che arrivassero le pietre. Lot accolse con ospitalità gli angeli in casa sua, al che tutti gli uomini di Sodoma si radunarono intorno alla sua casa e domandarono che Lot consegnasse loro gli angeli in modo che potessero (e cos'altro?) sodomizzarli: 'Dove sono gli uomini che vennero da te questa notte? Portali a noi, così che possiamo conoscerli' (Genesi 19:5). Sì, “conoscere” ha il significato eufemistico classico della Versione Autorizzata, il che è divertente in questo contesto. Il coraggio di Lot nel dire di no alla richiesta suggerisce che Dio poteva non avere tutti i torti a salvarlo. Ma la nobiltà di Lot è annebbiata dalle parole che usa per rifiutare: “Vi prego, non fate tale cosa malvagia. Guardate: io ho due figlie che non hanno mai conosciuto un uomo; vi prego, permettete che io ve le porti, e fate a loro ciò che vi piace: soltanto, non fate nulla a questi uomini; perché essi sono venuti all'ombra del mio tetto” (Genesi 19:7-8).

Qualunque cosa significhi questa storia bislacca, di certo ci dice qualcosa sul rispetto accordato alle donne in questa cultura intensamente religiosa. Comunque, si dà il caso che il baratto di Lot si rivelò non necessario [..]. Tutta la famiglia si salvò, ad eccezione della sfortunata moglie di Lot, che il Signore trasformò in un pilastro di sale per l'offesa ― debole al confronto, si potrebbe pensare ― di essersi voltata a guardare i fuochi d'artificio della distruzione.

Le due figlie di Lot comparvero di nuovo nella storia. [..] Vissero col padre in una caverna. Affamate di compagnia maschile, decisero di far ubriacare il padre e copulare con lui. [...] Lot era troppo ubriaco per accorgersi che si stava accoppiando con le figlie. Se questa famiglia con dei problemi era il meglio che Sodoma aveva da offrire in quanto a morale, qualcuno di voi potrebbe cominciare a sentirsi d'accordo con Dio e la sua severa scure.

C'è un altro episodio tetramente simile a quello di Lot nel capitolo 19 del libro dei Giudici. [...]

No, amici, vi prego, non fate una cosa tanto malvagia, perché quest'uomo è venuto in casa mia; ecco, ho una figlia con la sua concubina; ve le porterò ora entrambe, e ve le umilierò, e fate loro quel che vi pare; ma su quest'uomo non fate una cosa così vile [...]
Ancora una volta, l'etica misogina si rivela, forte e chiara. Trovo particolarmente agghiacciante la frase “ve le umilierò”. Divertitevi pure umiliando e stuprando mia figlia e la concubina di questo sacerdote, ma mostrate un giusto rispetto per il mio ospite che, dopo tutto, è maschio. Nonostante la similarità tra le due storie, il finale fu meno felice per la concubina del Levite (sacerdote) che per le figlie di Lot.
Il Levite la consegnò ai malviventi, che la stuprarono per tutta la notte: "la conobbero e abusarono di lei per tutta la notte fino al mattino: e quando il giorno cominciò a sorgere, la lasciarono andare. Poi la donna all'alba arrivò davanti alla porta della casa dov'era il suo signore, e restò al suolo finché non divenne giorno". (Giudici 19:25-6). Di mattina, il Levita trovò la sua concubina che giaceva prostrata sull'uscio e disse ― con ciò che oggi potrebbe sembrare una crudele brutalità ― "Alzati e andiamo". Ma lei non si muoveva. Era morta. Per cui egli "prese un coltello, si chinò sulla sua concubina, e la fece a pezzi, anche le ossa, il tutto in 12 pezzi, e la mandò sulle coste di Israele". Sì avete letto bene. Andate a controllare, in Giudici 19:29. [...]

Lo zio di Lot, Abramo, fu il padre fondatore di tutte e tre le "grandi" religioni monoteistiche. Il suo status di patriarca lo rende degno di divenire per i fedeli un modello di vita quasi quanto Dio stesso. Ma quale moralista moderno vorrebbe emularlo?

[.....]

Dio ordinò ad Abramo di offrirgli in sacrificio il suo amato figliolo, uccidendolo e bruciandolo. Abramo costruì un altare, ci mise sopra la legna da ardere, ed issò Isacco sopra di essa. Il suo coltello era già alzato quando un angelo intervenne con un cambio di piano: Dio stava solo scherzando dopo tutto, 'mettendo alla prova' Abramo e testando la sua fede. Un moralista moderno non può evitare di chiedersi come un bambino possa recuperare dopo un trauma psicologico di questo tipo. Secondo gli standard moderni di moralità, questa storia scellerata è un esempio allo stesso tempo di abuso di minori, di due atti di bullismo verso persone di rango inferiore, ed è il primo caso documentato di utilizzo della difesa di Norimberga: "Ho solo eseguito gli ordini". Eppure la leggenda è uno dei grandi miti fondanti di tutte e tre le religioni monoteistiche.

Ancora una volta, i teologi moderni obietteranno che la storia del sacrificio di Isacco non dovrebbe essere intesa letteralmente come un fatto. Ed ancora una volta, la risposta corretta è duplice. Primo, moltissime persone, anche oggi, prendono tutte le Scritture alla lettera come un fatto vero, ed hanno molto potere politico su tutti noi, specialmente negli Stati Uniti e nel mondo islamico. Secondo, se non lo dobbiamo prendere alla lettera, come lo dobbiamo prendere? Come un'allegoria? Ma un'allegoria di che cosa? Certo di nulla che sia lodevole. Come una lezione morale? Ma che tipo di morale si potrebbe mai derivare da questa storia sconcertante?

Ricordate, tutto ciò che sto cercando di stabilire per il momento è che noi non deriviamo la nostra morale dalle Scritture. O, se lo facciamo, noi scegliamo tra le Scritture le parti belle e scartiamo quelle brutte. Ma allora dobbiamo avere qualche criterio indipendente per decidere quali sono le parti morali e quali no: un criterio che, da dovunque provenga, non può venire dalla Scrittura stessa e presumibilmente è disponibile a noi tutti, non importa se religiosi o meno.

Alcuni difensori cercano persino di attribuire decenza al personaggio di Dio in questa deplorevole storia. Non è stato forse buono Dio a risparmiare la vita di Isacco all'ultimo momento? Nel caso improbabile che alcuni di voi siano persuasi da questo osceno tentativo di giustificazione, vi racconterò un'altra storia di sacrificio umano, che non andò a finire così bene.

Nel capitolo 11 dei Giudici, il capo militare Jephthah strinse il patto con Dio che, se Dio gli avesse garantito la vittoria contro gli Ammoniti, Jephthah avrebbe in cambio, senza fallo, sacrificato a Dio e bruciato “chiunque uscisse per primo fuori da casa mia per salutarmi, quando sarò tornato”. Jephthah sconfisse davvero gli Ammoniti (“con un massacro glorioso”, come è la norma in tutto il libro dei Giudici) e tornò vittorioso a casa. Chi venne a salutarlo fuori da casa fu, non sorprendentemente, la sua unica figlia, accogliendolo con danze e feste. [...] Non c'era niente che Jephthah potesse fare. Dio stava ovviamente aspettando il sacrificio promesso, e in quella circostanza la figlia acconsentì molto carinamente ad essere sacrificata. Chiese solo di poter andare sulle montagne per due mesi per piangere la sua verginità. Alla fine di questo periodo tornò e Jephthah la fece fuori. Dio non ritenne opportuno intervenire in questa occasione.

[...]

Mosè corse giù dalla montagna, portando le tavole di pietra su cui Dio aveva scritto i Dieci Comandamenti. Quando arrivò e vide il vello d'oro, fu così furioso che lasciò cadere le tavole e le ruppe (più tardi Dio gli diede un set di tavole di ricambio, quindi non ci fu alcun problema). Mosè si impadronì del vello d'oro, lo bruciò, lo fece in polvere, lo mischiò con acqua e lo fece bere a tutte le persone. Poi disse a tutti nella tribù di sacerdoti di Levi di raccogliere una spada e uccidere quante più persone possibile. Questo ammontò a circa tremila vittime che, qualcuno avrebbe sperato, avrebbero dovuto placare l'ira gelosa di Dio. Ma no, Dio non aveva ancora finito. Nell'ultimo verso di questo terribile capitolo il suo colpo di grazia fu inviare una pestilenza su ciò che restava delle persone “perché essi avevano fatto il vello, che Aaron aveva fatto”.

Il Libro dei Numeri ci racconta come Dio incitò Mosè ad attaccare i Midianiti. Il suo esercito massacrò rapidamente gli uomini, e bruciò tutte le città dei Midianiti, ma non uccise le donne e i bambini. Questa pietosa astensione dei soldati fece infuriare Mosè, che diede ordine di uccidere tutti i bambini, e tutte le donne non vergini. “Ma tutte le bambine, che non hanno conosciuto un uomo, lasciatele vive e tenetele per voi stessi” (Numeri, 31:18). No, Mosè non è un buon esempio di vita per i moralisti moderni.

Per quanto alcuni scrittori religiosi moderni attribuiscano qualche tipo di significato simbolico al massacro dei Midianiti, il simbolismo è diretto completamente nella direzione sbagliata. Gli sfortunati Midianiti, per quanto possiamo giudicare dal resoconto biblico, furono vittime di genocidio nel loro stesso Paese.

[...]

Nei Numeri, libro 25, molti israeliti furono adescati dalle donne moabite ad offrire sacrifici al dio Baal. Dio reagì con la sua furia caratteristica. Ordinò a Mosè di “Prendere tutte le teste delle persone e appenderle sotto il sole al cospetto del Signore, così che la furiosa rabbia di Dio possa allontanarsi da Israele”. Ancora una volta, non possiamo evitare di stupirci alla reazione straordinariamente draconiana di Dio di fronte al peccato di farsi sedurre da un Dio rivale. Per il nostro senso moderno di giustizia, sembra un peccato veniale in confronto, ad esempio, all'offrire tua figlia a una banda di stupratori. E' un ulteriore esempio della distanza tra la morale delle scritture e quella moderna (sarei tentato di dire “civile”). Naturalmente, si spiega abbastanza facilmente in termini della teoria della “memetica” [la teoria della sopravvivenza dell'idea più adatta, ideata da Dawkins], e delle qualità che una divinità deve possedere per per poter sopravvivere alle idee concorrenti.

Questa tragicomica gelosia maniacale di Dio contro gli dei alternativi ricorre incessantemente per tutto l'Antico Testamento. Motiva il primo dei Dieci Comandamenti (quelli sulla tavoletta rotta da Mosè: Esodo 20, Deuteronomio 5), ed è ancora più prominente nei comandamenti sostitutivi forniti da Dio per rimpiazzare le tavole rotte (Esodo 34). Dopo aver promesso di cancellare dalle loro terre gli sfortunati Amoriti, Canaaniti, Hittiti, Perizziti, Hiviti e Gebusiti, Dio arriva alla questione che conta davvero: gli dei rivali!

... tu distruggerai i loro altari, infrangerai le loro raffigurazioni, e taglierai i loro pali sacri. Perché tu non venererai alcun altro dio: perché il Signore, il cui nome è Geloso, è un dio geloso. Non fare alleanza con gli abitanti di quel paese, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te: tu allora mangeresti le loro vittime sacrificali. Non prendere per mogli dei tuoi figli le loro figlie, altrimenti, quando esse si prostituiranno ai loro dèi, indurrebbero anche i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi.

Non forgerai alcun Dio di metallo fuso. (Esodo 34:13-17)
Lo so, lo so, i tempi sono cambiati, e nessun leader religioso oggi ragiona come Mosè (tranne i Talebani e i loro equivalenti Cristiani americani). Ma è proprio questo il punto. Tutto ciò che voglio dimostrare è che la moralità moderna, da dovunque venga, certamente non viene dalla Bibbia. E i difensori della Bibbia non possono farla franca dicendo che la religione fornisce loro qualche tipo di criterio interno per definire cosa è buono e cosa è cattivo ― una fonte privilegiata non disponibile agli atei. Non possono farla franca con questo argomento, neppure se usano il loro trucco preferito di interpretare alcuni brani scelti “simbolicamente” anziché letteralmente. Con quale criterio decidono quali passaggi interpretare simbolicamente e quali letteralmente?

La pulizia etnica iniziata al tempo di Mosè arriva al massimo di orrore nel libro di Giosuè [Joshua], un testo notevole per i massacri sanguinosi che narra e per la follia xenofobica con cui lo fa. [..] Il bravo vecchio Giosuè non si riposò finché “non ebbero distrutto completamente tutto ciò che era nella città, uomini e donne, giovani e vecchi, e pecore, bufali, asini, col filo della spada” (Joshua 6:21).

Ancora una volta, protesteranno i teologi, questo non è accaduto davvero. [..] Ma il punto è che, che sia vero o no, la Bibbia viene sbandierata come la fonte della nostra moralità. E la storia biblica della distruzione di Gerico da parte di Giosuè, e in generale l'invasione della terra promessa, è moralmente indistinguibile dall'invasione della Polonia da parte di Hitler, o dai massacri dei Curdi e degli arabi Marsh da parte di Saddam Hussein. La Bibbia potrebbe essere anche una poetica opera di fantasia, ma non è il genere di libro che dovreste dare ai vostri bambini per formare la loro moralità. Si dà il caso che la storia di Giosuè a Gerico sia l'argomento di un interessante esperimento sulla moralità dei bambini, che vedremo più tardi.

Tra parentesi, non pensate neppure che il personaggio di Dio nella storia serbasse degli scrupoli o dei dubbi sui massacri e i genocidi che accompagnarono la conquista della terra promessa. Al contrario, i suoi ordini, per esempio in Deuteronomio 20, erano brutalmente espliciti. Fa una chiara distinzione tra le persone che vivono in quella terra e quelli che vivono molto lontano. Questi ultimi dovevano essere invitati ad arrendersi pacificamente. Se si rifiutavano, tutti gli uomini dovevano essere uccisi e le donne portate via per fare figli. In contrasto con questo trattamento relativamente umano, guardate cosa c'era in serbo per quelle tribù tanto sfortunate da trovarsi già nella Lebensraum promessa. “Ma delle città di queste persone, che il Signore Dio tuo ti dà in eredità, non lascerai vivo niente che respiri, ma dovrai distruggerli completamente. Per la precisione, gli Hittiti, gli Amoriti, i Canaaniti, i Perizziti, Gli Hiviti e i Gebusiti; come il Signore Dio tuo ti ha comandato”.

  • Le persone che tengono in mano la Bibbia come ispirazione alla rettitudine morale hanno la più pallida idea di che cosa c'è davvero scritto dentro? Le seguenti offese meritano la pena di morte, secondo il Levitico 20:

  • insultare i genitori;

  • commettere adulterio;

  • fare l'amore con la madrina o la figliastra;

  • omosessualità;

  • sposare una donna e sua figlia;

  • amare le bestie (e, per aggiungere il danno all'insulto, la sfortunata bestia viene uccisa anch'essa).

Devi essere ucciso anche, ovviamente, se lavori di sabato: questo viene ripetuto più e più volte per tutto l'Antico Testamento. In Numeri 15, i figli di Israele trovarono un uomo che raccoglieva legna nel giorno proibito. Lo arrestarono e chiesero a Dio cosa fare di lui. Dio si rivelò non essere in vena di mezze misure quel giorno. “E il Signore disse a Mosè: l'uomo sarà sicuramente messo a morte: tutte le congregazioni lo lapideranno [...]. E tutte le congregazioni lo lapidarono, ed egli morì”. Questo innocuo raccoglitore di legna aveva forse una famiglia e delle figlie che lo piangevano? Tremò di terrore quando sibilò la prima pietra, e urlò di dolore mentre la raffica gli fracassava il cranio? Quello che mi sconvolge oggi di queste storie non è che siano realmente accadute. Probabilmente non è così. Quello che mi fa cadere la mascella a terra è che delle persone oggi basano la propria vita su un modello di vita così sconcertante come Yahweh – e ancor peggio, cercano di imporre questo mostro malvagio (che sia vero o opera di fantasia) a tutti noi.

[...]

Se prendessimo sul serio i Dieci Comandamenti, dovremmo classificare la venerazione del dio sbagliato come il peccato più grave in assoluto, seguito dal produrre raffigurazioni di Dio. Anziché condannare il vandalismo agghiacciante dei Talebani, che fecero esplodere i Budda Bamiyani alti 150 piedi nelle montagne dell'Afghanistan, dovremmo lodarli per la loro religiosità. Quello che consideriamo vandalismo è stato certamente motivato da sincero zelo religioso. Questo è dimostrato in modo lampante da una storia davvero bizzarra [....]


Non credo che ci sia un ateo al mondo che raderebbe al suolo la Mecca. [...] Come disse il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg, “La religione è un insulto alla dignità umana. Con o senza di essa, avremmo persone buone che fanno buone azioni e persone malvagie che fanno azioni malvagie. Ma per far fare cose malvagie a persone buone, occorre la religione.” [...]

Il mio scopo principale qui è stato dimostrare che non dovremmo derivare la nostra morale dalle Scritture (sebbene sia solo la mia opinione). Un altro mio scopo è stato dimostrare che noi (compresi molti religiosi) di fatto non deriviamo la nostra morale dalle Scritture. Se lo facessimo, osserveremmo rigorosamente il sabato e riterremmo giusto lapidare chiunque non lo faccia. Uccideremmo con la lapidazione ogni donna che non potesse dimostrare di essere vergine, se il marito si dimostrasse insoddisfatto di lei. Giustizieremmo i figli disobbedienti. Ma un momento. Forse sono stato ingiusto. I cristiani avranno protestato per tutta la durata di questa sezione: tutti sanno che il Vecchio Testamento è molto sgradevole. Ma il Nuovo Testamento di Gesù ripara i danni ed aggiusta tutto. O no?

(continua)

mercoledì 4 luglio 2007

La disonestà intellettuale che divide


Qualche giorno fa sono stato ad un matrimonio religioso e sono rimasto senza parole, come sempre, di fronte alla disinvoltura con cui le persone religiose affermano cose che chiaramente non possono sapere. (Gesù Cristo è risorto, Gesù Cristo ebbe natura divina, Gesù Cristo nacque da una vergine, esiste un Dio che ci ha creati, Dio è tre al prezzo di uno, ecc). Credo che chiunque ami la verità e l'onestà dovrebbe indignarsi di fronte a questo comportamento, e sollevare delle obiezioni. Inutile dirlo, questo non avviene, e le conseguenze sono drammatiche. A tale proposito, ho raccolto alcune citazioni di Sam Harris, che trovate anche sul libro tratto dal blog.

Contro la disonestà

Chiunque pensi di sapere per certo che Gesù sia nato da una vergine o che il Corano sia il mondo perfetto del creatore dell'universo sta mentendo. O sta mentendo a se stesso, o a tutti gli altri. In nessuno dei due casi queste false certezze dovrebbero essere celebrate.

[..]

La verità è che nessuno al mondo ha una buona ragione per credere che Gesù sia resuscitato dalla morte o che Maometto abbia parlato all'angelo Gabriele in una caverna. Eppure miliardi di persone affermano di essere certe di queste cose. Come risultato, alcune idee degne dell'età della pietra riguardanti gli argomenti più disparati ― il sesso, la cosmologia, l'eguaglianza tra i sessi, l'anima immortale, la fine del mondo, la validità della profezia, eccetera ― continuano a dividere il nostro mondo e a sovvertire il nostro dialogo tra le nazioni. Molte di queste idee, per loro stessa natura, ostacolano la scienza, infiammano il conflitto umano e dilapidano risorse già scarse.
[...]


Che faresti se io ti dicessi che sono certo che le cellule del mio corpo siano un numero pari? Quali sono le probabilità che io sia nella posizione di avere davvero contato le mie cellule (sono nell'ordine dei 100 trilioni) e che le abbia contate correttamente? Sarebbe forse ingiusto (o peggio "intollerante") da parte tua liquidare la mia affermazione come il prodotto di un auto-inganno oppure di semplice disonestà? Nota che questa affermazione ha il 50% di probabilità di essere vera (diversamente dalle affermazioni sulla nascita da una vergine e sulla resurrezione), eppure è completamente ridicola. Certe pretese di conoscenza ― anche su fatti che hanno una grande probabilità ― svergognano immediatamente i loro sostenitori come intellettualmente disonesti. Ti prego di scusarmi se dico che è straordinariamente ovvio che né tu, né il Papa, né alcun cristiano siete nella posizione di sapere che Gesù è davvero nato da una vergine o che un giorno ritornerà sulla terra brandendo poteri magici.

Puoi chiamarmi "intollerante" quanto vuoi, ma questo non farà sembrare più ragionevoli le tue pretese irragionevoli di sapere; non renderà le tue affermazioni di conoscenza religiosa diverse da affermazioni altrui che tu consideri illegittime.

[...]

Uno dei più grandi problemi della religione è che è costruita, in un grado notevole, su bugie. La mamma dice di sapere che la nonna, dopo che è morta, è andata diritta in paradiso. Ma la mamma non sa veramente questa cosa. La verità è che, mentre mamma può essere rigorosamente onesta in qualunque altro campo, in questo caso non vuole distinguere tra ciò che veramente sa (cioè ciò che ha buone ragioni di credere) e (1) ciò che vorrebbe fosse vero, o (2) ciò che permetterà ai suoi figli di non soffrire troppo nell'assenza della nonna. Ella sta mentendo ― o a se stessa o ai suoi figli ― ma siamo tutti d'accordo di non parlarne. Piuttosto che insegnare ai nostri bambini ad affrontare il dolore e a reagirvi, insegniamo loro a mentire a se stessi.


[...]

Oggi è possibile essere così istruiti da saper costruire una bomba atomica e allo stesso tempo pensare che otterrai 72 vergini in paradiso. La mente umana è così divisa in compartimenti stagni che questo è possibile. Le nostre conversazioni sono così settoriali e partizionate che le proposizioni religiose sono immuni alla pressione critica.
[...]

Quindi, quello che io sto sostenendo, e che sostengo nel mio libro, è che dovremmo divenire intolleranti verso la disonestà, nelle conversazioni che facciamo. Non voglio dire che abbiamo bisogno di nuove leggi. Non servono leggi contro la negazione dell'Olocausto. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è uno standard di onestà intellettuale, per cui le persone che sostengono di essere certe di una cosa che chiaramente non possono sapere vengano pressati nelle conversazioni, messi in difficoltà. Vedete, sarebbe tutto risolto. Se trattassimo tutti coloro che parlano di Dio nell'aula del senato come se avessero appena parlato di Poseidone... [il pubblico ride] ... voglio dire, immaginate: abbiamo tutti questi uragani nel Golfo, e immaginate che qualche senatore dicesse che in realtà dobbiamo tutti pregare Poseidone, che dopotutto quella è la sua giurisdizione, che l'oceano si sta riprendendo le nostre città. Chiaramente questa sarebbe la fine della carriera politica di quella persona. E guardate, non è che qualcuno abbia scoperto nel terzo secolo che il Dio biblico esiste e Poseidone no: le due affermazioni hanno esattamente la stessa dignità intellettuale.

[...]

Il problema è che, dovunque uno si collochi [nel vasto spettro delle posizioni religiose], inavvertitamente fornirà a quelli più fanatici di lui una protezione dalle critiche. I normali fondamentalisti cristiani, affermando con decisione che la Bibbia sia il mondo perfetto di Dio, inavvertitamente favoriscono i Dominionisti ― milioni di uomini e donne che, a loro volta, stanno silenziosamente trasformando il nostro paese in una teocrazia totalitaria che ricorda la Ginevra di Giovanni Calvino. I cristiani moderati, con il loro attaccamento alla divinità di Gesù, proteggono la fede dei fondamentalisti dalla pubblica derisione e stigmatizzazione. I cristiani liberali ― che non sono sicuri di cosa credono ma semplicemente amano l'esperienza di andare in chiesa di tanto in tanto ― proteggono i moderati da un'adeguata collisione con la razionalità scientifica. E in questo modo sono trascorsi secoli e secoli senza che nella nostra società fosse fatta un'affermazione onesta su Dio.